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ENEIDE (Ade+testi)

Il viaggio oltre i confini della vita è un topos che affonda le sue radici nel dualismo vita-morte e nell'aspirazione dell'uomo alla resurrezione (es. Gilgamesh, Orfeo ed Euridice, Teseo e Piritoo che tentano di rapire Persefone, Ercole che cattura Cerbero). Anche Ulisse era disceso agli Inferi (la Nekya è raccontata in Od. XI), ma semplicemente affacciandosi sulla porta dove erano confluite le anime che avevano riacquistato memoria e parola attraverso il sangue del sacrificio. Molto più complessa è la visione virgiliana: la discesa di Enea nell'oltretomba non a caso è posta a metà del poema, essendo l'esperienza attraverso cui l'eroe prende piena coscienza della sua missione. L'episodio del ramo d'oro fa capire ad Enea di essere l'eletto e la rassegna degli uomini che faranno grande Roma lo sprona a realizzare la sua missione. La concezione provvidenziale e la funzione celebrativa della grandezza di Roma è stata perfettamente colta da Dante che, infatti, nella Divina Commedia (If., II, 13-33) dice: Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. Però, se l'avversario d'ogne male cortese i fu, pensando l'alto effetto ch'uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale, non pare indegno ad omo d'intelletto; ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero ne l'empireo ciel per padre eletto: la quale e 'l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u' siede il successor del maggior Piero. Per quest'andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. Andovvi poi lo Vas d'elezione, per recarne conforto a quella fede ch'è principio a la via di salvazione. Ma io perché venirvi? o chi 'l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a ciò né io né altri 'l crede.

L’ADE SECONDO VIRGILIO NELL'ENEIDE Il viaggio oltre i confini della vita è un topos che affonda le sue radici nel dualismo vita-morte e ell’aspi azio e dell’uo o alla esu ezio e es. Gilga esh, O feo ed Eu idi e, Teseo e Pi itoo he te ta o di rapire Persefone, Ercole che cattura Cerbero). Anche Ulisse era disceso agli Inferi (la Nekya è raccontata in Od. XI), ma semplicemente affacciandosi sulla porta dove erano confluite le anime che avevano riacquistato memoria e parola attraverso il sangue del sacrificio. Molto più complessa è la visione virgiliana: la dis esa di E ea ell’olt eto a o a aso posta a età del poe a, esse do l’espe ie za att ave so ui l’e oe p e de pie a os ie za della sua issio e. L’episodio del a o d’o o fa api e ad E ea di esse e l’eletto e la asseg a degli uo i i he fa a o g a de Ro a lo sp ona a realizzare la sua missione. La concezione provvidenziale e la funzione celebrativa della grandezza di Roma è stata perfettamente colta da Dante che, infatti, nella Divina Commedia (If., II, 13-33) dice: Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. Però, se l'avversario d'ogne male cortese i fu, pensando l'alto effetto ch'uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale, non pare indegno ad omo d'intelletto; ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero ne l'empireo ciel per padre eletto: la quale e 'l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u' siede il successor del maggior Piero. Per quest'andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. Andovvi poi lo Vas d'elezione, per recarne conforto a quella fede ch'è principio a la via di salvazione. Ma io perché venirvi? o chi 'l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a ciò né io né altri 'l crede. Ad accrescere la complessità di questo episodio, inoltre, ci sono: 1) il tema filosofico di matrice pitagorico-platonica della metempsicosi che fa sì che accanto alle prevedibili anime dei defunti ci siano anche, con originale invenzione, quelle dei discendenti. Qui di l’E eide ies e a salda e il passato ievo azio e della gue a di Troia), il presente (viaggio di Enea) e il futuro. 2) il topos del locus amoenus nella descrizione dei Campi Elisi. 3) l’idea di u a o ispo de za t a le azio i o piute i vita e la o dizio e dopo la o te nella distinzione tra Tartaro e Campi Elisi. Enea ha bisogno di una guida, non tanto per entrare in Ade, quanto per uscirne illeso. Si rivolge quindi alla Sibilla Cumana, che gli ordina di compiere un sacrificio e gli indica dove procurarsi un ramo d'oro da donare a Proserpina. Una volta compiuto il sacrificio, si apre il terreno e compare il passaggio che conduce all'Ade. Si trova nei pressi del lago Averno, in Campania, in una zona vulcanica che probabilmente per le esalazioni sulfuree aveva fi dall’a ti hità u aspetto agi o e e si p estava a esse e o side ata u ’ape tu a ve so o di inaccessibili. - Nel vestibolo infernale si trovano: la personificazione dei mali dell'uomo (il Lutto, gli Affanni, le Malattie, la Vecchiaia, la Paura, la Fame, la Miseria, la Morte, il Dolore, il Sonno, i Piaceri, la Guerra, le Eumenidi, la Discordia), un olmo ombroso sotto le cui foglie sono attaccati i Sogni fallaci, e numerosi mostri (i Centauri, le Scille, Briareo, l'idra di Lerna, la Chimera, le Gorgoni, le Arpie e Gerione). In realtà, si tratta solo di ombre senza corpo quindi non sono pericolose. - Dopo, c'è il fiume Acheronte; dove un gorgo torbido di fango ribolle in una vasta voragine ed erutta tutta la sua melma nel Cocito. Caronte traghetta le anime dall'altra parte (attraversando sia l'Acheronte che lo Stige, fiu e he i Vi gilio ha l’aspetto di palude), ma solo quelle che hanno avuto sepoltura. Qui avviene l’i o t o o Pali u o, il o hie o di E ea he e a aduto dalla ave du a te la avigazio e e o aveva avuto sepoltura. Egli supplica Enea di seppellirlo, ma la Sibilla gli dice che il suo corpo non è stato trovato, tuttavia lui sarà sempre ricordato perché un luogo prenderà da lui il nome: capo Palinuro. - All'ingresso si trova Cerbero (guardiano), che viene fatto addormentare con delle focacce soporifere. Minosse (giudice) viene citato ma non è specificata la sua sede. - Il p i o luogo he si i o t a l’antinferno, nel quale sono radunate le anime dei morti anzitempo: i bambini (v. poesia Carducci) e i condannati a morte per un'ingiusta accusa. Lì vicino ci sono le anime dei suicidi, circondati dallo Stige. Pe essi o ’ la o da a he, i ve e, o pa e i Da te v. Pie delle Vigne). - Nei Campi del Pianto, formati da una selva di mirti pia ta sa a a Ve e e, dea dell’a o e , si celano coloro che sono stati consumati da un amore crudele tra i quali Enea vede Didone. Anche dopo la morte, sono tormentati dai loro affanni. - Quasi alla fine dei Campi del Pianto, risiedono coloro che sono morti in guerra. L'apparenza delle loro anime riporta ancora le ferite di battaglia. Qui E ea i o t a Deifo o, il f atello di Etto e he l’e oe t oia o credeva erroneamente di avere a fianco durante il duello con Achille. - Dopo i campi, c'è un bivio: la destra tende verso la reggia di Dite, le cui mura sono state costruite dai Ciclopi, ed è la via che porta verso l'Elisio. Dopo aver offerto il ramo d'oro a Proserpina, Enea può proseguire. Invece la sinistra conduce all'empio Tartaro. Esso si presenta come una fortezza cinta da mura, circondata dal Flegetonte (fiume del fuoco) e custodita da Tisifone , furia anguiforme (ha serpenti per capelli) dal mantello insanguinato. Qui è giudice Radamanto, fratello di Minosse. Tra le anime qui punite vi sono ad esempio i Titani che te ta o o la s alata all’Oli po pe det o izza e )eus, Teseo he aveva e ato di rapire Proserpina, altri che avevano tradito la patria. E’ e e ota e he questo luogo riservato ai malvagi è una novità virgiliana. Compare per la prima volta la manifestazione di una giustizia superiore che distribuisce pene e ricompense eterne sulla base di un criterio morale che, per certi aspetti, anticipa la visione cristiana (è questo uno dei testi che nel Medioevo ha fatto sì che Virgilio venisse scelto come auctoritas, cioè come autore che nella sua opera aveva colto ed espresso frammenti di verità che nella sua interezza si trova solo nella sacra scrittura). In Omero, invece, non c'è ancora una distinzione tra i buoni e i cattivi. Salvo eccezioni, tutte le anime subiscono la stessa sorte: non appena muoiono, raggiungono l'Ade, dove vivranno per sempre sotto forma di ombre incorporee, che hanno le sembianze dei loro corpi. Risiedono probabilmente tutte nel Prato degli Asfodeli, luogo monotono, senza dolori, ma anche senza gioie, senza un futuro e senza la luce del sole. Lo stesso Achille, infatti, si lamenta per la sua sorte: "[Ulisse] "Ma, o forte Achille, uomo più beato di te non ci fu, né mai ci sarà. Da vivo, come un dio, ti onoravamo ed ora tu regni sopra i defunti. Come puoi lamentarti di essere morto?" "Non consolarmi della morte" ad Ulisse replicava Achille. "Preferirei piuttosto fare il servo d'un bifolco che campasse giorno per giorno di uno scarso e misero cibo, piuttosto che essere sovrano nel regno dei defunti." (Odissea, Libro XI) Nell'Elisio ci sono eroi di guerra, casti sacerdoti, veggenti, artisti, persone meritevoli. Tutti hanno una fascia bianca sulle tempie, tipica dei sacerdoti, ad indicare la sacralità di questi personaggi. Non hanno una dimora fissa, ma vanno in giro per i prati, occupandosi delle loro attività preferite. I Campi Elisi sono attraversati anche dal fiume Lete, situato in una valle appartata in un bosco isolato. Lì si riuniscono molte anime per bere l'acqua della dimenticanza e reincarnarsi sulla terra in un nuovo corpo. Anchise spiega ad Enea la teoria della metempsicosi: u u i o spi ito dà vita all’u ive so e da esso si staccano delle particelle che si incarnano nella materia dando origine a tutti gli esse i vive ti. L’a i a rinchiusa nel carcere corporeo viene contaminata da passioni, vizi e malattie che permangono anche dopo la morte. Perciò l’a i a, pur essendo immortale, deve purificarsi, dopodi h va a e e l’a ua del fiu e Lete per dimenticare il passato già vissuto ed è pronta per desiderare di tornare di nuovo in un corpo. Le anime dell'Elisio sono in grado di prevedere il futuro e sapere in chi si reincarneranno tutti. Nei Campi Elisi avvie e l’i o t o t a E ea e suo pad e A hise. Quest’ulti o p ofo da e te dive so dall’A hille prima citato, perché non è rivolto verso la sua vita passata, ma proiettato verso il futuro, coinvolto nella missione del figlio a cui egli non può partecipare direttamente , ma a cui può contribuire con parole che danno ad Enea chiarezza e sprone. Ai confini dell'Elisio, per uscire dagli Inferi, ci sono le due porte del Sonno: la porta fatta di corno è riservata alle vere ombre dei morti, per permettere loro di manifestarsi ai propri cari e trasmettere sogni veritieri; l'altra porta è di candido avorio, destinata ai sogni fallaci e ai corpi viventi. TESTI: IL RAMO D’ORO […] carpe manu; namque ipse volens facilisque sequetur, si te fata vocant; aliter non viribus ullis vincere nec duro poteris convellere ferro. Strappalo via con la mano; e infatti (ti) seguirà di buon grado e facilmente, se i fati chiamano te; altrimenti, con nessuna forza potrai avere la meglio, né stroncarlo con il duro ferro. (Virgilio, Eneide, VI, 144-147) PALINURO «Nunc me fluctus habet versantque in litore venti (Ora mi tengono le onde e i venti mi volgono alla costa)» (Virgilio, Eneide, VI, 362) I CAMPI ELISI "Qui un cielo più ampio avvolge in una luce purpurea i campi che hanno un sole proprio e proprie stelle. Parte esercitano le membra in palestre erbose, gareggiano nel gioco e lottano sulla fulva arena; parte ritmano danze coi piedi e recitano ve si.[…] A te a sta o pia tate le la e e avalli se za iglia pas ola o ua e là pe il a po. L’a o e he e e o da vivi pe i a i e l’a i, la u a di pas e e sple de ti avalli, la stessa li segue sepolti. Ed ecco a destra e a sinistra ne vede altri che banchettano sull'erba e cantano in coro un lieto peana in mezzo a un odoroso bosco di alloro, dal quale scorre abbondante il fiume Eridano (il Po), arrivando fin sulla terra. L’ABBRACCIO TRA ENEA E ANCHISE […] te o atus i i olo da e a hia i um tre volte lì tentò di buttargli le braccia al collo Ter frustra comprehensa manus effugit imago t e volte l’i mani agi e i va o affe ata sfuggì alle Par levibus ventis volucrique simillima somno come venti leggeri e molto simile al sogno che svanisce (Virgilio, Eneide, VI, 700-702) Questa scena ritorna in vari testi quando ci sono personaggi legati da profondi sentimenti: 1) Se p e ell’E eide quando Enea si congeda dalla moglie Creusa o ta ell’i e dio della ittà e cerca di abbracciarla. 2) Anche Ulisse cerca per tre volte, ma invano, di abbracciare la madre Anticlea, morta durante la sua lontananza. 3) A he Da te ip e de à uesto otivo ell’episodio del usi o Casella, suo a o a i o, he incontrerà in Purgatorio (II, 76-81): Io vidi una di lor trarresi avante per abbracciarmi con sì grande affetto, che mosse me a far lo somigliante. Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto! tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante mi tornai con esse al petto. CARDUCCI: FUNERE MERSIT ACERBO O tu che dormi là su la fiorita Collina tosca, e ti sta il padre a canto; Non hai tra l'erbe del sepolcro udita Pur ora una gentil voce di pianto? È il fanciulletto mio, che a la romita Tua porta batte: ei che nel grande e santo Nome te rinnovava, anch'ei la vita Fugge, o fratel, che a te fu amara tanto. Ahi no! giocava per le pinte aiole, E arriso pur di vision leggiadre L'ombra l'avvolse, ed a le fredde e sole Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne l'adre Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole Ei volge il capo ed a chiamar la madre. Il titolo riprende un emistichio virgiliano del verso 429 del VI libro dell'Eneide. Il verso completo è: Abstulit atra dies et funere mersit acerbo («Li strappò il nero giorno e li sommerse in morte acerba»), e si riferisce al pianto dei bambini morti prematuramente, che Enea ode scendendo nell'Ade. Il sonetto è una delle più belle liriche del Carducci intimo, che spesso fece oggetto di poesia gli affetti, le ansie e i dolori della vita familiare, espressi con contenuta tristezza. La poesia è scritta in occasione della pe dita del figlio Da te, avve uta il ove e , all’età di t e a i pe e i gite. PARAFRASI: Tu [si riferisce al fratello Dante, morto suicida] che riposi per l'eternità in un cimitero posto in una collina fiorita della Toscana, sepolto accanto al padre; non hai sentito il pianto di un fanciullo, provenire dalla terra in cui giaci tu? È il mio figliolo, che bussa alla porta solitaria della tua tomba: lui che portava il tuo stesso nome, illustre e degno di rispetto, serbando il ricordo della tua esistenza, anche lui adesso ha perso la vita, o fratello mio, vita che a te fu causa di tanti dispiaceri. Ahi no! giocava per le aiole in cui crescevano fiori variopinti, e la morte lo raggiunse quando ancora i suoi pensieri erano pieni di quelle gioiose fantasie infantili, e lo portò via con sé [alle rive dell'Acheronte, il fiume che scorre nel regno dei morti]. [Fratello mio,] accogli il mio figliolo nel luogo buio e tenebroso, ora che lui mai più vedrà la luce del sole e sarà lontano dall'affetto della madre