Andrea Casavecchia
Due facce della scoperta in un’esperienza di ricerca
Abstract:
Il contributo è una proposta originale che parte da una riflessione sull’importanza del lavoro sul campo, per poi esplorare il legame tra donne
migranti e Mar Mediterraneo. Utilizzando ‘il gusto’, come una pratica
prodotta da un processo di socializzazione e come il risultato raggiunto da
un adattamento pragmatico alla realtà (Bourdieu, 2001), si propone una
riflessione sul grado d’integrazione delle donne e la percezione del mare.
This essay is an original proposal, starting from the thick importance of the
empirical field research, explores the relationship between migrants women
and the Mediterranean Sea. The author reflects on the different approach
to research, due to participation in various phases. Researchers who interviewed migrants developed an empathy with the respondents and were able
to grasp unexpected elements. Instead, the one who analyzed the collected
results was consistent with the initial project. This has allowed different but
complementary results to be achieved. Finnally, the author highlights the
relationship between the perception of the sea and the current social status
of migrant women.
Durante le esperienze di ricerca ci sono fasi differenti. Oggi è
molto più facile trovarsi ad analizzare i dati davanti al monitor di un
Pc piuttosto che raccoglierne attraverso interviste su campo.
Il mondo è pieno di banche dati ed in alcuni casi è agevole reperirli: si risparmia tempo, si eliminano problemi di rappresentatività dei
campioni, di attendibilità delle fonti perché si delegano le responsabilità alla reputazione degli archivi in cui quei dati sono stati depositati.
Nel mondo dell’accessibilità i dati sono a portata di uno o più click,
mentre la somministrazione di interviste e la loro videoregistrazione o
l’osservazione partecipata richiedono tempo, una minima disponibilità
di risorse economiche, una trascrizione e codifica dei risultati.
Eppure le rilevazioni su campo mantengono un fascino unico per
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un ricercatore, perché conservano il rapporto diretto con le persone
e le loro relazioni: alla fine il punto sorgente e finalità di uno studio
sociale. Si amplifica l’aspetto ‘artigianale’ della ricerca che presuppone
la costruzione di uno strumento apposito per effettuare le interviste
focalizzate da registrare attraverso una telecamera, come la ricerca dei
testimoni privilegiati disponibili a concedere tempo per il racconto
della loro esperienza. I risultati diventano diretti e non derivati. In
questi casi ‘artigianali’, che quindi non ambiscono a trovare leggi
generalizzanti ma ad esplorare ambiti specifici per preparare la strada
ad analisi successive, diventa feconda l’immaginazione sociologica:
quella che mette insieme storie e persone, esperienze di vita e soggetti:
quella che
«permette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto dei fatti storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane. Gli
permette di capire perché, nel caos dell’esperienza quotidiana,
gli individui si formino un’idea falsa della loro posizione sociale.
Gli offre la possibilità di districare, in questo caos, le grandi line,
l’ordito della società moderna, e di seguire su di esso la trama
psicologica di tutta una gamma di uomini e di donne» (Wright
Mills, 1968: 15).
Personalmente la ricerca sulle donne migranti in Sicilia mi ha
condotto all’interno di un’esperienza intermedia tra le due modalità di
analisi quella da back office, seduto su una sedia di fronte a una scrivania ad esaminare i risultati; e quella ai margini del front office vicino a
chi si era impegnato sul campo nella rilevazione. La prossimità alle due
modalità mi ha condotto a evidenziare ancora una volta la fecondità di
studi dove è possibile triangolare (Trobia, 2005) informazioni raccolte
con metodologie differenti, in modo da metterli in relazione e cercare
possibili chiavi interpretative nuove (Casavecchia, 2017).
1. Cronaca di un’esperienza
Il mio contributo al gruppo di ricerca si è risolto in un lavoro di
back office, che mi ha permesso di collaborare alla progettazione del
disegno della ricerca, di partecipare al confronto per l’elaborazione
delle ipotesi di partenza, nelle quali ci si è orientati verso un’indagine
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esplorativa che tenesse insieme il tema della diversità di genere e in
particolare del femminile, la questione delle migrazioni e nello specifico
nel Mediterraneo, la peculiarità della Sicilia come terra storicamente
impregnata di incontro tra le diversità. Ho vissuto quindi la scelta di
ragionare sul concetto del Mare per le persone che hanno affrontato la
traversata e ora sono inserite in un tessuto sociale nuovo: il Mare dopo,
dopo l’esperienza migratoria.
Il mare diventa un «oggetto culturale» (Griswold, 2005) un
concetto polisemico che racchiude in se significati, simboli, valori e
abitudini, uno strumento utile a comprendere i fenomeni e il loro rapporto con la vita sociale. Ovviamente il mare, e nello specifico il Mar
Mediterraneo, può essere studiato anche come sistema di significati. È
tale, quando viene considerato luogo di incontro e scontro tra culture
che alimentano un habitus proprio, oppure quando viene compreso
come laboratorio di dialogo tra diverse identità religiose, storiche ed
etniche (Canta, 2010; Canta & Pepe, 2007). Infatti «il Mediterraneo
non è solo un luogo geografico è un clima particolare ma è un destino
che lega tre continenti e tre civiltà, diverse per popoli, culture, religioni,
valori, filosofia ma che sono vocate all’incontro e allo scambio» (Canta,
2010: 40). In questo caso il Mediterraneo diventa una unitas multiplex
(Morin, 2001) dove diverse identità trovano un unico spazio di origine
e dove quello spazio diventa luogo da abitare nella differenza.
«Il Mediterraneo, quindi, va autenticamente letto come un testo,
una concatenazione narrativa, in cui hanno modo di svilupparsi
più livelli espressivi a partire da un unico senso. L’immagine del
mosaico e quella del testo ci consegnano la natura del Mediterraneo: una realtà unica e plurale, un grande arazzo alla cui tessitura
hanno partecipato in eguale misura tutti i popoli che si affacciano
su di esso» (Pepe, 2007: 32).
Il mare, invece, è un oggetto culturale quando rimanda a significati
legati a una parte del sistema culturale. In questo caso diventa simbolo
che può segnare un tratto identitario che narra l’esperienza della biografia personale e che può diventare una espressione dell’appartenenza
o della pluri-appartenenza culturale di un soggetto.
Durante la ricerca, nella fase di progettazione, ho condiviso la scelta
delle ipotesi e la composizione della traccia delle interviste che avrebbero dovuto guidare, attraverso la focalizzazione di alcuni temi, i racconti
con cui le donne avrebbero ricordato il passato e poi evidenziato la loro
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‘nuova immagine’ del mare: simbolo da un lato della morte dall’altro di
un nuovo approdo (Loperfido, 2013). Poi in una fase successiva il mio
contributo si è risolto nell’analisi delle video interviste prodotte, per
l’elaborazione di alcuni dei risultati, oltre che nella partecipazione della
stesura del rapporto di ricerca conclusivo.
Sono stato, così, lontano dall’indagine sul campo. Seguivo in modo
indiretto la loro cronaca, su una chat di WhatsApp, mentre i miei colleghi e compagni intervistavano direttamente le donne, esprimevano
a caldo le loro prime impressioni, si comunicavano gli appuntamenti
successivi e i luoghi di incontro, si confrontavano su come migliorare
le modalità di intervista per raggiugere gli obiettivi prefissati.
Il lavoro di ricerca sul campo con l’intreccio relazionale tra ricercatore e intervistato, con l’immersione nell’atmosfera sociale e nell’ambiente
fisico in cui esso riesce a fornire un quadro, è estremamente ricco per
l’analisi dei dati. Da un lato c’è la dimensione emotiva ed empatica che
apre a un coinvolgimento del tutto particolare tra i due soggetti: la
gestualità, le espressioni del viso, la ricerca di una sintonia, gli sguardi.
Dall’altro lato c’è il contesto che alimenta le possibilità di raccolta di
ulteriori informazioni: l’arredamento di un’abitazione (intervista a
Salwa) o la conformazione di un negozio o di uno studio (intervista
a tunisina e alla mediatrice Sonia), l’opportunità di decidere un contesto appropriato per introdurre un argomento e facilitare il racconto
(intervista a Imen, a Semya), l’osservazione dell’abbigliamento (intervista a Malika). Con i video certamente molte di queste indicazioni
si possono recuperare, ma non è possibile intervenire per suggerire un
approfondimento o per chiedere un’ulteriore spiegazione, non si può
allargare lo sguardo oltre l’inquadratura. La mancata partecipazione
alla raccolta delle interviste porta a una perdita netta di relazioni, di
sensazioni, di esperienze e di impressioni che poi possono impoverire
le intuizioni, che spesso dirigono l’analisi dei documenti raccolti, nella
fase successiva di una ricerca esplorativa.
Così il mio contributo alla seconda fase della ricerca, ha portato
a un’analisi meno empatica, dovuta all’assenza dalla rilevazione dal
campo. Di fronte al Pc esaminando i video non si attivavano i ricordi
che invece erano vivi per gli altri componenti del gruppo. Questa condizione mi ha impedito di cogliere situazioni che hanno presentato la
possibilità di affrontare percorsi nuovi, rispetto al disegno di ricerca
originario. Invece ha favorito la mia coerenza al progetto originario e
mi sono attenuto al Mare dopo.
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2. Due facce della scoperta: l’avamposto o la frontiera
Il distacco dalla fase di rilevazione dei dati mi ha permesso, però,
di osservare i risultati raccolti nelle video interviste in modo differente
rispetto agli altri ricercatori che, invece, hanno partecipato alla fase di
ricerca sul campo.
Questa doppia esperienza rende possibile distinguere due linee
diverse della ‘scoperta’ all’interno della stessa ricerca. Nel processo scientifico infatti si ragiona su una crescita della conoscenza che segue un
confronto tra teoria e prassi. Si passa da periodi interni a un modello
teorico e periodi di ‘rivoluzione’ scientifica (Kuhn, 2009). Nel nostro
piccolo l’indagine su donne migranti e Mediterraneo ha seguito una
linea in coerenza al disegno di ricerca iniziale (il modello) e un’altra linea
di salto verso una zona d’indagine altra. Durante un’indagine esplorativa
ci si trova, allora, in situazioni dove si possono seguire strade differenti.
Questa doppia linea che si è potuto adottare nella ricerca può
evidenziare due aspetti della scoperta, che potremmo distinguere con
due immagini esplicative quella dell’avamposto e quella della frontiera.
Nel primo caso la ricerca si muove su un terreno nuovo. L’imprevisto
interessante può spostare l’attenzione e con essa il fuoco rispetto a
quello delineato dal disegno di ricerca iniziale. E l’indagine si muove
all’esterno del progetto originario a partire da un avamposto: uno
spazio situato in un’area poco conosciuta e inesplorata, nella quale i
ricercatori si preparano a ritarare gli strumenti, a cercare coordinate
concettuali nuove, a costruire ponti per collegare ‘l’avamposto’ in cui
ci si trova nel terreno da cui si era partiti con il disegno della ricerca
originario. Un simile approccio si verifica nel tipo di scoperta della
serendipity, formulata da Merton (1959), la quale permette un salto in
uno spazio nuovo, altro: la serendipity ha tre caratteristiche. Il risultato
emerso può essere anomalo, imprevisto e rilevante:
«una ricerca diretta alla conferma di una ipotesi produce fortuitamente un sottoprodotto, una osservazione inaspettata che influisce
sopra teorie estranee alla ricerca in corso. In secondo luogo, l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incompatibile
con la teoria precedente e con altri fatti stabiliti [...] in terzo luogo,
osservando che il fatto inatteso deve essere rilevante, cioè consentire
delle applicazioni che influiscono sulla teoria generale, noi naturalmente ci riferiamo piuttosto a quello che l’osservatore aggiunge al
dato, che non il dato stesso» (Merton, 1959: 148-149).
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Attraverso alcuni elementi causali si può rimanere colpiti da alcuni risultati e valutarli preziosi, rispetto al fenomeno analizzato. Alcune
dimensioni, che nel disegno della ricerca erano state tenute ai margini,
diventano centrali, perché risaltano in modo evidente durante la ricerca
e quindi salgono nella posizione della scala gerarchica degli indicatori da
osservare con attenzione. Così è accaduto nei resoconti, tra un’intervista
e l’altra, durante l’indagine su Voci di donne. I ricercatori intercettavano
nei racconti l’importanza dei rapporti tra intervistate e la ‘terra’ piuttosto
che i loro rapporti con il mare. Si evidenziava il desiderio del ritorno o la
nostalgia delle proprie origini, la curiosità di conoscere il paese da cui si
proviene e i cambiamenti che sono intervenuti nel tempo trascorso.
Agli occhi degli studiosi emergeva una novità inattesa e imprevista.
La maggior parte delle donne vive in una sorta di limbo. La società in
cui esse si trovano è una comunità che le accoglie ma con una cultura,
tradizioni e costumi diversi. La comunità da cui esse sono partite è
cambiata e non è più la loro. Sono in una terra di mezzo. In questa
vivono. La abitano in modo differente a seconda della loro esperienza
di vita e del loro background socioculturale e delle relazioni che hanno
intrecciato. La doppia assenza, descritta da Sayad (2002) diventava la
dimensione prioritaria. La serendipity ha spostato l’asse della ricerca dal
rapporto con il mare a quello con la terra.
Nel secondo caso, invece, ci si muove lungo la linea della frontiera.
Si segue il progetto indicato dal disegno della ricerca, con il conforto di
una struttura teorica conosciuta, con il sostegno di strumenti provati in
precedenza e ritenuti affidabili, attraverso l’applicazione di coordinate
concettuali predefinite, da cui sono state enucleate delle ipotesi di partenza. In questo caso l’indagine si muove sul confine, l’esplorazione si gioca
sul margine, in quello spazio di frontiera: alle spalle si è tutelati da teorie
consolidate e da un progetto iniziale e da verificare. Con le spalle protette
ci si inoltra nella periferia dove rimangono zone d’ombra e si individuano
spazzi illuminati. Lungo la frontiera l’approccio adottato è chiarificativo
per migliorare, spiegare o provare qualcosa che è teoricamente possibile:
«la chiarificazione dei concetti comunemente considerata come
una specialità esclusiva del teorico, è spesso il risultato della ricerca empirica. Una ricerca cosciente delle sue necessità non
può evitare questa spinta alla chiarificazione concettuale. Poiché un’esigenza basilare alla ricerca è che i concetti e le variabili
siano definiti con una chiarezza sufficiente da permettere alla
ricerca di procedere» (Merton, 1959: 163).
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La chiarificazione segue la linea del disegno di ricerca: nel caso
delle donne migranti la scelta era di puntare sul mare come oggetto
culturale. Si è proceduto nella consapevolezza che durante le interviste
la parte dedicata al mare era stata minima. Si è potuto, però, raccogliere alcune informazioni sulla percezione che le donne migranti ne
avevano e si è ricavata una differenza dei sapori che dall’argomento
emergevano. Così si è potuto esplorare il Mare dopo il significato che
assumeva il mare per le donne che avevano affrontato una migrazione
in un periodo di vita precedente. Con l’occasione è stato possibile
mettere in relazione la percezione del mare con la fase di integrazione
che vivono le migranti. Così il tipo simile alla scoperta sulla frontiera
è quello della riformulazione: «fa centro su un fatto in precedenza trascurato, ma importante, che sollecita una amplificazione dello schema
concettuale» (Merton, 1959: 154).
3. La percezione del gusto per il mare
L’analisi delle risposte sulla percezione del Mare dopo ha permesso di evidenziare come essa vari a seconda della fase di integrazione
vissuta dalle migranti. Seguire il disegno della ricerca nella fase della
scoperta ha significato concentrarsi solo sulle specifiche risposte che
trattavano l’argomento del mare, per poi inquadrarla nella condizione
di vita che attraversavano le intervistate.
Infatti la differente percezione del gusto del mare, rilevata si accompagna a una differente condizione sociale, introduce tra loro alcune
distinzioni che indicano il differente grado integrazione nella società
siciliana. Il gusto del mare è un prodotto culturale si combinano
percezione, esperienza vissuta, elaborazione della memoria, condizione sociale attuale. Si trasforma così una sensazione personale in
un’espressione che acquista un significato sociale. Come spiega Pierre
Bourdieu (2001) il gusto diventa una pratica prodotta da un processo
di socializzazione o il risultato raggiunto da un adattamento pragmatico alla realtà. Secondo il sociologo francese la pratica sociale si realizza
nell’incontro tra un habitus e un campo sociale. Il gusto è un sistema
di classificazione prodotto dai condizionamenti dello spazio sociale,
popolato dai soggetti, la classificazione avviene nelle dinamiche che si
realizzano nel rapporto tra i vari oggetti: ogni cambiamento nel sistema
porta a un rimescolamento delle gerarchie, ma – aggiunge il sociologo
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francese, che «ogni cambiamento dei gusti provocato da una trasformazione delle condizioni di esistenza e degli atteggiamenti correlativi è
tale da determinare, in modo più o meno diretto, una trasformazione
del campo di produzione» (Bourdieu, 2007: 242).
La percezione del gusto per il mare indica la vicinanza o la lontananza rispetto al nuovo conteso sociale e all’esperienza biografica
dell’intervistata. Ne diviene così un potenziale indicatore di integrazione socio-culturale. Il gusto – come illustra Bourdieu – introduce un
posizionamento sociale: all’interno di un conflitto tra innovazione del
capitale culturale e sistema ordinato, dentro una contrapposizione tra
dominato e dominante. Si può dunque accostare alle fasi di integrazione
socio culturale.
Per considerare questo secondo aspetto è stata sfruttata l’elaborazione di Blangiardo e Cesareo, i quali, in Indici di integrazione (2009), evidenziano alcune fasi del percorso di integrazione: dapprima si incontra
un agente che ricerca comportamenti idonei al contesto sociale in cui
si inserisce, in seguito c’è un attore che si muove verso una meta ed è
capace di orientarsi in un contesto ormai conosciuto consapevole delle
regole sociali esistenti, poi c’è un soggetto che ricerca e genera azioni
complesse potenzialmente portatrici di elementi innovativi capaci di
introdurre cambiamenti nel sistema sociale.
La trasformazione del gusto, allora, implica, per la donna migrante, una modifica identitaria durante la sua traiettoria biografica. Nelle
interviste si può intercettare proprio la sua evoluzione e nel confronto
con altre informazioni relative ai progetti di vita e alla loro attuale
condizione sociale, si intuiscono le distinzioni in rapporto al percorso
di integrazione intrapreso.
Dalle interviste possiamo ricavare diverse percezioni del gusto. Ne
propongo alcune 1 :
Il gusto salato: «Il mare qui è più salato di quello da dove vengo». Questa
è la risposta di Buki una ragazza appena diciottenne da quasi un anno
sbarcata in Sicilia. È una delle poche risposte verbali. Il suo gusto è legato
ancora all’esperienza tragica della memoria del suo viaggio. La sua percezione del mare è impregnata di passato e legata al ricordo di sofferenza.
1
Per una descrizione più ampia cfr. A. Casavecchia, Il Gusto per il mare nelle donne
migranti in Sicilia, in Voci di Donne dal Mediterraneo, a cura di C.C. Canta, Aracne,
Roma 2017.
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Il gusto amaro: il mare è lavoro di fatica. La percezione si coglie
dalle interviste di alcune donne di una cooperativa del porto. Il gusto
del mare è legato alla fatica e al sacrificio di genitori che investono sul
futuro dei loro figli. Nelle parole di quelle donne non emerge un interesse per la propria qualità della vita. C’è un adattamento al contesto
sociale così com’è. Queste donne sono impegnate nel presente, non
cercano altro per se stesse.
Il gusto aspro: il mare è bello e allo stesso tempo ricorda le proprie
radici. Contemporaneamente il mare diventa una barriera culturale,
perché non ci si sente a proprio agio sulla spiaggia. «porto i bambini che
giocano, ma io non faccio il bagno perché mi vergogno di entrare nel
mare vestita» – racconta Malika, una giovane moglie marocchina. In
Marocco, nella sua terra non avrebbe problemi a fare il bagno, perché
sarebbe accettato il suo modo di comportarsi.
Il gusto agrodolce: «Il mare non ha confini, è come la vita che chiede di andare avanti anche nelle difficoltà» – sostiene una negoziante
tunisina. Nella sua percezione il mare offre una speranza non scontata,
ma da guadagnare. C’è bisogno di uno sforzo per superare gli ostacoli
in modo da raggiungere gli obiettivi che ci si prefigge.
Il gusto corposo: «Il mare è un ponte tra due sorgenti identitarie»
afferma Semya una mediatrice culturale di Mazara del Vallo; «Il mare
è un ritorno» spiega Imen, una giovane di seconda generazione, nata
in Sicilia da genitori tunisini. In quest’ultimo caso la percezione del
mare presenta un gusto complesso che nasconde personalità definite,
le quali hanno superato una conflittualità interna tra due diverse cifre
identitarie. Esse non si pongono soltanto un obiettivo personale, ma
si interrogano su come interagire e portare cambiamento nella società
in cui vivono. Parlano di un ritorno nella loro terra di origine come
scoperta o riconoscimento delle proprie origini, in un atteggiamento
costruttivo e aperto al futuro.
4. Conclusione
Il gusto diventa una cifra distintiva della fase di vita che attraversa il
migrante. Se accostiamo le diverse percezioni del gusto alla condizione
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A. Casavecchia
sociale delle donne intervistate. Possiamo osservare come si posizionano lungo le fasi di integrazione individuate da Cesareo e Blangiardo.
Il gusto salato è formulato da migranti che sono nello stato di agente.
Esse vivono all’interno di una società di prossimità le loro relazioni
informali, ma faticano a relazionarsi con la sfera delle istituzioni, faticano ad uscire dal guscio. Con i gusti amaro e aspro intercettiamo delle
migranti collocabili allo stato di attrici. Esse svolgono un ruolo nella
società e ne sono consapevoli: lavorano, frequentano corsi. Si tratta
di persone che disegnano un loro spazio sociale all’interno di ruoli e
compiti, ma non proiettano la loro azione nel futuro. Infine incontriamo i gusti agrodolce e corposo. La percezione del mare di queste
migranti è rilevatrice di una fase di integrazione più ampia. Le intervistate si riconoscono non soltanto dentro uno spazio sociale preciso,
ma si proiettano nel futuro con progetti di vita che vanno oltre la loro
condizione e coinvolgono le loro famiglie, le loro comunità etniche o
le comunità che abitano tout court.
Così procede la scoperta nel processo di chiarificazione di mertoniana
memoria.
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