Cristiana Zorzi
Spazio e potere
nella letteratura a fumetti
Simone Gamba
Roma, Edicusano, 2020, pp.179
F
orse vale anche per altri ma certamente per me. Io faccio presto a
capire quando un saggio che sto
leggendo ha colpito nel segno. Accade
quando la mia lettura si interrompe
continuamente. Andamento sincopato
dovuto al bisogno di riflettere su quanto
ho appena letto o approfondire in rete
cercando documentazione aggiuntiva su
autori e opere citati. Nel leggere Spazio e
potere nella letteratura a fumetti di Simone
Gamba mi sono interrotto molto spesso.
Mi spiace dunque per la redazione che mi
aveva chiesto la recensione e ha dovuto
attendere a lungo ma ne esco rallegrato
per la stimolante lettura.
Per ottenere un simile risultato non c’è
bisogno che il libro sia profondo, teoreticamente denso. Basta che offra documentazione fresca e considerazioni originali.
Ovvio requisito indispensabile a una tale
piacevole esperienza è il mio interesse per
il tema trattato, in questo caso il fumetto
(ma nel saggio di Gamba sono presenti
anche incursioni nelle serie televisive,
nei videogiochi, nella musica pop e negli
eventi sportivi). Apprezzo il genere, e ho
scoperto in questi ultimi anni di essere in
compagnia di diverse colleghe e colleghi
più esperti di me. Mi pare, infatti, che la
geografia italiana abbia ormai definitivamente accolto il fumetto sia come oggetto
di ricerca che come pratica di lavoro. Lo
attestano diversi indizi che mi vengono
subito in mente appena ci penso: i ripetuti
lavori di Giada Peterle, il video-fumetto
realizzato da Massimiliano Tabusi, Andrea
Simone e Daniele Mezzapelle, un recente
seminario a Udine, l’ultimo libro di Marcello Tanca, alcuni progetti del gruppo
AGeI animato da Fabio Amato ed Elena
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dell’Agnese. E altre iniziative del mondo
della geografia italiana verso quello del
fumetto mi sfuggiranno di sicuro. Questo
nuovo libro integra dunque una riflessione
che ha già raggiunto uno proprio stadio di
maturità.
Come ogni saggio che si rispetti, anche
quello di Simone Gamba possiede un
tema e un approccio specifici. Il tema è
il significato politico del fumetto. L’approccio dichiarato quello della geopolitica critica, che si rivela particolarmente idonea
a trattare le immagini perché dà grande
peso alle rappresentazioni. L’autore si
appoggia dunque a una ben precisa corrente di studi sorta in ambito anglosassone che ha ridefinito e rilanciato, da una
prospettiva tanto originale quanto riformatrice, un termine prima tabù: geopolitica. L’aggettivo “critica” esplicita infatti
un programma di contestazione radicale
che punta a demolire la vecchia geopolitica classica. Tematicamente, il lavoro di
Gamba ricade in quella branca nota come
popular geopolitics, specifica declinazione
della geopolitica critica dedicata alle
forme di comunicazione dette “dal basso”,
anche se l’etichetta direzionale richiama
subalternità fuori luogo.
Il saggio origina dunque da due cambiamenti: nel modo di concepire i fumetti,
oggi più impegnati rispetto al passato,
e nel modo di fare geopolitica, ora interessato anche alla cultura popolare. Nel
breve spazio di una recensione non è possibile approfondire nessuno dei due fenomeni. Ma accennarvi è doveroso perché
l’opera recensita deve a essi gran parte
del suo interesse. Circa i cambiamenti nel
modo di concepire i fumetti, l’autore scandaglia un numero molto ampio di opere
di successo mostrando con evidenza il
crescente impegno civile di questo genere
editoriale, la sua decisa piega verso la politicizzazione esplicita. Questa inclinazione
recente è stata valorizzata e suggerita da
virtù note del fumetto che favoriscono il
coinvolgimento emotivo: “[capacità] di
catturare l’attenzione del lettore e permet-
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Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia
tergli più agevolmente di immedesimarsi
nella realtà narrata” (pag. 52), “straordinaria trasversalità interculturale e intergenerazionale” (pag.53). Virtù molto apprezzate dalla seconda matrice del lavoro,
cioè la geopolitica critica, che contiene un
afflato etico finalizzato a promuovere un
pensiero critico e formare cittadini consapevoli, compiti che le moderne graphic
novel dimostrano di poter svolgere.
Il termine “geopolitica” viene dunque usato spessissimo da Gamba, sia per
il riconoscimento verso l’approccio che
l’ha ispirato che per la comodità lessicale
di un’espressione unica per condensare
la relazione tra i due termini iniziali del
titolo del volume, cioè lo spazio e il potere.
Pare un uso sensato e non un abuso, non
solo perché analizza fumetti dedicati a
questioni geopolitiche (quali le primavere
arabe o lo scontro israelo-palestinese) ma
soprattutto perché coglie la dimensione
cognitiva collettiva della geopolitica, cioè
le interpretazioni dello spazio politico da
parte di un popolo, le visioni della propria
e altrui collocazione nel mondo (ad esempio, quando il libro ragiona attorno al
concetto di orientalismo). In questo senso
i fumetti intercettano l’immaginario pubblico e gli danno voce, compiendo un atto
intrinsecamente politico.
La geopolitica è dunque qui sia nei contenuti in quanto, come detto, ci si concentra sulle questioni politiche e soprattutto
internazionali, ed è anche nelle funzioni
perché si sottolinea il valore dei fumetti
nell’esprimere e orientare percezioni collettive, spesso nella veste di contropotere.
Così è, ad esempio, quando si rileva che
“ad Hong Kong il fumetto è stato usato
dapprima per contrastare l’invasione giapponese, poi l’ingerenza statunitense in un
caso internazionale [Snowden] e infine,
più di recente, sta polarizzando il sentimento anticonformista che si sta intensificando tra i giovani attivisti in seguito
alle pressioni della Cina continentale sulla
città” (pp. 84-5). Nel complesso, “i fumetti
dicono molto sulle paure, le fantasie e le
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ossessioni del nostro tempo. Sempre più
spesso cercano di rappresentare scenari
politici, tensioni, conflitti territoriali e
possono dunque contribuire a comprendere relazioni di causalità centrali nella
teoria politica” (p. 45). L’affermazione
esprime la doppia natura dei fumetti, passiva quando riflettono stati d’animo diffusi, attiva quando concorrono a creare
una cornice interpretativa, una percezione
specifica di una questione politica.
Questa seconda funzione estende il
campo d’azione del fumetto ben oltre la
semplice descrizione (di avvenimenti politici) e denuncia (degli abusi dei potenti),
consentendo un’autentica analisi geopolitica del settore che il lettore può agevolmente compiere. Emergono infatti dalla
documentazione offerta tutta una serie
di spazialità politiche dei fumetti, oltre
a quella dell’oggetto in sé che convoca lo
spazio ma non – almeno direttamente - il
potere e che riguarda la specifica topologia e grammatica spaziale del fumetto, la
sequenzialità obbligata, il formato e altre
cose con cui l’autore deve fare i conti nel
realizzare il proprio prodotto. Oltre a
questi elementi, una lettura del fumetto
politico in chiave spaziale suggerisce
anche altri livelli che nel saggio di Gamba
a volte emergono direttamente e a volte
indirettamente.
Circa i contenuti di singoli fumetti a
tema politico, possiamo distinguere tre
dimensioni spaziali: la prima è relativa
al fenomeno e alla storia raccontata, e si
manifesta nella descrizione di tutti i luoghi dove il fumetto è ambientato e l’effetto che tale quadro geografico esercita
sulle vicende narrate; la seconda riguarda
la spazialità politica di precisi luoghi o
territori che emerge dal fumetto, cioè
quella specifica combinazione di rapporti
sociali, politici e istituzionali che dà vita in
quel luogo a una certa configurazione di
potere, a certe relazioni tra i soggetti, ad
asimmetrie, equilibri e squilibri tra forze
in campo. A volte, inoltre, il fumetto prospetta una terza spazialità corrispondente
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a quella che l’autore vorrebbe fosse la
realtà. In questo caso funge da espressione
di un progetto di territorializzazione politica. Come ha scritto di recente Marcello
Tanca in un libro dedicato alla fiction
in cui trova giustamente posto anche il
fumetto, “simulando la territorialità questo medium ci fa conoscere le condizioni
di un divenire possibile”.
Se passiamo dal singolo fumetto allo
spazio complessivo della produzione del
settore, allora l’analisi può fornire indizi
geopolitici sull’evoluzione del sistema
internazionale. Ad esempio, nel dipingere
uno scenario nuovo nel mercato internazionale in cui “l’americanizzazione lascia
spazio all’indigenizzazione” (pag. 64),
Gamba implicitamente evidenzia un policentrismo che mette seriamente in discussione l’egemonia culturale degli Stati
Uniti nel mondo. In questo caso il mercato
del fumetto viene usato come chiave di lettura delle dinamiche politiche, come strumento di interpretazione della situazione
internazionale in grado di mettere in luce
la tendenza di fondo del sistema.
Siamo qui di fronte a una spazialità
autenticamente geopolitica perché considera il mercato del fumetto come un’arena
competitiva dove soggetti disparati ma
tutti portatori di specifiche visioni politiche si contendono un territorio composto
da lettori. In questa prospettiva può essere
analizzato il settore, sia che si prendano
come soggetti i grandi blocchi civilizzazionali (si vedano, nel libro, le pagine dedicate alle diverse impostazioni dei fumetti
occidentali e arabi impersonati rispettivamente da Capitan America e dai supereroi
musulmani), le culture nazionali (manga
giapponesi o fumetti argentini rimandano
a identità forti e sono stati usati politicamente) o addirittura i singoli disegnatori
animati da impegno civile e protesi a diffondere la loro idea politica.
Si tratta di uno spazio conteso di
ordine metaforico ma allo stesso tempo
molto concreto per le conseguenze che è
capace di indurre sulla realtà. Ha fatto più
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Joe Sacco per la causa palestinese che tanti
suoi martiri. Più Zerocalcare per simpatizzare giovani italiani alla causa curda che
decine di iniziative di anonimi volontari.
Casi di successo talmente eclatanti da
suscitare il dubbio se questi celebrati disegnatori siano, magari inconsapevolmente,
braccia al servizio di centri di potere
oppure siano essi stessi centri di potere in
grado di produrre autonomamente specifiche narrazioni.
Con i suoi continui riferimenti alla
geopolitica critica Simone Gamba li fa
implicitamente ricadere nella prima fattispecie che li considera soldati inquadrati
e non cani sciolti. A meno che non si tratti
di un abbaglio, che per la verità si ritrova
frequentemente nelle opere che dichiarano di ispirarsi alla popular geopolitics.
Infatti accade spesso che i geografi che
trattano di cultura popolare riconoscendole un valore sociale e politico si sentano
arruolati tra i geopolitici critici. Il riferimento appare meccanico, quasi un riflesso
istintivo, come se il solo parlare di narrazioni collettive consentisse automaticamente di dichiarare che si sta adottando il
metodo critico. Credo che sul punto ci sia
un malinteso di fondo. È vero che è stata
questa corrente a valorizzare per la prima
volta la cultura popolare negli studi geografici, ma lo ha fatto con tono – appunto
– critico, ed è solo in questa prospettiva
che ci si può dichiarare geopolitici critici.
Quando, cioè, la narrazione popolare è
rappresentazione di un progetto di potere.
Siamo dentro al nesso foucaultiano tra
potere e sapere. Coerentemente, l’obiettivo-principe del buon geopolitico critico è
decostruire, cioè smascherare le mistificazioni della propaganda dei governi, smontare la naturalità delle rappresentazioni
per dimostrarne il valore politico. Da qui
l’interesse verso la teoria dell’egemonia
di Gramsci e la vocazione normativa del
potere.
In realtà, in molti dei riferimenti analizzati in questo libro, si ha la sensazione
che il fumetto non sia tanto un’arma del
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Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia
potere quanto il segno di una spiccata sensibilità politica del disegnatore. Egli non
appare strumento di un potere superiore,
e Gamba ci pare simpatizzare con i disegnatori che analizza, in gran parte lontani
dalla figura di ingranaggi di un meccanismo di potere finalizzato a veicolare rappresentazioni che, trasformate in senso
comune, vengono accolte dall’opinione
pubblica come auto-evidenti finendo per
svolgere un ruolo fondamentale nel legittimare l’azione dei gruppi dominanti.
Insomma, la geopolitica di Gamba mi
pare meno problematica di quella dei critici, che la riducono a un bagaglio di pratiche e rappresentazioni discorsive finalizzate esclusivamente a imporre specifiche narrazioni strumentali a servire una
precisa linea politica. Il suo obiettivo non
pare il loro perché altrimenti renderebbe
i suoi fumetti meri strumenti del potere.
Tanto più potenti oggi che, nella crescente
proliferazione di operatori della comunicazione, gli autori di fumetti stanno
conquistando terreno rispetto a operatori tradizionali. Tanti giovani lettori di
Zerocalcare non hanno magari mai visto
un servizio televisivo dedicato ai curdi
ma hanno incontrato la questione per la
prima volta leggendo Kobane calling, che
diviene allora un canale di informazione/
formazione geopolitica. Quindi la mia
sensazione è che Gamba condivida i temi
della geopolitica critica ma in fondo se ne
distingua per tasso di problematizzazione
e impostazione di ricerca.
Piuttosto che scorgere poteri occulti
dietro ai fumetti, Gamba aiuta a riconoscere l’accresciuta complessità delle relazioni tra quelli che Angelo Turco chiamerebbe contesti di genesi e contesti di
effetto, cioè le sedi dove vengono prese le
decisioni e quelle su cui esse impattano. Se
una volta la questione era piuttosto semplice perché era facile collegare la produzione di Hollywood con l’immaginario del
pubblico occidentale sulla Guerra Fredda,
oggi invece il tema si è notevolmente arricchito, tanto sul versante dei contesti di
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genesi che di quelli di effetto. Infatti, relativamente ai primi, le fonti di produzione
appaiono aumentate e diversificate, non
più appannaggio dell’Occidente (si pensi
al soft power indiano e turco esercitato
attraverso le rispettive produzioni televisive seguitissime all’estero). Sul fronte dei
contesti di effetto, l’avvento di internet ha
facilitato la circolazione di prodotti culturali popolari, compresi quelli che veicolano contronarrazioni.
Nel complesso si ha l’impressione di
essere di fronte a uno spazio dalla configurazione interna in netta evoluzione,
in cui singole regioni appaiono in forte
crescita. Gamba tratteggia questa nuova
geografia dedicando appositi paragrafi al
fumetto franco-belga, a quello anglo-americano, dell’Estremo Oriente, dell’America Latina, del Medio Oriente. Ma l’analisi deve dettagliare ulteriormente questa
spazialità interna perché le regioni non
sono omogenee, e allora Gamba distingue in sottoregioni dotate di proprie specificità: lo spazio del fumetto argentino
rispetto a quello cileno, quello di Hong
Kong rispetto a quello giapponese ecc.
Credo che si possa dunque affermare
che un libro come questo non solo tratta
attraverso i fumetti di questioni geopolitiche ma fa ricerca teorica in geopolitica
perché l’obiettivo della disciplina, contrariamente a certe sue concezioni realiste che la vedono come uno strumento
operativo di ausilio al principe di turno,
è primariamente intellettuale: comprendere attraverso la chiave spaziale la realtà
politica e i suoi soggetti vecchi e nuovi.
Siccome il funzionamento del potere è
regolato non solo da dispositivi materiali
ma anche discorsivi e simbolici, ecco che
analizzare le espressioni della comunicazione pubblica può fornire un effettivo
contributo allo studio del potere e diventa
un esercizio di geopolitica quando gli si dà
un inquadramento spaziale. Quando cioè
i Joe Sacco e gli Zerocalcare vengono visti
non come artisti ma come soggetti che
competono con altri soggetti per imporre
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la propria visione in quel campo di forze
che è lo spazio fluido della comunicazione.
A dir il vero, la lettura dei rapporti di
potere che fa la geopolitica non guarda
esclusivamente allo spazio costruito, alle
rappresentazioni, ai segni. Guarda anche
allo spazio materiale, alle condizioni strutturali, al quadro geografico esterno ai
soggetti. Ma questo è un tema che lascio
stare perché porterebbe fuori dal libro
di Gamba e interroga più estesamente la
cattiva coscienza dei geografi che sentono
ancora pressante il bisogno di rinnegare
perdonabili determinismi del passato.
Le declinazioni disciplinari canoniche
collocherebbero istintivamente questo saggio nella geografia culturale. Credo, per
quanto detto, che lo si possa agevolmente
inquadrare anche come opera di geopolitica. Non per rivendicazioni di parte ma
per mostrare la duttilità del metodo geografico e la innaturale segmentazione di
questo sapere. Nello specifico, per evidenziare i molti possibili approcci a questo
libro che colma un vuoto nella geografia
italiana rivelandosi utile per documentarsi e per tornare a riflettere sulla ricchezza e complessità del rapporto tra spazio e potere.
Edoardo Boria
Sapienza Università di Roma
[DOI: 10.13133/2784-9643/17487]
Turismo musicale:
storia, geografia, didattica
Rosa Cafiero, Guido Lucarno,
Gigliola Onorato,
Raffaela Gabriella Rizzo (a cura di)
Bologna, Patron Editore, 2020, pp. 504
I
l paradigma dell’overtourism ha alimentato negli ultimi anni riflessioni da
parte di studiosi di ambiti diversi, trovando sempre maggiore spazio nel dibattito pubblico nazionale ed internazionale.
Dal 1950 al 2000, il numero di viaggiatori
internazionali è aumentato vertiginosamente, passando da 25 a oltre 600 milioni,
con una distribuzione non uniforme sul
pianeta: i primi dieci paesi per numero
di arrivi internazionali assorbono il 46%
dei visitatori mondiali. La distribuzione è
diseguale anche all’interno delle città più
visitate nei paesi in cima alla classifica: ad
esempio, i 20 milioni di visitatori che arrivano in media ogni anno a Roma – e che si
traducono in 46 milioni di pernottamenti
– si concentrano in sole quattro delle 155
zone urbanistiche della città.
Anche se l’overtourism e la turistificazione dei centri storici sono fenomeni
relativamente recenti, queste pratiche
affondano le radici in processi in atto già
da tempo. Il turismo è diventato un settore trainante per le economie urbane
a partire dalla fine degli anni Settanta,
quando il legame tra industrializzazione
e urbanizzazione è entrato in crisi, favorendo una trasformazione profonda delle
città che, da luoghi di produzione, si sono
trasformate in centri di servizi. Il geografo urbano David Harvey ha descritto
questa metamorfosi come una transizione
da un modello manageriale delle amministrazioni locali a uno imprenditoriale:
le città sono state costrette a ripensare i
propri modelli di sviluppo in un’ottica di
self-serving, preoccupandosi di trovare da
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