Academia.eduAcademia.edu

Giuseppe Martucci. Il Quintetto per pianoforte e archi op. 45

L’Arte Armonica 12 Serie iii, Studi e testi L’Arte Armonica Collana di facsimili e testi musicali Direttore di collana Alberto Basso Responsabile editoriale Annalisa Bini Art director Silvana Amato Giuseppe Martucci. Da Capua all’Accademia di Santa Cecilia a cura di Antonio Rostagno Pier Paolo De Martino Questo volume è stato pubblicato con il contributo del progetto PRIN “Ricerche sulle fonti della musica italiana dell’Ottocento, finalizzate all’edizione critica” e con il contributo dell’Università di Roma “La Sapienza” Redazione, impaginazione Lina Di Lembo Un particolare ringraziamento va a Renzo Bragantini e Simone Caputo Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore Composizione tipografica in Cycles di Sumner Stone © 2012 Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Fondazione, Roma Tutti i diritti riservati isbn 978-88-95341-46-0 www.santacecilia.it Soci Fondatori dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Stato Italiano, Roma Capitale, Regione Lazio, Provincia di Roma, Camera di Commercio Roma, enel, Telecom, bnl-Paribas, Finmeccanica, Autostrade per l’Italia, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Astaldi Sommario 9 Annalisa Bini Martucci e l’Accademia di Santa Cecilia 13 Giovanni Sabbatucci La cultura italiana al tempo di Martucci 21 Giulio Ferroni Poesia, musica, sogno: Di Giacomo, D’Annunzio e la “Canzone dei ricordi” 37 Elio Matassi Giuseppe Martucci, l’estetica di Antonio Tari e la “musica assoluta” 43 Renzo Bragantini I poeti di Martucci 63 Paola Besutti Martucci, le società musicali e i brani per quartetto d’archi 91 Marco Uvietta Aspetti della melodia di Martucci. La tecnica della “Variantenbildung” nel Notturno op. 70 n. 1 111 Stefan König Martucci e Brahms. Brevi aspetti d’un rapporto musicale e di un’interpretazione ideologica 133 Luca Aversano Martucci in Germania 157 Vitale Fano Presenza della musica pianistica di Martucci e dei contemporanei italiani nei concerti napoletani del secondo Ottocento 185 Sara Zurletti “La canzone dei ricordi” di Martucci-Pagliara 197 Elisa Grossato Giuseppe Martucci e il violoncello 211 Pier Paolo De Martino Stile sinfonico e dimensione virtuosistica nel Concerto op. 66 243 Francesco Bissoli L’oratorio “Samuel”. Una sacrilega riesumazione? 275 Simone Caputo Il Quintetto per pianoforte e archi op. 45. Modificazioni e intenzioni compositive nell’autografo del Conservatorio di Napoli 295 Manuela Rita Martucci trascrittore: le scelte e le fonti. Il caso della “Pastorale” di Giuseppe Sammartini 317 Jesse Rosenberg Martucciana dall’America 341 Antonio Rostagno Una inedita versione della “Canzone dei ricordi” 387 Scheda cd allegato 389 Antonio Rostagno Pensiero musicale per violoncello e pianoforte op. 36 n. 1 Introduzione 393 Antonio Caroccia Melodia op. 71 Introduzione 395 Indice dei nomi Il Quintetto per pianoforte e archi op. 45. Modificazioni e intenzioni compositive nell’autografo del Conservatorio di Napoli Simone Caputo La Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli conserva, all’interno dell’assai cospicuo fondo di autografi di Giuseppe Martucci, un’opera di grande interesse per chi voglia entrare nel complesso incedere creativo del compositore, nel suo non facile stile, nella sua concezione della musica per certi versi rara nella storia musicale dell’Italia di fine Ottocento: il Quintetto per pianoforte e archi op. 45. Le evidenze e le circostanze che consentono di usare l’espressione “di grande interesse” sono diverse. Anzitutto le date e le occasioni legate alla prima stesura del Quintetto e alla successiva revisione: Martucci compose il Quintetto nel 1877; l’opera venne premiata l’anno successivo al concorso della Società del Quartetto di Milano, e avrebbe vinto il primo premio anche all’analogo concorso di San Pietroburgo se l’autore, per correttezza, non avesse deciso di ritirarsi prima della proclamazione; la versione che si conosce, quella appunto contenuta nell’autografo del Conservatorio San Pietro a Majella, è invece del 1892 (l’ultima pagina del manoscritto reca la scritta autografa: “Bologna, giugno 1892”, accompagnata dalla firma)1, anno in cui Martucci revisionò il Quintetto per la pubblicazione 1 Il manoscritto porta la segnatura Rari 4.4.12(30) ed è composto da 20 bifolii (290 x 230 mm) rilegati uno nell’altro; per comodità si è nel presente articolo seguita una numerazione per pagine, per un numero totale di ottanta, scomponendo in quattro unità il singolo bifolio. 275 simone caputo dell’editore Kistner di Lipsia (avvenuta nel 1893). Se esiste, dunque, un manoscritto del Quintetto così come fu composto nel 1877, non ne è stata trovata traccia, almeno al momento, negli archivi delle due Società del Quartetto di Milano e di San Pietroburgo.2 Per lo stesso motivo l’unica descrizione dell’opera presente nel lavoro monografico di Fabio Fano,3 così come i pochi accenni al Quintetto presenti in altri saggi, si riferiscono alla versione data alle stampe nel 1893. Le date 1877 e 1892 non sono trascurabili: i sedici anni che trascorrono non sono certo pochi; sono anni fondamentali per la maturazione di Martucci, anni che portano il compositore da Napoli, luogo dove è stata scritta la prima versione del Quintetto, a Bologna, città in cui il manoscritto viene modificato. Non è compito di questo articolo sviluppare un discorso sui mutamenti stilistici, d’estetica e di tecnica compositiva attraverso cui trapassò Martucci in quegli anni; basti però sottolineare quanto furono fervidi per la biografia artistica del compositore, che passò dallo scrivere musica prevalentemente per pianoforte a musica d’insieme e vocale, in un processo che lo portò sempre più verso la progressiva esplorazione di grandi forme. Vale la pena, inoltre, ricordare alcune opere cronologicamente vicine alle date citate, considerabili quali interessanti risonanze o 2 Gli studi per il presente articolo sono iniziati in occasione del convegno internazionale di studi Giuseppe Martucci, a cento anni dalla morte: 1909-2009 (3-5 dicembre 2009, Istituto Suor Orsola Benincasa – Napoli). A quella data non si disponeva di altre fonti relative al Quintetto se non quelle indicate nell’articolo. Il riordino dell’archivio della Biblioteca del Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella ha in seguito portato alla luce un manoscritto (segnatura 27.1.35) probabilmente non autografo, che riporta la seguente intestazione: “Quintetto per pianoforte, 2 violini, viola e violoncello di Giuseppe Martucci. Premiato dalla Società del Quartetto di Milano nel 1878”. Accando alla data, 1878, è segnato a penna, in diverso colore, un punto interrogativo, testimonianza d’incertezza quanto alla datazione dell’oggetto. Il manoscritto, al momento in fase di studio da parte di chi scrive, potrebbe essere una copia della versione originale con cui Martucci vinse il concorso della Società del Quartetto di Milano nel 1878. La totale assenza di cancellatture, correzioni e riscritture, oltre alla grafia di non certa attribuzione, sono elementi che fanno presumere che il manoscritto sia una copia del Quintetto e non l’originale del 1878. La denominazione con cui era stato catalogato il manoscritto, “Quintetto con pianoforte – Copia”, è probabilmente la causa della mancata attribuzione nel catalogo a schede della Biblioteca del Conservatorio di Napoli. Consultando i registri delle acquisizioni e delle donazioni della Biblioteca è emerso che Rari 4.4.12(30) fu donato al Conservatorio di Napoli in data 2 aprile 1925 (numero di ingresso 54890); la ‘copia’ 27.1.35 fu donata dalla famiglia Martucci nello stesso anno, ma in data successiva (come testimonia il numero di ingresso 54987). 3 Fabio Fano, Giuseppe Martucci. Saggio biografico-critico, Milano, Curci, 1950. 276 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 punti di svolta di un percorso assai complesso e in controtendenza rispetto a quello che si produceva nell’Italia coeva, e per questo ancor più interessanti oggi: gli anni della prima versione del Quintetto sono, ad esempio, gli stessi della Sonata per violino e pianoforte op. 22, del 1874, primo frutto rilevante della maturità creativa di Martucci, e del Samuel – Oratorio in tre parti, per voci sole, coro e grande orchestra, del 1881, opera non edita che sarà poi riveduta dal compositore, in alcune sue parti, nel 1905; gli anni della riscrittura sono quelli che vedono Martucci impegnato in una fervida attività di trascrizione di opere tra gli altri di Lulli, Rameau, Gluck, Händel, e nella stesura della Sinfonia in re minore op. 75, lavoro fondamentale, che lo occupa per circa sei anni dal 1888 al 1894. Le cancellature e riscritture continue, presenti nei fogli del manoscritto del 1892 conservato presso il Conservatorio San Pietro a Majella, sono infine un’ulteriore testimonianza di un lavoro minuzioso e continuo, che fa dell’op. 45 un’importante ‘grande opera’. Così Antonio Rostagno nel saggio Giuseppe Martucci, un formidabile e solitario cammino:4 Martucci non è affatto il poeta del piccolo pezzo descrittivo, del bozzetto, del bel frammento melodico, elegante ed effimero. Esattamente al contrario, le sue qualità migliori si sviluppano nella grande forma sonatistica o sinfonica, ambiziosa, mai convenzionale e sempre reinventata. Da un’indagine comparativa dell’intera sua produzione, emerge con chiarezza come il suo principale obiettivo, nei Trii come nel Quintetto, nelle Sonate come nelle Sinfonie, fosse la grande costruzione sostanziata di un continuo e minuzioso lavoro di trasformazione motivica, spesso collocata in impianti ciclici a più temi ricorrenti. Se a ciò si aggiunge una trama contrappuntistica a tratti molto raffinata e originale, in alternanza con sezioni più solidamente armoniche, si capisce come il suo stile maturo, che si colloca […] più o meno fra il 1875 e il 1895, rappresenti una via di mezzo tra Brahms e Schumann, con l’ovvio antecedente beethoveniano. Ma ciò non significa affatto leggere Martucci come semplice epigono, bensì come un anello importante e imprescindibile di una catena storica cui si sentiva parte, pur senza mai rinnegare i legami con la cultura musicale nazionale da cui proveniva e a cui pur sempre apparteneva. Affermazioni preziose, che chiariscono il senso dell’importanza che può avere lo studio di un’opera come il Quintetto nel suo trasformarsi tra il 1877 e il 1892. 4 Antonio Rostagno, Giuseppe Martucci, un formidabile e solitario cammino, in Giuseppe Martucci, Gli autografi della Fondazione Pagliara, a cura di Francesco Bissoli e Antonio Rostagno, Lucca, lim, 2009, p. 11. 277 simone caputo Si può partire da un dato di fatto, emerso dall’indagine del manoscritto Rari 4.4.12(30): esso non contiene la versione originale, come era parso ipotizzabile in un primo momento. La stupefacente quantità di correzioni, tuttavia, si presta a una indagine comparativa con la versione giunta alle stampe. Martucci in diversi casi torna più volte sullo stesso passaggio, e queste stratificazioni lasciano profondi segni, tali che a volte non è possibile districarle. Da cui l’impossibilità di ricavare dal manoscritto una ‘versione originale’ dell’opera. A questo punto, il tentativo di sciogliere i nodi problematici avrà come obiettivo conoscitivo quello di meglio comprendere i passaggi che hanno portato dalla prima versione dell’opera a quella del 1892. L’autografo napoletano si compone di venti bifolii rilegati uno nell’altro; notato a penna (alcune correzioni e numeri di foglio sono però notati a matita), esso contiene le quattro sezioni con le seguenti indicazioni: Allegro giusto, in 4/4 (la parola “giusto” posta di fianco alla parola “Allegro” è notata in rosso con grafia diversa); Andante con moto, in 3/4, Scherzo, in 2/4 (“Allegro molto”; nella stampa diverrà “Allegro vivace”), Finale, in 4/4 (“Allegro”; nella stampa diverrà “Allegro con brio”). In testa al terzo bifolio campeggia la scritta autografa “Modificazioni al Quintetto in do maggiore (Premiato dalla Società del Quartetto di Milano nel 1878)”; in calce all’ultimo bifolio, il venti, “Bologna Giugno 92 G. Martucci”. Il manoscritto si compone di settantasette pagine effettive; di queste, più di quindici sono state sostituite da Martucci con parti di foglio e fogli, che sono stati incollati o spillati alle stesse. 1. Il Quintetto nella versione del 1892: l’Allegro Prima di passare ad illustrare in breve i tentativi compiuti per analizzare il manoscritto e il processo di risistemazione, con particolare riferimento all’Allegro giusto ,5 è bene fare qualche accenno al Quintetto, così come fu dato alle stampe nel 1893. Se è sorprendente che ad appena ventidue anni Martucci abbia sentito già una grande attrazione per una forma strumentale come quella del quintetto, è indubbio che la sicurezza mostrata dalla partitura definitiva nel trattare il complesso strumentale è il frutto di una maturazione avvenuta negli anni intercorsi 5 L’analisi del terzo movimento del Quintetto, l’Allegro, è stata presentata in sede di convegno da Antonio Rostagno, nel corso della relazione dal titolo “Un tentativo di ricostruzione della prima versione del Quintetto op. 45”. 278 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 tra il 1877 e il 1893. Ponendo l’accento sul costante progredire della personalità musicale dell’autore, Fano scrive in proposito:6 Per ciò che riguarda la fusione di sonorità tra i vari strumenti, i chiaroscuri di colorito, l’equilibrio dinamico insomma, l’opera può dirsi senz’altro magistrale. Per la sostanza musicale si deve invece fare qualche riserva. In generale, la personalità del Martucci è di quelle che si sviluppano in modo normale e graduale; è bensì vero ch’essa si matura precocemente, ma con preparazione progressiva pur nella sua rapidità. Viene da chiedersi quanto ci fosse di questa consapevolezza nella versione del 1877, cui certo non mancava quell’originale luce poetica che attraversa molte opere di Martucci. Non è questo il luogo in cui dare giudizi sul Quintetto; è importante però segnalare come esso rappresenti un importante traguardo (e al proposito il raffronto autografo-stampa è quanto mai interessante) in un percorso di maturazione e di riflessione creativa che vede Martucci, soprattutto quanto alla musica cameristica, particolarmente concentrato su trasformazione tematica, forma ciclica, armonie e timbri umbratili. Il dato non è secondario: l’ossessiva attenzione con cui il compositore ha messo al centro della sua ricerca, ad esempio, la trasformazione dei temi ha portato a risultati artistici notevoli ma spesso fraintesi, come nel caso del Quintetto, per l’appunto, la cui multiforme mutazione dei temi operata dal compositore è stata spesso interpretata come una sorta di incorporeità tematica. Ancora al riguardo Fano:7 Non si tratta certo di un difetto congenito dell’autore, ciò che è già dimostrato dalle sue migliori composizioni pianistiche: e neppure esprime un’insufficienza del suo temperamento a effondersi pienamente in queste vaste forme, come presto vedremo. Significa semplicemente che il suo mondo interiore non è ancora del tutto sbocciato; esiste già, come si è detto, con contorni indefiniti, in penombra, non in piena luce: nel colorito d’insieme e in spunti vaghi, non negli elementi più concreti che sono i temi musicali. La parola “macchia”, che servì a certi pensatori per indicare il primo abbozzo d’una ispirazione artistica, si può usare anche per il primo germinare di una personalità ancor per così dire allo stato di crisalide se non di larva. Per ragioni di spazio è impossibile soffermarsi sul manoscritto del Quintetto nella sua interezza: ampiezza della partitura e problematicità delle modifiche 6 Fano, Giuseppe Martucci cit., p. 62. 7 Ivi, p. 64. 279 simone caputo apportate da Martucci lo impediscono. Si può, però, fare dell’Allegro giusto un buon esempio della parte per il tutto, sia perché contiene numerosi indicatori della complessità del lavoro di riscrittura, sia per alcuni elementi che emergono e che portano a supporre quanto anticipato in precedenza, e a dubitare della supposizione di partenza secondo la quale dal manoscritto si potesse ricavare una versione fedele a quella del 1877. Prima di addentrarsi nel manoscritto è bene riassumere alcune caratteristiche strutturali di Rari 4.4.12(30), fondamentali all’osservazione dello stesso. L’Allegro giusto in do maggiore consta di un totale di trecento battute ed è come composto da due parti: la prima che va da b. 1 a b. 185; la seconda da b. 186 a b. 300. La prima parte si apre con una sezione di ventotto battute, che è qualcosa di più di un’introduzione: una a tratti eterea presentazione, fatta di armonie sommesse degli archi, sottolineate da tenui ma espressivi incisi del pianoforte, con alcuni elementi che, rielaborati e parzialmenti estrapolati in seguito, vanno a contribuire alla costruzione del ciclo tematico che compone la prima sezione dell’Allegro; un’introduzione che inoltre ritorna come coda e al contempo ‘nuovo inizio’ per la seconda parte del movimento. In queste battute si possono notare alcuni elementi caratterizzanti e ricorrenti nell’Allegro: i salti di quinta e sesta al pianoforte e i movimenti discendenti dello stesso; le lunghe durate agli archi, alcune interiezioni puntate e le semiminime ribattute (Facsimili 1-2). L’introduzione si compone di due parti a sua volta: bb. da 1 a 10 (da do maggiore a sol maggiore), e da b. 11 a b. 28 (da la bemolle maggiore tornando a do). Segue una ampia sezione organizzata secondo un disegno ciclico e ripartibile in sei sezioni distinte: due sezioni, A (bb. 29-49, inizio in do maggire) e B (bb. 50-92, mi maggiore), attraverso cui Martucci presenta i due nuclei tematici principali dell’Allegro, che più che contrapposti appaiono giustapposti e derivanti da una stessa matrice collegata alle ventotto battute dell’introduzione. Il pianoforte accompagna la melodia con un pedale che oppone semicrome a terzine di crome, mentre il violino presenta il primo tema dell’allegro; caratteristico il gruppo di due terzine con cui ha inizio il tema, gruppo che ritorna più volte nel corso dell’Allegro (Facsimile 3). Il tema secondario, costruito su elementi ricavati dall’introduzione (evidente la complementarietà col primo tema) compare prima al pianoforte, per poi essere ripetuto dal violino primo. Segue quindi una sezione C (bb. 93-123, in cui da la minore si giunge a mi maggiore), che ancora riprende variandoli e ampliandoli gli elementi caratteristici 280 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 dell’introduzione; altre due sezioni, D (bb. 123-147, la bemolle maggiore), ed E (bb. 148-173, re maggiore), in cui vengono ripresentati e rielaborati i temi esposti nelle sezioni A e B con uno schema a incrocio (in D viene rielaborato il tema proveniente da B, in E quello da A); infine una sezione F (bb. 174-199, da sol maggiore a do maggiore) in cui Martucci ripropone nuovamente il materiale dell’introduzione e riutilizza le bb. 11-18 per le bb. 186-193, e il materiale delle bb. 19-28 per le battute finali 194-199 (rispetto a quanto presente nell’introduzione, in questo caso le battute riproposte subiscono una cesura: da 19 a 23 con una sorta di crasi si salta direttamente a 27-28). Questa riproposizione chiude la prima parte dell’Allegro e contemporaneamente introduce la seconda. Il materiale introduttivo è dunque il collante che giustifica e tiene insieme il percorso portato avanti nell’Allegro. Si è usato in precedenza il sintagma “disegno ciclico” non a caso; non è errato notare, infatti, che l’introduzione funge da nucleo generatore dell’Allegro: con essa ha inizio un percorso che sembra ripetersi ciclicamente ben tre volte (le due macro-sezioni in cui si può dividere la prima parte dell’Allegro e la seconda parte dello stesso), un percorso in cui più che presentare temi diversi Martucci propone temi provenienti e derivanti da una stessa materia (quella dell’introduzione) – e che sono al contempo diversi e assimilabili, ripetuti pedissequamente e variati. La presenza di una struttura basata sul principio di ripetizione con variazione, in cui materiale tematico di partenza viene riproposto in situazioni analoghe, a volte identiche a volte no, è un caso non isolato nella produzione di quegli anni di Martucci – si pensi al Trio op. 59 e alla prima Sinfonia op. 75 in re minore.8 Tale peculiarità sembrerebbe inoltre assimilabile a una caratteristica propria del comporre di Puccini messa in luce in due recenti saggi: Structure, implication, and the end of “Suor Angelica” di James Hepokoski, sulle rotational structures individuabili in Suor Angelica, e Émile Zola teorico “d’avanguardia” e l’opera italiana fra Puccini e Malipiero di Antonio Rostagno, con particolare riferimento alle strutture cicliche, alla coazione a ripetere, alla nevrosi della ripetizione riscontrabili nel Tabarro. L’affermazione ha lo scopo di indicare una possibile lettura parallela tra due autori, espressioni complementari di una generazione sospesa tra le disillusioni post-risorgimentali e le inquitudini della modernità 8 Si vedano al riguardo le analisi proposte da Antonio Rostagno in Martucci e Puccini. Decadentismo musicale italiano, in Giuseppe Martucci e la caduta delle Alpi, a cura di Antonio Caroccia, Paologiovanni Maione e Francesca Seller, Lucca, lim, 2008, pp. 358-389: 379-389. 281 simone caputo novecentesca. In Martucci la raffinata costruzione di motivi ciclici, di ripetizioni con variazioni, che porta la grande forma a ripiegarsi su se stessa, può essere letta come un sintomo di rivolgimento interiore e di ritorno sulla dimensione del sé. Similmente in Puccini le rotational structures e la nevrosi della ripetizione sono segni – dei soli personaggi, dell’autore o di entrambi? – di “un’aspirazione alla fuga in un futuro consapevolmente impossibile”, “di una situazione psichica a metà tra l’evasione nella fantasia e la consapevolezza della avversa realtà”.9 Tornando quindi alla descrizione delle caratteristiche strutturali del Quintetto, si può notare che lo sviluppo delle due parti è in gran parte simmetrico: bb. 200-212 sono una riproposizione esatta di bb. 29-41; da b. 213 a b. 285 la seconda parte dell’Allegro procede ‘a specchio’ rispetto a bb. 42-112, con trasformazioni relative alle sole tonalità, che variano, trasposte in genere di una terza ascendente o discendente, allo scopo di permettere al compositore di meglio avvicinarsi all’epilogo. La seconda parte dell’Allegro, da bb. 200 a 285, si limita quindi a riproporre le sezioni A, B, e C già esposte nella prima parte, ora ‘risemantizzate’ come G (bb. 200-220), H (bb. 221-263), I (bb. 264-283). Il momento di rottura tra prima e seconda parte si verifica a partire da b. 286: a differenza di quanto avviene in C, in cui un passaggio distensivo (bb. 113-123) conduce da C a D, sezione in cui Martucci inizia a rielaborare i temi precedentemente proposti, in I, a b. 285, segue un movimento di segno diverso. I gruppi di crome dei violini si arrestano come accade nella prima parte, così come il pianoforte riprende con gli arpeggi ad accompagnare la melodia portata avanti dagli archi: il passaggio è però in questo caso non più un ‘passaggio’, ma un epilogo; l’atmosfera si fa nebbiosa, l’armonia che ruota intorno al fa maggiore, con puntate verso il fa minore, e che conduce al do, riveste il finale di quell’idea di indefinito e di quella luce fioca con cui il Quintetto stesso si apre. Il ciclo si chiude. Dalla breve descrizione emerge chiaro il disegno di Martucci; costruire l’Allegro fondandolo sull’introduzione, dalla quale provengono quegli elementi che forniscono gli spunti per i due temi principali, sorreggono la struttura dell’Allegro e fanno da collante tra le parti. Martucci suddivide il movimento in due parti (bb. 9 Cfr. James A. Hepokoski, Structure, implication, and the end of “Suor Angelica”, in “Studi pucciniani” 3 (2004), pp. 241-264; Antonio Rostagno, Émile Zola teorico “d’avanguardia” e l’opera italiana fra Puccini e Malipiero, in D’une scène à l’autre: L’opéra italien en Europe, a cura di Damien Colas e Alessandro Di Profio, Mardaga, Wavre, 2009, vol. ii (La Musique à l’épreuve du théâtre), pp. 385-410. 282 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 29-199, 200-300): nella prima parte espone una prima volta due temi per poi ripresentarli a parti invertite; nella seconda ripropone quasi pedissequamente i due temi così come li ha esposti a inizio Allegro, e sfrutta gli elementi dell’introduzione per generare il finale. Il sapiente lavoro di costruzione e scrittura di Martucci fa sì, inoltre, che al di sotto della struttura a due parti su cui si regge il primo movimento del Quintetto, scorra al contempo una sorta di andamento circolare formato da tre movimenti vicini tra loro, che si susseguono (bb. 29-123, 124-199, 200-300); e questo andamento circolare è reso possibile dal modo particolare che Martucci ha di trattare i temi. La tab. 1, in sintesi, mostra come l’Allegro non si evolva dunque per zone tematiche ben definite, ma grazie a un’ininterrotta elaborazione delle battute iniziali: un corpo che più che muoversi sembra mutare. tabella 1: Lo schema riassuntivo riporta le seguenti caratteristiche: 1) sezioni che costituiscono l’Allegro e numero di battute di ciascuna sezione; 2) sezioni che compongono la ‘Prima parte’ dell’Allegro, numero di battute di ciascuna sezione, temi presenti; 3) sezioni che compongono la ‘Seconda parte’ dell’Allegro, numero di battute di ciascuna sezione, temi presenti. 1) Introduzione bb. 1-28 (28 bb.) Prima parte bb. 29-199 (171 bb.) Seconda parte bb. 200-300 (101 bb.) A bb. 29-49 tema A B bb. 50-92 tema B C bb. 93-123 elem. dall’introduzione 2) Prima parte: D bb. 124-147 tema B1 E bb. 148-173 tema A1 F bb. 174-199 elem. dall’introduzione bb. 200-222 tema A 3) Seconda parte: G (bb. 200-213 = 29-42) (bb. 215-222 simile a 43-49) H bb. 223-265 (simile a bb. 50-92) 283 tema B simone caputo I bb. 266-300 finale (bb. 266-285 simile a 93-112) 2. Il manoscritto autografo Rari 4.4.12(30) alla Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli La breve e schematica illustrazione di quanto Martucci propone nella versione del 1893 è utile nel momento in cui si passa a osservare il manoscritto Rari 4.4.12(30).10 Scartata l’ipotesi che esso possa contenere la versione originale, l’esame più ravvicinato ha confermato invece l’idea che si tratti già di una riscrittura, sulla quale Martucci ha ulteriormente lavorato per giungere alla versione definitiva. Andando oltre una descrizione e un’analisi completa del manoscritto, non operabili in questa sede, si può però sottolineare la presenza di alcuni nodi particolarmente significativi, che suggeriscono in maniera evidente la supposizione poc’anzi avanzata; ed è su questi che ci si soffermerà di seguito, senza pretese di completezza, provando a evidenziare segnali esemplificatori di una parte per il tutto. Il primo nodo ha a che fare con le tre pagine iniziali di Rari 4.4.12(30), che corrispondono all’introduzione (bb. 1-28) e all’inizio della sezione A (bb. 29-44). Ci si trova di fronte a diverse riscritture, che rendono quasi impossibile ricostruire i passaggi; l’immagine che le correzioni trasmettono è quella di una fisarmonica: come se Martucci avesse provato più volte ad ampliare i passaggi presenti nelle prime battute, per poi quasi ritornare sui suoi passi, ricuperando una scrittura più essenziale, ma inserendo piccoli e significativi particolari (note puntate, gruppi di terzine ecc.) e ampliando il linguaggio armonico, colorandolo di cromatismi e sfumature. Il compositore deve aver ripensato molte volte all’introduzione (la cui importanza è già stata messa in rilievo); lo conferma, tra l’altro, il continuo cambiamento di numerazione dato alle battute: le prime diciotto, appunto da 1 a 18, sono dapprima numerate consequenzialmente; ma poi tutto viene cancellato e i numeri da 1 a 8 vengono attribuiti alle bb. 11-19, in corrispondenza dell’inizio della seconda parte dell’introduzione, che da la bemolle maggiore riporta alla tonalità d’impianto di do maggiore – Martucci si serve poi di 10 S’impongono due precisazioni: la scrittura è con certezza di Martucci; gli inchiostri usati fanno supporre che tra il lavoro di scrittura e quello di correzione non sia intercorso un ampio lasso temporale. 284 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 questa ri-numerazione (Facsimile 1, bb. 11-14) nel finale della prima parte dell’Allegro, sezione F. Analogamente il compositore conteggia alfabeticamente da A a O le bb. 24-38 (a cavallo tra introduzione e sezione A), salvo poi cancellare questa sequenza (Facsimili 2-3).11 Altri rilievi richiedono attenzione: la terza pagina dell’Allegro e la metà della quarta sono state tagliate dal manoscritto (in corrispondenza del passaggio dall’introduzione alla sezione A); le pagine da 3 a 8 occupano tre fogli cuciti con filo bianco.12 È chiaro dunque che il compositore ha ripensato ai primi passaggi dell’Allegro a tal punto da essere costretto ad applicare nuovi fogli in vece dei vecchi. Il Martucci che traspare da queste correzioni sembra estremamente attento a dare un nuovo volto armonico all’inizio del primo movimento, a generare un impianto nel quale le tonalità rimangano latenti sotto i movimenti di superficie, e a far sì che le modifiche apportate permettano all’introduzione e ad alcuni suoi elementi di ritornare nel corso dell’Allegro, puntellandolo, fornendogli le basi per il suo strutturarsi. A partire dal quarto folio, in corrispondenza dell’inizio della sezione A, la scrittura procede senza particolari intoppi, se si escludono le transizioni che dalla sezione A portano alla B, e dalla B alla C, in cui Martucci opera delle modifiche. In corrispondenza di b. 121 (passaggio tra C e D; è il momento in cui, nella versione a stampa Martucci ripropone i temi precedentemente esposti invertendone l’ordine) si presenta il secondo importante nodo: con b. 122 a p. 8 ha termine la sovrapposizione di fogli cuciti sugli originali, mentre le pp. 9 e 10, che seguono, si presentano quasi del tutto cancellate. Sui primi pentagrammi di p. 9, Martucci sembra riprendere e abbozzare (siamo di fronte a una scrittura incompleta, in cui non tutte le voci sono compiute, e che occupa appena cinque battute) alcune frasi musicali scritte per il pianoforte che ha proposto nelle battute precedenti (bb. 99-102) e che poi utilizza, sempre al pianoforte, nella seguente parte cancellata (Facsimile 4). Martucci scrive quindi diciannove battute, che non 11 Nel manoscritto, in corrispondenza delle battute che dalla sezione E portano alla F, ci sono 8 battute cancellate; tra queste una contenente l’indicazione “dalla lettera A alla P”. La numerazione alfabetica aveva lo scopo di introdurre in blocco queste battute dopo la sezione E. 12 Per non alterare lo stato della fonte, non sono stati aperti; un ulteriore studio potrebbe approfondire l’indagine guardando all’interno di questi fogli ora cuciti. 285 simone caputo sono altro che la riproposizione delle bb. 103-121, ma trasposte (bb. 103-121 cominciavano in si minore per giungere a mi; queste cancellate da re minore conducono a sol). Il nodo sembra essere estremamente importante, e per la posizione che occupa, e per le correzioni cui Martucci ha sottoposto le diciannove battute di cui si è appena detto. Le supposizioni che si possono avanzare sembrano essere due. La prima: i due fogli cancellati fanno parte della prima stesura che Martucci ha abbozzato, sulla quale è intervenuto aggiungendo fogli cuciti, cancellando le battute presenti nei fogli 9 e 10, e correggendo quelle non cancellate della pagina 10 in modo da trasporle in mi e da legare così la sezione C alla D. La seconda: in origine Martucci pensava di concludere l’Allegro dopo questa sezione C, senza riproporre come in un ciclo i temi A e B nelle sezione D ed E (cosa che realizza poi nella versione definitiva; il passaggio da re minore a sol maggiore, sarebbe dunque funzionale a un finale il cui punto d’arrivo è il ritorno al do maggiore (proprio come accade poi in F). Seguono nel manoscritto, quelle che poi diventano le sezioni D ed E. Come in precedenza per le sezioni A e B le correzioni sono meno incisive, riguardano soprattutto il pianoforte, molto meno il quartetto d’archi, e si fanno rilevanti ancora una volta solo nei momenti di passaggio da una sezione ad un’altra; momenti ai quali Martucci dedica maggiore ripensamento. Riguardo alle correzioni apportate in questi casi si può avanzare, come considerazione di carattere generale, che l’attenzione del compositore sembra essere rivolta in particolar modo alla modificazione del discorso armonico. Gli elementi che Martucci chiama in causa ristrutturando l’Allegro confermano, in parte, il percorso coevo che egli sta portando avanti con le altre composizioni di quegli stessi anni: ampliamento dell’uso dei cromatismi, armonie più complesse, espressività melodica nascosta attraverso processi che appaiono sfumati, accostamenti di suoni che generano accordi umbratili, macchie timbriche, che, però, non portano mai il discorso musicale fuori dai suoi fondamenti tonali, sono i segnali che mettono in relazione la modificazione del Quintetto op. 45 con le opere realizzate agli inizi dell’ultimo decennio dell’Ottocento (prima che la sua ricerca lo spinga nella direzione di un moderato superamento dell’estetica tardo-romantica). Giunge, infine, a p. 14 il terzo nodo evidente che caratterizza l’Allegro: le battute in questione riguardano il trapasso dalla sezione E alla F (b. 174), sezione che conclude la prima parte. Nella versione del 1893 la sezione F si apre con valori lunghi ai violini, che sospingono la melodia in avanti (gli elementi che caratterizzano 286 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 la melodia provengono dall’introduzione), e un accompagnamento di crome al pianoforte (siamo in sol maggiore), per sfociare in un epilogo in cui le bb. 186-197 sono una ripresa pedissequa di bb. 11-22. Alla pagina 14 dell’autografo, subito dopo le bb. 172-173 (ossia le battute che conducono da E a F), s’incontrano le seguenti indicazioni: la scritta “da numero 1 a 8”,13 quindi bb. 9-13, infine l’indicazione “dalla lettera A alla lettera P” e le bb. 40-41. Martucci ripropone in pratica, subito dopo la sezione E, le bb. 10-41 quali battute che concludono la prima parte dell’Allegro e danno inizio alla seconda; solo in un secondo momento cancella queste battute, scrive quelle che diventano le 174-187, ripropone l’indicazione “dal numero 1 all’8” e chiude la sezione F con ulteriori 6 battute (194-199).14 È evidente che Martucci ha deciso di ampliare e complicare quello che in un primo momento pensava poter essere il finale di questa prima parte di Allegro; una scelta coerente con la struttura che ha dato all’intera parte e con la centralità che ha conferito agli elementi dell’introduzione, puntelli del percorso con cui si sviluppa l’Allegro. Il Quintetto prosegue, come accennato in precedenza, riproponendo con delle varianti le sezioni A e B, e si conclude con C, arricchita da una coda diversa e più lunga. Le varianti cui si fa riferimento per G e H consistono in trasposizioni in altre tonalità di alcune parti, che per il resto risultano invece uguali ad A e B; questo processo di correzione è funzionale a far sì che la sezione finale (che nella prima parte iniziava in sol minore per finire in do maggiore) inizi in fa minore per poi, dopo un’articolata serie di passaggi armonici, chiudersi in do. La riscrittura delle sezioni G, H ed I, così come si presenta nel manoscritto, non evidenzia correzioni particolarmente significative: non poteva essere altrimenti vista la derivazione di questa parte seconda dalla prima – Martucci apporta, infatti, sì modifiche, ma di poco conto, come ad esempio spostamenti di terza e d’ottava, con variazione dei relativi passaggi. L’unico punto in cui il manoscritto è sottoposto ad un intenso lavoro di modifica – al punto da essere sostituita la pagina finale dell’Allegro, contenente le ultime 7 bb. (il foglio come nei casi precedenti è stato cucito sull’originale) – è il finale. La sezione I, che prende le mosse da un tonalità di fa minore, segue, ovviamente trasposta, la stessa progressione armo13 L’intensa cancellatura impedisce di distinguere con certezza il numero “8”. 14 Va sottolineato che l’originale p.11 è stata tagliata; il ripensamento radicale, che ha portato Martucci a riscrivere l’inizio della sezione F, ha generato il taglio. 287 simone caputo nica che caratterizza bb. 93-112: in quel caso da la minore si giunge a un accordo di fa diesis minore da cui inizia il passaggio finale, che porta alla conclusione della sezione in mi, con una chiara ripresa di alcuni elementi dell’introduzione (le quattro semiminime ribattute alla stessa altezza dai violini, o i salti di terza e ottava proposti al pianoforte); nel finale del manoscritto da fa minore (b. 266) si arriva, passando per una transizione di la, all’epilogo conclusivo che comincia in fa (b. 286). Ai violini i gruppi di crome lasciano spazio a note lunghe ed elementi già usati in precedenza dal compositore, mentre il pianoforte riprende con gli arpeggi una funzione d’accompagnamento; un passaggio che oscilla da fa maggiore a fa minore (bb. 286-299) precede in un’atmosfera, volutamente indefinita, l’epilogo in do con cui si chiude l’Allegro (dal manoscritto si evince a prima vista l’intensità con cui Martucci ha lavorato allo scopo di ampliare e distendere la conclusione del primo movimento del Quintetto). 3. Conclusioni Difficile esprimere una valutazione certa sul manoscritto: sembra definitivamente da scartare l’ipotesi che si tratti della versione del 1877 con cui Martucci vinse nel 1878 il concorso della Società del Quartetto di Milano. Più plausibile credere che Rari 4.4.12(30) sia una versione vicina, ma non uguale a quella del 1877; una copia fatta dallo stesso Martucci contenente già alcune modifiche (riguardanti la struttura stessa dell’opera come sembrano indicare alcuni ampliamenti operati nell’Allegro, e le cuciture cui si è fatto riferimento – introduzione, struttura di quella indicata come la ‘prima parte’ dell’Allegro, revisione/aggiunta delle sezioni finali G, H, I). Facendo solo un brevissimo accenno al resto del manoscritto, al Quintetto nella sua interezza, si possono anticipare alcune evidenze: modifiche volte a sottolineare armonie e timbri, cui si è fatto riferimento parlando dell’Allegro, attraversano tutto l’autografo; l’Andante con moto e lo Scherzo si presentano più puliti, meno soggetti a cancellature ossessive di quanto avvenga nell’Allegro e soprattutto nel Finale (carico di correzioni spesso multiple e, perciò, di assai ardua decifrazione), e per questo possono ritenersi, probabilmente, assai vicini alla prima versione dell’opera; significativi sono i numerosi interventi di sostituzione e giustapposizione di pagina in corrispondenza di nodi, quali inizio o fine di movimento (ad esempio pp. 23-24, inizio dell’Andante con moto, o pp. 53-56, conclusione dello Scherzo), o trapassi di sezione all’interno del singolo movimento (pp. 65-66 288 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 del Finale).15 Il lavoro di correzione del Quintetto, dunque (attraverso l’occhio privilegiato dell’Allegro – la considerazione è però estendibile ai restanti movimenti), mette in mostra un’evoluzione, che vede Martucci impegnato in una scrittura più elastica, volta a nascondere tra le ombre il materiale originario del 1877 e a concedere più ampio spazio alla ripetizione variata di materiali tematici. Non è però questo il dato più significativo (siffatto modo di procedere non è nuovo per Martucci, anzi è tipico dei suoi lavori di quegli anni): quel che è particolarmente rilevante, e che emerge con forza dallo studio del manoscritto, è l’attenzione, il lavorìo meticoloso con cui il compositore rimodella l’Allegro conferendogli una struttura che all’analisi risulta precisa, coerente, e la capacità con la quale concilia la costruzione rigorosa con la volontà di restituire attraverso l’andamento del movimento un’idea di flusso vago, poco lineare, di tempo ciclico e ossessivo che quasi avvolge l’ascoltatore. Il tutto attraverso uno sforzo continuo di aggiornamento e revisione cui sembra però essere estranea ogni forma di spettacolare ostentazione. Il manoscritto non restituisce, dunque, la possibilità di scoprire l’opera così come doveva essere in origine; dice però molte cose sulle origini del Quintetto, e ancor di più sulla revisione del 1892, in quanto strumento privilegiato d’analisi e occasione per una riscoperta delle complesse architetture con cui Martucci attraverso i mezzi compositivi sembra negare la convinzione tutta positivista che il tempo dell’uomo, come quello dell’arte, proceda in un’unica direzione orientata in avanti. Il tutto a conferma dell’importanza e del valore del Quintetto, in sé e nel percorso del compositore, segno della padronanza della forma sonata che Martucci raggiunge proprio negli anni di passaggio da Napoli a Bologna (a cavallo con il 1886), e più in generale del suo genio musicale, per il quale ben si adattano alcune frasi di Vladimir Jankélévitch:16 15 Come accade per l’Allegro, così anche nel Finale la costruzione tematica si basa sulla riproposizione variata, sfumata, adombrata di materiale melodico simile. Di conseguenza anche nel caso di questo movimento è possibile ripartire la struttura in sezioni, per la precisione cinque, scandite dalla proposizione/riproposizione dei temi. Nelle pagine dell’autografo indicate (65-66) Martucci provvede a sostituire i due fogli in corrispondenza del passaggio che divide la seconda sezione del Finale dalla terza. 16 Vladimir Jankélévitch, La musica e l’ineffabile, trad. it. di Enrica Lisciani-Petrini, Milano, Bompiani, 1998 (ed. or. La musique et l’ineffable, Paris, 1961), p. 149 e p. 152. 289 simone caputo Un musicista di genio può essere un innovatore senza essere, propriamente parlando, un inventore. E così coloro che si aspettavano delle “trovate” resteranno delusi. Il divorante bisogno di novità caratteristico della moderna corsa ai rialzi, implica l’idea che il fatto musicale sia una cosa: la musica sarebbe alla stregua di qualsiasi tecnica; e come le tecniche si prestano a un indefinito perfezionamento (dimostrato dal fatto che ogni salone automobilistico o delle arti domestiche apporta dei miglioramenti inediti rispetto al precedente), così il progresso perpetuo dovrebbe essere la legge della musica. Sempre più lontano, sempre più veloce, sempre più forte. Ma se alla fine conveniamo che si tratta di un mistero e non di un segreto materiale, non di una cosa, se comprendiamo che questo charme è tutto nell’intenzione, e se riconosciamo che la fragile evidenza legata a imponderabili e innumerevoli fattori, dipende in primo luogo dalla nostra sincerità, e da quella dell’artista, allora forse, arriveremo a conoscere quell’aderenza al mistero che, in musica, è il solo vero stato di grazia. 290 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 facsimile 1 G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30) 291 simone caputo facsimile 2 G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30) 292 il quintetto per pianoforte e archi op. 45 facsimile 3 G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30) 293 simone caputo facsimile 4 G. Martucci, Quintetto per archi e pianoforte op. 45, autografo; Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli (per gentile concessione), Rari 4.4.12(30) 294