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Sulla dote di Pudentilla nell’Apologia di Apuleio

2019, ERGA-LOGOI - Rivista di storia letteratura diritto e culture dell’antichità

Rivista di storia, letteratura, diritto e culture dell'antichità 7 (2019) 1

Erga -Logoi Rivista di storia, letteratura, diritto e culture dell’antichità 7 (2019) 1 La produzione ateniese di vasellame in bronzo in epoca arcaica e classica: forme, stile, caratteristiche Chiara Tarditi 6 Euripides and the Origins of Democratic «Anarchia» Jonah F. Radding 57 Lysias, Isocrates and the Trierarchs of Aegospotami Aggelos Kapellos 85 The Political and Paideutic Function of Pleasure in Plato’s Philosophy Artur Pacewicz 103 Sulla dote di Pudentilla nell’Apologia di Apuleio Silvia Stucchi 137 La favola in Gregorio di Nazianzo Marco Settecase 149 Note sull’origine delle rubriche di D. 18, 2 (De in diem addictionem) e D. 18, 3 (De lege commissoria) Daniil Tuzov 187 RECENSIONI REVIEWS Fabrizio Gaetano C. Sánchez Mañas, Los oráculos en Heródoto. Tipología, estructura y función narrativa (2017) Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 5 203 Sulla dote di Pudentilla nell’Apologia di Apuleio Silvia Stucchi DOI: https://dx.doi.org/10.7358/erga-2019-001-stuc ABSTRACT: This article tries to make a point about the question of Pudentilla’s dowry and the role that it played in Apuleius’s self-defense in his Apology. After having examined the type of evidence showed by Apuleius in the law court, the order in which it is presented and the function it has in the oration, we proceed to examine the question of the dowry. This is linked to the circumstance of a wedding celebrated in the isolation of the country and not in town, an unusual, though not illicit custom. From Apuleius’s evidence, we can deduce that the rhetorician will base his defense on the concepts of Pudentilla’s self-mastery and freedom of choice; moreover we can assume that the dowry had been fixed according to the dotis promissio and not the dotis dictio regulation. KEYWORDS: Apologia; Apuleio; dote; dotis dictio; dotis promissio; libera volontà dei coniugi; matrimonio romano – Apology; Apuleius; dotis dictio; dotis promissio; dowry; Roman wedding; self-mastery of the spouses. 1. – Buona parte dell’argomentazione difensiva di Apuleio nell’Apologia verte, come è noto, sulla necessità, da parte dell’imputato, di discolparsi dall’accusa di avere familiarità con le arti magiche (Apol. 1-66) 1, la cui 1 Nell’ordine, le accuse rivolte ad Apuleio in questa sezione dell’opera sono le seguenti: essere un filosofo bello ed eloquentissimo; avere composto poesie leggere e immorali; avere inviato a Calpurniano una polverina sbiancante per i denti dalle origini misteriose; possedere uno specchio; essere povero, tanto da essere giunto male in arnese e con un solo schiavo in città; essersi procurato pesci rari, pagandoli a caro prezzo, e averli fatti a pezzi come per realizzare un filtro d’amore; avere incantato e stregato un ragazzo, Tallo, che, alla luce fioca di una lucerna e in presenza di pochi testimoni, era caduto a terra come morto; avere avuto lo stesso effetto su una donna libera; conservare certi oggetti misteriosi e celati agli occhi di tutti avvolti in un fazzoletto di lino presso i Lari di Ponziano; avere tenuto misteriose cerimonie notturne in una dimora che gli era stata prestata, in conseguenza delle quali la casa era risultata imbrattata e cosparsa di penne d’uccelli; possedere una statuetta dall’aspetto spaventoso, come di un orribile cadavere eviscerato. Per la struttura dell’Apologia, rimando a Stucchi 2016, 41 ss. Sull’effettivo rischio corso da Apuleio a causa di un’accusa di magia, e sul fatto che solo apparentemente la smentita delle accuse relative alla familiarità con le pratiche magiche Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 137 Silvia Stucchi conoscenza sarebbe stata impiegata per costringere Pudentilla, una ricca vedova, più matura di Apuleio, a sposare il giovane retore, all’incirca trentenne. Si sarebbe quindi trattato, secondo l’accusatore di Apuleio, il figliastro Pudente, e secondo i suoi patroni (e, di fatto, istigatori), Emiliano e Rufino, di un volgare matrimonio d’interesse, e la ricca dote della moglie avrebbe influito non poco nell’ingolosire il giovane intellettuale, giunto ad Oea in ristrettezze economiche, o comunque in una situazione certamente non florida. Ma quale ruolo riveste precisamente nella causa la questione relativa alla dote? È molto indicativo che Apuleio presenti solo nel finale dell’orazione le prove documentarie che dimostrano, inoppugnabilmente, la sua innocenza, o, quantomeno, il suo disinteresse materiale nel contrarre un simile matrimonio. La prima di esse è il testamento della moglie, dissigillato sotto gli occhi di Claudio Massimo, governatore della provincia dell’Africa Nova, e giudice della causa (Apol. 100: Rumpi tabulas istas iube, Maxime […]; Sicinius Pudens filius meus heres esto; Apol. 101: At ego hasce tabulas, Maxime hic ibidem pro pedibus tuis abicio […]). Dal testamento si evince con tutta chiarezza che Pudentilla ha nominato erede il figlio Pudente, benché moralmente indegno (Apol. 100 e 102). Inoltre, in Apol. 101, Apuleio rigetta l’accusa di essere proprietario di un vasto appezzamento di terreno, acquistato, secondo l’accusa, a suo nome con il denaro della moglie (Apol. 101: Dixistis me magna pecunia mulieris pulcherrimum praedium meo nomine emisse). Il terreno, al contrario, altro non è se non un exiguum herediolum comprato da Pudentilla a proprio nome. E che esso appartenga davvero a Pudentilla lo dimostrano, oltre al fatto che nei documenti si trova il nome della donna come compratrice (Apol. 101: id quoque non me, sed Pudentillam suo nomine emisse, Pudentillae nomen in tabulis esse), anche le ricevute delle imposte su quel terreno, che indicano come le tasse siano pagate proprio da Pudentilla (Pudentillae nomine pro eo agello tributum dependi). Di fatto, tre sono le prove documentarie inoppugnabili citate per attestare la buona fede di Apuleio e il suo disinteresse: il testamento di Pudentilla, che viene letto davanti al giudice della causa Claudio Massimo, l’atto di acquisto del terreno e le ricevute delle imposte relative al terreno stesso. Di fronte quindi alla inconsistenza delle accuse, e data l’evidente assenza di un movente, Apuleio di rivolge al suo accusatore, chiedendo in tono sferzante (Apol. 102) se questo è il risultato dei carmina e dei veneficia che lo si è accusato di avere dispiegato con diabolica maestria: rappresenti un divertissement senza grande peso ai fini dell’argomentazione, cf. Castagna 1984. Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 138 Sulla dote di Pudentilla nell’«Apologia» di Apuleio Quod pretium magiae meae repperisti? Cur ergo Pudentillae animum veneficiis flecterem? Quod ex ea commodum caperem? Uti dotem mihi modicam potius quam amplam diceret? O praeclara carmina. An ut eam dotem filiis suis magis restipularetur quam penes me sineret? Quid addi ad hanc magian potest? Il giovane retore può quindi concludere ricapitolando, poco dopo, nella conclusione di Apol. 102, le circostanze e le prove che lo scagionano, allontanando l’infamante sospetto di essere un vile cacciatore di dote: Divitias saltim concupierat? Negant tabulae dotis, negant tabulae donationis, negant tabulae testamenti, in quibus non modo non cupide appetisse, verum etiam dure reppulisse liberalitatem suae uxoris ostenditur. Quindi, rispetto alle tre prove poco prima citate, che lo scagionerebbero, dando prova della sua buona fede (testamento, atto d’acquisto e pagamento delle imposte relative all’herediolum), Apuleio in Apol. 102 ci dà una serie leggermente diversa delle evidenze materiali a suo favore; qui, infatti, non compaiono più le ricevute di pagamento delle imposte sul terreno, ma le tabulae dotis: si parla di tabulae dotis, tabulae donationis, tabulae testamenti. Si fa cioè riferimento alla dote di Pudentilla, cui si allude anche in Apol. 67. In quel punto dell’opera, conclusa l’enumerazione delle abitudini, degli atti e delle circostanze che avrebbero potuto alimentare il sospetto di familiarità di Apuleio con le arti magiche, inizia la narratio vera e propria 2. Pertanto, in Apol. 67 vengono ricapitolati i cinque punti su cui si articola l’accusa: […] haec obiecere: una res est, quod numquam eam voluisse nubere post priorem maritum, sed meis carminibus coactam dixere; altera res est de epistulis eius, quam confessionem magiae putant; deinde sexagesimo anno aetatis ad lubidinem nupsisse, et quod in villa ac non in oppido tabulae nuptiales sint consignatae, tertio et quarto loco obiecere; novissima et eadem invidiosissima criminatio de dote fuit: ibi omne virus totis viribus adnixi effundere, ibi maxime angebantur, atque ita dixere me grandem dotem mox in principio coniunctionis nostrae mulieri amanti remotis arbitris in villa extorsisse. Sull’età della sposa al momento delle nozze (sessant’anni, come si vociferava 3) e circa il fatto che si sarebbe voluta rimaritare soltanto ad lubidinem, cioè per soddisfare bassi piaceri fisici, non mette quasi nemmeno conto spiegare l’inconsistenza di tali insinuazioni, dato il diffondersi del giovane marito sui disturbi e i disagi che avevano determinato il suggeCf. Stucchi 2016, 41 ss. Lo si arguisce da Apol. 67, in cui Apuleio, fra i cinque punti che gli conviene esaminare, afferma: deinde sexagesimo anno aetatis ad lubidinem nupsisse. 2 3 Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 139 Silvia Stucchi rimento di medici e ostetriche alla vedova di risposarsi (Apol. 69: medici cum obstetricibus consentiebant penuria matrimonii morbum quaesitum). In relazione all’età, Apuleio, in un momento successivo, esibirà in tribunale anche l’atto di nascita della moglie (Apol. 89); inoltre, dobbiamo ricordare che la lex Iulia de maritandis ordinibus (18 a.C.) imponeva il matrimonio agli uomini dai 25 ai 60 anni, e alle donne dai 20 ai 50 4. La lex Papia Poppaea nuptialis, di qualche anno successiva (9 d.C.), vi aggiungeva poi, per le stesse età, l’obbligo della procreazione 5. Apuleio ricorda che Pudentilla, rimasta priva del marito in ipso aetatis suae flore (Apol. 68), si mantenne nella condizione vedovile, con grave rischio per la sua salute, per ben quattordici anni. La vedovanza ‘nel fiore dell’età’ non doveva essere iniziata molto prima dei trent’anni: dunque, al momento del secondo matrimonio, la donna doveva avere quarant’anni, o forse poco più. La differenza d’età con il marito, all’incirca trentenne, sarebbe stata quindi molto più ridotta di quanto non volessero insinuare gli avversari del retore, e doveva consistere in dieci-quindici anni circa. Quanto alla dote, i suoi atti costitutivi (dotis datio, dictio, promissio) non necessitavano, in età classica, di un testo scritto 6. Già negli ultimi anni della repubblica e nell’età del principato divenne però consueta la redazione di un documento (la cui denominazione poteva variare: tabulae nuptiales, tabellae nuptiales, instrumentum nuptiale), in cui si chiariva non solo il rapporto dotale che si costituiva, ma anche il rapporto matrimoniale in cui esso si inscriveva 7. I documenti dotali, dunque, avevano una funzione meramente probatoria. Inoltre, nel diritto romano, di età imperiale come anche in quello repubblicano, era consentito il matrimonio senza dote e senza documento dotale, come attesta Quintiliano 8 nel 4 Cf. Astolfi 2006, 66. Che Augusto non vedesse con favore il matrimonio delle persone anziane si ricava anche da Val. Max. VII 7, 4, in cui una donna di età avanzata sposa, in odio ai figli, un uomo non più giovane. In questo caso viene costituita la dote, la donna fa testamento e disereda i figli, ma Augusto invalida (improbavit) sia il testamento che le nozze. Sulla valutazione storica di questi provvedimenti legislativi, cf. Astolfi 19953, 321-337, che ne ricorda gli effetti non solo demografici, ma soprattutto fiscali; in part., sull’applicazione e le conseguenze di queste norme nel II secolo d.C. e oltre, cf. Astolfi 19953, 344-356. 5 Questa legge in verità l’imponeva a un’età inferiore a quella iniziale prevista dalla lex Iulia per il matrimonio; tale età fu fatta coincidere con quella della lex Iulia soltanto da Settimio Severo, come ricaviamo da Tert. Apol. IV 8; cf. Astolfi 2006, 250. 6 Cf. Astolfi 19953, 155-156 e Astolfi 2006, 62-63. 7 Cf. Astolfi 2006, 67, e, per esempio, Tac. ann. 6, 30 e Suet. Claud. 26, 5 e 29; inoltre, significato uguale hanno, in fondo, le affermazioni in Apol. 67, 68 e 88, poste in relazione con il già esaminato punto di Apol. 102. 8 Cf. Inst. V 11, 32: Nihil obstat quo minus iustum matrimonium sit mente coeuntium, etiam si tabulae signatae non fuerint; nihil enim proderit signasse tabulas, si mentem Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 140 Sulla dote di Pudentilla nell’«Apologia» di Apuleio I secolo d.C., e come conferma Probo 9 ancora a fine III secolo d.C.: l’assenza di questi elementi non inficiava la veritas matrimonii. 2. – Il quarto punto che l’accusa contesta ad Apuleio riguarda il fatto che le tabulae nuptiales fossero state consignatae in campagna, in villa ac non in oppido: la lontananza da un contesto pubblico come la città, in altre parole, poteva alimentare il sospetto che Apuleio avesse agito attuando quella che oggi definiremmo ‘circonvenzione di incapace’, isolando cioè una vedova ricca e sprovveduta dai suoi amici e familiari, dopo averla ridotta in sua balìa con riti di magia erotica, per meglio approfittare di lei nell’isolamento della campagna (Apol. 87). A questa insinuazione il retore risponde che le seconde nozze furono celebrate in sordina per un motivo che potremmo definire di buongusto e di attenzione alle risorse domestiche, quasi, diremmo, da buoni borghesi ante litteram: celebrare il matrimonio in suburbana villa era stata infatti una scelta dettata dalla volontà di risparmiare un ulteriore, significativo esborso di denaro, evitando cioè che i clienti e i concittadini si precipitassero a richiedere la sportula d’uso (Apol. 87: ne cives denuo ad sportulas convolarent). Pudentilla, infatti, aveva da poco donato cinquantamila sesterzi, nel giorno in cui Ponziano, il figlio maggiore, si era sposato e in cui Pudente, il minore, aveva indossato la toga virile (ibid.: cum haud pridem Pudentilla de suo quinquaginta milia nummum in populum expunxisset ea die qua Pontianus uxorem duxit et hic puerulus toga est involutus). Inoltre, con quel sano buonsenso tipico dell’età matura, celebrare un matrimonio senza fasto e senza cerimonie solenni era stata una scelta volta a liberare i due novelli sposi da tutte le seccature che essi sarebbero stati altrimenti costretti ad affrontare (Apol. 87: praterea ut conviviis multis ac molestiis supersederemus quae ferme ex more novis maritis obeunda sunt). In sostanza, alla seconda parte dell’accusa formulata nell’ultimo punto di Apol. 67 (atque ita dixere me grandem dotem […] mulieri amanti remotis arbitris in villa extorsisse), si risponde in Apol. 87, chiarendo come quella insolita cerimonia nuziale, così intima e lontana da ogni fasto, sarebbe stata una manifestazione insieme di accortezza amministrativa e di sobrietà e buongusto. Non solo, quindi, il quarto punto dell’accusa ha una precisa motivazione di ordine pratico, ma non configura nemmeno matrimonii non fuisse constabit; cf. Astolfi 2006, 42, n. 35, che rimanda inoltre, in proposito, a Treggiari 1991, in part. 54-88. 9 Cf. Probus Fortunatus CJ. 5, 4, 9: Si vicinis vel aliis scientibus uxorem liberorum procreandorum causa domi habuisti et ex eo matrimonio filia suscepta est, quamvis neque nuptiales tabulae neque ad natam filiam pertinentes factae sunt, non ideo minus veritas matrimonii aut susceptae filiae suam habet potestatem. Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 141 Silvia Stucchi un reato, dato che i coniugi possono, ma non devono chiedere l’assistenza di testimoni quando contraggono matrimonio, così come, in questa circostanza, possono, ma non devono provvedere alla redazione di un documento 10. Pertanto, il matrimonio è valido anche senza testimoni o codicilli, e può essere provato anche con mezzi diversi dalla testimonianza o dalla produzione di documenti, benché, nota Luigi Pellecchi, un matrimonio di questo tipo dovesse sembrare oltremodo strano, se si considera lo status sociale della sposa; e Apuleio, sempre secondo Pellecchi, darebbe qui l’impressione di non riuscire del tutto a ridimensionare i rilievi che gli sono stati mossi 11. Per cui, ci si potrebbe chiedere per quale motivo Apuleio enumeri, come prove che attestano inoppugnabilmente la sua innocenza, dapprima una serie di tre documenti fra i quali non compaiono le tabulae dotales, per poi citarle successivamente; e certo, le ricevute di pagamento delle imposte sul terreno rappresentano solo una sorta di corollario a conferma dell’atto di acquisto a nome di Pudentilla. Apuleio ha serbato per l’ultima sezione della sua orazione difensiva le prove documentarie, anche perché egli sa bene che tabulae e testimoni non sono necessari, a stretto filo legale, a comprovare l’esistenza o non esistenza del matrimonio: suo fondamento è, piuttosto, la libera volontà dei coniugi, come la libertà della forma in cui contrarre il vincolo. Pertanto, la strategia argomentativa di Apuleio 12 solo apparentemente è sorprendente nel presentare alla fine dell’orazione difensiva le prove decisive. Egli, infatti, si sofferma lungamente sulle accuse di maCf. Astolfi 2006, 62-63. Cf. Pellecchi 2012, in part. il cap. V, «L’accusa matrimoniale»: 178 ss. «Il matrimonio in villa e l’età di Pudentilla» e 185 ss. «I risvolti patrimoniali»; tuttavia, circa l’idea che gli avversari di Apuleio avessero cercato di mettere in dubbio la validità civile del matrimonio, Pellecchi sembra scettico (ibid., 180); cf. anche Valenti 1988. 12 Sulla quale cf. Pellecchi 2012, ma cf. anche Bianco 2015, in part. 388: «La frammentazione ‘tematica’ della prima parte dell’orazione, coniugata con un’ostentazione di cultura letteraria, filosofica e scientifica, rappresenta comunque una scelta oratoria ben meditata per procedere verso la confutazione dell’accusa». Secondo Noreña 2014, la lettera di Pudentilla scritta in greco, in cui ella, in accordo con quanto sostenuto dagli accusatori, affermerebbe di essere stata vittima di un maleficio, rappresenta il documento-chiave della causa: Apuleio sostiene, infatti, che non si tratti propriamente di un falso, bensì di una interpretazione tendenziosa e scorretta delle parole scritte dalla donna, per giunta decontestualizzate. Di fatto, secondo Noreña 2014, 41, la dimostrazione, o meglio, l’ostentazione da parte di Apuleio di una cultura ricca e raffinata, che occupa la prima parte dell’Apologia, preparerebbe, in fondo, anche la seconda parte dell’orazione: infatti, in questo modo, l’imputato, anche in relazione ai documenti presentati dall’accusa, può costruire davanti all’uditorio la propria fama di interprete autorevole e credibile di un ‘testo’, dalla cui corretta comprensione dipende l’esito del processo. 10 11 Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 142 Sulla dote di Pudentilla nell’«Apologia» di Apuleio gia, smentite, è vero, ma in forma talora ambigua, tanto da creare un alone di mistero sul personaggio, certo favorevole ad alimentare la sua fama di filosofo esperto degli ambiti più oscuri del sapere e a tenere ben desta la curiosità del pubblico per la sua attività letteraria 13. Apuleio, in questo modo, riesce però anche a enucleare quello che è proprio il cuore dell’argomentazione, ovvero la libera volontà di Pudentilla, che ha deciso spontaneamente e liberamente, senza alcun condizionamento esterno, né tantomeno magico, di contrarre matrimonio con l’antico compagno di studi del figlio maggiore Ponziano. Molto spazio viene perciò dedicato a smontare le accuse e le dicerie relative alla familiarità di Apuleio con la magia, in quanto con simili riti la volontà di Pudentilla sarebbe stata piegata per indurla al matrimonio, come Apuleio ricorda proprio al primo e secondo punto di Apol. 67 (meis carminibus coactam dixere; altera res est de epistulis eius, quam confessionem magiae putant). E sempre in questa direzione va dunque interpretato l’ampio spazio dedicato alla questione della lettera, da cui si potrebbe arguire un’ammissione, da parte della consorte, di essere fuori di sé: al contrario, l’impressione, fallace, determinata da quelle poche parole scritte da Pudentilla (Apol. 82: ʼΕλθέ τoίνυν πρὸς ἐμὲ ἕως ἔτι σωφρονῶ) viene dal fatto che esse sono state decontestualizzate. La lettera, riportata nel suo testo completo (Apol. 83), e anzi, ricopiata da Emiliano stesso sotto giuramento (Apol. 83: At tu, Aemiliane, recognosce an et haec mecum testato descripseris), dimostra come Pudentilla sia assolutamente padrona di sé, dei propri atti e delle proprie decisioni. Soprattutto, dalla conclusione dell’epistola (Apol. 84: ʼΕγὼ oὔτε μεμάγευμαι oὔ[τε]τ’ ἑρῶ) è evidente come ella fosse tutt’altro che fuori di sé, come rileva sarcasticamente l’accusato (ibid.: dic tu, quibus verbis epistulam finierit mulier obcantata, vecors, amens amans). Se mai, la vera follia di Pudentilla sta nel fatto di aver tenacemente voluto nominare erede il figlio Sicinio Pudente, a dispetto del suo comportamento irrispettoso, moralmente indegno e persino scandaloso (Apol. 100: Aperi quaeso, bone puer, aperi testamentum: facilius insaniam matris sic probabis). Del resto, l’inconsistenza della prova costituita dalla lettera di Pudentilla appare chiara non appena ci si sofferma a riflettere su di essa: infatti, come potrebbe un pazzo ammettere di essere ‘fuori di sé’? La consapevolezza con cui esprime questa ammissione non sarebbe forse in contraddizione con la condizione stessa di dissennato, di amens? Anche questa è una conclusione che sono invitati a trarre i giudici e gli spettatori 13 Cf. Castagna 1984, 5-7. Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 143 Silvia Stucchi del processo 14, implicitamente esortati a concludere che la pazzia indotta da un filtro magico e l’autoconsapevolezza del proprio stato sono in contraddizione fra loro. Ma in proposito ci viene in aiuto Apuleio stesso, che dimostra come la vera contraddizione sia insita in Emiliano, al quale aveva già fatto notare, sarcasticamente, mentre affrontava la questione degli oggetti misteriosi avvolti nel tessuto di lino, che solus repertus es, Aemiliane, qui scias etiam illa quae nescis (Apol. 53) 15. 3. – In seconda battuta, potremmo chiederci quale fosse il regime giuridico cui era sottoposta la dote nel periodo in cui si celebrò il processo contro Apuleio, e, nello specifico, quale fosse il regime giuridico della dote di Pudentilla. Nel già esaminato passo di Apol. 67 Apuleio lascia come ultima, fra le cinque accuse contro di lui, quella più grave di tutte, inaudita e addirittura attestante quale grande invidia dovesse avere risvegliato il giovane intellettuale nella città in cui si era trasferito: Novissima et eadem invidiosissima criminatio de dote fuit: ibi omne virus totis viribus adnixi effundere, ibi maxime angebantur, atque ita dixere me grandem dotem mox in principio coniunctionis nostrae mulieri amanti remotis arbitris in villa extorsisse. Come sottolineato da Pellecchi, proprio il punto che il reus poteva segnare a proprio vantaggio, esibendo i termini precisi dell’atto costitutivo della dote a suo favore, potrebbe spiegare il motivo per cui nella divisio del tema la dote è presentata come il solo elemento cui gli avversari avrebbero fatto riferimento in tale sezione della requisitoria 16. Su questo argomento Apuleio ritorna anche in Apol. 92, mettendo in rilievo la differenza fra la dote ottenuta in prestito da Rufino per la figlia, che assomma 14 Quanto al pubblico che poteva assistere all’arringa di Apuleio, cf. Stucchi 2016, 53: «[…] Il testo doveva essere, per forza di cose, e date le circostanze materiali in cui si trovava il suo autore, comprensibile a un pubblico estremamente eterogeneo, che comprendeva sia persone di alta cultura, come il proconsole della provincia dell’Africa Nova Claudio Massimo, ma anche i meno blasonati ascoltatori, humiliores, se non rudes o addirittura barbari (cf. Apol. 91), per cui questa prosa testimonierebbe la situazione linguistica dell’Africa del II secolo d.C., un contesto in cui convivevano diverse lingue e registri linguistici, dal punico al libico, più marginalmente il greco e la lingua ebraica». 15 Su questo punto cf. Bianco 2015, 394. Ma si veda anche, per una dettagliata analisi della tipologia umana degli accusatori di Apuleio, Bianco 2008. Circa la durezza con cui Apuleio si scaglia contro l’irragionevolezza, prima ancora che contro l’indegnità morale dei suoi accusatori, cf. ancora Bianco 2015, per esempio, a proposito di Crasso, 394-397, presentato come un abituale frequentatore di tabernae (Apol. 57), la cui testimonianza è incredibile, irrazionale, indegna di fede, sull’esempio di quanto Cicerone aveva fatto per screditare Vatinio (Vat. 1). 16 Cf. Pellecchi 2012, 187. Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 144 Sulla dote di Pudentilla nell’«Apologia» di Apuleio a ben quattrocentomila sesterzi, e quella, più modesta, di soli trecentomila, di Pudentilla 17. In altre parole, Apuleio sicuramente non è stato attratto dalle ricchezze della donna: Haec, ut dico, tabulis ipsis docebo. Fors fuat an ne sic quidem credat Aemilianus sola trecenta milia nummum scripta eorumque repetitionem filiis Pudentillae pacto datam. Cape sis ipse tu manibus tuis tabulas istas, da impulsori tuo Rufino: legat, pudeat illum tumidi animi sui et ambitiosae mendicitatis; quippe ipse egens, nudus CCCC milibus nummum a creditore acceptis filiam dotavit, Pudentilla locuples femina trecentis milibus dotis fuit contenta, et maritum habet, et multis saepe et ingentibus dotibus spretis, inani nomine tantulae dotis contentum, ceterum praeter uxorem suam nihil computantem, omnem supellectiIem cunctasque divitias in concordia coniugii et mutuo amore ponentem. Poco prima di decantare implicitamente, in questo passo, le qualità morali della moglie, le quali hanno fatto sì che il marito si disinteressasse alla convenienza materiale ricavabile da un buon matrimonio (cfr. supra: multis saepe et ingentibus dotibus spretis, inani nomine tantulae dotis contentum […]), Apuleio ha riferito, in Apol. 91, la condicio con cui fu contratto il matrimonio, e cioè che nullis ex me susceptis liberis si vita demigrasset, uti dos omnis apud filios eius Pontianum et Pudentem maneret. In altre parole, se Pudentilla fosse premorta al marito senza avere avuto figli da lui, la dote sarebbe rimasta ai due figli di primo letto, Ponziano e Pudente. Se, invece, un eventuale figlio o figlia nato dal matrimonio con Apuleio fosse sopravvissuto alla madre, metà della dote materna sarebbe spettata al figlio di secondo letto, e l’altra metà sarebbe andata ai figli del primo matrimonio (ibid.: sin vero uno unave superstite diem suum obisset, uti tum dividua pars dotis posteriori filio, reliqua prioribus cederet). Ed essendo Pudentilla non una sessantenne, ma una donna ancora in età tale da potere avere figli, ecco spiegata l’origine dell’accusa contro Apuleio: il timore, cioè, che i beni della donna non passino integralmente nelle tasche del secondogenito, e degli avidi patroni che lo assecondano nelle sue rovinose passioni e che sperano di indurlo a sposare la vedova del fratello maggiore. Notiamo anche come in Apol. 91 Apuleio sottolinei: mulieris locupletissimae modicam dotem neque eam datam, sed tantum modo promissam. Cioè: la dote di Pudentilla era modesta, ed essa, per giunta, non era stata 17 Somma che, fra l’altro, cf. Pellecchi 2012, 187, «non è nemmeno chiara se al retore sia stata effettivamente versata»: per esempio, lo esclude nettamente D’Ors Pérez-Peix 2003, 785. Diversa è invece la questione relativa ai doni tra fidanzati, per cui rimando ad Astolfi 1989, 106-109. Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 145 Silvia Stucchi data al giovane marito, ma solo promissa. Leggere promissam, come facciamo in accordo con vari editori del testo 18 (e non creditam come fa Helm o commodatam, come integra Vallette 19, seguito da Moreschini 20) potrebbe concordare maggiormente con l’uso giuridico del tempo: all’epoca, infatti, in luogo della pratica della dotis dictio, nella compilazione degli accordi nuziali, si passa alla dotis promissio. Se la dote di Pudentilla fosse stata sottoposta non al regime della dotis dictio, ma della dotis promissio, maggiore sarebbe stata la libertà d’azione per disporre della dote stessa: afferma infatti Ulp. 6, 2 che dotem dicere potest mulier quae nuptura est et debitor mulieris, si iussu eius dicat: item parens mulieris virilis sexus per virilem sexum cognatione iunctus, velut pater avus paternus. Dare promittere dotem omnes possunt. In altre parole: a differenza della dotis dictio, riservata a un numero di persone relativamente determinato 21, nonché piuttosto difficile da mettere in atto per una donna non anziana, come abbiamo visto, ma in età ormai matura, la dotis promissio era più semplice da stabilirsi 22, non essendo così rigidamente normata. Quindi, ben potrebbe essere stato questo il caso della dote di Pudentilla, ipotesi che sarebbe in linea con il dato, su cui Apuleio si sofferma in modo piuttosto dettagliato nell’orazione, del matrimonio in villa, senza solennità e celebrato in sordina, quasi segretamente (Apol. 87: remotis arbitris). SILVIA STUCCHI Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano silvia.stucchi@unicatt.it Cf. Augello 1984; anche Hunink 1997 ad loc. propende per promissam, cf. vol. II, 225, laddove si afferma che «in support of dictam one may refer to 102,1, dotem […] diceret and to the sound effect with datam. On the other hand, <promissam> may be defended as beins the older conjecture». Anche la più recente edizione di Martos 2015 (cf. 151) opta per la lezione promissam: «post modo add. <promissam> in marg. F2 man. recentiss. L3, V1, V5 j princ. Ald. Phil.». 19 Per le edizioni citate cf. Helm 1953 (19122); Vallette 2002 e Augello 1984. 20 Moreschini 1990 suggerisce che potrebbe non essersi trattato nemmeno di una vera e propria dote, ma di un contributo che liberamente Pudentilla recava al marito per sopperire alle spese comuni della vita matrimoniale. 21 Cf. Ortega Carrillo de Albornoz 1975, 86 ss. 22 Si ricordi, al di là del fatto che i genitori di Pudentilla sono con tutta probabilità già morti nel momento in cui la figlia stipula il secondo matrimonio, che nemmeno la madre poteva dotem dicere, come sottolinea Ortega Carrillo de Albornoz 1975, 87, citando Fr.Vat. 100, Mater pro filia partem dotis dedit, partem dixit; filia in matrimonio decessit relictis filiis ex alio matrimonio; quaero de iure dotis. Paulus respondit eam quae data est mortua in matrimonio muliere apud virum remansissse, eam, quae dicta est, a matre peti non posse. 18 Erga - Logoi – 7 (2019) 1 https://www.ledonline.it/Erga-Logoi - Online ISSN 2282-3212 - Print ISSN 2280-9678 146 Sulla dote di Pudentilla nell’«Apologia» di Apuleio BIBLIOGRAFIA Astolfi 1989 Astolfi 19953 Astolfi 2006 Augello 1984 Bianco 2008 Bianco 2015 Castagna 1984 D’Ors Pérez-Peix 2003 Helm 1953 (19122) Hunink 1997 Martos 2015 Moreschini 1990 Noreña 2014 Ortega Carrillo de Albornoz 1975 Pellecchi 2012 Stucchi 2016 Treggiari 1991 Valenti 1988 Vallette 2002 (19602) R. Astolfi, Il fidanzamento nel diritto romano, Padova 1989. R. Astolfi, La lex Iulia et Papia, Pavia 19953. R. Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano classico, Padova 2006. G. Augello (a cura di), Apuleio, L’Apologia o la magia. Florida, Torino 1984. M.M. Bianco, Una cattiva performance. Lo spettacolo dell’accusa nell’Apologia di Apuleio, Pan 24 (2008), 93-115. M.M. 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