Academia.eduAcademia.edu

Guardare avanti

2022, Tuttoscuola, febbraio

È triste vedere sui giornali e alla televisione scuole con le aule semivuote, nelle quali si tenta di ripetere i rituali consueti prima della pandemia. Le lezioni si susseguono nell’incertezza che possano proseguire il giorno seguente. Altrimenti si attende, come una mannaia, il passaggio dall’istruzione in presenza a quella a distanza. o, almeno, a quella che per insipienza ci si ostina a chiamare DaD (didattica a distanza), senza tener conto che non si tratta di una provvida intuizione degli anni recenti, ma di un modo di organizzare l’insegnamento e l’apprendimento che si è venuto costituendo nel XiX secolo, con almeno un precedente illustre nel XViii (quello immaginato e messo in opera da J.- J. Rousseau per introdurre allo studio della botanica una bambina, figlia della sua amica Madame Delessert). Nè si può ignorare il ruolo che l’istruzione a distanza ha avuto nell’alfabetizzazione di paesi come il Canada o l’Australia, nei quali una popolazione relativamente modesta era dispersa in territori vastissimi. L’istruzione a distanza ha avuto una parte rilevante anche nel consentire l’accesso agli studi superiori: negli Stati Uniti già alla fine dell’Ottocento era possibile conseguire a distanza un diploma di studi superiori. Lo stesso è accaduto nel corso del Novecento in Francia, Regno Unito, Unione Sovietica, Germania, Spagna e in numerosi altri paesi.

Guardare avanti Benedetto Vertecchi È triste vedere sui giornali e alla televisione scuole con le aule semivuote, nelle quali si tenta di ripetere i rituali consueti prima della pandemia. Le lezioni si susseguono nell’incertezza che possano proseguire il giorno seguente. Altrimenti si attende, come una mannaia, il passaggio dall’istruzione in presenza a quella a distanza. O, almeno, a quella che per insipienza ci si ostina a chiamare DAD (didattica a distanza), senza tener conto che non si tratta di una provvida intuizione degli anni recenti, ma di un modo di organizzare l’insegnamento e l’apprendimento che si è venuto costituendo nel XIX secolo, con almeno un precedente illustre nel XVIII (quello immaginato e messo in opera da J.- J. Rousseau per introdurre allo studio della botanica una bambina, figlia della sua amica Madame Delessert). Né si può ignorare il ruolo che l’istruzione a distanza ha avuto nell’alfabetizzazione di paesi come il Canada o l’Australia, nei quali una popolazione relativamente modesta era dispersa in territori vastissimi. L’istruzione a distanza ha avuto una parte rilevante anche nel consentire l’accesso agli studi superiori: negli Stati Uniti già alla fine dell’Ottocento era possibile conseguire a distanza un diploma di studi superiori. Lo stesso è accaduto nel corso del Novecento in Francia, Regno Unito, Unione sovietica, Germania, Spagna e in numerosi altri paesi. È il caso di rilevare che in genere la promozione di studi a distanza ha corrisposto alla costituzione di importanti strutture per la ricerca. La loro assenza generalmente segnala un’offerta di studi con finalità commerciali, anche se viene presentata come universitaria. Del resto, basta passare in rassegna l’attività delle principali organizzazioni operanti in altri paesi per notare che, in modi variamente integrati, affiancano all’impegno didattico quello per l’incremento delle conoscenze. È il caso, fra i molti altri che si potrebbero menzionare, della Open University (Regno Unito), del Centre National d'Enseignement à Distance (Francia), della Staatliche Zentralstelle für Fernunterricht (Germania), della Universidad Nacional de Educación a Distancia (Spagna). In Italia il proliferare di iniziative che si è avuto negli ultimi decenni non è in alcun modo paragonabile agli esempi sopra proposti. Le istituzioni per l’istruzione a distanza non godono del consenso pubblico di quelle operanti altrove, e le opportunità di studio che offrono sono spesso percepite come soluzioni di ripiego. Non sorprende perciò che quando si è ritenuto necessario, per l’incalzare della pandemia, che le scuole sostituissero l’attività in presenza con quella a distanza, dopo un breve periodo iniziale di attesa, nelle famiglie e in genere nella pubblica opinione siano rapidamente subentrati atteggiamenti critici. Quella che in un primo momento era sembrata una soluzione, transitoria ma accettabile, è diventata rapidamente un fattore della scarsa qualità degli apprendimenti degli allievi. Non si possono certamente generalizzare i comportamenti delle scuole, ma è indubbio che fin dagli inizi della pandemia è mancata una linea strategica capace di sostenere l’educazione scolastica e adeguarla, tramite scelte capaci di superare la contingenza, non solo alle esigenze del momento, ma a quelle che presumibilmente si presenteranno una volta che, per il recedere della pandemia, il sistema educativo riprenda il suo sviluppo. In mancanza di riferimenti qualificati, non si vede che cosa altro possano fare gli insegnanti se non cercare di proseguire in quella che da sempre rappresenta la traccia per il loro impegno, ovvero svolgere il programma, riprendendo e adattando l’unico stile di lavoro al quale sono abituati, quello centrato sulla diade lezione-valutazione. In effetti al momento sarebbe possibile immaginare percorsi alternativi solo a condizione di non lasciare che indicazioni improvvisate, intrise di senso comune, corrompano le interpretazioni didattiche con proposte che sono il frutto di pensieri solitari, il più delle volte impraticabili, e che non è raro che finiscano col creare situazioni peggiori di quelle che si vorrebbero sostituire. Eppure, è proprio ciò che è accaduto. Di fronte alla impossibilità di fare scuola nel modo consueto, si è indicata come soluzione immediatamente praticabile l’istruzione a distanza. I soliti esperti de omni et de nullo si sono affrettati a porre a disposizione la sapienza di cui non dispongono, accreditando analogie tra le esigenze della comunicazione educativa e le dotazioni strumentali disponibili nel mercato. Meglio sarebbe stato, dopo la breve fase messianica, invece di tuonare sulle implicazioni negative dell’istruzione a distanza, sviluppare una seria autocritica che avesse inizio con l’ammissione del vuoto concettuale che non si è neanche in parte cercato di colmare. Una seria autocritica supporrebbe, tuttavia, che si aggiornassero con continuità le interpretazioni sincroniche (ciò che appare al momento) con quelle diacroniche (i cambiamenti che si sono verificati e quelli che è possibile ipotizzare in un futuro più o meno lontano). Colpisce, invece, la staticità degli orientamenti emergenti, che sembrano solo preoccupati di ripristinare il quadro educativo precedente alla pandemia. Ciò non sarebbe possibile in ogni caso, poiché i cambiamenti sono sempre in atto, e lo sono in particolare in un periodo in cui ciò che era è sempre più lontano e ciò che potrebbe essere è ritardato da ragioni che sono estranee all’educazione. Eppure, non ci si può astenere dal riflettere sui cambiamenti che intervengono nelle condizioni di vita di bambini e ragazzi, nella rapidità con la quale si acquisiscono nuove conoscenze, nella necessità di aggiornare o sostituire gli apprendimenti conseguiti negli anni dell’istruzione sequenziale, nella difficoltà di prevedere quale possa essere il destino di vita di chi, avendo concluso la fase dell’istruzione sequenziale, vorrebbe partecipare alle attività produttive. Sono solo alcuni punti, sui quali la riflessione non può prescindere dall’elaborazione di nuove ipotesi e di progetti di ricerca ad esse collegate. Al futuro, se non si crede alla sfera di cristallo, ci si può preparare solo intensificando l’impegno per la ricerca. L’opportunità di dar vita a un Istituto Nazionale per la Ricerca Educativa era già stata sostenuta da Aldo Visalberghi negli anni Sessanta, come condizione per la reale efficacia del nuovo ordinamento introdotto con la riforma della Scuola Media. Allora non se ne fece nulla, e oggi se ne vedono le conseguenze. Che sia giunto il momento di riprendere quei disegni? 1