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collana
STUDI MAZZINIANI
Mazzini
e la democrazia europea.
Commenti e riflessioni metodologiche
a cura di Marco
Barducci
CENTRO EDITORIALE TOSCANO
ISBN 10: 88-7957-285-7
ISBN 13: 978-88-7957-285-9
© Copyright 2008
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FAUSTO PROIETTI
In che senso è lecito e opportuno, oggi, parlare di un argomento
come “Mazzini e l’Europa”? Fino a qualche tempo fa lo si sarebbe fatto
limitandosi a mettere in luce la (ormai ben nota) matrice europeista del
pensiero di Mazzini, riferendosi tanto alla Giovine Europa quanto alle
molte altre organizzazioni, tutte orientate in favore di una concordia e
di una collaborazione tra i liberi popoli delle nazioni europee, che
Mazzini fondò o cui diede un contributo decisivo. Direi che oggi
possiamo farlo, invece, in un senso assai più ampio: parlare, cioè, non
solo del Mazzini europeista, ma anche, finalmente, del Mazzini pensatore
europeo. Infatti, grazie in particolare ad alcuni recenti studi di Salvo
Mastellone,1 è stata ormai riconosciuta da tutti o quasi gli storici la
dimensione autenticamente sovranazionale di un pensiero come quello
di Mazzini, perlomeno in riferimento a una fase di esso, colpevolmente
ignorata dalla storiografia precedente: la fase che coincide con la
preparazione, lo scoppio e il successivo fallimento, in Europa, dei moti
del 1848. Chi voglia dedicarsi allo studio della biografia intellettuale
mazziniana relativamente a quel periodo non può più limitarsi a
ricordare l’esperienza del triumviro di una effimera Repubblica Romana,
ma deve - sulla scia delle indicazioni di Mastellone, solidamente basate
su una mole imponente di fonti e documenti d’epoca per solito
“snobbati” da una certa storiografia - prendere in considerazione il
dialogo intellettuale, di altissimo livello, che intercorse, a Londra, tra
Mazzini stesso e altri esuli della democrazia europea. Si tratta di una
novità storiografica non da poco, che non riguarda, con tutta evidenza,
solo l’interpretazione del percorso intellettuale di Mazzini, ma induce a
ripensare, almeno entro certi limiti, l’intera storia del movimento
democratico e di quello socialista di metà XIX secolo.
Il contesto all’interno del quale l’evoluzione del pensiero politico
di Mazzini prende forma e sostanza negli anni che vanno dal 1846 al
1852 e oltre, il contesto che occorre ricostruire per comprendere nella
sua autentica dimensione storica il pensiero di questo autore, è quello
dell’emigrazione politica internazionale. Una rete di contatti, discussioni,
polemiche, che ha per sedi le grandi capitali dell’emigrazione
democratica: Parigi (ma solo fino al giugno del ’48), Londra e, sia pure
in misura minore, Bruxelles. Ecco allora che, a partire dalla traccia così
chiaramente definita da Mastellone, una ormai imponente serie di
studi si è concentrata non sulle singole figure, bensì, in modo
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assolutamente novatorio, sull’apporto che alcuni tra i maggiori pensatori
politici di metà Ottocento, da Mazzini2 a Ruge,3 da Linton4 a Carlyle,5
da Marx ed Engels6 a Herzen7 e Louis Blanc,8 portarono a un comune
dibattito riguardante confini, significati e contenuti della democrazia e
del socialismo europei.
Due aspetti mi sembra vadano sottolineati, perché rivestono
un’assoluta rilevanza ai fini di un’esatta comprensione e ricostruzione
di questa fase del dibattito politico. Il primo: si tratta di un dibattito che
ha luogo principalmente, se non unicamente, sulle colonne delle riviste,
dei quotidiani e dei periodici legati al movimento operaio inglese ed
europeo. Il secondo: si tratta, almeno a partire dalla metà del ’48, di un
dibattito tra sconfitti. Entrambi questi aspetti, mi pare, sono stati
compresi appieno da Mastellone, e da lui suggeriti, a noi tutti che ci
occupiamo dello studio del pensiero democratico e socialista europeo
attorno alla metà dell’Ottocento, come necessarie chiavi di lettura nel
nostro lavoro. Se non si prendono in mano i fogli periodici, da La voix
du Proscrit a The Friend of the People, da La Démocratie Pacifique a The
English Republic, e ci si limita a studiare quelle riflessioni che trovarono
forma monografica in volumi, pamphlets e simili, non si avrà mai una
visione d’insieme di un dibattito che, in questo come in pochi altri casi,
fu corale e globale, e trascese le barriere nazionali e di partito. Il fatto,
poi, che la maggior parte dei protagonisti di questa discussione epocale
fossero esuli, spesso costretti a emigrare a seguito di rivoluzioni fallite,
ha una rilevanza notevole in quanto fu proprio l’esperienza della
sconfitta, per molti di loro, la molla che, facendoli riflettere sulle cause,
li spinse a chiarire meglio il quadro concettuale, a meglio distinguere le
varie opzioni sul campo, e a ridefinire, in più di un caso, il contenuto
degli stessi termini politici da loro impiegati.
A una maggiore chiarezza lessicale li spingeva, peraltro - e non
sembri, questa, un’osservazione di minor conto - il loro stesso status di
esuli, l’essere costretti ad impiegare, per comunicare quotidianamente
coi propri simili, una lingua che non era la loro. I termini politici, che
spesso non trovavano esatti sinonimi nelle diverse lingue, vennero così
rielaborati, riadattati, ridefiniti, in un incessante sforzo di chiarificazione
interna, da tutti loro percepito come necessario in vista di una successiva
diffusione delle idee democratiche e socialiste in ambiti più vasti.
Proprio a partire da questa osservazione vorrei concludere questo mio
intevento con un paio di esempi pratici, relativi alla ricerca su Louis
Blanc che sto attualmente conducendo e, in questa chiave,
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particolarmente eloquenti.
Blanc approda a Londra nell’estate del 1848: nei mesi precedenti,
è stato protagonista della cosiddetta fase “democratica e sociale” della
Seconda Repubblica francese nata dalla Rivoluzione di febbraio. Gli
ateliers nationaux e la Commission du Luxembourg, istituiti per garantire
il diritto al lavoro, i primi, e, la seconda, per stimolare sul tema del
lavoro una discussione che coinvolgesse, assieme ai teorici come lo
stesso Blanc (presidente della Commission), anche gli operai stessi,
erano ormai stati smantellati. Le giornate insurrezionali di maggio e
giugno avevano segnato la fine della fase sociale della Repubblica;
quella democratica si sarebbe chiusa nel maggio del 1850, con
l’abolizione del suffragio universale maschile. Blanc, quindi, cercava
rifugio nell’esilio londinese; a Londra approdava non da sconosciuto,
ma da conclamato protagonista del più avanzato esperimento sociale
che si fosse tentato in Europa. Nel contesto intellettuale inglese, il suo
arrivo in qualche modo completava un dibattito che vedeva già in
campo le posizioni del comunismo tedesco, impersonate da Marx ed
Engels (il loro Manifesto era stato pubblicato, per il momento solo in
tedesco, nel febbraio dello stesso anno) e del repubblicanesimo, ben
rappresentata da Mazzini (autore alcuni mesi prima dei Thoughts upon
democracy in Europe, e beniamino di larghi settori dell’opinione pubblica
inglese). Rispetto a queste tendenze, Blanc intende diversificarsi
sostenendo la necessità di un socialismo al tempo stesso operaista e
solidale, fortemente incentrato sull’idea di associazione e di riformismo;
nel suo pensiero, come è noto, è lo Stato (ovviamente, lo Stato
democratico) a dover realizzare le riforme necessarie a garantire in
modo effettivo l’”organizzazione del lavoro”, per parafrasare il titolo
del suo testo più famoso (e ben conosciuto, in traduzione uscita
proprio nel ’48, dal pubblico inglese).
Ebbene, fin dai primi mesi del suo esilio londinese Blanc cercò di
chiarire, rivolgendosi direttamente alla classe operaia inglese, quale
fosse la sua concezione politica; e lo fece dando vita (nel 1849) a una
rivista, interamente da lui redatta, che usciva contemporaneamente in
lingua francese (Le Nouveau Monde) e inglese (The New World). Lo
studio in parallelo dei vari numeri della rivista francese e di quella
inglese è rivelatore, in quanto mostra un Blanc realmente impegnato,
per così dire, su due tavoli; l’edizione inglese, infatti, a un’attenta
analisi si rivela essere non la pura e semplice traduzione di quella
francese, ma una rivista autonoma, e sempre più autonoma col passare
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dei numeri; il quarto e ultimo fascicolo della versione inglese, pubblicato
nel novembre del ’49, non presenta quasi nessuna somiglianza con
l’analogo fascicolo della versione francese, e sembra avere come specifico
referente e destinatario l’opinione pubblica interna al movimento operaio
inglese. Del resto, anche i primi tre numeri della rivista, che presentavano
molti articoli tradotti dalla versione francese, sono interessanti proprio
in quanto rivelano quei problemi di adattamento del lessico cui facevo
cenno precedentemente: tipico caso quello del termine “solidarity”,
che in un articolo viene esplicitamente presentato come un neologismo
necessario per rendere in inglese il corrispondente francese e il suo
significato al quale, in quella lingua, non corrisponderebbe altrimenti
uno specifico termine. Altrettanto evidente, per restare in tema, è il
tentativo da parte di Blanc di depurare il termine socialism da quegli
attributi che spaventavano l’opinione pubblica piccoloborghese, e quella
inglese in particolare, per ricondurlo nell’alveo della triade
rivoluzionaria: Liberty, Equality, Fraternity. Ciò è evidente, ad esempio,
in una serie di articoli chiaramente “didattici”, pubblicati nella rivista
di Julian Harney The Friend of the People durante l’estate del 1851, da
titolo complessivo Socialism.
Un altro esempio: nell’aprile del 1852, dalle colonne della rivista
“mazziniana” (così l’ha, giustamente, definita Mastellone) The English
Republic, Linton, polemizzando in modo evidente con Blanc, ne riutilizza
lo schema retorico, si appropria del motto «liberté - égalité – fraternité»,
ossessivamente ripetuto da Blanc nei suoi scritti di quel periodo, per
dimostrare che questi lemmi appartengono in modo esclusivo al lessico
repubblicano, e non a quello socialista. Nello stesso periodico, sempre
Linton aveva già pubblicato nel 1851 un Republican catechism che
andrebbe letto in parallelo con il Catéchisme des socialistes scritto da
Blanc nel 1849 e riproposto in inglese, con piccole rielaborazioni, nei
già citati articoli del Friend of the People; la somiglianza tra i due testi è
stupefacente, a cominciare dalla comune struttura dell’argomentazione
in forma di dialogo, per domande e risposte.
Molti esempi ancora si potrebbero enumerare, e moltissimo resta
da fare per portare alla luce, nella sua ricchezza e complessità, il
dibattito che Mastellone ha iniziato a dissodare; l’impressione è che
una vera e propria nuova stagione storiografica si sia aperta in questi
anni, e che molte siano ancora le sorprese che ci attendono, molti i
luoghi comuni che occorrerà rivedere.
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1
Mi limito qui a ricordare i principali: S. MASTELLONE, Mazzini scrittore
politico in inglese. “Democracy in Europe (1840-1855), Firenze, L.S. Olschki,
2004; Id., Mazzini e Linton cit.
2
Oltre ai citati saggi di Mastellone, segnaliamo almeno, a cura dello stesso
autore, i due volumi di Atti del Convegno tenutosi a Firenze presso il Gabinetto
Vieusseux nei giorni 11 e 12 marzo 2005, su Mazzini e gli scrittori politici
europei cit., nonché il recentissimo L. La Puma, Giuseppe Mazzini democratico
e riformista europeo, Firenze, Olschki, 2008.
3
S. AMATO, Umanesimo, patria e democrazia nel pensiero politico di Arnold
Ruge, in Mazzini e gli scrittori politici europei cit., pp. 369-415; Id., Due lettere
di Mazzini ad Arnold Ruge non pubblicate nell’Edizione Nazionale, «Il pensiero
politico», XXXVIII, 2005, pp. 249-269.
4
S. Mastellone, Mazzini e Linton cit.
5
M. BARDUCCI, Giuseppe Mazzini e Thomas Carlyle, in Mazzini e gli scrittori
politici europei cit., pp. 29-42; Id. (a cura di), Mazzini e il repubblicanesimo
inglese cit.
6
G.M. BRAVO, op. cit.
7
Segnalo l’interessantissima relazione di Leonardo La Puma sul tema Pisacane,
Herzen e Garibaldi nel Convegno su “Garibaldi nel pensiero politico europeo”
(Genova, 20-22 settembre 2007), i cui Atti sono di prossima pubblicazione.
8
C. DE BONI, Mazzini e Blanc, in Mazzini e gli scrittori politici europei cit., pp.
491-516. Su questo stesso filone, segnalo anche un mio volume, di prossima
uscita, riguardante la prima fase dell’esilio londinese di Blanc (1848-1852) e i
rapporti tra questi e gli altri esuli che si trovavano a Londra.
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INDICE
Premessa, di Salvo Mastellone
Introduzione, di Marco Barducci
COMMENTI E RIFLESSIONI METODOLOGICHE:
FIRENZE
Arturo Colombo
Biagio De Giovanni
Vittorio Dini
Michela Nacci
PERUGIA
Carlo Carini
Salvatore Cingari
Gian Biagio Furiozzi
Fausto Proietti
GENOVA
Fabio Bertini
Anna Maria Lazzarino Del Grosso
Maria Antonietta Falchi Pellegrini
Alberto de Sanctis
Indice dei nomi
pag. 5
” 15
”
”
”
”
31
37
49
57
”
”
”
”
69
79
85
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” 95
” 103
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” 125
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