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Cosmopolis | rivista di filosofia e teoria politica
Giuseppe Mazzini.
Per una democrazia dei doveri
Tommaso Greco
Articolo pubblicato nella sezione "Libertà e democrazia nella cultura politico-giuridica italiana tra ’700 e ’800"
1. Vita e azione
Giuseppe Mazzini è uno dei pochi personaggi dell’intera storia politica italiana davvero noti
(più o meno) a tutti. Incarna perfettamente l’immagine dell’eroe dedito unicamente alla causa, e
così è stato sempre ricordato fuori e dentro il suo paese natìo. È stato un politico e un patriota
italiano del XIX secolo (Genova, 1805 - Pisa, 1872), certamente uno dei principali protagonisti
del processo storico del Risorgimento che ha portato l’Italia a diventare una nazione
indipendente e unitaria.
Formatosi in un ambiente familiare caratterizzato dalle simpatie giacobine del padre
Giacomo, medico e professore universitario, e dal rigore religioso di impronta giansenista della
madre Maria Drago, Mazzini maturò fin dalla giovane età la convinzione che la sua vita dovesse
essere dedicata alla causa della nazione italiana (lo racconta egli stesso nelle pagine iniziali delle
Note autobiografiche: v. Mazzini 2002, p. 51 ss.). L’unità di «pensiero e azione», uno dei suoi
motti principali, è stata pertanto la guida della sua vita travagliata, trascorsa prevalentemente in
esilio in Francia, Svizzera e soprattutto Inghilterra, dove ha interagito e stretto amicizia con
importanti intellettuali dell’epoca come Thomas Carlyle e John Stuart Mill (cfr. Mastellone 1994).
Dall’esilio, ha svolto un’azione incessante di stimolo e di organizzazione affinché il popolo
italiano si liberasse della dominazione straniera e si costituisse come nazione, analogamente ad
altri paesi europei. Dopo aver partecipato per breve tempo alle attività dell’organizzazione
segreta della carboneria, egli fondò associazioni come la Giovine Italia e la Giovine Europa il cui
scopo era di educare i giovani italiani ed europei all’azione per affermare nei rispettivi paesi gli
ideali di “Libertà Eguaglianza Umanità”. Nel 1849 fu uno dei triumviri della Repubblica Romana:
esperienza storica e costituzionale destinata a breve vita ma che avrebbe lasciato tracce
durevoli nella memoria del patriottismo italiano.
Sebbene la storia dell’unificazione italiana non abbia seguito le linee propagandate e
promosse da Mazzini, la cui opera politica è stata per certi versi fallimentare, è indubbio che la
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sua idea di creare una nazione unitaria (e poi anche repubblicana) abbia avuto la meglio su
altre, come ad esempio quella di Carlo Cattaneo, favorevole ad una soluzione federale. Inoltre,
per quanto il sistema di pensiero mazziniano sia stato spesso accusato di “astrattezza” e di
ambiguità, si può dire che le concezioni di questo autore rimangano uno dei riferimenti più alti
del patrimonio politico del repubblicanesimo italiano ed internazionale: non bisogna
dimenticare, ad esempio, che le idee di Mazzini hanno avuto profonda influenza su personaggi
come Tolstoj e Gandhi.
2. Repubblicanesimo e patriottismo
Proprio dal repubblicanesimo si possono prendere le mosse per presentare le idee
principali di Mazzini. La sua prima e più ferma convinzione era che la lotta per la liberazione
dell’Italia dovesse essere condotta eliminando la presenza della monarchia: non solo di quella
dei Savoia, che stava allargando la sua influenza dal Piemonte a tutta la penisola; ma di ogni
istituzione monarchica, rappresentativa di per sé, a parere di Mazzini, di quanto maggiormente
corrompe l’anima politica dei cittadini. Per costituirsi in Nazione, infatti, un popolo non solo
deve raggiungere l’unità e l’indipendenza dallo straniero, ma deve fondarsi su libertà e
uguaglianza, le quali non possono affermarsi e mantenersi dove il potere è ereditario e dove la
costituzione dello stato viene a fondarsi sul privilegio di alcune classi e di alcuni individui. La
legge del progresso - che per Mazzini governa senza dubbio le vicende e la storia degli uomini, e
riguarda quindi anche le istituzioni politiche - condanna la monarchia come istituzione del
passato, che deve lasciare il posto alla repubblica, maggiormente conforme allo spirito dei
tempi nuovi che vedono protagonisti i popoli e gli individui.
Si legga questo passo del 1831 riferito alla Giovine Italia, che ha tra i suoi caratteri quello di
essere “repubblicana”:
Repubblicana: perché teoricamente, tutti gli uomini di una nazione sono chiamati,
per la legge di Dio e dell’umanità, ad essere liberi, eguali, e fratelli; e l’istituzione
repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire [...] perché, dovunque il privilegio è
costituito a sommo dell’edificio sociale, vizia l’eguaglianza dei cittadini, tende a
diramarsi per le membra, e minaccia la libertà del paese (Istruzione generale per gli
affratellati nella Giovine Italia [1831], in Mazzini 2005, p. 180).
Una nazione fondata sulla libertà e sull’uguaglianza non può essere pensata perciò come
un organismo, formato da parti eterogenee e organizzate gerarchicamente, alla maniera del
pensiero organicista e nazionalista. Per Mazzini, come sottolineato più volte da Maurizio Viroli
(Viroli, 1995, 2009), la nazione è «un’associazione democratica di individui liberi ed uguali» che
vede nella patria, non un mero luogo geografico, bensì il terreno concreto di realizzazione della
libertà e della socialità; un’idea che non ha nulla da spartire con la tradizione del nazionalismo
politico in quanto quello di nazione è innanzi tutto un concetto morale ed etico-politico,
piuttosto che naturalistico. Sebbene non siano mancate interpretazioni di stampo nazionalistico
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(come, ad esempio, quella di Giovanni Gentile e in generale della cultura fascista), la patria è per
Mazzini il luogo della libertà, non della omogeneità etnica e culturale. Si spiega in tal modo
l’assoluta armonia che i concetti di nazione e di patria vengono a stabilire, nel pensiero di
Mazzini, con quello di umanità: chi lotta per la propria nazione non si pone in contrasto con le
altre nazioni e con gli altri uomini, ma lavora al fine di realizzare quella linea di progresso che
nell’umanità stessa vede lo scopo sempre rinnovantesi dello sviluppo della storia.
Un popolo di liberi e uguali è il vero fondamento dell’autorità; la quale non è mai un
qualcosa che viene imposto dall’alto ma si basa solo ed esclusivamente sul consenso popolare.
Il popolo è dunque al centro del pensiero politico di Mazzini, e sempre in un ruolo attivo: esso è
chiamato a intervenire direttamente nelle vicende della storia e a decidere autonomamente sul
proprio destino. Ogni inclinazione paternalistica è bandita, in una concezione nella quale tutto
deve essere fatto non solo «per il popolo» ma anche «per opera del popolo».
Queste convinzioni di principio diventano in Mazzini anche indicazioni di metodo. Poiché
mezzi e fini - come Mazzini non si stanca di ripetere - sono inestricabilmente connessi, la
politica del popolo per il popolo non può che passare dall’azione del popolo stesso, cui viene
sempre riconosciuta una capacità politica piena, che tutt’al più ha bisogno di maturare
attraverso l’educazione e la pratica della partecipazione.
Come si può vedere, i concetti in Mazzini formano una catena che li tiene insieme e li fa
derivare l’uno dall’altro. Lo stile tumultuoso e incalzante, appassionato e impaziente, che
caratterizza non solo la sua azione ma anche i suoi scritti, dà voce a una pluralità di idee, legate
strettamente le une alle altre. La linearità dei collegamenti, tuttavia, non si traduce
necessariamente in limpidezza di concetti, tanto che un illustre studioso del pensiero politico
del Risorgimento - Luigi Salvatorelli - ha parlato di «mistiche penombre mazziniane» e di un uso
talvolta «magico» delle parole (Salvatorelli 1975, p. 241). I concetti sono infatti concatenati ma
non sempre del tutto chiari nei loro confini teorici e nelle loro implicazioni pratiche. Francesco
De Sanctis, il padre della critica e della storia letteraria italiana, notava che «Mazzini e la sua
scuola sono notevoli più per fervore di ispirazioni religiose che per chiarezza di idee concrete»
(De Sanctis 1971, p. 48). Gaetano Salvemini, storico antifascista che è tra gli eredi della
tradizione mazziniana ed è tra i principali teorici italiani della democrazia, ha scritto che quelle
di Mazzini rischiano di essere «massime pericolosissime» (Salvemini 1961).
3. Critica dell’individualismo e dei diritti: per una
teorica dell’associazione e dei doveri
Appare indubbio che il pensiero di Mazzini si presenti con accenti fortemente ispirati, che
sono stati sovente accostati a quelli religiosi - Maurizio Viroli li ha recentemente definiti
“profetici” (cfr. Viroli 2021) -, i quali emergono, ad esempio, anche dalla concezione del ruolo
che gli individui svolgono nella società e nella storia. La centralità affidata al popolo non deve
far pensare a un autore “contrattualista”, al modo dei pensatori del XVII e del XVIII secolo. La
categoria chiave del pensiero mazziniano è quella di associazione; ma l’associazione alla quale
pensa Mazzini è frutto, non del calcolo degli interessi e della somma dei diritti individuali, bensì
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dello spirito innato di cooperazione di individui che si sentono legati gli uni agli altri e che lascia
trasparire, come notato da Galasso, quasi un «senso mistico della comunità popolare» nel quale
confluiscono l’idea della indipendenza e dell’unità, ma anche quella della «missione individuale»
di ciascun popolo nella realizzazione della comune umanità (Galasso 1961, p. 6).
La battaglia politica rivolta contro la monarchia, in nome di un’associazione repubblicana di
tipo cooperativo, ha come base filosofico-politica la ferma convinzione che il principio di
associazione - vera novità del secolo XIX - sia superiore moralmente e politicamente rispetto a
quello individualistico, di cui erano stati impregnati i due secoli precedenti. Da questo punto di
vista, il pensiero di Mazzini appare legato a quello di altri grandi pensatori dell’epoca, come
Auguste Comte o Félicité de Lamennais, nel far vedere i limiti e i vizi dell’individualismo assunto
a base della comunità politica e civile.
La critica dell’individualismo, dei suoi presupposti e delle sue conseguenze costituisce
l’argomento principale degli scritti più importanti di Mazzini: Fede e avvenire (1835), Interessi e
principi (1836), Dei doveri dell’uomo (1860). I difetti essenziali che il rivoluzionario e patriota
italiano imputa all’individualismo sono l’utilitarismo (frequente è la critica a Bentham) e il
materialismo, incapaci, a suo parere, di fondare sia la nozione di socialità, sia la nozione
dell’obbligo politico. Un individuo tutto chiuso nei suoi interessi ha impiantato «l’egoismo
nell’anima»: egli non solo si porrà con gli altri in una «lotta perenne», ma renderà instabile
l’edificio politico poiché, troppo educato a curare i suoi interessi, diverrà incapace di pensare e
di operare per il bene comune. Leggiamo questo bravo significativo tratto da Interessi e
princìpi:
L’individuo è sacro: i suoi interessi, i suoi diritti sono inviolabili; ma porli come
unico fondamento dell’edifizio politico, e dire agli individui: conquisti ciascuno, e colle
sole forze che ha, il proprio avvenire, è un dare la società e il progresso agli arbitrii del
caso e alle alternative di una lotta perenne; è un trascurare il fatto principale
dell’umana natura, la socialità; è un impiantar l’egoismo nell’anima e ordinare per
ultimo il dominio dei forti sui deboli, di quei che possiedono mezzi su quei che ne sono
privi (Interessi e princìpi, in Mazzini 2005, p. 503).
Mazzini individua pertanto nei diritti la cifra essenziale di una società pensata a partire
dall’individuo, ed è nella critica a questi che egli offre il suo maggior contributo al pensiero
filosofico-giuridico, condensato nell’opera del 1860, Dei doveri dell’uomo. I diritti, in sostanza,
sono considerati l’espressione giuridico-politica di una società nella quale gli individui stanno
tra loro separati e ripiegati su se stessi, costretti a cercare di prevalere gli uni sugli altri (a
immagine dello stato di natura hobbesiano), e dando vita a sempre nuove forme di
disuguaglianza provocate dall’urto delle forze dei singoli. C’è un passo dell’opera sui doveri che
è esemplificativo di questa visione, che sarà poi piuttosto diffusa tra i critici novecenteschi della
“società dei diritti”:
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Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria
condizione senza cercare di provvedere all’altrui; E quando i propri diritti si trovarono in
urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro ed insidie: guerra
meno virile dell'altra, ma ugualmente rovinosa: guerra accanita nella quale i forti per
mezzi schiacciano inesorabilmente i deboli o gl’inesperti. In questa guerra continua, gli
uomini s’educarono all’egoismo, e all’avidità dei beni materiali esclusivamente [...] A
questo siamo oggi, grazie alla teoria dei diritti (Dei doveri dell’uomo [1860], in Mazzini
2005, p. 857).
Se questi sono i difetti della “teorica” dei diritti occorre che essa sia convertita in una
“teorica” dei doveri, perché soltanto i doveri sono capaci di portare l’individuo fuori dal cerchio
dei suoi interessi e di legarlo solidalmente agli altri, dando vita ad una associazione stabile e
guidata dal sentimento di umanità. C’è perfetta corrispondenza negli schemi mazziniani: come
osservato da Pietro Costa, «interesse, diritto, individualismo si connettono e si contrappongono
al sacrificio, al dovere, alla dimensione associativa» (Costa 2000, p. 532 ss).
La denuncia dell’insufficienza dei diritti non conduce, tuttavia, Mazzini a predicare il loro
superamento. In generale, Mazzini vede la storia come un progressivo arricchimento, nel quale i
nuovi valori inglobano quelli vecchi, senza negarli; perciò, anche l’epoca dei doveri non
implicherà una negazione dei diritti, bensì una loro più piena realizzazione, dal momento che
l’efficacia dei diritti può essere garantita soltanto da un comune e diffuso adempimento dei
doveri: i diritti, infatti, «non sono se non una conseguenza di doveri adempiti» (Mazzini, Dei
doveri dell’uomo [1860], in Mazzini 2005, p. 854: su questo tema ha insistito, non solo nella sua
opera su Mazzini, A. Levi: cfr. Levi 1967). Rimane tuttavia la netta opposizione tra le due logiche
dei diritti e dei doveri: occorre quindi guardare ai doveri predicati da Mazzini non come ad un
semplice strumento pratico per risolvere il problema dell’efficacia dei diritti, bensì come alla
categoria morale e giuridica più adatta ad un’epoca nella quale il principio associativo, che per
Mazzini è principio di progresso ed è principio naturale del repubblicanesimo, ha preso il posto
di quello individuale. Se i diritti rischiano di lasciare l’uomo «pago della propria solitaria libertà»,
la teorica dei doveri è invece «madre al sagrificio»; e se i diritti hanno tutt’al più un valore critico
e distruttivo, i doveri hanno invece la capacità di edificare una società nuova basata su una fede
comune (Fede e avvenire, § VII; su questi temi, cfr. Mattarelli 2005).
4. L’educazione e le basi del nuovo ordine
Una “rivoluzione” della mente e dello spirito, come quella auspicata da Mazzini - una
rivoluzione che porti a «modificare, riformare, trasformare l’uomo tutto quant’è nell’unità della
vita» (Interessi e principi, in Mazzini 2005, p. 506) -, non può che conseguire da un’intensa e
prolungata opera di educazione. A questo tema, di cui sentiva tutta l’importanza e l’urgenza,
Mazzini ha dedicato non solo molti dei suoi scritti, ma anche un’azione concreta volta alla
realizzazione di alcune scuole per la formazione degli emigrati italiani.
Se il fine dell’educazione è formare l’uomo nella sua unità vanno concepiti unitariamente
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anche gli strumenti di cui ci si serve. Mazzini applica alla sua missione educativa lo stesso
metodo praticato nella sua esistenza. L’«unità e coerenza di tutti gli aspetti della vita» fanno sì
che in lui siano «sempre vicini il filosofo, l’uomo religioso, il politico, il letterato» (De Sanctis
1961, p. 54). Così, anche l’educazione del popolo deve avvenire attraverso tutti gli strumenti e
nessun ambito può sottrarsi a questa fondamentale missione. La letteratura e le arti, alle quali
Mazzini ha dedicato molti scritti giovanili, devono abbandonare la «falsa dottrina dell’arte per
l’arte» e volgersi alla funzione profetica di anticipare l’avvenire e cooperare alla sua formazione
esplicando consapevolmente e responsabilmente la loro enorme funzione sociale.
Il problema educativo, d’altra parte, costituisce per Mazzini - così come per altri pensatori
repubblicani, come Mill - il centro vero del governo democratico, le cui regole e istituzioni non
sono altro che strumenti o conseguenze del principio fondamentale dell’autonomia e del libero
sviluppo di ciascuno.
Il suffragio elettorale, le garanzie politiche, il progresso dell’industria, il
miglioramento dell’organizzazione sociale, tutte queste cose, ripeto, non sono la
Democrazia; non sono la causa per la quale ci siamo impegnati; sono i suoi mezzi, le
sue parziali applicazioni o conseguenze. Il problema che vogliamo risolvere è un
problema educativo; è l'eterno problema della natura umana [...] Noi democratici
vogliamo che l’uomo sia migliore di quanto egli è; che egli abbia più amore, un maggior
senso del bello, del grande, del vero; che l’ideale che egli persegue sia più puro, più
divino; che egli senta la propria dignità, abbia più rispetto per la sua anima immortale.
Che egli abbia, in una fede liberamente adottata, un faro che lo guidi, e le sue azioni
corrispondano a questo credo (Pensieri sulla democrazia in Europa, in Mazzini, 1997, p.
89).
Ciò è coerente con la visione, non solo morale ma profondamente religiosa, nella quale
Mazzini avvolge tutta la sua visione della realtà e tutta la sua costruzione politica e intellettuale.
Ed è coerente pure con la critica al socialismo e alla contrapposizione tra le classi, in nome di un
popolo che si educa e si sviluppa unitariamente.
La critica del socialismo si iscrive anch’essa nella più generale critica dell’individualismo e
dell’utilitarismo, ma non solo (cfr. Rosselli 1967). Ciò che divide profondamente Mazzini, prima
da Marx e poi anche da Bakunin, è l’idea della lotta di classe da un lato, e la proposta di
superamento della proprietà privata dall’altro lato. Proprio in virtù dell’importanza data
all’educazione, Mazzini credeva infatti nella possibilità concreta di una cooperazione tra le
classi, ciò che rappresentò il principale elemento di divisione da Marx nell’ambito della nascente
Internazionale socialista. Dall’altra parte, la proposta di superamento della proprietà privata
appariva a Mazzini una sicura “strada verso la schiavitù”, dal momento che l’organizzazione
sociale sarebbe dipesa da una «gerarchia arbitraria di capi» (Pensieri sulla democrazia in
Europa, Mazzini 1997).
I leaders del nascente internazionalismo operaio nemmeno potevano condividere
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l’ispirazione profondamente religiosa della politica mazziniana. In netta controtendenza rispetto
a quanto predicato dalle dottrine socialiste, la religione costituisce infatti il fondamento primo e
ultimo di tutto il pensiero mazziniano. Non una religione tradizionale, ma una religione nuova,
senza Chiesa, nella quale ogni uomo si rapporti direttamente con Dio, posto all’origine di tutti i
concetti fin qui esposti: senza fede in Dio, per Mazzini, non si dà società che non si riduca ad
anarchia o al dominio dei più forti. Ne deriva una stretta connessione tra religione e politica,
alla cui distinzione moderna Mazzini contrappone la convinzione che solo l’elemento religioso
può dare all’uomo quella fede in se stesso e quella passione per il dovere di cui necessita per
realizzare le sue più alte qualità di uomo e di cittadino al servizio dell’umanità (cfr. Viroli 2009;
Viroli 2021). La stessa legge umana è concepita quale applicazione della Legge data da Dio: il
diritto è legittimo solo in quanto manifestazione di quella Verità che è possibile conoscere
grazie alla convergenza tra la coscienza individuale e il consenso dell’Umanità.
Bibliografia di riferimento
Opere di Mazzini
Mazzini G. (2005), Scritti politici, a cura di T. Grandi e A. Comba, prefazione alla seconda
edizione di M. Viroli, UTET, Torino.
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Letteratura secondaria
Belardelli G. (2010), Mazzini, il Mulino, Bologna.
Bocchi A., Menozzi D. (a cura di, 2010), Mazzini e il Novecento, Edizioni della Normale, Pisa.
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Einaudi, Torino (Opere di F. De Sanctis, vol. XII).
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Roma-Bari.
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- (2009), Come se Dio ci fosse. Religione e libertà nella storia d’Italia, Einaudi, Torino.
- (1995), Per amore della Patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Laterza, Roma-Bari.
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CODICE ISSN: 1828-9231
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