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Progetto di vita

Individuale di vita è molto importante per le persone con disabilità. Nel Progetto infatti vengono scritti tutti i desideri e i bisogni delle persone diversamente abili cosicché questi si possano aiutare a fare ciò che desiderano. In Italia c'è una legge specifica in materia che disciplina il Progetto Individuale di vita come un diritto di questi soggetti ed Anffas ad esempio lavora per far rispettare questa legge. Mi riferisco alla legge n. 328/00 ("Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"): questa prevede che, affinché si ottenga in pieno l'integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona con disabilità, si predisponga un progetto individuale per ogni singola "persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, stabilizzata o progressiva (art. 3 L. 104/92)", attraverso il quale creare percorsi personalizzati in cui i vari interventi siano coordinati in maniera mirata, massimizzando così i benefici effetti degli stessi e riuscendo, diversamente da interventi settoriali e tra loro disgiunti, a rispondere in maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni del beneficiario. Nello specifico, il Comune deve predisporre, d'intesa con la A.S.L, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socioassistenziali di necessita la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione. Attraverso tale innovativo approccio si guarda alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere. Il progetto individuale, infatti, è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa Comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere. Oggi, la Legge 112/2016 "Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare", nota come "Legge sul Dopo di Noi", individua proprio la redazione del progetto individuale quale punto di partenza per l'attivazione dei percorsi previsti dalla stessa. Come attivare questo progetto?? Anffas ha preso parte attiva per la sperimentazione di uno strumento ed un approccio altamente innovativo, quali le "matrici ecologiche e dei sostegni", per la costruzione dinamica ed interattiva di un progetto individuale basato sui modelli più evoluti di diagnosi clinica e di disabilità, di assessment e valutazione multidimensionale con un approccio bio-psico-sociale, adeguato e verificabile nel tempo, oltre che

Progetto di vita: Il Progetto Individuale di vita è molto importante per le persone con disabilità. Nel Progetto infatti vengono scritti tutti i desideri e i bisogni delle persone diversamente abili cosicché questi si possano aiutare a fare ciò che desiderano. In Italia c’è una legge specifica in materia che disciplina il Progetto Individuale di vita come un diritto di questi soggetti ed Anffas ad esempio lavora per far rispettare questa legge. Mi riferisco alla legge n. 328/00 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”): questa prevede che, affinché si ottenga in pieno l’integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona con disabilità, si predisponga un progetto individuale per ogni singola “persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, stabilizzata o progressiva (art. 3 L. 104/92)”, attraverso il quale creare percorsi personalizzati in cui i vari interventi siano coordinati in maniera mirata, massimizzando così i benefici effetti degli stessi e riuscendo, diversamente da interventi settoriali e tra loro disgiunti, a rispondere in maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni del beneficiario. Nello specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la A.S.L, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socioassistenziali di necessita la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione. Attraverso tale innovativo approccio si guarda alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere. Il progetto individuale, infatti, è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa Comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere. Oggi, la Legge 112/2016 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare”, nota come “Legge sul Dopo di Noi”, individua proprio la redazione del progetto individuale quale punto di partenza per l’attivazione dei percorsi previsti dalla stessa. Come attivare questo progetto?? Anffas ha preso parte attiva per la sperimentazione di uno strumento ed un approccio altamente innovativo, quali le “matrici ecologiche e dei sostegni”, per la costruzione dinamica ed interattiva di un progetto individuale basato sui modelli più evoluti di diagnosi clinica e di disabilità, di assessment e valutazione multidimensionale con un approccio bio-psico-sociale, adeguato e verificabile nel tempo, oltre che orientato agli esiti ed efficacia degli interventi. Matrici ecologiche e dei sostegni consentono di realizzare progetti individuali contenenti: • la valutazione multidimensionale realizzata secondo un’ottica biopsico-sociale e relativa al funzionamento personale, relazionale e sociale con strumenti validati e riconosciuti a livello internazionale (tra cui ad esempio le Support Intensity Scale – SIS, ICF, intervista sui desideri ed aspettative); • la puntuale descrizione e classificazione dei sostegni (formali ed informali) in atto al momento della presa in carico, l’individuazione della discrepanza tra gli stessi ed i bisogni di sostegno della persona, ed il loro monitoraggio nel tempo; • la classificazione e documentazione del lavoro di rete e la community care attivata a beneficio a favore della persona con disabilità e della sua famiglia; • la definizione di obiettivi di sostegno coerenti e significativi per la persona e la sua famiglia ed il cui raggiungimento è monitorabile nel tempo; • la progettazione, pianificazione, programmazione e coordinamento dei diversi sostegni; • la realizzazione del bugdet analitico di progetto (o di vita, o di salute) e la sua gestione nel tempo; • l’individuazione dei livelli di efficienza ed efficacia dei sostegni pianificati ed erogati in relazione agli esiti prodotti a livello personale, clinico, funzionale; • la stesura e stampa automatica di report (progetto individuale di vita esteso e ridotto). Diagnosi funzionale (“PEI”): La Diagnosi Funzionale è la descrizione dei bisogni educativi dell’alunno, redatta anche con la collaborazione della scuola e della famiglia, in quanto essa non è una semplice descrizione delle funzioni attive o carenti dell’alunno, ma è un’analisi di queste funzioni in vista della formulazione del “PEI” (Piano Educativo Individualizzato). Quest’ultimo è il progetto di vita dell’alunno con disabilità in età scolare e quindi comprende sia i criteri e gli interventi di carattere scolastico che quelli di socializzazione e di riabilitazione. Esso è regolato dall’articolo 12 della Legge 104/1992. Essendo un atto di programmazione, il PEI deve tenere conto di tutti gli elementi informativi contenuti in altri atti che la legge pone come obbligatori e cioè la Diagnosi Funzionale appunto e il Profilo Dinamico Funzionale. Se la Diagnosi Funzionale viene redatta una sola volta dagli operatori dell’ASL, per avere un quadro progressivo dell’evoluzione della personalità dell’alunno, sono necessarie osservazioni nel tempo che vengono raccolte in un documento – il Profilo Dinamico Funzionale (PDF) – che viene aggiornato al passaggio di ogni grado di scuola e redatto da tutti gli operatori che seguono l’alunno, cioè insegnanti, operatori sanitari e operatori sociali, con la collaborazione della famiglia. Sempre da tutti questi soggetti, poi, viene redatto annualmente il PEI. Ai fini del diritto allo studio e dell’integrazione scolastica sono affidate ai Comuni (per la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado) e alle Province (per le scuole secondarie di secondo grado), alcune specifiche competenze precisate dalla normativa vigente. Un compito dei Comuni è l’assegnazione di assistenti per l’autonomia e la comunicazione, nei casi necessari (ad esempio per sordi, ciechi, alunni autistici, BES, ecc..). La fonte legislativa è costituita sempre dall’articolo 13 della Legge 104/1992 e, per gli alunni ciechi e sordi, in particolare, dalla Legge 67/1993 che assegna solo per loro tale compito alle Province per le scuole di ogni ordine e grado. Differenza tra “personalizzazione” ed “individualizzazione”: affinché si possa realizzare una piena integrazione del soggetto disabile, occorre saper distinguere i due concetti di individualizzazione e personalizzazione, dove la prima attiene alle procedure didattiche volte a far perseguire a tutti gli studenti le abilità strumentali di base e le competenze comuni attraverso una diversificazione dei percorsi di apprendimento; la seconda, invece attiene alle procedure didattiche volte a permettere ad ogni studente di sviluppare le proprie peculiari potenzialità intellettive, differenti per ognuno, sempre attraverso forme di differenziazione degli itinerari d’apprendimento. In altri termini, l’individualizzazione mira ad obiettivi comuni per tutti, mentre la personalizzazione si basa su traguardi diversi e personali di ognuno. Mentre se vogliamo parlare del concetto di integrazione, possiamo affermare ciò che disse Ianes, E cioè che non occorre fare altro, ma farlo in altro modo con la consapevolezza che l'alunno in situazione di handicap necessita di essere riconosciuto per quegli elementi di specificità che lo caratterizzano ma soprattutto per la normalità e del fondamentale bisogno di educazione e formazione che è uguale per tutti. Ovviamente, il termine integrazione non significa assimilare la stessa identità del gruppo nel quale il soggetto viene inserito, in quanto è persona integrata quella che conserva una propria entità diversa dalle altre. L'integrazione è un processo in continuo divenire in cui diversi soggetti interagiscono, sviluppando diverse potenzialità al fine del raggiungimento dell’autonomia. Non si può parlare ad esempio di integrazione se gli alunni in difficoltà fanno cose diverse dal resto della classe o se vengono addirittura portati fuori dalla classe, in altri termini l'individualizzazione deve servire all’integrazione! Questo obiettivo si può raggiungere avendo un concetto di didattica che non metta al centro del processo di insegnamento-apprendimento i contenuti scolastici, bensì li riporti al loro giusto ruolo di stimolo percepibile ed utilizzabile da tutti gli alunni. ICF: L’acronimo sta ad indicare la “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” e fa parte della famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS. Il testo è stato approvato nel 2001 come revisione della Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Handicap (ICIDH) pubblicata nel 1980. Il suo utilizzo è stato stato raccomandato agli Stati Membri. ICF parte da una visione della realtà che inserisce lo stato di salute in una visione ecologica della persona secondo il modello biopsicosociale, che concepisce la salute stessa come stato del funzionamento umano che coinvolge l’intera persona nel suo ambiente. è uno strumento in grado di rappresentare in modo organico le condizioni della salute umana, non incentrandosi sulla malattia, ma sulla salute e sugli aspetti positivi del funzionamento umano. Qui, La concezione di disabilità viene inquadrata nell’ampia differenziazione umana e viene definita nel rapporto tra persona ed ambiente, o meglio nella combinazione tra capacità, performance, fattori personali ed ambientali. Tale approccio rappresenta la condizione di salute come la risultante dell’interazione dinamica tra aspetti biomedici e psicologici della persona (funzioni corporee, strutture corporee), aspetti sociali (attività e partecipazione svolte nella quotidianità) e fattori di contesto (fattori ambientali e personali). La classificazione ICF sottolinea come la disabilità non sia vista solo come un deficit, bensì come una condizione che va oltre la limitazione, superando le barriere, sia mentali che architettoniche. Dunque, L’importante innovazione introdotta dalla classificazione, è che essa analizza lo stato di salute degli individui ponendolo in relazione con l’ambiente circostante. Per comprendere la classificazione generale dell’ICF, è importante capirne la struttura: si divide in 2 “parti”:—-> “Funzionamento e Disabilità” (Parte 1°); Fattori contestuali (Parte 2°). Ogni parte è costituita, poi, da diverse “componenti” che concorrono a descrivere il funzionamento umano e precisamente la prima parte contiene le Funzioni corporee, le Strutture corporee e l’Attività e Partecipazione (Apprendimento e applicazione delle conoscenze, Compiti e richieste generali, Comunicazione, Mobilità, Cura della propria persona, Vita domestica, Interazioni e relazioni interpersonali, Aree di vita principali, Vita sociale, civile e di comunità); la seconda parte contiene i Fattori contestuali, i quali vengono descritti attraverso le componenti ambientali e personali. L'OMS ha sviluppato inoltre un sistema per descrivere l'entità dei problemi a livello delle funzioni e delle strutture corporee, delle attività e della partecipazione e dei fattori ambientali (i fattori personali non sono classificati nell’ICF). Tale sistema prevede di usare i cosiddetti “qualificatori" che permettono di chiarire se esiste un problema e quanto sia importante, ad esempio: un valore di qualificatore pari a 0 descrive l'assenza di problema, mentre il valore pari a 4 descrive un problema completo….Vediamo come l’ICF abbia una “composizione tripartita”….I qualificatori principali della componente Attività e Partecipazione sono "Performance" e "Capacità". Il qualificatore “Performance” descrive quello che un individuo fa nel suo am- biente attuale. Dato che l’ambiente attuale introduce un contesto sociale, la prestazione registrata da questo qualificatore può essere intesa anche come «coinvolgimento in una situazione di vita» o «espe- rienza vissuta» delle persone nel contesto reale in cui vivono. Questo contesto include i fattori ambientali — tutti gli aspetti del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti — che possono essere codificati utilizzando la componente Fattori Ambientali.. Il qualificatore “Capacità” descrive invece l’abilità dell’individuo nell’eseguire un compito o un’azione. Questo qualificatore identifica il più alto livello probabile di funzionamento che una persona può raggiungere in un particolare dominio, in un dato momento. La capacità viene misurata in un ambiente uniforme o standard e quindi riflette l’abilità adattata all’ambiente dell’individuo -—-> Nel libro del professore Pasqualotto vengono proprio identificate queste capacità e queste performance. La disabilità: riferendoci al “modello biopsicosociale” della disabilità, adottato nel 2001 dell’ICF, la disabilità viene definita come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, ambientali che rappresentano le circostanze in cuii vive l’individuo. “BIO” è la condizione di salute; “PSICO” è il fattore personale; “SOCIALE” è il fattore ambientale. Fattori personali e fattori ambientali: I Fattori Ambientali sono una componente della 2° Parte dell’ICF intitolata “Fattori Contestuali”. Questi fattori devono essere codificati dal punto di vista della persona della quale si sta descrivendo la situazione, ad esempio: i marciapiedi senza scalino possono essere codificati come “facilitatori” per una persona che fa uso di sedia a rotelle ma come una "barriera” per un non vedente che non percepisce la differenza fra marciapiede e strada! Il primo qualificatore indica il grado in cui un fattore rappresenta un facilitatore o una barriera. Ci sono numerosi motivi per cui un fattore ambientale può rappresentare un facilitatore o una barriera, in gradi diversi. Nel caso dei facilitatori, l’utilizzatore deve tener presenti questioni come l’accessibilità di una risorsa e se l’accesso è costante o variabile, di buona o cattiva qualità e così via. Nel caso delle barriere, può essere rilevante sapere quanto spesso un fattore ostacola la persona, se l’ostacolo è grande o piccolo, o evitabile oppure no. Va ricordato inoltre che un fattore ambientale può essere una barriera sia a causa della sua presenza (ad esempio, atteggiamenti negativi verso le persone con disabilità) sia della sua assenza (ad esempio, la mancata disponibilità di un servizio necessario). I fattori personali invece, sono fattori contestuali correlati all’individuo quali l’età, il sesso, la classe sociale, le esperienze di vita, modelli di comportamento generali e stili caratteriali che possono giocare un certo ruolo nella disabilità a qualsiasi livello. Essi non sono classificati nell’ICF a causa della loro estrema variabilità, ma fanno parte del modello descrittivo del funzionamento e della disabilità: Funzionamento è un termine che comprende tutte le funzioni corporee, le attività e la partecipazione. BES: Sono gli studenti che hanno necessità di attenzione speciale nel corso del loro percorso, per motivi diversi, a volte certificati da una diagnosi medica, bisogni permanenti o superabili grazie a interventi mirati e specifici. I BES sono disciplinati dalla direttiva ministeriale del 2012 intitolata “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica“. Si dividono in tre aree: • Disturbi evolutivi specifici tra i quali i DSA (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) e l’ADHD (deficit di attenzione e iperattività). La scuola che riceve la diagnosi scrive per ogni studente un Piano Didattico Personalizzato (“PDP) e non c’è la figura dell’insegnante di sostegno, ama’è l’ASACOM (assistente all’autonomia e alla comunicazione dei disabili); • Disabilità motorie e disabilità cognitive che indicano la necessità dell’insegnante di sostegno e di un Piano Educativo Individualizzato (PEI); • Disturbi legati a fattori socio-economici, linguistici, culturali come la non conoscenza della lingua e della cultura italiana e alcune difficoltà di tipo comportamentale e relazionale. Non è previsto l’insegnante di sostegno e la scuola si occupa della redazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP). Un’altra sigla che potresti incontrare è DAA, che indica i “ disturbi aspecifici d’apprendimento” che emergono perché legati a cause diverse, per esempio: • capacità cognitive ridotte di grado diverso e perciò legate a difficoltà di apprendimento diverse, come può verificarsi per esempio in alcuni casi di autismo • patologie e sindromi diverse, di tipo neurologico o organico, sensoriale (sordità o ipovisione), genetiche come la Sindrome di Down, di Williams e X-Fragile, a volte presenti insieme a capacità cognitive ridotte • altri disturbi di tipo psicologico. Menomazione, disabilità ed handicap: Dall'ICIDH all'ICF Concetti base e struttura dell’ICIDH: • Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche; essa rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato patologico e in linea di principio essa riflette i disturbi a livello d’organo. • Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a una menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. La disabilità rappresenta l’oggettivazione della menomazione e come tale riflette disturbi a livello della persona. La disabilità si riferisce a capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e comportamenti che per generale consenso costituiscono aspetti essenziali della vita di ogni giorno. • Handicap: condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona in conseguenza di una menomazione o di una disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona (in base all’età, al sesso e ai fattori socio-culturali). Esso rappresenta la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e come tale riflette le conseguenze – culturali, sociali, economiche e ambientali – che per l’individuo derivano dalla presenza della menomazione e della disabilità. Lo svantaggio deriva dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di conformarsi alle aspettative o alle norme proprie dell’universo che circonda l’individuo. Il concetto fondamentale dell’ICIDH è basato sulla sequenza: Menomazione -> Disabilità -> Handicap. La sequenza descritta è sintetizzata nel seguente schema: A seguito di un evento morboso, sia esso una malattia (congenita o meno) o un incidente, una persona può subire una menomazione, ovvero la perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o psichica. La menomazione può poi portare alla disabilità, ovvero alla limitazione della persona nello svolgimento di una o più attività considerate “normali” per un essere umano della stessa età. Infine, la disabilità può portare all’handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente. La sequenza descritta non è comunque sempre così semplice: l’handicap può infatti essere conseguenza di una menomazione, senza la mediazione di uno stato di disabilità. Una menomazione può ad esempio dare origine ad ostacoli nei normali tentativi di instaurare dei rapporti sociali; essa determina l’handicap ma non la disabilità. Inoltre, la sequenza può essere interrotta: una persona può essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata. Autodeterminazione: Una prima definizione è stata fornita da Ryan il quale l'hai identificata come la capacità di scegliere fra varie opportunità ed impiegare quelle scelte per determinare le proprie azioni personali, quindi l'autodeterminazione, prima ancora di essere una capacità, è una necessità che per essere raggiunta richiede una serie di competenze ed anche un contesto favorevole ed una serie di supporti sociali. Ward ritiene che l'autodeterminazione sia un obiettivo cruciale per l'individui ed evidenzia come sia il risultato degli atteggiamenti che consentono di definire proprio obiettivi e le abilità che permettono di conseguirli e gli elementi di questa progressiva costruzione sono l'autorealizzazione, la creatività, la considerazione positiva di sé e la capacità di autotutelarsi. Anche Hofmann e Field definirono l'autodeterminazione come l'abilità personale per individuare ed ottenere obiettivi fondata su una conoscenza è una valorizzazione di se stessi. È allora evidente come le persone con disabilità intellettiva con autismo, siano meno preparate per affrontare diversi aspetti di questo processo. Un contributo rilevante alla definizione di autodeterminazione e alla sua promozione come concetto centrale nella prospettiva della qualità della vita delle persone con disabilità, è stato fornito È allora evidente come le persone con disabilità intellettiva con autismo, siano meno preparate per affrontare diversi aspetti di questo processo. Un contributo rilevante alla definizione di autodeterminazione e alla sua promozione come concetto centrale nella prospettiva della qualità della vita delle persone con disabilità, è stato fornito da Wehmeyer il quale affermò che un individuo è dotato di autodeterminazione quando agisce come agente causale primario della propria vita e quando le sue decisioni relative al proprio benessere sono libere da condizionamenti esterni. Assecondo delle caratteristiche dei soggetti, egli identificò un modello di riferimento dove sono considerate sia la dimensione individuale, cioè le competenze necessarie alla persona per assumere condotte orientate nel senso dell'autodeterminazione, sia la dimensione ambientale, la quale si concretizza nelle opportunità fornite dal contesto per assumere il ruolo di agente causale della propria esistenza. Da questo quadro appare evidente come la situazione si presenti complessa come ripeto per le persone con disabilità E dunque possiamo ricostruire l'autodeterminazione in quattro componenti fondamentali: autonomia, autoregolazione, autorealizzazione, empowerment psicologico. L'autonomia, che include il livello di indipendenza e la capacità di agire; l'autoregolazione che comprende abilità di autogestione al fine di conseguire determinati obiettivi; autorealizzazione è relativa al grado di auto consapevolezza dell'individuo, dei propri punti di forza e dei propri limiti, e questa conoscenza di sé si forma con l'esperienza e l'interpretazione del proprio ambiente; empowerment psicologico che si concretizza in un luogo di controllo interno del soggetto tanto che egli ha fiducia nelle proprie possibilità di successo. Queste dimensioni prendono forma nel comportamento auto determinato che si caratterizza per la capacità di scegliere, capacità di problem solving, capacità di prendere decisioni, capacità di definire e di raggiungere obiettivi, capacità di autogestione e auto sostegno, percezione di controllo e consapevolezza di sé. Certamente le competenze personali e i deficit manifestati possono condizionare la possibilità per l'individuo con disabilità di assumere nell'ambiente un ruolo tipico, ma per tutti si deve operare al fine di garantire buoni livelli di autodeterminazione che non richiedono l’essere capaci di svolgere autonomamente tutte le attività. E’ importante allora la dimensione educativa per questi soggetti con disabilità: l’intensificazione degli sforzi per sostenere l’autodeterminazione devono allora essere accompagnati da opportunità frequenti ben strutturate affinché tali individui possono acquisire, praticare sviluppare le abilità di comportamenti adeguati, anche solo parzialmente. —-> il modello “PECS” (“picture exchange comunicazion system”) potrebbe essere un sistema di comunicazione atto a rendere, anche solo parzialmente, autonomo il soggetto disabile. E’ un modello formato da 6 fasi: si comincia insegnando ad uno studente a scambiare l'immagine di un elemento desiderato con un insegnante/compagno comunicativo, che onora immediatamente la richiesta. Dopo che lo studente impara a richiedere spontaneamente l'elemento desiderato, il sistema passa ad insegnare la discriminazione tra i simboli e poi come costruire una frase semplice. Nelle fasi più avanzate, ai soggetti si insegna a rispondere alle domande e a commentare. In più, si insegnano anche concetti del linguaggio descrittivo come dimensioni, forma, colore, numero, ecc. in modo che lo studente possa rendere il suo messaggio più specifico. Sindrome di down: Detta anche “trisomia 21”, è una condizione di anomalia genetica causata da una totale o parziale ripetizione del cromosoma 21 durante la divisione cellulare. Proprio per le implicazioni che l’alterazione cromosomica comporta, le persone con sindrome di Down manifestano tratti individuali, e i deficit possono avere gradi di severità assai variabile. Vivere con la sindrome di Down non è più, come in passato, una condanna ad una esistenza infelice, ma una sfida piena di ostacoli che possono essere superati avendo amore ed il giusto supporto scolastico, medico e sociale. Sia i bambini che gli adulti con la sindrome, presentano peculiari caratteristiche fisiche che si possono così riassumere: • Viso “piatto” con fronte spaziosa • Testa di piccole dimensioni e collo corto • Lingua sporgente • Occhi obliqui • Orecchie piccole • Mani larghe e corte • Gambe e braccia corte e altezza inferiore alla media Per quanto riguarda, invece, i deficit intellettivi, a seconda della gravità dell’errore genetico, i bambini manifestano ritardi nell’apprendimento delle abilità principali quali il linguaggio e la capacità mnemonica a breve e lungo termine. Nascere e crescere con la trisomia 21 comporta anche una serie di possibili complicanze di salute, che riducono le aspettative di vita, sebbene oggi la maggior parte dei portatori di sindrome di Down raggiunga e superi la soglia dei 60 anni di età. Durante l’età infantile è molto importante stimolare il bambino sotto il profilo fisico, cognitivo, comportamentale ed emotivo. A tal fine le scuole di ordine inferiore e superiore (dalla materna alle superiori) forniscono un servizio di sostegno integrato, ma oltre a questo lavoro individuale che ha lo scopo di portare il bambino a impadronirsi di alcune delle competenze di base come leggere e scrivere e sviluppare sue proprie modalità di espressione, è cruciale che al contempo venga avviato alla socialità. Il fine educativo è quello di accompagnare la crescita di questi bimbi speciali stimolando in loro la capacità di intessere relazioni sociali, di inserirsi, eventualmente, in un contesto lavorativo, e di sviluppare appieno i propri talenti. Percorsi terapeutici utili a favorire l’acquisizione di queste abilità sono ad esempio la pettherapy, la musicoterapia, la teatro terapia e lo sport. Concetto “dell’insegnante-mediatore”: Nel libro di Ianes, possiamo rilevare come, nonostante l’estrema variabilità relativa ai bisogni di uno specifico alunno, bisogna sempre ritrovare il sapore degli ingredienti base della didattica in ogni nostra futura azione, ovvero: “relazione, affettività, organizzazione e comunicazione-mediazione”. Nel nostro agire educativo-didattico quotidiano, qualunque siano gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere, dobbiamo muoverci sempre su questi quattro piani. Le azioni e le strategie per l’insegnamento e lo sviluppo in un alunno con disabilità non saranno mai semplici, e quindi avremo bisogno di una mappa che orienti e costruisca una visione d’insieme, anche per cercare consapevolmente nella nostra carriera professionale sempre nuovi approcci, azioni, materiali, che sapremo però assimilare bene nel nostro background di competenze. Di "Mediazione" hanno parlato pedagogisti, psicologi, filosogi e psicoanalisti che hanno fatto più o meno esplicito riferimento alla presenza di un intermediario nella relazione pedagogica. La ricerca educativa, ha approfondito l'analisi delle variabili all'interno del modello di apprendimento cositutito da S (stimolo), O (soggetto in apprendimento) e R (risposta), individuando di volta in volta strutture di mediazione che organizzino sia lo stimolo sia le risposte e facilitino quindi un corretto funzionamento del pensiero nel soggetto che apprende. Per il Prof. Feuerstein, il mediatore è colui che funge da intermediario tra un sapere e colui che impara. Il mediatore agisce in modo che tutti gli stimoli divengano conoscenze; egli offre ai discenti la possibilità di imparare a raccogliere, interpretare e organizzare le informazioni ricevute dall'ambiente e, di conseguenza, di rendersi via via autonomi nell'apprendimento, capaci di adattarsi con flessibilità a tutte le situazioni nuove. La mediazione è qualità della comunicazione, sia all'interno di un sistema gerarchicamente costituito, sia nelle relazioni tra pari. La pedagogia della mediazione diventa dunque la pedagogia del processo di comunicazione, che si fa più ricco e intenzionalmente volto alla modificabilità cognitiva di chi apprende. All'interno della corrente mediativa, Feuerstein si distingue per il fatto di avere messo a punto uno strumento capace di determinare la capacità di apprendimento di un individuo, il suo livello di modicabilità ed i suoi bisogni di mediazione (L.P.A.D.); un programma strutturato che consente il recupero delle carenze cognitive responsabili delle difficoltà di apprendimento (P.A.S.), dei criteri di mediazione, ovvero dei comportamenti del mediatore che favoriscono le interazioni, sviluppando la dinamica della comunicazione e la capacità di apprendimento del soggetto. “Apprendimento mediatico": Feuerstein e Morin: Il metodo Feuerstein ha come obiettivo quello di sviluppare le potenzialità dell'individuo e aumentare la sua capacità di modificarsi di fronte al cambiamento. Feuerstein ha tradotto questo obiettivo in due strumenti, ovvero nel programma di arricchimento strumentale PAS) e nella valutazione della propensione all'apprendimento (LPAD). Il vantaggio è che non lavora sui contenuti specifici come potrebbe essere la storia la matematica, ma sui processi che sono necessari per imparare i contenuti specifici, quindi il metodo si focalizza sul come si utilizza la mente e sulle strategie per farlo in modo efficace cosicché, una volta imparato ad usare la strategia cognitiva per risolvere un problema, questa può essere utilizzata in altri ambiti. è un obiettivo che funge per stimolare anche le risorse che l'individuo disabile ha dentro di sé. D'altronde la massima che ricordiamo di Fauerstein è quella secondo cui non si nasce intelligenti, ma lo si diventa, in quanto l'intelligenza deve essere sviluppata, potenziata ed allenata! Volendo analizzare i due strumenti, possiamo partire analizzando il primo ovvero il programma di arricchimento strumentale (PAS): consiste in 14 strumenti carta e matita che non necessitano di alcuna conoscenza didattica precedente; ogni incontro di potenziamento cognitivo con il PAS segue un determinato schema, partendo dal riassunto dell'incontro precedente, analisi della pagina, discussione del problema presentato, esecuzione dell'esercizio, discussione delle strategie utilizzate, formulazione di nuove strategie, astrazione di quello imparato e generalizzazione delle regole, sintesi finale. È un metodo che lavora come abbiamo detto sulle strategie e non sui contenuti e quindi può essere utilizzato per tutti, dalle sindromi genetiche alle difficoltà scolastiche fino ad arrivare alla formazione manageriale, l'obiettivo è sempre lo stesso e quello che cambia è il contenuto. Morin invece, parla di complessità, complessità perché la pedagogia speciale è intesa come la scienza della complessità e della diversità: a proprio come oggetto le diversità che sono delle categorie culturali storico esistenziali che diverse hanno un carattere complesso. È una complessità che emerge proprio dalla presenza delle diversità e dal tipo di approccio che noi scegliamo per poterla indagare e comprendere.la diversità appartiene al micro al macro sistema sociale culturale di appartenenza perché le persone diverse vivono all'interno di questo sistema che potrebbe essere la scuola, la famiglia, il territorio. Secondo Morin, il pensiero complesso si avvale di tre principi, ovvero il principio dialogico, il principio ricorsiva ed il principio ologrammatico. Secondo il principio dialogico, le apparenti incompatibilità fra loro in realtà dialogano, il dialogo è quell'elemento che ci indica che in realtà c'è un'interconnessione tra gli elementi di un sistema; secondo il principio di corsivo, il pensiero complesso è una caratteristica derivata dalla zia logicità e all'interno di un sistema di conoscenze, alcuni elementi si rincorrono l'uno con l'altro, pertanto il pensiero ricorsiva è caratterizzato dalla presenza di feedback e contro feedback; secondo il principio o lo grammatico, il pensiero complesso è quel pensiero che punta l'attenzione sulla visione d'insieme: la programma è una sorta di fotografia che ci permette di guardare vicino allontano una determinata questione; dobbiamo tenere presente il quadro nella sua visione completa perché se noi guardassimo in maniera generica il tutto, perderemo di vista i singoli elementi. Quando Morin afferma la sua massima "è meglio una testa ben fatta che una testa piena", afferma che è meglio conoscere diverse strategie affinché si riesca a memorizzare il tutto nella sua complessità, anziché memorizzare i contenuti e per poi dimenticarli! Infatti lui afferma pure la sua contrarietà al divario esistente tra I due blocchi della cultura, ovvero quello tecnologico e quello umanistico perché sarebbe invece auspicabile un sapere interdisciplinare ed intra disciplinare, e non soltanto un sapere frammentato e disciplinare. Le strategie, le cornici metodologiche e didattiche che conducono a scegliere le attività di personalizzazione ed individualizzazione: Innanzitutto dobbiamo sapere che la legge numero 170 del 2010 dispone che le istituzioni scolastiche garantiscono l'uso di una didattica individualizzata e personalizzata con forme efficaci di lavoro scolastico che tengono conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, adottando una metodologia è una strategia educativa adeguate. La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l'alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze e tali attività possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad essere dedicati secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dal dalla normativa vigente; la didattica personalizzata invece calibra l'offerta didattica e le modalità relazionali sulla specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo e si può favorire così l'accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue preferenze e del suo talento. La didattica personalizzata si sostanze attraverso l'impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo di ogni alunno ad esempio predisponendo l'uso di mediatori didattici come mappe concettuali, schemi. Proprio la legge numero 170 predispone degli strumenti compensativi e delle misure dispense attive per i quali saremo poi noi docenti ad determinare quelli più appropriati per l'apprendimento dell'alunno. Ovviamente saranno strumenti concordati anche con la famiglia. A titolo esemplificativo ne posso citare alcuni come la tavola pitagorica, la calcolatrice, il computer, i dizionari di lingua straniera, le tabelle delle misure e delle formule e così via e queste sono alcuni degli strumenti compensativi; tra le misure dispensative invece posso citare le tempistiche più lunghe per le prove scritte per lo studio, organizzazione di interrogazioni programmate, assegnazioni di compiti a casa in misura ridotta (in particolare per gli alunni che hanno difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana, ovvero per i Besse, è possibile adottare misure dispensa dire come ad esempio la dispensa dalla lettura ad alta voce, la dispensa da attività ove la lettura è valutata, la dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura, e così via. Ovviamente noi docenti dovremo prima di tutto prevedere nel pdp l'utilizzo di metodologie didattiche individualizzate e personalizzate e solo in seconda istanza di eventuali compensazioni e di possibili dispense. In sintesi le principali linee d'azione attraverso cui costruire una didattica inclusiva può essere lo sviluppo di un clima positivo nella classe, la costruzione di percorsi di studio, contestualizzazione dell'apprendimento, potenziamento delle attività di laboratorio; per quanto riguarda le metodologie didattiche più appropriate per il potenziamento degli apprendimenti negli alunni con disabilità posso citare il cooperative learning (sviluppa forme di cooperazione e di rispetto reciproco fra gli allievi e veicola le conoscenze e le abilità e le competenze), il peer tutoring (apprendimento fra pari e si lavora in coppia), il problem solving, didattica multisensoriale e tecnologie didattiche; tuttavia vi è un nuovo modo di fare scuola che racchiude un po' tutte le metodologie già citate poc'anzi e prende il nome di Flipped classeroom: ad esempio, la creazione di un gruppo virtuale aiuterà gli allievi a interagire e a studiare allo stesso tempo una lezione di storia ad esempio e comunque si tratta sempre di materiali che possono essere approfonditi degli studenti da soli o in gruppo fuori dalla classe; mentre in classe con l'insegnante, i contenuti appresi attraverso tecnologie diventano oggetto di attività cooperative mirate a mettere in movimento le conoscenze acquisite, pertanto in questa prospettiva la classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con l'insegnante ed il docente, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il materiale sulla piattaforma, indica allo studente quali temi e contenuti studiare nei giorni precedenti l'attività in classe dedicate a quel tema ed è in questo modo che si realizza l'inversione del setting tradizionale e si può parlare così di Flipped classeroom. Disabilità e sindromi più frequenti nelle scuole: Si stima che la disabilità più frequente sia quella intellettiva, che riguarda il 42,6% degli studenti; seguono poi i disturbi dello sviluppo e quelli del linguaggio che interessano rispettivamente il 25,6% e il 23,2% degli alunni, mentre nella scuola secondaria di primo grado, dopo la disabilità intellettiva, i problemi più frequenti sono legati ai disturbi dell’apprendimento e ai disturbi dello sviluppo. Nel 5° capitolo dell’ICD-10 (classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’OMS), possiamo trovare elencati i disturbi dell’apprendimento (DSA), come la dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia, disprassia. Tali disturbi sono molto frequenti, come molto frequenti sono la sindrome di down e l’autismo. Meno frequente come sindrome è la sindrome di Asperger. Autismo: Nel libro della Pavone, troviamo il capitolo dedicato proprio ai soggetti autistici. L’autismo è un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale. I disturbi dello spettro autistico sono variabili da un soggetto all’altro, tanto che si può dire che ogni bambino autistico è un caso a sé. I sintomi iniziali compaiono già nella prima infanzia, in particolare, i segni più o meno presenti riguardano queste aree: • La produzione e la comprensione del linguaggio verbale. Il bambino autistico non parla (o parla poco e con poca connessione alla realtà), e non comprende il linguaggio (o ne comprende solo alcune espressioni, senza però afferrarne le sfumature e i significati). • La comunicazione non verbale. Il soggetto autistico è incapace di comunicare attraverso le espressioni del volto, i toni della voce e il contatto fisico e visivo. • La socialità. I bambini autistici sono incapaci di inserirsi nel contesto sociale e familiare. • interessi. molto ristretti e seguono comportamenti rigidi e sempre uguali. • La risposta a stimolazioni ambientali (cibo, rumori, oggetti in movimento) è anomala e non adeguata. • Il potenziale cognitivo, la memoria, le capacità di calcolo, le abilità musicali e matematiche possono essere incredibilmente sviluppati. Come già accennato, ogni soggetto autistico è diverso dagli altri: schematicamente possiamo dividere le diverse manifestazioni dello spettro autistico in autismo ad alto funzionamento (soggetti capaci di comunicare verbalmente e dotati di un’intelligenza normale o addirittura superiore, tanto da avere a volte straordinarie abilità in molti campi) e autismo a basso funzionamento (soggetti che non sono capaci di usare un linguaggio appropriato e hanno capacità mentali insufficienti). Le cause sono tutt’oggi sconosciute. Quello che sappiamo è che l’autismo è una patologia psichiatrica con un’importante componente ereditaria: allo stato attuale si pensa che all’origine dei disturbi dello spettro autistico ci siano anomalie dei neuroni (le cellule nervose del cervello) e delle connessioni fra i neuroni stessi. Ciò provoca un irrigidimento delle funzioni del cervello e di conseguenza un’incapacità di mettere insieme in modo armonico queste molteplici funzionalità. Non ci sono prove dell’influenza di fattori esterni intervenuti dopo la nascita: vaccinazioni, alimentazione, assunzione di sostanze tossiche, interazione con i genitori. Dal 1972 in America si comincia a praticare il metodo TEACCH per la terapia dell’autismo (TEACCH è l’acronimo di Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children, trattamento ed educazione dei bambini autistici e diversamente abili nella comunicazione). Vi è anche un altro metodo, ABA (Applied Behaviour Analysis, ovvero analisi applicata del comportamento). Alla base di questo metodo c’è l’idea che i soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico siano, come tutti i bambini, aperti al cambiamento, a condizione che venga loro proposto con un approccio adeguato. Le proposte terapeutiche dei disturbi dello spettro autistico sono molte (ABA, Denver, DAN, psicomotricità, logopedia, comunicazione facilitata, pet therapy, ossigeno iperbarico, PECS, massaggio cranio-sacrale, vitamina B6, mindfulness, terapia in acqua, omeopatia…) e i genitori sono comprensibilmente disorientati…Il fatto è che guarire dall’autismo non è ancora possibile, perciò dovremmo smettere di pensare all’autismo come a una malattia e cominciare a considerarlo una “diversità neurologica”, indubbiamente invalidante ma non per questo priva di potenzialità di miglioramento e di adattamento. Asperger Hans Asperger fu uno degli scopritori dell’autismo infantile e ne descrisse una variante che da lui prese il nome: la Sindrome di Asperger. Si tratta di una forma di autismo ad alto funzionamento che possiede alcune delle caratteristiche tipiche dei disturbi dello spettro autistico (difficoltà nel linguaggio, nella comunicazione verbale e non verbale e nell’empatia), senza però che sia compromessa l’intelligenza e la capacità di condurre una valida vita di relazione. I soggetti affetti, contrariamente a quelli affetti da altri disturbi dello spettro autistico, non peggiorano nel tempo. Questi bambini spesso possiedono delle grandi capacità in alcuni campi e da adulti possono fare anche delle cose straordinarie. La famiglia del disabile: Nel libro della Pavone, vi è un capitolo intitolato “dinamiche familiari”. La famiglia è la prima realtà nel quale il soggetto disabile si trova. Dobbiamo considerare la famiglia in quell’otttica dinamica perché solo cosi significa immetterla a pieno titolo all'interno di un percorso terapeutico rivolto contemporaneamente al figlio ed a se stessa. la nascita di un bambino con disabilità può comportare per i familiari l'idea di una perdita e di conseguenza si presenta la necessità di elaborare un lutto. Il senso di perdita nasce dalla perdita di un immagine di figlio idealizzato, sognato, su cui si erano fatti degli investimenti affettivi considerevoli e che ha una menomazione od una disabilità e che, come tale, non corrisponde alle aspettative. Vi è una sorta di stato di shock, di incredulità, l'idea ricorrente "perchè è capitato proprio a noi?". Le famiglie che non riescono a superare il dolore inziale ed il conseguente stato di shock possono evidenziale diverse modalità differenti di risposta. Infatti si possono sviluppare manifestazioni di negazione della situazione, di non accettazione della diagnosi, nascondendo l'evidenza cercando giustificazioni oppure l'iperprotezione nei confronti del figlio attraverso l'ossessivo controllo del suo corpo, del suo comportamento e dell'ambiente in cui vive. Questa dinamica si manifesta esaminando i membri delle rispettive famiglie per trovare una motivazione di tipo genetico che poi si trasforma nel "capro espiatorio" a cui attribuire colpe , reali e supposte. La famiglia va considerata come la prima risorsa per la persona disabile e in quanto tale va aiutata a incrementare le proprie potenzialità, a sviluppare la resilienza, quale capacità di rispondere ai propri problemi con strategie flessibili e ricerche di aiuto e a porsi come soggetto in relazione e collaborazione con servizi, strutture e comunità. Importantissimo dire che la disabilità è un concetto che va collegato al contesto di vita, maggiore è la capacità del contesto familiare e sociale di rispondere ai bisogni differenziati dei soggetti, minore sarà la loro disabilità.