L’Arte Armonica
12
Serie iii, Studi e testi
L’Arte Armonica
Collana di facsimili e testi musicali
Direttore di collana
Alberto Basso
Responsabile editoriale
Annalisa Bini
Art director
Silvana Amato
Giuseppe Martucci.
Da Capua all’Accademia di Santa Cecilia
a cura di
Antonio Rostagno
Pier Paolo De Martino
Questo volume è stato pubblicato con il contributo del progetto PRIN
“Ricerche sulle fonti della musica italiana dell’Ottocento, finalizzate all’edizione critica”
e con il contributo dell’Università di Roma “La Sapienza”
Redazione, impaginazione
Lina Di Lembo
Un particolare ringraziamento va a Renzo Bragantini e Simone Caputo
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta
o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico,
meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta
dei proprietari dei diritti e dell’editore
Composizione tipografica in Cycles di Sumner Stone
© 2012 Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Fondazione, Roma
Tutti i diritti riservati
isbn 978-88-95341-46-0
www.santacecilia.it
Soci Fondatori dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Stato Italiano, Roma Capitale, Regione Lazio, Provincia di Roma,
Camera di Commercio Roma, enel, Telecom, bnl-Paribas, Finmeccanica,
Autostrade per l’Italia, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Astaldi
Sommario
9
Annalisa Bini
Martucci e l’Accademia di Santa Cecilia
13
Giovanni Sabbatucci
La cultura italiana al tempo di Martucci
21
Giulio Ferroni
Poesia, musica, sogno: Di Giacomo, D’Annunzio e la “Canzone dei ricordi”
37
Elio Matassi
Giuseppe Martucci, l’estetica di Antonio Tari e la “musica assoluta”
43
Renzo Bragantini
I poeti di Martucci
63
Paola Besutti
Martucci, le società musicali e i brani per quartetto d’archi
91
Marco Uvietta
Aspetti della melodia di Martucci.
La tecnica della “Variantenbildung” nel Notturno op. 70 n. 1
111
Stefan König
Martucci e Brahms.
Brevi aspetti d’un rapporto musicale e di un’interpretazione ideologica
133
Luca Aversano
Martucci in Germania
157
Vitale Fano
Presenza della musica pianistica di Martucci e dei contemporanei italiani
nei concerti napoletani del secondo Ottocento
185
Sara Zurletti
“La canzone dei ricordi” di Martucci-Pagliara
197
Elisa Grossato
Giuseppe Martucci e il violoncello
211
Pier Paolo De Martino
Stile sinfonico e dimensione virtuosistica nel Concerto op. 66
243
Francesco Bissoli
L’oratorio “Samuel”. Una sacrilega riesumazione?
275
Simone Caputo
Il Quintetto per pianoforte e archi op. 45.
Modificazioni e intenzioni compositive nell’autografo
del Conservatorio di Napoli
295
Manuela Rita
Martucci trascrittore: le scelte e le fonti.
Il caso della “Pastorale” di Giuseppe Sammartini
317
Jesse Rosenberg
Martucciana dall’America
341
Antonio Rostagno
Una inedita versione della “Canzone dei ricordi”
387
Scheda cd allegato
389
Antonio Rostagno
Pensiero musicale per violoncello e pianoforte op. 36 n. 1
Introduzione
393
Antonio Caroccia
Melodia op. 71
Introduzione
395
Indice dei nomi
Il Quintetto per pianoforte e archi op. 45.
Modificazioni e intenzioni compositive nell’autografo
del Conservatorio di Napoli
Simone Caputo
La Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli conserva, all’interno dell’assai cospicuo fondo di autografi di Giuseppe Martucci, un’opera di
grande interesse per chi voglia entrare nel complesso incedere creativo del compositore, nel suo non facile stile, nella sua concezione della musica per certi versi
rara nella storia musicale dell’Italia di fine Ottocento: il Quintetto per pianoforte e archi op. 45.
Le evidenze e le circostanze che consentono di usare l’espressione “di grande
interesse” sono diverse. Anzitutto le date e le occasioni legate alla prima stesura
del Quintetto e alla successiva revisione: Martucci compose il Quintetto nel 1877;
l’opera venne premiata l’anno successivo al concorso della Società del Quartetto
di Milano, e avrebbe vinto il primo premio anche all’analogo concorso di San
Pietroburgo se l’autore, per correttezza, non avesse deciso di ritirarsi prima della
proclamazione; la versione che si conosce, quella appunto contenuta nell’autografo del Conservatorio San Pietro a Majella, è invece del 1892 (l’ultima pagina
del manoscritto reca la scritta autografa: “Bologna, giugno 1892”, accompagnata
dalla firma)1, anno in cui Martucci revisionò il Quintetto per la pubblicazione
1 Il manoscritto porta la segnatura Rari 4.4.12(30) ed è composto da 20 bifolii (290 x 230 mm)
rilegati uno nell’altro; per comodità si è nel presente articolo seguita una numerazione per pagine,
per un numero totale di ottanta, scomponendo in quattro unità il singolo bifolio.
275
simone caputo
dell’editore Kistner di Lipsia (avvenuta nel 1893). Se esiste, dunque, un manoscritto del Quintetto così come fu composto nel 1877, non ne è stata trovata traccia, almeno al momento, negli archivi delle due Società del Quartetto di Milano e
di San Pietroburgo.2 Per lo stesso motivo l’unica descrizione dell’opera presente
nel lavoro monografico di Fabio Fano,3 così come i pochi accenni al Quintetto
presenti in altri saggi, si riferiscono alla versione data alle stampe nel 1893.
Le date 1877 e 1892 non sono trascurabili: i sedici anni che trascorrono non
sono certo pochi; sono anni fondamentali per la maturazione di Martucci, anni
che portano il compositore da Napoli, luogo dove è stata scritta la prima versione
del Quintetto, a Bologna, città in cui il manoscritto viene modificato. Non è compito di questo articolo sviluppare un discorso sui mutamenti stilistici, d’estetica
e di tecnica compositiva attraverso cui trapassò Martucci in quegli anni; basti
però sottolineare quanto furono fervidi per la biografia artistica del compositore, che passò dallo scrivere musica prevalentemente per pianoforte a musica
d’insieme e vocale, in un processo che lo portò sempre più verso la progressiva
esplorazione di grandi forme. Vale la pena, inoltre, ricordare alcune opere cronologicamente vicine alle date citate, considerabili quali interessanti risonanze o
2 Gli studi per il presente articolo sono iniziati in occasione del convegno internazionale di studi
Giuseppe Martucci, a cento anni dalla morte: 1909-2009 (3-5 dicembre 2009, Istituto Suor Orsola
Benincasa – Napoli). A quella data non si disponeva di altre fonti relative al Quintetto se non
quelle indicate nell’articolo. Il riordino dell’archivio della Biblioteca del Conservatorio di Napoli
San Pietro a Majella ha in seguito portato alla luce un manoscritto (segnatura 27.1.35) probabilmente non autografo, che riporta la seguente intestazione: “Quintetto per pianoforte, 2 violini,
viola e violoncello di Giuseppe Martucci. Premiato dalla Società del Quartetto di Milano nel
1878”. Accando alla data, 1878, è segnato a penna, in diverso colore, un punto interrogativo, testimonianza d’incertezza quanto alla datazione dell’oggetto. Il manoscritto, al momento in fase di
studio da parte di chi scrive, potrebbe essere una copia della versione originale con cui Martucci
vinse il concorso della Società del Quartetto di Milano nel 1878. La totale assenza di cancellatture,
correzioni e riscritture, oltre alla grafia di non certa attribuzione, sono elementi che fanno presumere che il manoscritto sia una copia del Quintetto e non l’originale del 1878. La denominazione
con cui era stato catalogato il manoscritto, “Quintetto con pianoforte – Copia”, è probabilmente
la causa della mancata attribuzione nel catalogo a schede della Biblioteca del Conservatorio di
Napoli. Consultando i registri delle acquisizioni e delle donazioni della Biblioteca è emerso che
Rari 4.4.12(30) fu donato al Conservatorio di Napoli in data 2 aprile 1925 (numero di ingresso
54890); la ‘copia’ 27.1.35 fu donata dalla famiglia Martucci nello stesso anno, ma in data successiva
(come testimonia il numero di ingresso 54987).
3 Fabio Fano, Giuseppe Martucci. Saggio biografico-critico, Milano, Curci, 1950.
276
il quintetto per pianoforte e archi op. 45
punti di svolta di un percorso assai complesso e in controtendenza rispetto a
quello che si produceva nell’Italia coeva, e per questo ancor più interessanti oggi:
gli anni della prima versione del Quintetto sono, ad esempio, gli stessi della
Sonata per violino e pianoforte op. 22, del 1874, primo frutto rilevante della
maturità creativa di Martucci, e del Samuel – Oratorio in tre parti, per voci sole,
coro e grande orchestra, del 1881, opera non edita che sarà poi riveduta dal compositore, in alcune sue parti, nel 1905; gli anni della riscrittura sono quelli che
vedono Martucci impegnato in una fervida attività di trascrizione di opere tra gli
altri di Lulli, Rameau, Gluck, Händel, e nella stesura della Sinfonia in re minore
op. 75, lavoro fondamentale, che lo occupa per circa sei anni dal 1888 al 1894. Le
cancellature e riscritture continue, presenti nei fogli del manoscritto del 1892
conservato presso il Conservatorio San Pietro a Majella, sono infine un’ulteriore
testimonianza di un lavoro minuzioso e continuo, che fa dell’op. 45 un’importante ‘grande opera’. Così Antonio Rostagno nel saggio Giuseppe Martucci, un formidabile e solitario cammino:4
Martucci non è affatto il poeta del piccolo pezzo descrittivo, del bozzetto, del bel
frammento melodico, elegante ed effimero. Esattamente al contrario, le sue qualità
migliori si sviluppano nella grande forma sonatistica o sinfonica, ambiziosa, mai
convenzionale e sempre reinventata. Da un’indagine comparativa dell’intera sua
produzione, emerge con chiarezza come il suo principale obiettivo, nei Trii come nel
Quintetto, nelle Sonate come nelle Sinfonie, fosse la grande costruzione sostanziata
di un continuo e minuzioso lavoro di trasformazione motivica, spesso collocata in
impianti ciclici a più temi ricorrenti. Se a ciò si aggiunge una trama contrappuntistica a tratti molto raffinata e originale, in alternanza con sezioni più solidamente
armoniche, si capisce come il suo stile maturo, che si colloca […] più o meno fra il
1875 e il 1895, rappresenti una via di mezzo tra Brahms e Schumann, con l’ovvio antecedente beethoveniano. Ma ciò non significa affatto leggere Martucci come semplice
epigono, bensì come un anello importante e imprescindibile di una catena storica
cui si sentiva parte, pur senza mai rinnegare i legami con la cultura musicale nazionale da cui proveniva e a cui pur sempre apparteneva.
Affermazioni preziose, che chiariscono il senso dell’importanza che può avere lo
studio di un’opera come il Quintetto nel suo trasformarsi tra il 1877 e il 1892.
4 Antonio Rostagno, Giuseppe Martucci, un formidabile e solitario cammino, in Giuseppe Martucci,
Gli autografi della Fondazione Pagliara, a cura di Francesco Bissoli e Antonio Rostagno, Lucca, lim,
2009, p. 11.
277
simone caputo
Si può partire da un dato di fatto, emerso dall’indagine del manoscritto Rari
4.4.12(30): esso non contiene la versione originale, come era parso ipotizzabile in
un primo momento. La stupefacente quantità di correzioni, tuttavia, si presta a
una indagine comparativa con la versione giunta alle stampe. Martucci in diversi
casi torna più volte sullo stesso passaggio, e queste stratificazioni lasciano profondi segni, tali che a volte non è possibile districarle. Da cui l’impossibilità di
ricavare dal manoscritto una ‘versione originale’ dell’opera. A questo punto, il
tentativo di sciogliere i nodi problematici avrà come obiettivo conoscitivo quello
di meglio comprendere i passaggi che hanno portato dalla prima versione dell’opera a quella del 1892.
L’autografo napoletano si compone di venti bifolii rilegati uno nell’altro;
notato a penna (alcune correzioni e numeri di foglio sono però notati a matita),
esso contiene le quattro sezioni con le seguenti indicazioni: Allegro giusto, in 4/4
(la parola “giusto” posta di fianco alla parola “Allegro” è notata in rosso con grafia diversa); Andante con moto, in 3/4, Scherzo, in 2/4 (“Allegro molto”; nella
stampa diverrà “Allegro vivace”), Finale, in 4/4 (“Allegro”; nella stampa diverrà
“Allegro con brio”). In testa al terzo bifolio campeggia la scritta autografa
“Modificazioni al Quintetto in do maggiore (Premiato dalla Società del Quartetto di Milano nel 1878)”; in calce all’ultimo bifolio, il venti, “Bologna Giugno 92
G. Martucci”. Il manoscritto si compone di settantasette pagine effettive; di queste, più di quindici sono state sostituite da Martucci con parti di foglio e fogli,
che sono stati incollati o spillati alle stesse.
1. Il Quintetto nella versione del 1892: l’Allegro
Prima di passare ad illustrare in breve i tentativi compiuti per analizzare il manoscritto e il processo di risistemazione, con particolare riferimento all’Allegro giusto ,5 è bene fare qualche accenno al Quintetto, così come fu dato alle stampe nel
1893. Se è sorprendente che ad appena ventidue anni Martucci abbia sentito già
una grande attrazione per una forma strumentale come quella del quintetto, è
indubbio che la sicurezza mostrata dalla partitura definitiva nel trattare il complesso strumentale è il frutto di una maturazione avvenuta negli anni intercorsi
5 L’analisi del terzo movimento del Quintetto, l’Allegro, è stata presentata in sede di convegno
da Antonio Rostagno, nel corso della relazione dal titolo “Un tentativo di ricostruzione della
prima versione del Quintetto op. 45”.
278
il quintetto per pianoforte e archi op. 45
tra il 1877 e il 1893. Ponendo l’accento sul costante progredire della personalità
musicale dell’autore, Fano scrive in proposito:6
Per ciò che riguarda la fusione di sonorità tra i vari strumenti, i chiaroscuri di colorito, l’equilibrio dinamico insomma, l’opera può dirsi senz’altro magistrale. Per la
sostanza musicale si deve invece fare qualche riserva. In generale, la personalità del
Martucci è di quelle che si sviluppano in modo normale e graduale; è bensì vero ch’essa si matura precocemente, ma con preparazione progressiva pur nella sua rapidità.
Viene da chiedersi quanto ci fosse di questa consapevolezza nella versione del
1877, cui certo non mancava quell’originale luce poetica che attraversa molte
opere di Martucci. Non è questo il luogo in cui dare giudizi sul Quintetto; è
importante però segnalare come esso rappresenti un importante traguardo (e al
proposito il raffronto autografo-stampa è quanto mai interessante) in un percorso di maturazione e di riflessione creativa che vede Martucci, soprattutto quanto
alla musica cameristica, particolarmente concentrato su trasformazione tematica, forma ciclica, armonie e timbri umbratili. Il dato non è secondario: l’ossessiva attenzione con cui il compositore ha messo al centro della sua ricerca, ad
esempio, la trasformazione dei temi ha portato a risultati artistici notevoli ma
spesso fraintesi, come nel caso del Quintetto, per l’appunto, la cui multiforme
mutazione dei temi operata dal compositore è stata spesso interpretata come una
sorta di incorporeità tematica. Ancora al riguardo Fano:7
Non si tratta certo di un difetto congenito dell’autore, ciò che è già dimostrato dalle
sue migliori composizioni pianistiche: e neppure esprime un’insufficienza del suo
temperamento a effondersi pienamente in queste vaste forme, come presto vedremo. Significa semplicemente che il suo mondo interiore non è ancora del tutto sbocciato; esiste già, come si è detto, con contorni indefiniti, in penombra, non in piena
luce: nel colorito d’insieme e in spunti vaghi, non negli elementi più concreti che
sono i temi musicali. La parola “macchia”, che servì a certi pensatori per indicare il
primo abbozzo d’una ispirazione artistica, si può usare anche per il primo germinare
di una personalità ancor per così dire allo stato di crisalide se non di larva.
Per ragioni di spazio è impossibile soffermarsi sul manoscritto del Quintetto
nella sua interezza: ampiezza della partitura e problematicità delle modifiche
6 Fano, Giuseppe Martucci cit., p. 62.
7 Ivi, p. 64.
279
simone caputo
apportate da Martucci lo impediscono. Si può, però, fare dell’Allegro giusto un
buon esempio della parte per il tutto, sia perché contiene numerosi indicatori
della complessità del lavoro di riscrittura, sia per alcuni elementi che emergono e
che portano a supporre quanto anticipato in precedenza, e a dubitare della supposizione di partenza secondo la quale dal manoscritto si potesse ricavare una
versione fedele a quella del 1877.
Prima di addentrarsi nel manoscritto è bene riassumere alcune caratteristiche strutturali di Rari 4.4.12(30), fondamentali all’osservazione dello stesso. L’Allegro giusto in do maggiore consta di un totale di trecento battute ed è come composto da due parti: la prima che va da b. 1 a b. 185; la seconda da b. 186 a b. 300. La
prima parte si apre con una sezione di ventotto battute, che è qualcosa di più di
un’introduzione: una a tratti eterea presentazione, fatta di armonie sommesse
degli archi, sottolineate da tenui ma espressivi incisi del pianoforte, con alcuni
elementi che, rielaborati e parzialmenti estrapolati in seguito, vanno a contribuire alla costruzione del ciclo tematico che compone la prima sezione dell’Allegro;
un’introduzione che inoltre ritorna come coda e al contempo ‘nuovo inizio’ per
la seconda parte del movimento. In queste battute si possono notare alcuni elementi caratterizzanti e ricorrenti nell’Allegro: i salti di quinta e sesta al pianoforte e i movimenti discendenti dello stesso; le lunghe durate agli archi, alcune interiezioni puntate e le semiminime ribattute (Facsimili 1-2).
L’introduzione si compone di due parti a sua volta: bb. da 1 a 10 (da do maggiore
a sol maggiore), e da b. 11 a b. 28 (da la bemolle maggiore tornando a do). Segue una
ampia sezione organizzata secondo un disegno ciclico e ripartibile in sei sezioni
distinte: due sezioni, A (bb. 29-49, inizio in do maggire) e B (bb. 50-92, mi maggiore), attraverso cui Martucci presenta i due nuclei tematici principali dell’Allegro,
che più che contrapposti appaiono giustapposti e derivanti da una stessa matrice
collegata alle ventotto battute dell’introduzione. Il pianoforte accompagna la
melodia con un pedale che oppone semicrome a terzine di crome, mentre il violino
presenta il primo tema dell’allegro; caratteristico il gruppo di due terzine con cui
ha inizio il tema, gruppo che ritorna più volte nel corso dell’Allegro (Facsimile 3).
Il tema secondario, costruito su elementi ricavati dall’introduzione (evidente
la complementarietà col primo tema) compare prima al pianoforte, per poi essere ripetuto dal violino primo.
Segue quindi una sezione C (bb. 93-123, in cui da la minore si giunge a mi maggiore), che ancora riprende variandoli e ampliandoli gli elementi caratteristici
280
il quintetto per pianoforte e archi op. 45
dell’introduzione; altre due sezioni, D (bb. 123-147, la bemolle maggiore), ed E
(bb. 148-173, re maggiore), in cui vengono ripresentati e rielaborati i temi esposti
nelle sezioni A e B con uno schema a incrocio (in D viene rielaborato il tema proveniente da B, in E quello da A); infine una sezione F (bb. 174-199, da sol maggiore a do maggiore) in cui Martucci ripropone nuovamente il materiale dell’introduzione e riutilizza le bb. 11-18 per le bb. 186-193, e il materiale delle bb. 19-28 per
le battute finali 194-199 (rispetto a quanto presente nell’introduzione, in questo
caso le battute riproposte subiscono una cesura: da 19 a 23 con una sorta di crasi
si salta direttamente a 27-28). Questa riproposizione chiude la prima parte dell’Allegro e contemporaneamente introduce la seconda. Il materiale introduttivo
è dunque il collante che giustifica e tiene insieme il percorso portato avanti nell’Allegro. Si è usato in precedenza il sintagma “disegno ciclico” non a caso; non è
errato notare, infatti, che l’introduzione funge da nucleo generatore dell’Allegro:
con essa ha inizio un percorso che sembra ripetersi ciclicamente ben tre volte (le
due macro-sezioni in cui si può dividere la prima parte dell’Allegro e la seconda
parte dello stesso), un percorso in cui più che presentare temi diversi Martucci
propone temi provenienti e derivanti da una stessa materia (quella dell’introduzione) – e che sono al contempo diversi e assimilabili, ripetuti pedissequamente
e variati. La presenza di una struttura basata sul principio di ripetizione con
variazione, in cui materiale tematico di partenza viene riproposto in situazioni
analoghe, a volte identiche a volte no, è un caso non isolato nella produzione di
quegli anni di Martucci – si pensi al Trio op. 59 e alla prima Sinfonia op. 75 in re
minore.8 Tale peculiarità sembrerebbe inoltre assimilabile a una caratteristica
propria del comporre di Puccini messa in luce in due recenti saggi: Structure,
implication, and the end of “Suor Angelica” di James Hepokoski, sulle rotational
structures individuabili in Suor Angelica, e Émile Zola teorico “d’avanguardia” e l’opera italiana fra Puccini e Malipiero di Antonio Rostagno, con particolare riferimento alle strutture cicliche, alla coazione a ripetere, alla nevrosi della ripetizione riscontrabili nel Tabarro. L’affermazione ha lo scopo di indicare una possibile
lettura parallela tra due autori, espressioni complementari di una generazione
sospesa tra le disillusioni post-risorgimentali e le inquitudini della modernità
8 Si vedano al riguardo le analisi proposte da Antonio Rostagno in Martucci e Puccini. Decadentismo musicale italiano, in Giuseppe Martucci e la caduta delle Alpi, a cura di Antonio Caroccia, Paologiovanni Maione e Francesca Seller, Lucca, lim, 2008, pp. 358-389: 379-389.
281
simone caputo
novecentesca. In Martucci la raffinata costruzione di motivi ciclici, di ripetizioni con variazioni, che porta la grande forma a ripiegarsi su se stessa, può essere
letta come un sintomo di rivolgimento interiore e di ritorno sulla dimensione
del sé. Similmente in Puccini le rotational structures e la nevrosi della ripetizione
sono segni – dei soli personaggi, dell’autore o di entrambi? – di “un’aspirazione
alla fuga in un futuro consapevolmente impossibile”, “di una situazione psichica a metà tra l’evasione nella fantasia e la consapevolezza della avversa realtà”.9
Tornando quindi alla descrizione delle caratteristiche strutturali del Quintetto, si può notare che lo sviluppo delle due parti è in gran parte simmetrico:
bb. 200-212 sono una riproposizione esatta di bb. 29-41; da b. 213 a b. 285 la
seconda parte dell’Allegro procede ‘a specchio’ rispetto a bb. 42-112, con trasformazioni relative alle sole tonalità, che variano, trasposte in genere di una
terza ascendente o discendente, allo scopo di permettere al compositore di
meglio avvicinarsi all’epilogo.
La seconda parte dell’Allegro, da bb. 200 a 285, si limita quindi a riproporre
le sezioni A, B, e C già esposte nella prima parte, ora ‘risemantizzate’ come G
(bb. 200-220), H (bb. 221-263), I (bb. 264-283). Il momento di rottura tra prima
e seconda parte si verifica a partire da b. 286: a differenza di quanto avviene in
C, in cui un passaggio distensivo (bb. 113-123) conduce da C a D, sezione in cui
Martucci inizia a rielaborare i temi precedentemente proposti, in I, a b. 285,
segue un movimento di segno diverso. I gruppi di crome dei violini si arrestano
come accade nella prima parte, così come il pianoforte riprende con gli arpeggi
ad accompagnare la melodia portata avanti dagli archi: il passaggio è però in
questo caso non più un ‘passaggio’, ma un epilogo; l’atmosfera si fa nebbiosa,
l’armonia che ruota intorno al fa maggiore, con puntate verso il fa minore, e che
conduce al do, riveste il finale di quell’idea di indefinito e di quella luce fioca
con cui il Quintetto stesso si apre. Il ciclo si chiude.
Dalla breve descrizione emerge chiaro il disegno di Martucci; costruire l’Allegro fondandolo sull’introduzione, dalla quale provengono quegli elementi che
forniscono gli spunti per i due temi principali, sorreggono la struttura dell’Allegro
e fanno da collante tra le parti. Martucci suddivide il movimento in due parti (bb.
9 Cfr. James A. Hepokoski, Structure, implication, and the end of “Suor Angelica”, in “Studi pucciniani” 3 (2004), pp. 241-264; Antonio Rostagno, Émile Zola teorico “d’avanguardia” e l’opera italiana
fra Puccini e Malipiero, in D’une scène à l’autre: L’opéra italien en Europe, a cura di Damien Colas e
Alessandro Di Profio, Mardaga, Wavre, 2009, vol. ii (La Musique à l’épreuve du théâtre), pp. 385-410.
282
il quintetto per pianoforte e archi op. 45
29-199, 200-300): nella prima parte espone una prima volta due temi per poi
ripresentarli a parti invertite; nella seconda ripropone quasi pedissequamente i
due temi così come li ha esposti a inizio Allegro, e sfrutta gli elementi dell’introduzione per generare il finale. Il sapiente lavoro di costruzione e scrittura di Martucci fa sì, inoltre, che al di sotto della struttura a due parti su cui si regge il primo
movimento del Quintetto, scorra al contempo una sorta di andamento circolare
formato da tre movimenti vicini tra loro, che si susseguono (bb. 29-123, 124-199,
200-300); e questo andamento circolare è reso possibile dal modo particolare che
Martucci ha di trattare i temi. La tab. 1, in sintesi, mostra come l’Allegro non si
evolva dunque per zone tematiche ben definite, ma grazie a un’ininterrotta elaborazione delle battute iniziali: un corpo che più che muoversi sembra mutare.
tabella 1: Lo schema riassuntivo riporta le seguenti caratteristiche: 1) sezioni che costituiscono l’Allegro e numero di battute di ciascuna sezione; 2) sezioni che compongono la
‘Prima parte’ dell’Allegro, numero di battute di ciascuna sezione, temi presenti; 3) sezioni
che compongono la ‘Seconda parte’ dell’Allegro, numero di battute di ciascuna sezione, temi
presenti.
1) Introduzione
bb. 1-28
(28 bb.)
Prima parte
bb. 29-199
(171 bb.)
Seconda parte
bb. 200-300
(101 bb.)
A
bb. 29-49
tema A
B
bb. 50-92
tema B
C
bb. 93-123
elem. dall’introduzione
2) Prima parte:
D
bb. 124-147
tema B1
E
bb. 148-173
tema A1
F
bb. 174-199
elem. dall’introduzione
bb. 200-222
tema A
3) Seconda parte:
G
(bb. 200-213 = 29-42)
(bb. 215-222 simile a 43-49)
H
bb. 223-265
(simile a bb. 50-92)
283
tema B
simone caputo
I
bb. 266-300
finale
(bb. 266-285 simile a 93-112)
2. Il manoscritto autografo Rari 4.4.12(30) alla Biblioteca del Conservatorio San Pietro
a Majella di Napoli
La breve e schematica illustrazione di quanto Martucci propone nella versione
del 1893 è utile nel momento in cui si passa a osservare il manoscritto Rari
4.4.12(30).10 Scartata l’ipotesi che esso possa contenere la versione originale, l’esame più ravvicinato ha confermato invece l’idea che si tratti già di una riscrittura, sulla quale Martucci ha ulteriormente lavorato per giungere alla versione
definitiva. Andando oltre una descrizione e un’analisi completa del manoscritto,
non operabili in questa sede, si può però sottolineare la presenza di alcuni nodi
particolarmente significativi, che suggeriscono in maniera evidente la supposizione poc’anzi avanzata; ed è su questi che ci si soffermerà di seguito, senza pretese di completezza, provando a evidenziare segnali esemplificatori di una parte
per il tutto.
Il primo nodo ha a che fare con le tre pagine iniziali di Rari 4.4.12(30), che corrispondono all’introduzione (bb. 1-28) e all’inizio della sezione A (bb. 29-44). Ci
si trova di fronte a diverse riscritture, che rendono quasi impossibile ricostruire i
passaggi; l’immagine che le correzioni trasmettono è quella di una fisarmonica:
come se Martucci avesse provato più volte ad ampliare i passaggi presenti nelle
prime battute, per poi quasi ritornare sui suoi passi, ricuperando una scrittura
più essenziale, ma inserendo piccoli e significativi particolari (note puntate,
gruppi di terzine ecc.) e ampliando il linguaggio armonico, colorandolo di cromatismi e sfumature. Il compositore deve aver ripensato molte volte all’introduzione (la cui importanza è già stata messa in rilievo); lo conferma, tra l’altro, il
continuo cambiamento di numerazione dato alle battute: le prime diciotto,
appunto da 1 a 18, sono dapprima numerate consequenzialmente; ma poi tutto
viene cancellato e i numeri da 1 a 8 vengono attribuiti alle bb. 11-19, in corrispondenza dell’inizio della seconda parte dell’introduzione, che da la bemolle maggiore riporta alla tonalità d’impianto di do maggiore – Martucci si serve poi di
10 S’impongono due precisazioni: la scrittura è con certezza di Martucci; gli inchiostri usati
fanno supporre che tra il lavoro di scrittura e quello di correzione non sia intercorso un ampio
lasso temporale.
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il quintetto per pianoforte e archi op. 45
questa ri-numerazione (Facsimile 1, bb. 11-14) nel finale della prima parte dell’Allegro, sezione F.
Analogamente il compositore conteggia alfabeticamente da A a O le bb. 24-38
(a cavallo tra introduzione e sezione A), salvo poi cancellare questa sequenza
(Facsimili 2-3).11
Altri rilievi richiedono attenzione: la terza pagina dell’Allegro e la metà della
quarta sono state tagliate dal manoscritto (in corrispondenza del passaggio dall’introduzione alla sezione A); le pagine da 3 a 8 occupano tre fogli cuciti con filo
bianco.12 È chiaro dunque che il compositore ha ripensato ai primi passaggi dell’Allegro a tal punto da essere costretto ad applicare nuovi fogli in vece dei vecchi. Il Martucci che traspare da queste correzioni sembra estremamente attento
a dare un nuovo volto armonico all’inizio del primo movimento, a generare un
impianto nel quale le tonalità rimangano latenti sotto i movimenti di superficie,
e a far sì che le modifiche apportate permettano all’introduzione e ad alcuni suoi
elementi di ritornare nel corso dell’Allegro, puntellandolo, fornendogli le basi
per il suo strutturarsi.
A partire dal quarto folio, in corrispondenza dell’inizio della sezione A, la
scrittura procede senza particolari intoppi, se si escludono le transizioni che dalla
sezione A portano alla B, e dalla B alla C, in cui Martucci opera delle modifiche.
In corrispondenza di b. 121 (passaggio tra C e D; è il momento in cui, nella versione a stampa Martucci ripropone i temi precedentemente esposti invertendone l’ordine) si presenta il secondo importante nodo: con b. 122 a p. 8 ha termine
la sovrapposizione di fogli cuciti sugli originali, mentre le pp. 9 e 10, che seguono, si presentano quasi del tutto cancellate. Sui primi pentagrammi di p. 9, Martucci sembra riprendere e abbozzare (siamo di fronte a una scrittura incompleta, in cui non tutte le voci sono compiute, e che occupa appena cinque battute)
alcune frasi musicali scritte per il pianoforte che ha proposto nelle battute precedenti (bb. 99-102) e che poi utilizza, sempre al pianoforte, nella seguente parte
cancellata (Facsimile 4). Martucci scrive quindi diciannove battute, che non
11 Nel manoscritto, in corrispondenza delle battute che dalla sezione E portano alla F, ci sono 8
battute cancellate; tra queste una contenente l’indicazione “dalla lettera A alla P”. La numerazione alfabetica aveva lo scopo di introdurre in blocco queste battute dopo la sezione E.
12 Per non alterare lo stato della fonte, non sono stati aperti; un ulteriore studio potrebbe approfondire l’indagine guardando all’interno di questi fogli ora cuciti.
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simone caputo
sono altro che la riproposizione delle bb. 103-121, ma trasposte (bb. 103-121
cominciavano in si minore per giungere a mi; queste cancellate da re minore
conducono a sol). Il nodo sembra essere estremamente importante, e per la
posizione che occupa, e per le correzioni cui Martucci ha sottoposto le diciannove battute di cui si è appena detto.
Le supposizioni che si possono avanzare sembrano essere due. La prima: i due
fogli cancellati fanno parte della prima stesura che Martucci ha abbozzato, sulla
quale è intervenuto aggiungendo fogli cuciti, cancellando le battute presenti nei
fogli 9 e 10, e correggendo quelle non cancellate della pagina 10 in modo da trasporle in mi e da legare così la sezione C alla D. La seconda: in origine Martucci pensava
di concludere l’Allegro dopo questa sezione C, senza riproporre come in un ciclo i
temi A e B nelle sezione D ed E (cosa che realizza poi nella versione definitiva; il
passaggio da re minore a sol maggiore, sarebbe dunque funzionale a un finale il cui
punto d’arrivo è il ritorno al do maggiore (proprio come accade poi in F).
Seguono nel manoscritto, quelle che poi diventano le sezioni D ed E. Come in
precedenza per le sezioni A e B le correzioni sono meno incisive, riguardano
soprattutto il pianoforte, molto meno il quartetto d’archi, e si fanno rilevanti
ancora una volta solo nei momenti di passaggio da una sezione ad un’altra;
momenti ai quali Martucci dedica maggiore ripensamento. Riguardo alle correzioni apportate in questi casi si può avanzare, come considerazione di carattere
generale, che l’attenzione del compositore sembra essere rivolta in particolar
modo alla modificazione del discorso armonico. Gli elementi che Martucci chiama in causa ristrutturando l’Allegro confermano, in parte, il percorso coevo che
egli sta portando avanti con le altre composizioni di quegli stessi anni: ampliamento dell’uso dei cromatismi, armonie più complesse, espressività melodica
nascosta attraverso processi che appaiono sfumati, accostamenti di suoni che
generano accordi umbratili, macchie timbriche, che, però, non portano mai il discorso musicale fuori dai suoi fondamenti tonali, sono i segnali che mettono in relazione la modificazione del Quintetto op. 45 con le opere realizzate agli inizi dell’ultimo decennio dell’Ottocento (prima che la sua ricerca lo spinga nella direzione di un moderato superamento dell’estetica tardo-romantica).
Giunge, infine, a p. 14 il terzo nodo evidente che caratterizza l’Allegro: le battute in questione riguardano il trapasso dalla sezione E alla F (b. 174), sezione che
conclude la prima parte. Nella versione del 1893 la sezione F si apre con valori lunghi ai violini, che sospingono la melodia in avanti (gli elementi che caratterizzano
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il quintetto per pianoforte e archi op. 45
la melodia provengono dall’introduzione), e un accompagnamento di crome al
pianoforte (siamo in sol maggiore), per sfociare in un epilogo in cui le bb. 186-197
sono una ripresa pedissequa di bb. 11-22. Alla pagina 14 dell’autografo, subito dopo
le bb. 172-173 (ossia le battute che conducono da E a F), s’incontrano le seguenti
indicazioni: la scritta “da numero 1 a 8”,13 quindi bb. 9-13, infine l’indicazione
“dalla lettera A alla lettera P” e le bb. 40-41. Martucci ripropone in pratica, subito
dopo la sezione E, le bb. 10-41 quali battute che concludono la prima parte dell’Allegro e danno inizio alla seconda; solo in un secondo momento cancella queste battute, scrive quelle che diventano le 174-187, ripropone l’indicazione “dal
numero 1 all’8” e chiude la sezione F con ulteriori 6 battute (194-199).14
È evidente che Martucci ha deciso di ampliare e complicare quello che in un
primo momento pensava poter essere il finale di questa prima parte di Allegro;
una scelta coerente con la struttura che ha dato all’intera parte e con la centralità
che ha conferito agli elementi dell’introduzione, puntelli del percorso con cui si
sviluppa l’Allegro.
Il Quintetto prosegue, come accennato in precedenza, riproponendo con
delle varianti le sezioni A e B, e si conclude con C, arricchita da una coda diversa e
più lunga. Le varianti cui si fa riferimento per G e H consistono in trasposizioni
in altre tonalità di alcune parti, che per il resto risultano invece uguali ad A e B;
questo processo di correzione è funzionale a far sì che la sezione finale (che nella
prima parte iniziava in sol minore per finire in do maggiore) inizi in fa minore
per poi, dopo un’articolata serie di passaggi armonici, chiudersi in do. La riscrittura delle sezioni G, H ed I, così come si presenta nel manoscritto, non evidenzia
correzioni particolarmente significative: non poteva essere altrimenti vista la
derivazione di questa parte seconda dalla prima – Martucci apporta, infatti, sì
modifiche, ma di poco conto, come ad esempio spostamenti di terza e d’ottava,
con variazione dei relativi passaggi. L’unico punto in cui il manoscritto è sottoposto ad un intenso lavoro di modifica – al punto da essere sostituita la pagina
finale dell’Allegro, contenente le ultime 7 bb. (il foglio come nei casi precedenti è
stato cucito sull’originale) – è il finale. La sezione I, che prende le mosse da un
tonalità di fa minore, segue, ovviamente trasposta, la stessa progressione armo13 L’intensa cancellatura impedisce di distinguere con certezza il numero “8”.
14 Va sottolineato che l’originale p.11 è stata tagliata; il ripensamento radicale, che ha portato
Martucci a riscrivere l’inizio della sezione F, ha generato il taglio.
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simone caputo
nica che caratterizza bb. 93-112: in quel caso da la minore si giunge a un accordo
di fa diesis minore da cui inizia il passaggio finale, che porta alla conclusione
della sezione in mi, con una chiara ripresa di alcuni elementi dell’introduzione
(le quattro semiminime ribattute alla stessa altezza dai violini, o i salti di terza e
ottava proposti al pianoforte); nel finale del manoscritto da fa minore (b. 266) si
arriva, passando per una transizione di la, all’epilogo conclusivo che comincia in
fa (b. 286). Ai violini i gruppi di crome lasciano spazio a note lunghe ed elementi
già usati in precedenza dal compositore, mentre il pianoforte riprende con gli
arpeggi una funzione d’accompagnamento; un passaggio che oscilla da fa maggiore a fa minore (bb. 286-299) precede in un’atmosfera, volutamente indefinita,
l’epilogo in do con cui si chiude l’Allegro (dal manoscritto si evince a prima vista
l’intensità con cui Martucci ha lavorato allo scopo di ampliare e distendere la
conclusione del primo movimento del Quintetto).
3. Conclusioni
Difficile esprimere una valutazione certa sul manoscritto: sembra definitivamente da scartare l’ipotesi che si tratti della versione del 1877 con cui Martucci
vinse nel 1878 il concorso della Società del Quartetto di Milano. Più plausibile
credere che Rari 4.4.12(30) sia una versione vicina, ma non uguale a quella del
1877; una copia fatta dallo stesso Martucci contenente già alcune modifiche
(riguardanti la struttura stessa dell’opera come sembrano indicare alcuni
ampliamenti operati nell’Allegro, e le cuciture cui si è fatto riferimento – introduzione, struttura di quella indicata come la ‘prima parte’ dell’Allegro, revisione/aggiunta delle sezioni finali G, H, I). Facendo solo un brevissimo accenno al resto del manoscritto, al Quintetto nella sua interezza, si possono anticipare alcune evidenze: modifiche volte a sottolineare armonie e timbri, cui si è
fatto riferimento parlando dell’Allegro, attraversano tutto l’autografo; l’Andante con moto e lo Scherzo si presentano più puliti, meno soggetti a cancellature ossessive di quanto avvenga nell’Allegro e soprattutto nel Finale (carico di
correzioni spesso multiple e, perciò, di assai ardua decifrazione), e per questo
possono ritenersi, probabilmente, assai vicini alla prima versione dell’opera;
significativi sono i numerosi interventi di sostituzione e giustapposizione di
pagina in corrispondenza di nodi, quali inizio o fine di movimento (ad esempio pp. 23-24, inizio dell’Andante con moto, o pp. 53-56, conclusione dello
Scherzo), o trapassi di sezione all’interno del singolo movimento (pp. 65-66
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del Finale).15 Il lavoro di correzione del Quintetto, dunque (attraverso l’occhio
privilegiato dell’Allegro – la considerazione è però estendibile ai restanti movimenti), mette in mostra un’evoluzione, che vede Martucci impegnato in una
scrittura più elastica, volta a nascondere tra le ombre il materiale originario del
1877 e a concedere più ampio spazio alla ripetizione variata di materiali tematici.
Non è però questo il dato più significativo (siffatto modo di procedere non è
nuovo per Martucci, anzi è tipico dei suoi lavori di quegli anni): quel che è particolarmente rilevante, e che emerge con forza dallo studio del manoscritto, è l’attenzione, il lavorìo meticoloso con cui il compositore rimodella l’Allegro conferendogli una struttura che all’analisi risulta precisa, coerente, e la capacità con la
quale concilia la costruzione rigorosa con la volontà di restituire attraverso l’andamento del movimento un’idea di flusso vago, poco lineare, di tempo ciclico e
ossessivo che quasi avvolge l’ascoltatore. Il tutto attraverso uno sforzo continuo
di aggiornamento e revisione cui sembra però essere estranea ogni forma di spettacolare ostentazione. Il manoscritto non restituisce, dunque, la possibilità di
scoprire l’opera così come doveva essere in origine; dice però molte cose sulle
origini del Quintetto, e ancor di più sulla revisione del 1892, in quanto strumento privilegiato d’analisi e occasione per una riscoperta delle complesse architetture con cui Martucci attraverso i mezzi compositivi sembra negare la convinzione tutta positivista che il tempo dell’uomo, come quello dell’arte, proceda in
un’unica direzione orientata in avanti.
Il tutto a conferma dell’importanza e del valore del Quintetto, in sé e nel percorso del compositore, segno della padronanza della forma sonata che Martucci
raggiunge proprio negli anni di passaggio da Napoli a Bologna (a cavallo con il
1886), e più in generale del suo genio musicale, per il quale ben si adattano alcune
frasi di Vladimir Jankélévitch:16
15 Come accade per l’Allegro, così anche nel Finale la costruzione tematica si basa sulla riproposizione variata, sfumata, adombrata di materiale melodico simile. Di conseguenza anche nel caso
di questo movimento è possibile ripartire la struttura in sezioni, per la precisione cinque, scandite
dalla proposizione/riproposizione dei temi. Nelle pagine dell’autografo indicate (65-66) Martucci provvede a sostituire i due fogli in corrispondenza del passaggio che divide la seconda sezione
del Finale dalla terza.
16 Vladimir Jankélévitch, La musica e l’ineffabile, trad. it. di Enrica Lisciani-Petrini, Milano, Bompiani, 1998 (ed. or. La musique et l’ineffable, Paris, 1961), p. 149 e p. 152.
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simone caputo
Un musicista di genio può essere un innovatore senza essere, propriamente parlando, un inventore. E così coloro che si aspettavano delle “trovate” resteranno delusi.
Il divorante bisogno di novità caratteristico della moderna corsa ai rialzi, implica l’idea che il fatto musicale sia una cosa: la musica sarebbe alla stregua di qualsiasi tecnica; e come le tecniche si prestano a un indefinito perfezionamento (dimostrato dal
fatto che ogni salone automobilistico o delle arti domestiche apporta dei miglioramenti inediti rispetto al precedente), così il progresso perpetuo dovrebbe essere la
legge della musica. Sempre più lontano, sempre più veloce, sempre più forte.
Ma se alla fine conveniamo che si tratta di un mistero e non di un segreto materiale,
non di una cosa, se comprendiamo che questo charme è tutto nell’intenzione, e se
riconosciamo che la fragile evidenza legata a imponderabili e innumerevoli fattori,
dipende in primo luogo dalla nostra sincerità, e da quella dell’artista, allora forse,
arriveremo a conoscere quell’aderenza al mistero che, in musica, è il solo vero stato
di grazia.
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il quintetto per pianoforte e archi op. 45
facsimile 1
G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio
San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30)
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facsimile 2
G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio
San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30)
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il quintetto per pianoforte e archi op. 45
facsimile 3
G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio
San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30)
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simone caputo
facsimile 4
G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio
San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30)
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