Progetto di vita:
Il Progetto Individuale di vita è molto importante per le persone con
disabilità. Nel Progetto infatti vengono scritti tutti i desideri e i bisogni
delle persone diversamente abili cosicché questi si possano aiutare a
fare ciò che desiderano. In Italia c’è una legge specifica in materia che
disciplina il Progetto Individuale di vita come un diritto di questi soggetti
ed Anffas ad esempio lavora per far rispettare questa legge. Mi riferisco
alla legge n. 328/00 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”): questa prevede che, affinché si
ottenga in pieno l’integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare
della persona con disabilità, si predisponga un progetto individuale per
ogni singola “persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale,
stabilizzata o progressiva (art. 3 L. 104/92)”, attraverso il quale creare
percorsi personalizzati in cui i vari interventi siano coordinati in maniera
mirata, massimizzando così i benefici effetti degli stessi e riuscendo,
diversamente da interventi settoriali e tra loro disgiunti, a rispondere in
maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni del beneficiario. Nello
specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la A.S.L, un progetto
individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socioassistenziali di necessita la persona con disabilità, nonché le modalità di
una loro interazione. Attraverso tale innovativo approccio si guarda alla
persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli
servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e
le sue potenzialità da alimentare e promuovere. Il progetto individuale,
infatti, è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui
base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa Comunità
territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché
quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano
effettivamente compiere. Oggi, la Legge 112/2016 “Disposizioni in
materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive
di sostegno familiare”, nota come “Legge sul Dopo di Noi”, individua
proprio la redazione del progetto individuale quale punto di partenza per
l’attivazione dei percorsi previsti dalla stessa. Come attivare questo
progetto?? Anffas ha preso parte attiva per la sperimentazione di uno
strumento ed un approccio altamente innovativo, quali le “matrici
ecologiche e dei sostegni”, per la costruzione dinamica ed interattiva di
un progetto individuale basato sui modelli più evoluti di diagnosi clinica e
di disabilità, di assessment e valutazione multidimensionale con un
approccio bio-psico-sociale, adeguato e verificabile nel tempo, oltre che
orientato agli esiti ed efficacia degli interventi. Matrici ecologiche e dei
sostegni consentono di realizzare progetti individuali contenenti:
• la valutazione multidimensionale realizzata secondo un’ottica biopsico-sociale e relativa al funzionamento personale, relazionale e
sociale con strumenti validati e riconosciuti a livello internazionale
(tra cui ad esempio le Support Intensity Scale – SIS, ICF, intervista
sui desideri ed aspettative);
• la puntuale descrizione e classificazione dei sostegni (formali ed
informali) in atto al momento della presa in carico, l’individuazione
della discrepanza tra gli stessi ed i bisogni di sostegno della
persona, ed il loro monitoraggio nel tempo;
• la classificazione e documentazione del lavoro di rete e la
community care attivata a beneficio a favore della persona con
disabilità e della sua famiglia;
• la definizione di obiettivi di sostegno coerenti e significativi per la
persona e la sua famiglia ed il cui raggiungimento è monitorabile
nel tempo;
• la progettazione, pianificazione, programmazione e
coordinamento dei diversi sostegni;
• la realizzazione del bugdet analitico di progetto (o di vita, o di
salute) e la sua gestione nel tempo;
• l’individuazione dei livelli di efficienza ed efficacia dei sostegni
pianificati ed erogati in relazione agli esiti prodotti a livello
personale, clinico, funzionale;
• la stesura e stampa automatica di report (progetto individuale di
vita esteso e ridotto).
Diagnosi funzionale (“PEI”):
La Diagnosi Funzionale è la descrizione dei bisogni educativi
dell’alunno, redatta anche con la collaborazione della scuola e della
famiglia, in quanto essa non è una semplice descrizione delle funzioni
attive o carenti dell’alunno, ma è un’analisi di queste funzioni in vista
della formulazione del “PEI” (Piano Educativo Individualizzato).
Quest’ultimo è il progetto di vita dell’alunno con disabilità in età scolare
e quindi comprende sia i criteri e gli interventi di carattere scolastico che
quelli di socializzazione e di riabilitazione. Esso è regolato dall’articolo
12 della Legge 104/1992. Essendo un atto di programmazione, il PEI
deve tenere conto di tutti gli elementi informativi contenuti in altri atti che
la legge pone come obbligatori e cioè la Diagnosi Funzionale appunto e
il Profilo Dinamico Funzionale. Se la Diagnosi Funzionale viene redatta
una sola volta dagli operatori dell’ASL, per avere un quadro progressivo
dell’evoluzione della personalità dell’alunno, sono necessarie
osservazioni nel tempo che vengono raccolte in un documento – il
Profilo Dinamico Funzionale (PDF) – che viene aggiornato al passaggio
di ogni grado di scuola e redatto da tutti gli operatori che seguono
l’alunno, cioè insegnanti, operatori sanitari e operatori sociali, con la
collaborazione della famiglia. Sempre da tutti questi soggetti, poi, viene
redatto annualmente il PEI. Ai fini del diritto allo studio e
dell’integrazione scolastica sono affidate ai Comuni (per la scuola
dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado) e alle Province (per
le scuole secondarie di secondo grado), alcune specifiche competenze
precisate dalla normativa vigente. Un compito dei Comuni è
l’assegnazione di assistenti per l’autonomia e la comunicazione, nei casi
necessari (ad esempio per sordi, ciechi, alunni autistici, BES, ecc..). La
fonte legislativa è costituita sempre dall’articolo 13 della Legge
104/1992 e, per gli alunni ciechi e sordi, in particolare, dalla Legge
67/1993 che assegna solo per loro tale compito alle Province per le
scuole di ogni ordine e grado.
Differenza tra “personalizzazione” ed
“individualizzazione”:
affinché si possa realizzare una piena integrazione del soggetto
disabile, occorre saper distinguere i due concetti di individualizzazione
e personalizzazione, dove la prima attiene alle procedure didattiche
volte a far perseguire a tutti gli studenti le abilità strumentali di base e le
competenze comuni attraverso una diversificazione dei percorsi di
apprendimento; la seconda, invece attiene alle procedure didattiche
volte a permettere ad ogni studente di sviluppare le proprie peculiari
potenzialità intellettive, differenti per ognuno, sempre attraverso forme
di differenziazione degli itinerari d’apprendimento.
In altri termini, l’individualizzazione mira ad obiettivi comuni per tutti,
mentre la personalizzazione si basa su traguardi diversi e personali di
ognuno. Mentre se vogliamo parlare del concetto di integrazione,
possiamo affermare ciò che disse Ianes, E cioè che non occorre fare
altro, ma farlo in altro modo con la consapevolezza che l'alunno in
situazione di handicap necessita di essere riconosciuto per quegli
elementi di specificità che lo caratterizzano ma soprattutto per la
normalità e del fondamentale bisogno di educazione e formazione che
è uguale per tutti. Ovviamente, il termine integrazione non significa
assimilare la stessa identità del gruppo nel quale il soggetto viene
inserito, in quanto è persona integrata quella che conserva una propria
entità diversa dalle altre. L'integrazione è un processo in continuo
divenire in cui diversi soggetti interagiscono, sviluppando diverse
potenzialità al fine del raggiungimento dell’autonomia. Non si può
parlare ad esempio di integrazione se gli alunni in difficoltà fanno cose
diverse dal resto della classe o se vengono addirittura portati fuori dalla
classe, in altri termini l'individualizzazione deve servire all’integrazione!
Questo obiettivo si può raggiungere avendo un concetto di didattica
che non metta al centro del processo di insegnamento-apprendimento
i contenuti scolastici, bensì li riporti al loro giusto ruolo di stimolo
percepibile ed utilizzabile da tutti gli alunni.
ICF:
L’acronimo sta ad indicare la “Classificazione Internazionale del
Funzionamento, della Disabilità e della Salute” e fa parte della famiglia
delle Classificazioni Internazionali dell’OMS. Il testo è stato approvato
nel 2001 come revisione della Classificazione Internazionale delle
Menomazioni, delle Disabilità e degli Handicap (ICIDH) pubblicata nel
1980. Il suo utilizzo è stato stato raccomandato agli Stati Membri. ICF
parte da una visione della realtà che inserisce lo stato di salute in una
visione ecologica della persona secondo il modello biopsicosociale, che
concepisce la salute stessa come stato del funzionamento umano che
coinvolge l’intera persona nel suo ambiente. è uno strumento in grado
di rappresentare in modo organico le condizioni della salute umana, non
incentrandosi sulla malattia, ma sulla salute e sugli aspetti positivi del
funzionamento umano. Qui, La concezione di disabilità viene inquadrata
nell’ampia differenziazione umana e viene definita nel rapporto tra
persona ed ambiente, o meglio nella combinazione tra capacità,
performance, fattori personali ed ambientali. Tale approccio rappresenta
la condizione di salute come la risultante dell’interazione dinamica tra
aspetti biomedici e psicologici della persona (funzioni corporee, strutture
corporee), aspetti sociali (attività e partecipazione svolte nella
quotidianità) e fattori di contesto (fattori ambientali e personali).
La classificazione ICF sottolinea come la disabilità non sia vista solo
come un deficit, bensì come una condizione che va oltre la
limitazione, superando le barriere, sia mentali che architettoniche.
Dunque, L’importante innovazione introdotta dalla classificazione, è che
essa analizza lo stato di salute degli individui ponendolo in relazione con
l’ambiente circostante. Per comprendere la classificazione generale
dell’ICF, è importante capirne la struttura: si divide in 2 “parti”:—->
“Funzionamento e Disabilità” (Parte 1°); Fattori contestuali (Parte 2°).
Ogni parte è costituita, poi, da diverse “componenti” che concorrono a
descrivere il funzionamento umano e precisamente la prima parte
contiene le Funzioni corporee, le Strutture corporee e l’Attività e
Partecipazione (Apprendimento e applicazione delle conoscenze,
Compiti e richieste generali, Comunicazione, Mobilità, Cura della propria
persona, Vita domestica, Interazioni e relazioni interpersonali, Aree di
vita principali, Vita sociale, civile e di comunità); la seconda parte
contiene i Fattori contestuali, i quali vengono descritti attraverso le
componenti ambientali e personali. L'OMS ha sviluppato inoltre un
sistema per descrivere l'entità dei problemi a livello delle funzioni e delle
strutture corporee, delle attività e della partecipazione e dei fattori
ambientali (i fattori personali non sono classificati nell’ICF). Tale sistema
prevede di usare i cosiddetti “qualificatori" che permettono di chiarire se
esiste un problema e quanto sia importante, ad esempio: un valore di
qualificatore pari a 0 descrive l'assenza di problema, mentre il valore
pari a 4 descrive un problema completo….Vediamo come l’ICF abbia
una “composizione tripartita”….I qualificatori principali della
componente Attività e Partecipazione sono "Performance" e "Capacità".
Il qualificatore “Performance” descrive quello che un individuo fa nel
suo am- biente attuale. Dato che l’ambiente attuale introduce un
contesto sociale, la prestazione registrata da questo qualificatore può
essere intesa anche come «coinvolgimento in una situazione di vita» o
«espe- rienza vissuta» delle persone nel contesto reale in cui vivono.
Questo contesto include i fattori ambientali — tutti gli aspetti del mondo
fisico, sociale e degli atteggiamenti — che possono essere codificati
utilizzando la componente Fattori Ambientali.. Il qualificatore “Capacità”
descrive invece l’abilità dell’individuo nell’eseguire un compito o
un’azione. Questo qualificatore identifica il più alto livello probabile di
funzionamento che una persona può raggiungere in un particolare
dominio, in un dato momento. La capacità viene misurata in un
ambiente uniforme o standard e quindi riflette l’abilità adattata
all’ambiente dell’individuo -—-> Nel libro del professore Pasqualotto
vengono proprio identificate queste capacità e queste performance.
La disabilità:
riferendoci al “modello biopsicosociale” della disabilità, adottato nel
2001 dell’ICF, la disabilità viene definita come la conseguenza o il
risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un
individuo e i fattori personali, ambientali che rappresentano le
circostanze in cuii vive l’individuo. “BIO” è la condizione di salute;
“PSICO” è il fattore personale; “SOCIALE” è il fattore ambientale.
Fattori personali e fattori ambientali:
I Fattori Ambientali sono una componente della 2° Parte dell’ICF
intitolata “Fattori Contestuali”. Questi fattori devono essere codificati dal
punto di vista della persona della quale si sta descrivendo la situazione,
ad esempio: i marciapiedi senza scalino possono essere codificati come
“facilitatori” per una persona che fa uso di sedia a rotelle ma come una
"barriera” per un non vedente che non percepisce la differenza fra
marciapiede e strada! Il primo qualificatore indica il grado in cui un
fattore rappresenta un facilitatore o una barriera. Ci sono numerosi
motivi per cui un fattore ambientale può rappresentare un facilitatore o
una barriera, in gradi diversi. Nel caso dei facilitatori, l’utilizzatore deve
tener presenti questioni come l’accessibilità di una risorsa e se l’accesso
è costante o variabile, di buona o cattiva qualità e così via. Nel caso
delle barriere, può essere rilevante sapere quanto spesso un fattore
ostacola la persona, se l’ostacolo è grande o piccolo, o evitabile oppure
no. Va ricordato inoltre che un fattore ambientale può essere una
barriera sia a causa della sua presenza (ad esempio, atteggiamenti
negativi verso le persone con disabilità) sia della sua assenza (ad
esempio, la mancata disponibilità di un servizio necessario).
I fattori personali invece, sono fattori contestuali correlati all’individuo
quali l’età, il sesso, la classe sociale, le esperienze di vita, modelli di
comportamento generali e stili caratteriali che possono giocare un certo
ruolo nella disabilità a qualsiasi livello. Essi non sono classificati nell’ICF
a causa della loro estrema variabilità, ma fanno parte del modello
descrittivo del funzionamento e della disabilità: Funzionamento è un
termine che comprende tutte le funzioni corporee, le attività e la
partecipazione.
BES:
Sono gli studenti che hanno necessità di attenzione speciale nel corso
del loro percorso, per motivi diversi, a volte certificati da una diagnosi
medica, bisogni permanenti o superabili grazie a interventi mirati e
specifici. I BES sono disciplinati dalla direttiva ministeriale del 2012
intitolata “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi
Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica“. Si
dividono in tre aree:
• Disturbi evolutivi specifici tra i quali i DSA (dislessia, disgrafia,
disortografia e discalculia) e l’ADHD (deficit di attenzione e
iperattività). La scuola che riceve la diagnosi scrive per ogni
studente un Piano Didattico Personalizzato (“PDP) e non c’è la
figura dell’insegnante di sostegno, ama’è l’ASACOM (assistente
all’autonomia e alla comunicazione dei disabili);
• Disabilità motorie e disabilità cognitive che indicano la necessità
dell’insegnante di sostegno e di un Piano Educativo
Individualizzato (PEI);
• Disturbi legati a fattori socio-economici, linguistici, culturali come la
non conoscenza della lingua e della cultura italiana e alcune
difficoltà di tipo comportamentale e relazionale. Non è previsto
l’insegnante di sostegno e la scuola si occupa della redazione di
un Piano Didattico Personalizzato (PDP).
Un’altra sigla che potresti incontrare è DAA, che indica i “ disturbi
aspecifici d’apprendimento” che emergono perché legati a cause
diverse, per esempio:
• capacità cognitive ridotte di grado diverso e perciò legate a
difficoltà di apprendimento diverse, come può verificarsi per
esempio in alcuni casi di autismo
• patologie e sindromi diverse, di tipo neurologico o organico,
sensoriale (sordità o ipovisione), genetiche come la Sindrome di
Down, di Williams e X-Fragile, a volte presenti insieme a capacità
cognitive ridotte
• altri disturbi di tipo psicologico.
Menomazione, disabilità ed handicap:
Dall'ICIDH all'ICF
Concetti base e struttura dell’ICIDH:
• Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di
strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche; essa
rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato patologico e in linea di
principio essa riflette i disturbi a livello d’organo.
• Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a una
menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o
nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. La
disabilità rappresenta l’oggettivazione della menomazione e come
tale riflette disturbi a livello della persona. La disabilità si riferisce a
capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e comportamenti che
per generale consenso costituiscono aspetti essenziali della vita di
ogni giorno.
• Handicap: condizione di svantaggio vissuta da una determinata
persona in conseguenza di una menomazione o di una disabilità
che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo
normalmente proprio a quella persona (in base all’età, al sesso e ai
fattori socio-culturali). Esso rappresenta la socializzazione di una
menomazione o di una disabilità e come tale riflette le
conseguenze – culturali, sociali, economiche e ambientali – che per
l’individuo derivano dalla presenza della menomazione e della
disabilità. Lo svantaggio deriva dalla diminuzione o dalla perdita
delle capacità di conformarsi alle aspettative o alle norme proprie
dell’universo che circonda l’individuo. Il concetto fondamentale
dell’ICIDH è basato sulla sequenza:
Menomazione -> Disabilità -> Handicap.
La sequenza descritta è sintetizzata nel seguente schema:
A seguito di un evento morboso, sia esso una malattia
(congenita o meno) o un incidente, una persona può subire
una menomazione, ovvero la perdita o anomalia strutturale o
funzionale, fisica o psichica. La menomazione può poi portare
alla disabilità, ovvero alla limitazione della persona nello
svolgimento di una o più attività considerate “normali” per un
essere umano della stessa età. Infine, la disabilità può portare
all’handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta a
seguito dell’interazione con l’ambiente. La sequenza descritta
non è comunque sempre così semplice: l’handicap può infatti
essere conseguenza di una menomazione, senza la
mediazione di uno stato di disabilità. Una menomazione può
ad esempio dare origine ad ostacoli nei normali tentativi di
instaurare dei rapporti sociali; essa determina l’handicap ma
non la disabilità. Inoltre, la sequenza può essere interrotta:
una persona può essere menomata senza essere disabile e
disabile senza essere handicappata.
Autodeterminazione:
Una prima definizione è stata fornita da Ryan il quale l'hai identificata
come la capacità di scegliere fra varie opportunità ed impiegare quelle
scelte per determinare le proprie azioni personali, quindi
l'autodeterminazione, prima ancora di essere una capacità, è una
necessità che per essere raggiunta richiede una serie di competenze ed
anche un contesto favorevole ed una serie di supporti sociali. Ward
ritiene che l'autodeterminazione sia un obiettivo cruciale per l'individui
ed evidenzia come sia il risultato degli atteggiamenti che consentono di
definire proprio obiettivi e le abilità che permettono di conseguirli e gli
elementi di questa progressiva costruzione sono l'autorealizzazione, la
creatività, la considerazione positiva di sé e la capacità di autotutelarsi.
Anche Hofmann e Field definirono l'autodeterminazione come l'abilità
personale per individuare ed ottenere obiettivi fondata su una
conoscenza è una valorizzazione di se stessi. È allora evidente come le
persone con disabilità intellettiva con autismo, siano meno preparate
per affrontare diversi aspetti di questo processo. Un contributo rilevante
alla definizione di autodeterminazione e alla sua promozione come
concetto centrale nella prospettiva della qualità della vita delle persone
con disabilità, è stato fornito È allora evidente come le persone con
disabilità intellettiva con autismo, siano meno preparate per affrontare
diversi aspetti di questo processo. Un contributo rilevante alla
definizione di autodeterminazione e alla sua promozione come concetto
centrale nella prospettiva della qualità della vita delle persone con
disabilità, è stato fornito da Wehmeyer il quale affermò che un individuo
è dotato di autodeterminazione quando agisce come agente causale
primario della propria vita e quando le sue decisioni relative al proprio
benessere sono libere da condizionamenti esterni. Assecondo delle
caratteristiche dei soggetti, egli identificò un modello di riferimento
dove sono considerate sia la dimensione individuale, cioè le
competenze necessarie alla persona per assumere condotte orientate
nel senso dell'autodeterminazione, sia la dimensione ambientale, la
quale si concretizza nelle opportunità fornite dal contesto per assumere
il ruolo di agente causale della propria esistenza. Da questo quadro
appare evidente come la situazione si presenti complessa come ripeto
per le persone con disabilità E dunque possiamo ricostruire
l'autodeterminazione in quattro componenti fondamentali: autonomia,
autoregolazione, autorealizzazione, empowerment psicologico.
L'autonomia, che include il livello di indipendenza e la capacità di agire;
l'autoregolazione che comprende abilità di autogestione al fine di
conseguire determinati obiettivi; autorealizzazione è relativa al grado di
auto consapevolezza dell'individuo, dei propri punti di forza e dei propri
limiti, e questa conoscenza di sé si forma con l'esperienza e
l'interpretazione del proprio ambiente; empowerment psicologico che si
concretizza in un luogo di controllo interno del soggetto tanto che egli
ha fiducia nelle proprie possibilità di successo. Queste dimensioni
prendono forma nel comportamento auto determinato che si
caratterizza per la capacità di scegliere, capacità di problem solving,
capacità di prendere decisioni, capacità di definire e di raggiungere
obiettivi, capacità di autogestione e auto sostegno, percezione di
controllo e consapevolezza di sé. Certamente le competenze personali
e i deficit manifestati possono condizionare la possibilità per l'individuo
con disabilità di assumere nell'ambiente un ruolo tipico, ma per tutti si
deve operare al fine di garantire buoni livelli di autodeterminazione che
non richiedono l’essere capaci di svolgere autonomamente tutte le
attività. E’ importante allora la dimensione educativa per questi soggetti
con disabilità: l’intensificazione
degli sforzi per sostenere
l’autodeterminazione devono allora essere accompagnati da
opportunità frequenti ben strutturate affinché tali individui possono
acquisire, praticare sviluppare le abilità di comportamenti adeguati,
anche solo parzialmente. —-> il modello “PECS” (“picture exchange
comunicazion system”) potrebbe essere un sistema di comunicazione
atto a rendere, anche solo parzialmente, autonomo il soggetto disabile.
E’ un modello formato da 6 fasi: si comincia insegnando ad uno
studente a scambiare l'immagine di un elemento desiderato con un
insegnante/compagno comunicativo, che onora immediatamente la
richiesta. Dopo che lo studente impara a richiedere spontaneamente
l'elemento desiderato, il sistema passa ad insegnare la discriminazione
tra i simboli e poi come costruire una frase semplice. Nelle fasi più
avanzate, ai soggetti si insegna a rispondere alle domande e a
commentare. In più, si insegnano anche concetti del linguaggio
descrittivo come dimensioni, forma, colore, numero, ecc. in modo che
lo studente possa rendere il suo messaggio più specifico.
Sindrome di down:
Detta anche “trisomia 21”, è una condizione di anomalia genetica
causata da una totale o parziale ripetizione del cromosoma 21 durante
la divisione cellulare. Proprio per le implicazioni che l’alterazione
cromosomica comporta, le persone con sindrome di Down manifestano
tratti individuali, e i deficit possono avere gradi di severità assai
variabile. Vivere con la sindrome di Down non è più, come in passato,
una condanna ad una esistenza infelice, ma una sfida piena di ostacoli
che possono essere superati avendo amore ed il giusto supporto
scolastico, medico e sociale. Sia i bambini che gli adulti con la
sindrome, presentano peculiari caratteristiche fisiche che si possono
così riassumere:
• Viso “piatto” con fronte spaziosa
• Testa di piccole dimensioni e collo corto
• Lingua sporgente
• Occhi obliqui
• Orecchie piccole
• Mani larghe e corte
• Gambe e braccia corte e altezza inferiore alla media
Per quanto riguarda, invece, i deficit intellettivi, a seconda della gravità
dell’errore genetico, i bambini manifestano ritardi nell’apprendimento
delle abilità principali quali il linguaggio e la capacità mnemonica a
breve e lungo termine. Nascere e crescere con la trisomia 21 comporta
anche una serie di possibili complicanze di salute, che riducono le
aspettative di vita, sebbene oggi la maggior parte dei portatori di
sindrome di Down raggiunga e superi la soglia dei 60 anni di
età. Durante l’età infantile è molto importante stimolare il bambino sotto
il profilo fisico, cognitivo, comportamentale ed emotivo. A tal fine le
scuole di ordine inferiore e superiore (dalla materna alle superiori)
forniscono un servizio di sostegno integrato, ma oltre a questo lavoro
individuale che ha lo scopo di portare il bambino a impadronirsi di
alcune delle competenze di base come leggere e scrivere e sviluppare
sue proprie modalità di espressione, è cruciale che al contempo venga
avviato alla socialità. Il fine educativo è quello di accompagnare la
crescita di questi bimbi speciali stimolando in loro la capacità di
intessere relazioni sociali, di inserirsi, eventualmente, in un contesto
lavorativo, e di sviluppare appieno i propri talenti. Percorsi terapeutici
utili a favorire l’acquisizione di queste abilità sono ad esempio la pettherapy, la musicoterapia, la teatro terapia e lo sport.
Concetto “dell’insegnante-mediatore”:
Nel libro di Ianes, possiamo rilevare come, nonostante l’estrema
variabilità relativa ai bisogni di uno specifico alunno, bisogna sempre
ritrovare il sapore degli ingredienti base della didattica in ogni nostra
futura azione, ovvero: “relazione, affettività, organizzazione e
comunicazione-mediazione”. Nel nostro agire educativo-didattico
quotidiano, qualunque siano gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere,
dobbiamo muoverci sempre su questi quattro piani. Le azioni e le
strategie per l’insegnamento e lo sviluppo in un alunno con disabilità
non saranno mai semplici, e quindi avremo bisogno di una mappa che
orienti e costruisca una visione d’insieme, anche per cercare
consapevolmente nella nostra carriera professionale sempre nuovi
approcci, azioni, materiali, che sapremo però assimilare bene nel nostro
background di competenze. Di "Mediazione" hanno parlato
pedagogisti, psicologi, filosogi e psicoanalisti che hanno fatto più o
meno esplicito riferimento alla presenza di un intermediario nella
relazione pedagogica. La ricerca educativa, ha approfondito l'analisi
delle variabili all'interno del modello di apprendimento cositutito da S
(stimolo), O (soggetto in apprendimento) e R (risposta), individuando di
volta in volta strutture di mediazione che organizzino sia lo stimolo sia le
risposte e facilitino quindi un corretto funzionamento del pensiero nel
soggetto che apprende. Per il Prof. Feuerstein, il mediatore è colui che
funge da intermediario tra un sapere e colui che impara. Il mediatore
agisce in modo che tutti gli stimoli divengano conoscenze; egli offre ai
discenti la possibilità di imparare a raccogliere, interpretare e
organizzare le informazioni ricevute dall'ambiente e, di conseguenza, di
rendersi via via autonomi nell'apprendimento, capaci di adattarsi con
flessibilità a tutte le situazioni nuove. La mediazione è qualità della
comunicazione, sia all'interno di un sistema gerarchicamente costituito,
sia nelle relazioni tra pari. La pedagogia della mediazione diventa
dunque la pedagogia del processo di comunicazione, che si fa più ricco
e intenzionalmente volto alla modificabilità cognitiva di chi apprende.
All'interno della corrente mediativa, Feuerstein si distingue per il fatto di
avere messo a punto uno strumento capace di determinare la capacità
di apprendimento di un individuo, il suo livello di modicabilità ed i suoi
bisogni di mediazione (L.P.A.D.); un programma strutturato che
consente il recupero delle carenze cognitive responsabili delle difficoltà
di apprendimento (P.A.S.), dei criteri di mediazione, ovvero dei
comportamenti del mediatore che favoriscono le interazioni,
sviluppando la dinamica della comunicazione e la capacità di
apprendimento del soggetto.
“Apprendimento mediatico": Feuerstein e
Morin:
Il metodo Feuerstein ha come obiettivo quello di sviluppare le
potenzialità dell'individuo e aumentare la sua capacità di modificarsi di
fronte al cambiamento. Feuerstein ha tradotto questo obiettivo in due
strumenti, ovvero nel programma di arricchimento strumentale PAS) e
nella valutazione della propensione all'apprendimento (LPAD). Il
vantaggio è che non lavora sui contenuti specifici come potrebbe
essere la storia la matematica, ma sui processi che sono necessari per
imparare i contenuti specifici, quindi il metodo si focalizza sul come si
utilizza la mente e sulle strategie per farlo in modo efficace cosicché,
una volta imparato ad usare la strategia cognitiva per risolvere un
problema, questa può essere utilizzata in altri ambiti. è un obiettivo che
funge per stimolare anche le risorse che l'individuo disabile ha dentro di
sé. D'altronde la massima che ricordiamo di Fauerstein è quella
secondo cui non si nasce intelligenti, ma lo si diventa, in quanto
l'intelligenza deve essere sviluppata, potenziata ed allenata!
Volendo analizzare i due strumenti, possiamo partire analizzando il
primo ovvero il programma di arricchimento strumentale (PAS): consiste
in 14 strumenti carta e matita che non necessitano di alcuna
conoscenza didattica precedente; ogni incontro di potenziamento
cognitivo con il PAS segue un determinato schema, partendo dal
riassunto dell'incontro precedente, analisi della pagina, discussione del
problema presentato, esecuzione dell'esercizio, discussione delle
strategie utilizzate, formulazione di nuove strategie, astrazione di quello
imparato e generalizzazione delle regole, sintesi finale. È un metodo che
lavora come abbiamo detto sulle strategie e non sui contenuti e quindi
può essere utilizzato per tutti, dalle sindromi genetiche alle difficoltà
scolastiche fino ad arrivare alla formazione manageriale, l'obiettivo è
sempre lo stesso e quello che cambia è il contenuto.
Morin invece, parla di complessità, complessità perché la pedagogia
speciale è intesa come la scienza della complessità e della diversità: a
proprio come oggetto le diversità che sono delle categorie culturali
storico esistenziali che diverse hanno un carattere complesso. È una
complessità che emerge proprio dalla presenza delle diversità e dal tipo
di approccio che noi scegliamo per poterla indagare e comprendere.la
diversità appartiene al micro al macro sistema sociale culturale di
appartenenza perché le persone diverse vivono all'interno di questo
sistema che potrebbe essere la scuola, la famiglia, il territorio. Secondo
Morin, il pensiero complesso si avvale di tre principi, ovvero il principio
dialogico, il principio ricorsiva ed il principio ologrammatico. Secondo il
principio dialogico, le apparenti incompatibilità fra loro in realtà
dialogano, il dialogo è quell'elemento che ci indica che in realtà c'è
un'interconnessione tra gli elementi di un sistema; secondo il principio
di corsivo, il pensiero complesso è una caratteristica derivata dalla zia
logicità e all'interno di un sistema di conoscenze, alcuni elementi si
rincorrono l'uno con l'altro, pertanto il pensiero ricorsiva è caratterizzato
dalla presenza di feedback e contro feedback; secondo il principio o lo
grammatico, il pensiero complesso è quel pensiero che punta
l'attenzione sulla visione d'insieme: la programma è una sorta di
fotografia che ci permette di guardare vicino allontano una determinata
questione; dobbiamo tenere presente il quadro nella sua visione
completa perché se noi guardassimo in maniera generica il tutto,
perderemo di vista i singoli elementi. Quando Morin afferma la sua
massima "è meglio una testa ben fatta che una testa piena", afferma
che è meglio conoscere diverse strategie affinché si riesca a
memorizzare il tutto nella sua complessità, anziché memorizzare i
contenuti e per poi dimenticarli! Infatti lui afferma pure la sua contrarietà
al divario esistente tra I due blocchi della cultura, ovvero quello
tecnologico e quello umanistico perché sarebbe invece auspicabile un
sapere interdisciplinare ed intra disciplinare, e non soltanto un sapere
frammentato e disciplinare.
Le strategie, le cornici metodologiche e
didattiche che conducono a scegliere le
attività di personalizzazione ed
individualizzazione:
Innanzitutto dobbiamo sapere che la legge numero 170 del 2010
dispone che le istituzioni scolastiche garantiscono l'uso di una didattica
individualizzata e personalizzata con forme efficaci di lavoro scolastico
che tengono conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto,
adottando una metodologia è una strategia educativa adeguate. La
didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale
che può svolgere l'alunno per potenziare determinate abilità o per
acquisire specifiche competenze e tali attività possono essere realizzate
nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad essere dedicati
secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dal
dalla normativa vigente; la didattica personalizzata invece calibra
l'offerta didattica e le modalità relazionali sulla specificità ed unicità a
livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della
classe considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo
qualitativo e si può favorire così l'accrescimento dei punti di forza di
ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue preferenze e del suo
talento. La didattica personalizzata si sostanze attraverso l'impiego di
una varietà di metodologie e strategie didattiche tali da promuovere le
potenzialità e il successo formativo di ogni alunno ad esempio
predisponendo l'uso di mediatori didattici come mappe concettuali,
schemi. Proprio la legge numero 170 predispone degli strumenti
compensativi e delle misure dispense attive per i quali saremo poi noi
docenti ad determinare quelli più appropriati per l'apprendimento
dell'alunno. Ovviamente saranno strumenti concordati anche con la
famiglia. A titolo esemplificativo ne posso citare alcuni come la tavola
pitagorica, la calcolatrice, il computer, i dizionari di lingua straniera, le
tabelle delle misure e delle formule e così via e queste sono alcuni degli
strumenti compensativi; tra le misure dispensative invece posso citare
le tempistiche più lunghe per le prove scritte per lo studio,
organizzazione di interrogazioni programmate, assegnazioni di compiti
a casa in misura ridotta (in particolare per gli alunni che hanno difficoltà
derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana, ovvero per i Besse,
è possibile adottare misure dispensa dire come ad esempio la dispensa
dalla lettura ad alta voce, la dispensa da attività ove la lettura è valutata,
la dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura, e così via. Ovviamente
noi docenti dovremo prima di tutto prevedere nel pdp l'utilizzo di
metodologie didattiche individualizzate e personalizzate e solo in
seconda istanza di eventuali compensazioni e di possibili dispense.
In sintesi le principali linee d'azione attraverso cui costruire una didattica
inclusiva può essere lo sviluppo di un clima positivo nella classe, la
costruzione di percorsi di studio, contestualizzazione
dell'apprendimento, potenziamento delle attività di laboratorio; per
quanto riguarda le metodologie didattiche più appropriate per il
potenziamento degli apprendimenti negli alunni con disabilità posso
citare il cooperative learning (sviluppa forme di cooperazione e di
rispetto reciproco fra gli allievi e veicola le conoscenze e le abilità e le
competenze), il peer tutoring (apprendimento fra pari e si lavora in
coppia), il problem solving, didattica multisensoriale e tecnologie
didattiche; tuttavia vi è un nuovo modo di fare scuola che racchiude un
po' tutte le metodologie già citate poc'anzi e prende il nome di Flipped
classeroom: ad esempio, la creazione di un gruppo virtuale aiuterà gli
allievi a interagire e a studiare allo stesso tempo una lezione di storia ad
esempio e comunque si tratta sempre di materiali che possono essere
approfonditi degli studenti da soli o in gruppo fuori dalla classe; mentre
in classe con l'insegnante, i contenuti appresi attraverso tecnologie
diventano oggetto di attività cooperative mirate a mettere in movimento
le conoscenze acquisite, pertanto in questa prospettiva la classe non è
più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e
discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con
l'insegnante ed il docente, una volta scelto un tema da approfondire, e
caricato il materiale sulla piattaforma, indica allo studente quali temi e
contenuti studiare nei giorni precedenti l'attività in classe dedicate a quel
tema ed è in questo modo che si realizza l'inversione del setting
tradizionale e si può parlare così di Flipped classeroom.
Disabilità e sindromi più frequenti nelle
scuole:
Si stima che la disabilità più frequente sia quella intellettiva, che
riguarda il 42,6% degli studenti; seguono poi i disturbi dello sviluppo
e quelli del linguaggio che interessano rispettivamente il 25,6% e il
23,2% degli alunni, mentre nella scuola secondaria di primo grado,
dopo la disabilità intellettiva, i problemi più frequenti sono legati ai
disturbi dell’apprendimento e ai disturbi dello sviluppo. Nel 5°
capitolo dell’ICD-10 (classificazione internazionale delle malattie e
dei problemi correlati, stilata dall’OMS), possiamo trovare elencati i
disturbi dell’apprendimento (DSA), come la dislessia, disgrafia,
disortografia, discalculia, disprassia. Tali disturbi sono molto
frequenti, come molto frequenti sono la sindrome di down e
l’autismo. Meno frequente come sindrome è la sindrome di
Asperger.
Autismo:
Nel libro della Pavone, troviamo il capitolo dedicato proprio ai soggetti
autistici. L’autismo è un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale. I
disturbi dello spettro autistico sono variabili da un soggetto all’altro,
tanto che si può dire che ogni bambino autistico è un caso a sé. I
sintomi iniziali compaiono già nella prima infanzia, in particolare, i segni
più o meno presenti riguardano queste aree:
• La produzione e la comprensione del linguaggio verbale. Il
bambino autistico non parla (o parla poco e con poca connessione
alla realtà), e non comprende il linguaggio (o ne comprende solo
alcune espressioni, senza però afferrarne le sfumature e i
significati).
• La comunicazione non verbale. Il soggetto autistico è incapace di
comunicare attraverso le espressioni del volto, i toni della voce e il
contatto fisico e visivo.
• La socialità. I bambini autistici sono incapaci di inserirsi nel
contesto sociale e familiare.
• interessi. molto ristretti e seguono comportamenti rigidi e sempre
uguali.
• La risposta a stimolazioni ambientali (cibo, rumori, oggetti in
movimento) è anomala e non adeguata.
• Il potenziale cognitivo, la memoria, le capacità di calcolo, le abilità
musicali e matematiche possono essere incredibilmente sviluppati.
Come già accennato, ogni soggetto autistico è diverso dagli altri:
schematicamente possiamo dividere le diverse manifestazioni dello
spettro autistico in autismo ad alto funzionamento (soggetti capaci di
comunicare verbalmente e dotati di un’intelligenza normale o addirittura
superiore, tanto da avere a volte straordinarie abilità in molti campi) e
autismo a basso funzionamento (soggetti che non sono capaci di usare
un linguaggio appropriato e hanno capacità mentali insufficienti). Le
cause sono tutt’oggi sconosciute. Quello che sappiamo è che l’autismo
è una patologia psichiatrica con un’importante componente ereditaria:
allo stato attuale si pensa che all’origine dei disturbi dello spettro
autistico ci siano anomalie dei neuroni (le cellule nervose del cervello) e
delle connessioni fra i neuroni stessi. Ciò provoca un irrigidimento delle
funzioni del cervello e di conseguenza un’incapacità di mettere insieme
in modo armonico queste molteplici funzionalità. Non ci sono prove
dell’influenza di fattori esterni intervenuti dopo la nascita: vaccinazioni,
alimentazione, assunzione di sostanze tossiche, interazione con i
genitori.
Dal 1972 in America si comincia a praticare il metodo TEACCH per la
terapia dell’autismo (TEACCH è l’acronimo di Treatment and Education
of Autistic and Communication Handicapped Children, trattamento ed
educazione dei bambini autistici e diversamente abili nella
comunicazione). Vi è anche un altro metodo, ABA (Applied Behaviour
Analysis, ovvero analisi applicata del comportamento). Alla base di
questo metodo c’è l’idea che i soggetti affetti da disturbi dello spettro
autistico siano, come tutti i bambini, aperti al cambiamento, a condizione
che venga loro proposto con un approccio adeguato. Le proposte
terapeutiche dei disturbi dello spettro autistico sono molte (ABA, Denver,
DAN, psicomotricità, logopedia, comunicazione facilitata, pet therapy,
ossigeno iperbarico, PECS, massaggio cranio-sacrale, vitamina B6,
mindfulness, terapia in acqua, omeopatia…) e i genitori sono
comprensibilmente disorientati…Il fatto è che guarire dall’autismo non è
ancora possibile, perciò dovremmo smettere di pensare all’autismo
come a una malattia e cominciare a considerarlo una “diversità
neurologica”, indubbiamente invalidante ma non per questo priva di
potenzialità di miglioramento e di adattamento.
Asperger
Hans Asperger fu uno degli scopritori dell’autismo infantile e ne
descrisse una variante che da lui prese il nome: la Sindrome di
Asperger. Si tratta di una forma di autismo ad alto funzionamento che
possiede alcune delle caratteristiche tipiche dei disturbi dello spettro
autistico (difficoltà nel linguaggio, nella comunicazione verbale e non
verbale e nell’empatia), senza però che sia compromessa l’intelligenza
e la capacità di condurre una valida vita di relazione. I soggetti affetti,
contrariamente a quelli affetti da altri disturbi dello spettro autistico, non
peggiorano nel tempo.
Questi bambini spesso possiedono delle grandi capacità in alcuni campi
e da adulti possono fare anche delle cose straordinarie.
La famiglia del disabile:
Nel libro della Pavone, vi è un capitolo intitolato “dinamiche familiari”.
La famiglia è la prima realtà nel quale il soggetto disabile si trova.
Dobbiamo considerare la famiglia in quell’otttica dinamica perché solo
cosi significa immetterla a pieno titolo all'interno di un percorso
terapeutico rivolto contemporaneamente al figlio ed a se stessa. la
nascita di un bambino con disabilità può comportare per i familiari
l'idea di una perdita e di conseguenza si presenta la necessità di
elaborare un lutto. Il senso di perdita nasce dalla perdita di un
immagine di figlio idealizzato, sognato, su cui si erano fatti degli
investimenti affettivi considerevoli e che ha una menomazione od una
disabilità e che, come tale, non corrisponde alle aspettative. Vi è una
sorta di stato di shock, di incredulità, l'idea ricorrente "perchè è
capitato proprio a noi?". Le famiglie che non riescono a superare il
dolore inziale ed il conseguente stato di shock possono evidenziale
diverse modalità differenti di risposta. Infatti si possono sviluppare
manifestazioni di negazione della situazione, di non accettazione della
diagnosi, nascondendo l'evidenza cercando giustificazioni oppure
l'iperprotezione nei confronti del figlio attraverso l'ossessivo controllo
del suo corpo, del suo comportamento e dell'ambiente in cui vive.
Questa dinamica si manifesta esaminando i membri delle rispettive
famiglie per trovare una motivazione di tipo genetico che poi si
trasforma nel "capro espiatorio" a cui attribuire colpe , reali e supposte.
La famiglia va considerata come la prima risorsa per la persona disabile
e in quanto tale va aiutata a incrementare le proprie potenzialità, a
sviluppare la resilienza, quale capacità di rispondere ai propri problemi
con strategie flessibili e ricerche di aiuto e a porsi come soggetto in
relazione e collaborazione con servizi, strutture e comunità.
Importantissimo dire che la disabilità è un concetto che va collegato al
contesto di vita, maggiore è la capacità del contesto familiare e sociale
di rispondere ai bisogni differenziati dei soggetti, minore sarà la loro
disabilità.