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2021
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Collana peer review sottoposta a valutazione scientifica È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata
Il comitato assicura attraverso un processo di double blind peer review la validità scientifica dei volumi pubblicati.
Metamorfosi dei Lumi 8, 2016
La critica dell'autorità della storia e la nascita della modernità Manuela Albertone La critica dell'autorità della storia e la nascita della modernità 55 implicazioni politiche a essa legate, da cui scaturirono le due rivoluzioni democratiche di ine del secolo in America e in Francia. Esempliicherò in particolare tale prospettiva attraverso alcuni percorsi della ricezione della scienza dell'economia elaborata in Francia dai teorici della isiocrazia a partire dalla metà del Settecento. 1. Natura, progresso e scienza dell'economia L'idea di progresso-che trovò la sua massima espressione alla ine del secolo nell'Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain del marchese di Condorcet 2-segnò le molteplici espressioni dell'Illuminismo, in opposizione al valore della tradizione, della storia e dell'autorità della cultura della Controriforma. Essa ebbe nel concetto di natura un'idea di forza attiva e creativa. Intorno alla metà del secolo questa idea di natura trovò diverse manifestazioni, come forza direttrice del cosmo, che si espresse nella forma del vitalismo settecentesco, come scienza dell'economia, come religione naturale, con il correlativo riiuto dell'autorità delle chiese e del potere sacerdotale. Essa sostituì a partire dagli anni Cinquanta la centralità che aveva avuto nella prima parte del secolo la ragione, come strumento critico di messa in discussione e di trasformazione della realtà. Il dialogo e l'intrecciarsi tra natura e ragione segnarono la speciicità della cultura settecentesca e la sua dimensione concreta, attiva, focalizzata sulla centralità dell'individuo e sulla sua vocazione sociale. In Francia dall'incontro tra la ragione, che offrì gli strumenti e le categorie di chiariicazione e sistematizzazione, e la natura, come spazio ove individuare le leggi del vivere sociale, nacque la scienza dell'economia, quale fu espressa dalla isiocrazia, la prima analisi scientiica del processo di formazione e distribuzione della ricchezza, che trovò espressione nello schematizzazione del Tableau économique composto da François Quesnay nel 1758 3. Il potere della natura, racchiuso nel neologismo con cui Du Pont de Nemours intitolò la raccolta degli scritti del mae
Indice Premessa 1. La legalità è un legame 2. Legge naturale e legalità storica 3. Legalità , dominio e conflitto 4. Stato, legalità e giustizia Conclusioni PREMESSA La legge è uno strumento della cultura, il cui scopo è regolare comportamenti e rapporti che altrimenti sarebbero dominati dalla sola natura. La legge è la materializzazione del codice paterno, la oggettivazione del Super Io, il dispositivo di controllo e mutilazione dell'invadenza dell'Es. La legge è realmente la morte del possibile in nome del condiviso. Legge è la sovranità del plurale sul singolare. Parafrasando E.Jacques, la legge è una risposta alla ansie persecutorie e depressive, perche' la libertà naturale popola i sogni di nemici e soffoca la vita col sentimento di colpa. Da sempre la legge ha posto due problemi cruciali. Il primo è quello della fonte legittimante. La legge può essere un divieto o un obbligo, può essere severa o blanda, giusta o ingiusta, ma il fattore decisivo è la sua fonte: consenso o violenza? La fonte chiamata consenso non necessariamente rimanda a processi democratici di decisione. Il consenso può anche essere dato per fede, per sottomissione cieca, per identificazione, per convenienza. Ciò che distingue il consenso è la possibilià di scelta. E' consensuale ogni scelta per la quale è possibile un rifliuto. La tarda Modernità e la post-Modernità, con la tendenza all'omologazione statuale planetaria hanno reso impossibile la sottrazione alla legge (se on tramite trasgressione) e dunque la sua natura consensuale. La seconda questione posta dalla legge è quella già affrontata col dibattito a distanza fra S. Freud ed H.Marcuse. Per il primo, ogni civilizzazione è nevrotica in quanto frutto di una repressione necessaria operata dalla legge. Il secondo si domanda quanto la civiltà Moderna sia fondata su una repressione necessaria e quanto su una repressione addizionale. La pervasività e l'ipetrofia normativa della post-Modernità fanno pensare ad un'origine ossessiva più vicina alla psicosi che alla nevrosi. Come se la civiltà occidentale fosse trascinata a vedere ovunque nemici e colpe, da
La crisi della modernità Studi in onore di Gianvittorio Signorotto a cura di Matteo Al Kalak, Lorenzo Ferrari, Elena Fumagalli Storico curioso dai molteplici interessi, Gianvittorio Signorotto ha saputo riflettere, nel corso della sua attività di studioso, su molte questioni: le vicende religiose dell'Italia moderna, la Lombardia spagnola e borromaica, la magnificenza delle corti
Caratteristiche dello Stato nell'Europa dell'età moderna
2017
A partire da una ricognizione generale della tradizionale “strategia della cittadinanza” (Zolo), e tenendo fermo il modello delineato da T.H. Marshall nel saggio Cittadinanza e classe sociale (1950), il lavoro discute il problemi e le prospettive aperte da una sua possibile rivisitazione in forma sovranazionale. Prendendo le mosse dal paradigma marshalliano, e muovendosi per affinita e per differenze, si giunge cosi all'idea di una possibile cittadinanza “oltre lo stato”. La prima parte del lavoro fa riferimento alla elaborazione teorica della “democrazia cosmopolitica” fatta propria da David Held, sviluppata nel volume del 1995 Democrazia e ordine globale (trad. it. Trieste, 1999) e approfondita successivamente in vari lavori, come Cosmopolitanism: Ideals and Realties, (Cambridge, 2010). Muovendo dal tema della 'centralizzazione' dello spazio politico, col quale le nuove proposte della cittadinanza devono necessariamente confrontarsi, nella seconda parte si passa alla s...
2012
The article discusses some aspects of the Italian debate about the writings of Jean Paul Sartre and Martin Heidegger on the relation- ship between humanism and existentialism, in particular in reference to some texts by Eugenio Garin, Ernesto Grassi and Antonio Banfi. The paper proposes to investigate how the judgment of historiogra- phy in Italy on humanistic philosophy has developed on the basis of the need to formulate a new and different judgment on the Moderni- ty, aware that the distance between “historic” humanism (Renais- sance and after the Renaissance) and “theoretical” humanisms could not coincide with the distinction between speculative and philologi- cal positions, but that it was on the contrary, in both cases, an elabo- ration of new conceptions of human and history.
In questo incontro prenderemo in considerazione il periodo che si aprì con la grande crisi economica del 1873-74 e si concluse, passando per la seconda rivoluzione industriale, con la Grande Guerra.
Strumenti per la didattica e la ricerca, 2019
The second “Notebook of the Modern History Laboratory” takes up and develops some of the interventions presented in the Seminar on Themes and Problems of Modern History, which has been held for more than fifteen years at the SAGAS Department of the University of Florence. The contributions collected here discuss the construction of the modern state from different points of view, through the slow and complex evolution of central sovereignty over autonomy, the role of the courts, the development of diplomacy and its ceremonial and the history of the idea of freedom. Special attention is paid to the cases of the Electorate of Saxony and of the monarchy of France in the 16th century, the Consigli (recommendations) by Scipione Ammirato, the theme of democracy in the Encyclopédie and that of national plurality for the protection of minorities in the Habsburg Empire.
Nonostante la crisi delle istituzioni democratiche 'reali' sia sempre più manifesta, l'idea democratica continua ad essere quasi universalmente considerata come la sola garanzia possibile della legittimità degli ordinamenti politici. Questo apparente paradosso ricorda che, come già riconosceva Hans Kelsen, i rischi peggiori per la democrazia provengono dai suoi successi ideologici. È proprio il suo affermarsi quale «parola d'ordine» unanimemente condivisa che rischia di trasformare la democrazia in un'etichetta priva di ogni profondità storica e di ogni urgenza politica. Indagando il concetto moderno di democrazia sullo sfondo delle trasformazioni istituzionali che ne hanno accompagnato lo sviluppo, questo lavoro vorrebbe decostruire quell'aura di necessità della quale le democrazie 'reali' oggi amano circondarsi. Attraverso un serrato confronto con i classici l'autore prende in considerazione alcune tra le più incisive critiche che la democrazia dei moderni ha attirato su di sé dall'epoca della sua invenzione sino ad oggi, per concludere con un'analisi della presente riduzione postdemocratica delle istituzioni delle democrazie d'elezione. Ricordando come la forma storicamente assunta dalle istituzioni democratiche sia stata sempre il risultato di un acceso confronto politico, questo libro invita a ripensare le forme della rappresentanza democratica al di fuori di ogni ingenua comprensione pseudo-naturalistica: esso vorrebbe così contribuire a riattivare quel processo di invenzione in cui una democrazia non ridotta a feticcio di sé stessa deve consistere.
Introduzione -L'utopia storica pag.
di Anna Rita Gabellone
Dall'"arte dello stato" alla "ragion e uso degli stati" alla "ragion di Stato". Machiavelli Guicciardini Botero »
Del populismo americano, che viene ad essere riscoperto in questi ultimi anni a causa della scalata al potere del «populista» Trump, sono stati messi in evidenza dai vari interpreti, caratteri vari a contraddittori. Se quasi tutte le letture sono concordi nell'attribuire al populismo americano un carattere di fenomeno politico che si inserisce fin dalla fondazione dell'America come orientamento «genetico», iscritto nella storia e nelle istituzioni americane 1 , che ha permesso alla politica americana di aprirsi e rinnovarsi grazie all'accoglimento delle istanze che provenivano dal basso, le valutazioni del populismo come movimento reazionario, filofascista, o repubblicano, filo popolare, agrario e nostalgico o innovatore sono tutte presenti nell'ampio spettro degli studi.
Comune a tutti gli autori è l'assoluta novità del movimento/partito populista, e cioè del People's party fondato nel 1896, che, pur inserendosi nella tradizione populista jacksoniana democratica e nel filone della critica al «moneypower» e alla corruzione politica, rappresenta un tentativo, mai ripetuto, di far emergere una terza voce, un terzo partito radicalmente diverso dai maggiori protagonisti della vita politica. Proprio per questo è interessante oggi ritornare a studiare il People's party, come una forma alternativa alla politica bipartitica che probabilmente non si esaurisce completamente, ma ritorna ciclicamente a costituire il tentativo di «rompere gli schemi» della politica americana.
In particolare sembra affascinante affrontare il tema della mobilitazione del People's party e la conseguente ricostruzione di quella che viene chiamata da Hanningan 2 e poi da Goodwyn 3 nel suo «Populist movement» del 1978 la «movement culture», la cultura del movimento, intesa come quell'ideologia che «incoraggia i membri del movimento ad avere aspirazioni significative nella vita, genera un piano finale e un metodo di reclutamento delle masse, crea i propri simboli di politica e di democrazia […] arma i propri componenti in modo da non essere intimiditi dalla cultura dominante corporativa» 4 .
La funzione della «movement culture» è quella di mobilitare e di dare identità a un movimento, e cioè di differenziarlo da tutti gli altri, in modo da renderlo un competitore politico significativo e alternativo rispetto agli altri.
Dando una scorsa alla letteratura sul populismo americano, e in particolare al «People's party» è inevitabile notare che si affiancano due chiavi di lettura della cultura del movimento: una più diffusa, che vede nel populismo americano un movimento economico, nato dalla difesa da parte dei contadini e piccoli artigiani del Sudest della propria sicurezza economica contro le nuove grandi corporazioni pubbliche e private, una, meno indagato, ma più recente, che considera la natura postmillenarista e religiosa del movimento. Queste due linee di interpretazione potrebbero essere sintetizzate nell'opposizione, ispirata a Weber, fra interessi e valori: nella prima prospettiva il People's party è un movimento di mobilitazione di interessi, nel secondo fa presa su valori, su una concezione fideistica e irrazionale dell'impegno politico.
La tematica del rapporto fra il populismo e la religione è molto vasta e riguarda tutto tutti i movimenti populisti, di ieri e di oggi. In questo contributo mi limiterò a una lettura della ricomposizione della dualità fra interessi e valori nel People's party. Tenterò, pertanto, di mostrare come nell'ideale di società dei populisti, nella loro visione di una società utopica più giusta, non solo interessi e valori siano compresenti, ma si intreccino. Per tale ragione inizierò con una disamina dell'idea di economia politica del People's party e dell'idea postmillenaria per poi interpretare una possibile linea di connessione fra le due -fra interessi e valori.
I populisti del People's party possono essere indagati, allora, non solo come portatori di interessi economici e politici diversi e alternativi rispetto alle maggiori formazioni politiche ottocentesche americane, ma anche come coloro che conciliavano «la morale di Cristo e la politica di Thomas Jefferson» 5 . Il riferimenti religiosi, le metafore del populismo sudista americano non sono solo interpretati, allora, come accorgimenti di stile, invenzioni retoriche, ma strutturano e codificano l'esperienza politica come una missione morale e religiosa, conferendo all'attività politica un significato universalista e iscrivendo le interpretazioni delle lotte politiche in un quadro di riferimento ampio, che avrebbe toccato le corde emotive del «popolo», al di là delle appartenenze di classe. É forse questa una delle maggiori ambiguità iscritte nel progetto populista: la ricompattazione di una collettività, al di là delle differenze materiali, al di là della dottrina marxista e del socialismo, contro un nemico comune, che è ogni volta definita in maniera vaga e instabile.
Il populismo americano, secondo le letture degli anni '90 a partire dai lavori di Huston 6 , e poi di Stanley Parsons 7 e di Thomas Goebbel 8 , si fonda su una specifica concezione economica e politica, che origina da una lunga tradizione americana che questi autori definiscono come il «populist republicanism». Secondo questa idea, che riporta in auge una concezione repubblicana della politica, i guasti dell'economia originano da un cattivo uso della politica, e cioè dalla corruzione e dalla connivenza fra poteri economici e politici. La mancanza di democrazia conduce, in tale visione adottata dal People's Party, alla creazione di intollerabili ineguaglianze: gli abusi del potere politico sono direttamente responsabili delle ineguaglianze economiche. A questo proposito, la teoria economica del populismo è opposta rispetto al marxismo e al socialismo, che vedono nell'espansione dell'economia e nell'efficienza economica delle grandi corporazioni economiche non solo la maggiore causa dello sfruttamento, ma un naturale destino dell'economia mondiale.
In America, alla fine dell'Ottocento si sviluppano le grandi corporazioni imprenditoriali, che sfruttano le economie di scala e usano metodi della settorializzazione burocratica 9 . Nella stessa epoca, che vede un sostanziale impoverimento dei contadini e degli artigiani del Sudest, i grandi monopoli ferroviari, finanziati e favoriti dallo Stato, e le banche si arricchiscono sfruttando il monopolio dei prezzi del trasporto e assicurandosi il controllo dell'emissione e della fornitura di denaro. La ricchezza e il potere pubblico si trasformano in ricchezza e potere dei privati. Minacciati dalla crescente diseguaglianza, dalla minaccia dell'impoverimento, contadini e artigiani si uniscono idealmente nella «classe di produttori» per richiedere il ritorno a una politica che inveri i valori della repubblica americana, ispirata alla democrazia jacksoniana. La retorica jacksoniana, che si fondava sulla denuncia del moneypower, e delle grandi ricchezze, si radicalizza nel programma e nella visione del People's party. Questo, pur riprendendo motivi dell'ideologia repubblicana «nell'ambito delle alternative politiche che vengono dibattute prima dell'esistenza del movimento e che saranno in agenda politica nel XX secolo» 10 , radicalizza la concezione repubblicana e la trasforma in un'utopia politica.
Le richieste del People's party, e cioè la nazionalizzazione delle ferrovie, la possibilità di stampare moneta da parte degli stati, la democrazia diretta, il controllo stretto sui monopoli e, insieme, il ritorno alla centralità delle comunità agricole e della produzione legata allo sfruttamento della terra, originano da un sostanziale disconoscimento della nuova realtà delle grandi corporazioni. I populisti richiedono il ritorno ad un'economia guidata dalla politica e, così facendo, ignorano la realtà degli sviluppi capitalistici. L'«economia morale» 11 promossa dal People's party è quella fondata sui piccoli produttori, radicati nelle piccole comunità periferiche, della protezione del piccolo commercio dai grandi monopoli.
Come esamina Palmer 12 a partire dall'esame degli scritti di molte correnti populiste, l'accettazione del capitalismo viene data per scontata da tutte le correnti del movimento populista americano alla metà dell'Ottocento: sono gli sprechi, le diseguaglianze sociali, la corruzione e i monopoli, e, insomma, la distorsione del capitalismo, i maggiori punti di critica. Il rispetto della proprietà privata, invece, l'apologia della concorrenza e dell'economia di mercato sono le basi della loro concezione economica, che avrebbe corretto i guasti e le cattive deviazioni dal modello ideale del capitalismo. Contrari al socialismo, anche se in parte simpatizzanti di alcune correnti socialiste, i populisti imputano alle persone e alla corruzione dei singoli i disagi e le diseguaglianze sociali, non alla struttura economica in sé.
In questa chiave il leader populista Watson affermava che i monopoli di ricchezza non avrebbero dovuto essere protetti da un tipo di legislazione che conferisce privilegi speciali ai pochi ricchi 13 . Anche se dalla posizione conservatrice di Watson si distaccano in parte i Greenbakers, tuttavia essa, in genere, rappresenta la base del movimento, e cioè i piccoli proprietari, che tendono a conservare il sistema, perché aspirano essi stessi ad accedere alla posizione di grandi e medi proprietari terrieri.
Il progetto economico centrale dei movimenti facenti capo al People's party consiste nell'istituzione di una «simple market society», in cui «la produzione e distribuzione di beni e servizi è regolata dal mercato ma in cui il lavoro per sé non è un bene di mercato» 14 . In questo modello economico, l'indipendenza dei piccoli proprietari e dei contadini verrebbe assicurata dall'impossibilità di vendere il lavoro come un bene qualsiasi, mentre la ricchezza verrebbe garantita dalla mercificazione dei beni e servizi: tutti i membri della società avrebbero il possesso delle loro capacità e abilità lavorative e scambierebbero solo beni e servizi e «siccome non esisterebbe alcun mercato del lavoro, nessuno guadagnerebbe a spese di altri» 15 . Il riferimento storico dell'economia populista è la concezione di Thomas Jefferson, con la sua visione di una società ideale di contadini indipendenti, che vivono sfruttando risorse agricole praticamente illimitate 16 .
Se la «simple market society» è il fine ideale verso cui tende l'economia populista, gli obiettivi concreti delle battaglie populiste riguardano il controllo delle diseguaglianze, dei monopoli e della corruzione. Per tale ragione i populisti richiedono l'intervento dello Stato, che, in realtà, non riesce tuttavia più a controllare il grande capitale. Allo stesso tempo i populisti riconducono la questione della diseguaglianza economica e del potere delle grandi corporations a un tema morale, e cioè a quello della corruzione dello Stato, sempre più teso a proteggere i grandi monopoli. Pertanto basterebbe controllare i gruppi economicamente potenti per garantire l'effettiva eguaglianza degli individui. Prova della riconduzione della protesta politico sociale dei populist a una questione morale, che attribuisce i mali sociali al comportamento dei singoli è la piattaforma Ohama, in cui prevalgono parole come 13 «corruzione», «male», «saccheggio» e, per contro, «virtuoso» 17 . La classe dei produttori, intesa in senso vago come coloro che si sono assunti il dovere morale e materiale della produzione della ricchezza nazionale, costituisce il riferimento materiale ed etico di tutta la concezione populista, e, insieme, definisce la linea di demarcazione fra i veri e naturali titolari dei diritti di cittadinanza e i «non-produttori». Così, la capacità produttiva è considerata come un valore morale, definendo, a sua volta, un gruppo indeterminato di produttori. Sulla base di questa vaga definizione di produttore viene effettuata l'inclusione di alcuni ceti come "produttori" e l'esclusione di altri. La confusione del discorso populista che emerge fra la definizione e l'intreccio dei problemi economici delle questioni di giustizia e della condanna morale appiatisce e priva di virulenza la rivolta politica dei populisti.
L'attacco alla corruzione statale, ad esempio, e la richiesta di intervento per ridurre i monopoli si rivela un'arma spuntata: le corporazioni del capitalismo avanzato, infatti, come vedono altri testimoni dell'epoca, non hanno più bisogno della protezione dello Stato, ma solo del suo non intervento, del lassez-faire. I rimedi, allora, dei populisti alla crisi economica si svelano inadeguati e obsoleti a far fronte a questa nuova realtà. Se però la base della visione economica del populismo sembra inadeguata e utopica, il suo richiamo si basa su una forte idea morale e sul richiamo a valori, che soggiacciono all'interpretazione degli interessi. La coincidenza del richiamo morale con la denuncia dei monopoli è spiegabile solo se si considerano le basi religiose dei movimenti populisti, che si richiamano alla concezione jeffersoniana della virtù repubblicana intesa come discrimine per dividere i produttori, che rispettano il comando divino del lavoro, dai parassiti.
Per comprendere il richiamo delle idee populiste e la forza di mobilitazione del People's Party occorre, a questo punto, soffermarsi su un altro aspetto, che viene solo marginalmente trattato dalla letteratura secondaria: il valore della concezione etico-religiosa. L'afflato religioso, il linguaggio populista e la particolare concezione morale-economica dei populisti diventano più chiari se si tematizza il valore dell'evangelismo nel People's party.
La rivendicazione dei diritti degli agricoltori e dei piccoli commercianti, il rispetto della loro attività economica e la richiesta della protezione per le categorie deboli, si radicano nelle piccole comunità rurali, in cui le tradizio-ni comunali miravano tradizionalmente ad una certa redistribuzione della ricchezza . Il richiamo all'etica dei diritti individuali, proprio del People's party e del movimento degli agricoltori del Sud, non si fonda, come vede bene Berthoff 19 su una concezione socialdarwinista dei rapporti sociali, ma piuttosto sulle consuetudini egalitarie e comunitarie delle comunità contadine del Sud: l'utopia della società populista è pertanto inscrivibile nelle piccole comunità politiche in cui valgono le libertà individuali in quanto sono «eguali libertà». Da questa base originano un «miscuglio di nostalgia immobile agrario-puritana e il progressivismo millenario secolare e dinamico» che contraddistinguono l'ideologia populista 20 .
L'importanza del richiamo religioso è visibile a due diversi livelli: nel linguaggio populista e nei riferimenti storici e ideali del populismo. In particolare il linguaggio di Thomas Jefferson con la sua apologia del piccolo contadino indipendente, che col suo lavoro mostra la benedizione divina e, insieme, rende prospera la nazione americana è certamente centrale nella narrazione populista. A livello discorsivo, le metafore e le immagini religiose permettono ai populisti di rivolgersi a un pubblico vasto e renderlo compatto nella rivendicazione di una maggiore eguaglianza. Come vede bene Palmer «quando [i populisti] usavano tali metafore, essi si confrontavano sempre con l'idea di enfatizzare soluzioni puramente religiose e morali per seri problemi economici e sociali» 21 . Basti pensare all'uso preponderante di metafore religiose da parte di tutti i leaders populisti (da Thomas E. Waltson a Huey Long) e alla presenza di immagini religiose nei documenti ufficiali del People's Party.
In questo quadro l'evangelismo funziona sia come tema di raccordo fra gruppi che hanno interessi diversi -contadini, commercianti, lavoratorisia come un quadro entro cui si sviluppa l'ideologia populista come una costellazione di categorie per percepire il mondo e la società, in grado di essere convertite per fini politici e sociali. Il postmillenarismo e l'atteggiamento profetico costituiscono a tal proposito, come vedono bene Williams e Alexander 22 Il postmillenarismo, e cioè come il lavoro per l'avvento di una società di giusti che prende il ritorno di Cristo, si unisce nel discorso populista con la missione eccezionale che gli Stati Uniti svolgono nel mondo per la difesa di valori e diritti. Il conflitto fra plutocrati e produttori, tra il vero popolo (Plain people) e gli sfruttatori, è dunque non solo un conflitto economico, ma morale e religioso. Infatti, la violazione da parte della plutocrazia, dei diritti individuali e dei principi fondamentali su cui si basa la costituzione americana configura non solo una violazione giuridica, ma un'offesa a Dio. Allo stesso tempo, la violazione dell'eguaglianza all'interno del suolo americano conduce anche al tradimento della missione che il popolo e lo Stato americano assumono dinanzi a Dio per l'intera umanità: la protezione contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Insomma, l'idea di eccezionalità dell'America si lega strettamente nel linguaggio populista profetico sia con il rispetto dei diritti individuali, sia con il rifiuto delle diseguaglianze interne al suolo americano.
Il modello comunitario agricolo, il ritorno ad una società arcaica sono alcuni dei modi con cui i populisti aggregano il consenso delle masse. Lo stile attraverso cui essi, però, articolano la loro utopia politica è, come vedono bene Williams e Alexander, quello profetico, che chiama in causa Dio e la sua autorità per sfidare le autorità politiche e il consenso sociale. La storia si dispiega, secondo i populisti, sotto lo sguardo di Dio e Dio, che è il vero giudice degli eventi umani. É direttamente dalla legittimazione divina che proviene la legittimità per la lotta contro le autorità ingiuste. L'autorità divina viene così richiamata fra gli altri nella Ohama Platform, nei discorsi di Ignatius L. Donnelly e di Elisabeth Lease: questi non esitano a rimettere in discussione la divisione fra religione e politica e ad affermare il valore religioso delle scelte politiche populiste. Contro le élite dominanti, laiche e orientate al laissez-faire, i populisti rivendicano il ritorno ai principi fondamentali dei padri fondatori e a una riconciliazione del legame fra etica, politica e religione civica.
Dalla rapida lettura di alcuni temi del populismo americano emerge l'intreccio inestricabile fra valori e interessi, richieste economiche, pretese giuridiche e richiami teologici e religiosi. Sembra difficile interpretare questi due fattori importanti di mobilitazione politica come due fonti diverse e contrapposte di autorappresentazione del movimento. Al contrario, una lettura che metta in luce il modo in cui il richiamo agli interessi economici venga fondato su posizioni di valore, e che dimostra che la «politica economica» dei populisti trova le sue origini nelle concezioni millenariste e nelle comunità evangeliche, sembra più adeguata a comprendere la natura complessa del primo populismo. Così come l'utopia dell'economia morale del populismo non può essere separata dalla sua fondazione in un'etica religiosa e nel mondo dei valori contadini, nello stesso modo il richiamo al postmillenarismo acquisisce la sua pregnanza storica e diventa fonte di mobilitazione solo all'interno di un discorso economico e politico. La difesa dei diritti individuali e la protezione contro le diseguaglianze acquisiscono nel discorso populista una pregnanza morale che viene solo apparentemente messa a tacere dalla vittoria del sistema bipolare. Come mostra la recente letteratura sul populismo americano, questo è una sorgente carsica, che appare e scompare nel corso della storia americana, ma che è destinato a essere l'ombra della grande democrazia occidentale degli Stati Uniti.
Così, l'analisi storica del ruolo della religione e della relazione fra la critica razionale economica e l'afflato millenaristico nel People's Party permette oggi di trattare un tema che è ritornato ad affascinare la letteratura contemporanea sul populismo: la collocazione della religiosità nella politica 23 . In due modi la religiosità mostra di esercitare un ruolo preminente nel populismo attuale e antico, sia a livello di contenuti, e cioè dei programmi che i partiti populisti promuovono, sia a livello strutturale, in quanto i movimenti populisti hanno caratteristiche che secondo alcuni studiosi, avvicinano alle sette religiose.
Sembra necessario sottolineare che una comparazione seria del populismo attuale col "People's party" richiederebbe un lavoro lungo di analisi. In questa sede, tuttavia, si possono accennare delle analogie e delle linee di ricerca, delle domande da cui si potrebbe partire per considerare il ruolo che la religione ha avuto e ha nel discorso populista.
Per religiosità si deve intendere più nel discorso politico contemporaneo, come vedono bene Rogers Brubaker e Andrew Arato, la fede in una specifica forma di religione, non una «religione sostanziale» bensì una religione-come-cultura secolarizzata 24 , e cioè «una forma di cristianismo civilizzatorio e identitario». Riguarda un modo di appartenere, piuttosto che una maniera di credere, un mezzo per definire «noi» in relazione a «loro». Questa forma di "religione secolarizzata" costituisce allora il contenuto di alcuni partiti popu-listi attuali occidentali, funzionando come asse di discrimine per evidenziare la differenza e incomunicabilità fra alcune culture e le altre -«the west and the rest» nelle parole di Huntington. É questa la ragione per cui i riferimenti alla religione, intesa come una religione caratterizzata dalla tolleranza e dalla libertà, in particolare al cristianesimo contrapposto all'Islam, sono temi inseparabili dalle campagne populiste attuali 25 . La questione che si pone da un punto di vista storico è come funzionano, allora, i riferimenti alla religione nel primo populismo, che cresce in un momento in cui lo «scontro delle civiltà» non è ancora formulato come il tema principale del dibattito politico.
Un secondo livello di analisi riguarda, invece, la struttura del populismo, intesa in senso lato, come il suo stile, la strutturazione interna al partito, e la sua «grammatica», e cioè le sue forme di comunicazione e legittimazione. Canovan coglie bene la questione della relazione intrinseca tra il populismo antico e attuale e la religione attraverso la sua definizione della «politica della fede», come contrapposta alla «politica degli interessi». La prima, intesa come «mobilitazione dell'entusiasmo popolare» per un progetto politico, «la richiesta di una maggior potere per realizzarlo» 26 implica un momento di fusione collettiva e il desiderio di redenzione e di ritorno alla fonte della legittimità popolare alla vox populi -posta fuori dalle istituzioni. In questo caso, come vede bene Margaret Canovan, riprendendo le analisi di Weber, la legittimazione del partito e soprattutto del capo populista funziona nel populismo contemporaneo in modo analogo a quella dell'istituzione religiosa: come in quest'ultima la fonte di legittimità sta in un'autorità esterna e fondativa, che si rivela in alcuni momenti e attraverso alcuni rituali e che può in ogni momento rifondare e redimere il movimento, rivoluzionandolo. Se la vox dei è la fonte del carisma religiosa, la vox populi si manifesta attraverso l'opera e le parole dei leaders populisti: «I populisti si appellano passando oltre le istituzioni fossilizzate al popolo vivente, proclamando l'immediatezza della vox populi […] tali movimenti hanno leaders carismatici […]. In tale contesto, il dilettantismo e la mancanza dell'esperienza politica diventano caratteristiche raccomandabili» 27 .
La politica della fede, allora, che presenta diversi caratteri che si trovano nell'ambito della religione -il fondamento in un'autorità esterna e «sacrale» come la vox populi, il disprezzo per le mediazioni istituzionali, i leaders forti -si espande e si accentua nel populismo, che proclama come unica fonte di legittimità il popolo, inteso come una comunità eucaristica, unita, omogenea e rivolta verso il medium fra la fonte di autorità e la collettività.
L'analogia profonda, o, ancor meglio, l'affinità strutturale tra il populismo e i movimenti religiosi è visibile nello stile politico: «le caratteristiche della politica populistica fanno appello direttamente al popolo, implicando la personificazione performativa dell'habitus (linguaggio, apparenza, gesti) del popolo ordinario da parte dei leaders politici, che pretendono di stare per il popolo e, letteralmente, rappresentarlo. Da un punto di vista drammaturgico, è chiaro che i leaders populisti mettono in scena la loro unità raggiunta con il pubblico attraverso copioni specifici, messe in scena e tecniche nei raduni, nei discorsi e in forme mediate di comunicazione» 28 .
Come nota Andrew Arato, sulla scia anche dei lavori di Brubakers 29 e di Gorski 30 , il populismo non si appropria dei riti, dello stile e della struttura del discorso religioso contemporaneo e, direi, quello originario, solo per promuovere la mobilitazione politica e convogliare le diverse individualità in un tutto omogeneo -nel popolo dei populisti -ma anche per compattare e stabilizzare questa identità creando un nemico, un «loro» contrapposto al «noi». I richiami alla religione, all'unità del credo, in maniera perfino più forte, nel momento attuale in cui la religione di riferimento è secolarizzata, disciolta in un ambito in cui diventa civiltà e perde i suoi connotati dogmatici, servono per definire una civiltà contrapposta a un'altra, e, nello specifico, l'Europa tollerante contro l'Islam fondamentalista. Arato arriva perfino a definire il populismo come il tentativo di ritornare alla teologia politica, al riempimento della politica di contenuti identitari, fondamentalisti e intolleranti: questo sarebbe il risultato di una politica che ha di fatto perso ogni urgenza di «depoliticizzare» il conflitto e che predilige una concezione omogenea, unitaria e sacrale del popolo, definendolo come esclusivo rispetto al nemico 31 .
Certamente le analogie fra il linguaggio del populismo -di ieri e di oggi -e la religione sono evidenti anche nella concezione redentrice della rivoluzione politica populista, che si fonda sulla ricostruzione di un quadro di miseria e di crisi, in cui alla vittima, e cioè al popolo inteso come legittima fonte della legittimità politica, viene sottratta ingiustamente ogni prerogativa. In tale prospettiva la missione della «nuova» politica populista sta nella redenzione, e cioè nella riappropriazione, da parte del popolo, del suo "sacrosanto" diritto a governare il paese, eliminando le vecchie istituzioni corrotte e in genere tutte le forme di mediazioni che potrebbero filtrare e alterare la vox populi 32 . Del resto, però, come ammettono alcuni studiosi, l'afflato morale del populismo, l'elemento di mobilitazione fondata sulla fede politica, i fattori valoriali e fideistici che spingono il popolo a richiedere una maggiore partecipazione, non possono essere visti sempre e di per sé come nemici della democrazia, ma, a giuste dosi, possono essere complementari e necessari alla politica degli interessi, e cioè alle forme di tutela costituzionale e al gioco politico inteso come discussione e mediazione di interessi plurali. Insomma, il populismo, cum grano salis, potrebbe perfino essere -o è stato, in alcuni casi di esperienza storica -utile alla democrazia 33 .
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