Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
Medaglie devozionali di
S. Maria di grottaferrata (rM)
flavio altaMUra - irene anna CorteSe - andrea PanCotti
Abstract
L’articolo contestualizza e descrive tre medaglie devozionali inedite rinvenute in località boschive dei Colli Albani. I reperti
sono connessi a vari aspetti del culto religioso praticato nella chiesa di S. Maria di Grottaferrata tra il XVII e il XIX secolo.
L’inquadramento storico ed iconograico di questi umili oggetti di uso quotidiano fornisce interessanti spunti e precisazioni su
più ampie tematiche di ordine storico e devozionale riguardanti le vicende della Badia Greca negli ultimi secoli.
devotional MedalS at Santa Maria in grottaferrata (roMe)
This article contextualizes and describes three previously unpublished devotional medals found in wooded areas in the Alban
Hills. They were related to religious practices at the church of Santa Maria in Grottaferrata between the 17th and 19th centuries. The historical and iconographic study of these humble objects of everyday use provides interesting data and details
with implications for larger historical and religious issues that played out at Grottaferrata’s Greek abbey in recent centuries.
L
e medaglie devozionali rappresentano una preziosa e significativa testimonianza di varie forme di venerazione popolare per santi e padri della chiesa
cattolica ed ortodossa: pratiche che hanno
fortemente caratterizzato la vita quotidiana di
gran parte della popolazione europea dal medioevo ai giorni nostri1.
Fin dalla seconda metà del XVI secolo
le medaglie devozionali vennero prodotte in
serie per poi essere distribuite e commercializzate nelle vicinanze di chiese e santuari;
questi amuleti, dalla forte valenza apotropaica, erano alla portata di tutti i devoti ed i pellegrini, di qualunque estrazione sociale essi
fossero, essendo realizzati in materiali preziosi e non. Ad oggi una tale testimonianza della
cultura materiale rappresenta senza dubbio
una ricca miniera di informazioni che spazia
dalla storia dell’arte all’agiografia2.
Il contesto di rinvenimento
Le tre medaglie devozionali oggetto del
presente studio sono state rinvenute in due località boschive dei Colli Albani. I primi due
esemplari (nn. 1 e 2), provengono dalla zona
della Molara al confine tra gli attuali territori comunali di Grottaferrata e Rocca di Papa.
La prima è stata rinvenuta lungo un sentiero
localizzato sul versante occidentale del colle
del Castello della Molara (figg. 1,1 – 2,1).
La seconda è stata recuperata lungo un
tracciato sterrato posto sulla cima di un’altura in località Casa dei Guardiani, ad alcune
centinaia di metri dalla precedente (figg. 1,2 –
1
Pur mancando un corpus generale che raccolga tipi, legende
ed esemplari noti, ad oggi numerosi studi hanno fatto luce su
gran parte degli aspetti che caratterizzano tali reperti, a partire
dalle tecniche di produzione ino all’analisi dei contesti
archeologici di rinvenimento; vd. il pionieristico ManaCorda
1984 e da ultimi dUCCi 2006; de rUitz 2008; Martini 2009;
PenneStri’ 2009; CiaMPoltrini-SPataro 2011; AltaMUraPanCotti 2014.
2
Desideriamo ringraziare per la disponibilità e collaborazione Micaela Angle della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, Giovanna Falcone dell’Archivio Statale
del Monumento Nazionale di Grottaferrata, Paola Micocci
dell’Archivio del Monastero Esarchico di S. Maria di Grottaferrata, il personale della Biblioteca Comunale di Grottaferrata ‘Bruno Martellotta’ e Silvia Giuntini.
93
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
Fig. 1 - Posizionamento dei rinvenimenti (particolari da IGM f.150IINO e f.150IISO)
94
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2,2) 3. L’area della Molara è ben nota per la presenza di vari insediamenti di epoca romana4 e per
l’omonimo castello medievale, posto a presidio
del passaggio nella Valle Latina. Nel corso del
XV secolo, dopo l’abbandono dell’insediamento, la località perse importanza strategica ed i
terreni della zona vennero occupati da pascoli
e piantagioni5; la presenza di boschi portò pure
ad un intenso sfruttamento del legname, che veniva in buona parte destinato alla produzione di
carbone in loco. Tale attività proseguì per tutta
l’epoca moderna ino ai primi decenni del XX
secolo ed ha lasciato evidenti tracce in tutta l’area6. Nello stesso periodo vennero realizzati sia
scavi archeologici che sistematiche spoliazioni
degli antichi fabbricati che insistevano nell’area: pietre e laterizi vennero recuperati per poi
essere riutilizzati come materiale edilizio, mentre i reperti più pregiati inirono nelle collezioni
nobiliari e sul mercato antiquario7.
La tenuta della Molara, dopo vari passaggi di
proprietà, fu acquisita da Scipione Borghese nel
1613. La famiglia ne mantenne il possesso ino
agli inizi del XIX secolo, concedendola spesso
in eniteusi al ine di ricavarne cospicue rendite8. Nel 1832, alla morte di Camillo Borghese, la
tenuta passò agli Aldobrandini9. Al periodo della
proprietà Borghese si devono il toponimo della
adiacente vallata (Macchia Borghese10) e l’edii3
I reperti sono stati segnalati alla Soprintendenza per i Beni
Archeologici del Lazio nel febbraio 2010. Le fotograie delle
tre medaglie sono state realizzate da ACR Auctions s.r.l.
4
Valenti 2003, pp. 385-386.
5
ToMaSSetti, IV, pp. 519 sgg.
6
La zona è fortemente caratterizzata da accumuli di
sedimenti carboniosi, tipici residui dell’attività dei carbonai.
La produzione di carbone nella tenuta risale almeno alla
ine del XVI secolo, quando la proprietà di tali terreni era
appannaggio degli Altemps, vd. (GUerrieri BorSoi2012, p.
35).
7
ToMaSSetti, IV, pp. 475 sgg.
8
GUerrieri BorSoi 2012, pp. 30, 35.
9
ToMaSSetti, IV, p. 529; GUerrieri BorSoi 2012, pp. 38-39.
10
I Borghese dedicarono molte risorse alla piantumazione
di alberi da frutto ed alla creazione di boschi artiiciali. Nelle
proprietà acquisite Scipione Borghese soleva abolire i censi e
le servitù (come quella del legnatico) al ine di ottimizzare la
cazione, nel corso del XVII secolo, di una piccola
chiesa ai piedi del Colle della Tartaruga. Il modesto ediicio, dedicato alla Madonna della Molara,
era oggetto di un pellegrinaggio annuale nel secondo giorno di Pentecoste da parte degli abitanti
del circondario; nel corso del XVIII secolo una
costruzione annessa alla chiesa venne utilizzata
come romitorio11.
Ad oggi la zona della Molara è servita da
una itta viabilità che in massima parte ricalca
percorsi più antichi. Il territorio è delimitato a
nord dal passaggio della Via Anagnina, che in
questo tratto coincide con il percorso dell’antica Via Latina. Una strada in parte selciata (Via
della Molara) si diparte verso sud all’altezza
del Fontanile di Caiano, lambisce il colle del
castello, e dopo aver sorpassato Casa dei Guardiani prosegue sino alla località Arcioni, sotto
l’abitato di Rocca di Papa. Un altro diverticolo,
all’altezza del Fontanile S. Nicola, connette la
Via Anagnina alla Casa dei Guardiani, passando in prossimità della chiesa della Madonna
della Molara. Inine dalla Casa dei Guardiani
un tracciato minore si divide dal percorso principale proseguendo ad est verso la Doganella12.
L’ultima medaglia devozionale (n. 3) è stata
recuperata nel corso di una ricognizione archeologica preventiva nel comune di Velletri, presso le pendici occidentali del Monte dei Ferrari
(igg. 1,3 – 2,3)13. Il reperto è stato rinvenuto in
un’area boschiva; a pochi metri di distanza dallo
stesso è venuto alla luce anche un mezzo grosso
in argento coniato a Roma nell’Anno Giubilare
1600, sotto il pontiicato di Clemente VIII Aldobrandini14. La fascia di terreno compresa tra il
Monte dei Ferrari ed il Colle delle Vacche è ricrendita dei terreni (GUerrieri BorSoi 2012, pp. 20, 29).
11
ToMaSSetti, IV, p. 530.
12
Ivi, pp. 478, 519-520.
13
I lavori si sono svolti nell’ambito dell’attività di tutela
della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio,
in previsione del taglio di diradamento del bosco castanile
ivi presente. Le indagini, consistenti in una ricognizione
di supericie, sono state condotte nel luglio 2013 da Flavio
Altamura sotto la direzione scientiica del funzionario
Micaela Angle.
14
MUntoni 1996, II, n. 62 var. (legenda del dritto).
95
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
Fig. 2 - Le tre medaglie devozionali
ca di testimonianze archeologiche che spaziano
dall’epoca pre-protostorica a quella romana15; nel
Medioevo la zona era sottoposta al controllo del castello d’Ariano. Nel corso della prima metà del XV
secolo, dopo la distruzione della rocca, la porzione meridionale della Catena dell’Artemisio passò
nell’orbita di Velletri, che ne aveva a lungo conteso
il possesso ed il diritto di sfruttamento16.
Per l’epoca moderna sul versante occidentale
del Monte dei Ferrari è attestata una frequentazione
con ine essenzialmente produttivo, rivolta al rifornimento di legname, alla produzione del carbone
o all’attività pastorale e venatoria17. La viabilità
principale era rappresentata da una direttrice lungo
la vallata (attuale Strada Provinciale 15d), che da
nord-est a sud-ovest raccordava la Via Anagnina
15
Lilli 2008, passim.
16
ToMaSSetti, IV, pp. 547 sgg.
con l’antica percorrenza ad oggi ricalcata dalla Via
dei Laghi. Dalle strade a valle si sviluppa ancora
oggi un itto sistema di tracciati sterrati e sentieri
che forma un reticolo su tutta la catena montuosa.
Buona parte di queste percorrenze insistono su percorsi di epoche precedenti18.
Le tre medaglie devozionali provengono pertanto da zone boschive, lungo sentieri minori o nelle vicinanze di arterie extraurbane. Data la destinazione
delle zone di rinvenimento, è probabile che gli oggetti siano stati perduti nel corso delle frequentazioni
per le attività produttive sopra descritte. Con particolare riferimento all’area della Molara, va notato che
la medaglia n. 1 (risalente al XVII secolo), è stata
probabilmente smarrita quando la proprietà dei terreni era appannaggio della famiglia Borghese, mentre
la medaglia n. 2 (risalente al XIX secolo) durante il
possesso della tenuta da parte degli Aldobrandini. E’
inoltre possibile che queste due evidenze siano da
17
Nel corso della ricognizione sono state notate numerose
tracce di questo tipo di attività, variamente disseminate lungo
tutto il costone.
96
18
Per una panoramica preliminare sulla viabilità in esame
vd. QUiliCi-QUiliCi Gigli-Petraroia 1984, tavola f.t.
Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
porre in connessione con la presenza nelle vicinanze
della chiesa della Madonna della Molara, per secoli
oggetto di devozione e pellegrinaggi da parte della
popolazione degli abitati limitroi.
Il dato materiale: analisi tecnica, stilistica ed
iconografica.
N. 1
Materiale e dimensioni: bronzo; mm 24 x 21; gr
3,93
Tecnica e tipologia: fusione; modulo ovale con appiccagnolo trasversale
Provenienza: Molara, località Castellaccio
Datazione: XVII secolo
Dritto: S M GRIPTAE - FERRATAE, busto frontale della Madonna, nimbata e velata; tiene Gesù
Bambino, nimbato, al suo ianco destro
Rovescio: S NILVS – S BARTH / S BAS MA (in
esergo), nel campo tre Santi: al centro S. Basilio con
il pallio e la croce patriarcale; a d., S. Bartolomeo
con un libro in mano; a s., S. Nilo che rivolge lo
sguardo in alto verso una colonna circondata da
iamme
N. 2
Materiale e dimensioni: bronzo; mm 26 x 23; gr 7,55
Tecnica e tipologia: fusione; modulo ovale con appiccagnolo complanare
Provenienza: Molara, località Casa dei Guardiani
Datazione: XIX secolo
Dritto: S M GRIPTAE - FERRATAE, busto frontale della Madonna, velata e con nimbo stellato; tiene
Gesù Bambino, con il capo radiato, al suo ianco
destro
Rovescio: S NILVS – S BARTH / S BASILIVS (in
esergo), nel campo tre Santi: al centro S. Basilio
con il pallio e la croce patriarcale; a d., S. Bartolomeo con un libro in mano; a s., S. Nilo che rivolge
lo sguardo in alto verso una colonna circondata da
iamme
N. 3
Materiale e dimensioni: bronzo; mm 23 x 20; gr
2,14
Tecnica e tipologia: fusione; modulo ovale fram-
mentato e mancante dell’appiccagnolo
Provenienza: Velletri, Monte dei Ferrari
Datazione: XVII secolo
Dritto: [S M GRIPTAE] - FERRATAE, busto frontale della Madonna, nimbata e velata; tiene Gesù
Bambino, nimbato, al suo ianco destro
Rovescio: […], busto di S. Carlo Borromeo, nimbato, in preghiera verso s.
Le tre medaglie presentano la medesima rafigurazione sui dritti, laddove sui rovesci è facile
notare la differenza di uno dei pezzi rispetto agli
altri due: esso ospita, infatti, un busto maschile
nimbato e panneggiato rivolto a sinistra con le
braccia incrociate sul petto. Nonostante le pessime condizioni di conservazione, da vari confronti iconograici sembra potersi identiicare con S.
Carlo Borromeo19.
Protagonista assoluta è dunque l’immagine
della Madonna, visibile sulle tre medaglie, mutuata dal celebre modello dell’icona della Theotokos
(conosciuta con l’appellativo di Odigitria) conservata nell’Abbazia di Grottaferrata e strettamente
legata (nonostante la divergenza di opinioni di
alcuni studiosi) alle sue origini. Una sommaria
descrizione dell’immagine mariana risulta necessaria per poter istituire un confronto con i pezzi in
esame. L’icona criptense (ig. 3)20 mostra la Vergine Maria a mezzo busto che sorregge con il braccio destro il Bambino (benedicente con la mano
destra e recante un rotolo con l’altra), mentre con
la mano sinistra lo indica. Il capo reclinato verso
il iglio, a sua volta intento ad osservare la madre,
ampliica la drammaticità dell’immagine permeata di pathos. Il maphorion di Maria presenta due
stelle cruciformi, una posta sul capo, l’altra sulla
spalla. Dal mantello emerge il braccio sinistro ricoperto dalla tunica. Anche le vesti del Bambino
sono costituite da tunica e mantello, che però
non ne copre il capo. Quest’ultimo viene circondato da un nimbo crucigero, laddove la Vergine
19
Vd. le medaglie pubblicate in CandUSSio-RoSSi 2005,
pp. 192 sgg. L’iconograia e i tratti isionomici del Santo
osservabili sulla medaglia sono poi riscontrabili nella relativa
ritrattistica del XVII secolo.
20
Per un’accurata descrizione dell’icona criptense vd.
PariBeni 1930.
97
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
Fig. 3 - L’icona della Theotokos di Grottaferrata (da
Devoti 2003)
presenta un nimbo semplice.
Che le medaglie riproducano, da un lato,
l’immagine della Theotokos di Grottaferrata è
di facile constatazione anche in seguito ad una
semplice osservazione; è tuttavia altrettanto veriicabile, indugiando sui dettagli, la presenza di
divergenze tra il modello e la sua trasposizione.
Innanzitutto bisogna preliminarmente speciicare
che il medium artistico utilizzato, date le dimensioni delle medaglie ed il materiale di cui sono
costituite, è sicuramente da ostacolo per un’eventuale fedele riproposizione del modello originale.
Questa considerazione non esclude la precipua
volontà degli esecutori di discostarsi, da un punto di vista formale, dall’immagine di riferimento,
sottolineando dunque un interesse volto alla diffusione di un’immagine facente già parte di un
patrimonio igurativo comune, e che pertanto non
necessita di presentarsi come una copia assolutamente fedele all’originale.
98
L’immagine della Vergine Maria con il Bambino nella medaglia meglio conservata n. 1,
ascrivibile al XVII secolo, presenta numerosi elementi di tangenza con l’icona che sicuramente ne
ha rappresentato il modello: Maria viene infatti
rafigurata a mezzo busto, mentre sorregge con
il braccio destro il Figlio che indica con la mano
sinistra; il mantello, che le ricopre il capo reclinato, mostra sulla spalla la stella e, come nell’icona,
sono visibili le dita della mano destra al di sotto
del Bambino. Anche in questo caso sono evidenti
i nimbi che coronano le teste dei due personaggi.
Nonostante dunque sembri indubbia la volontà di riprodurre nella medaglia l’icona criptense,
è agevole notare come tale ispirazione non si traduca in una pedissequa operazione di copia. Innanzitutto osservando l’immagine della Madonna si nota come nella medaglia il capo sia meno
reclinato, ma soprattutto divergenze si evincono
dall’osservazione delle vesti: nella medaglia, infatti, il mantello pur coprendo la testa della Vergine ne lascia però scoperta la fronte, non permettendo dunque la riproduzione della stella, che
si osserva invece sulla porzione di mantello che
ricopre la fronte della Theotokos lignea. La stella
posta sulla spalla si presenta invece notevolmente sovradimensionata rispetto al modello nel quale, inoltre, l’avambraccio che indica il Bambino
forma un angolo acuto rispetto al braccio, laddove nella medaglia tende invece verso un angolo
retto. Anche per quanto concerne il Bambino le
divergenze maggiori si apprezzano nelle posizioni del braccio destro e, in particolar modo, del
capo che si presenta più frontale; inoltre nella
riproduzione il nimbo diviene semplice, non è visibile la mano sinistra che stringe il rotolo e non
si apprezza la distinzione tra tunica e mantello.
Dal punto di vista formale gli elementi di
divergenza sono numerosi ed importanti ai ini
di una valutazione generale. Nonostante i dubbi
di alcuni studiosi21 sulla provenienza orientale
dell’icona, è possibile senza dubbio affermare
che essa soggiace ad una temperie stilistico formale quantomeno di derivazione bizantina.
21
RoCChi 1887, p. 16; PariBeni 1930; MiniSCi 1966, p. 52;
MUzj 1987, pp. 46-48; Giannini 1988.
Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
Prescindendo dai lineamenti del volto, non apprezzabili nella medaglia e quindi non suscettibili a confronti esaustivi, e dal cromatismo (assente
nella riproduzione in metallo), un interessante
raffronto in termini di stile lo si può istituire tra i
panneggi delle due immagini. Il tipico andamento zigzagato conferito al panneggio della Vergine
nell’icona tramite l’utilizzo della linea spezzata con cui viene reso l’orlo del mantello che ne
incornicia il volto, si traduce nella medaglia in
un più morbido ed ondulato ricadere della veste.
Allo stesso modo nella veste del Bambino, oltre
all’assenza di un seppur minimo accenno alle
striature cromatiche che vivacizzano e pongono
in risalto la tunica nell’immagine lignea, non
vengono riprodotti quegli elementi che nell’icona
ne denunciano l’appartenenza all’orizzonte artistico bizantino: ci si riferisce in particolar modo
alle pieghe che formano il panneggio della manica della tunica del Bambino, dettaglio il cui ripetersi costantemente (quasi identico) nella produzione pittorica orientale permette di annoverarlo
come cifra stilistica determinante nell’individuare il panorama culturale in cui inserire l’opera.
Nella medaglia ancora una volta nessun accenno
a questo elemento, che invece viene reso con una
manica aderente al braccio del iglio; un tentativo
di emulare l’andamento del panneggio del mantello del Bambino lo si evince dalla riproduzione,
nella stessa medaglia, di alcune linee oblique visibili sulla gamba destra.
La medaglia devozionale n. 2, collocabile cronologicamente nel XIX secolo, presenta
purtroppo un peggiore stato di conservazione
rispetto alla sua compagna secentesca, tuttavia
anche qui risulta più che verosimile, ad una prima osservazione, apporre l’icona della Theotokos
come modello originale, considerata inoltre la
possibilità che il suo autore abbia potuto ispirarsi
ad altre medaglie piuttosto che alla stessa immagine mariana. Nonostante sia certa la funzione di
modello assunta dall’immagine lignea, anche in
questo caso si riscontrano alcune divergenze sia
nella composizione dell’immagine, sia nello stile
che la caratterizza. Nella medaglia ottocentesca
la Madonna viene presentata a mezzo busto; con
il braccio destro tiene suo iglio, mentre il sinistro
è intento ad indicarlo con la mano aperta; sulla
spalla si nota il dettaglio della stella.
Il capo è, ancora una volta, reclinato verso il
Bambino che viene rafigurato in atto di benedire
con la mano destra. Come nel precedente caso,
anche qui il volto del Bambino sembra volgersi
più verso lo spettatore che non verso la madre.
A ben vedere questa scena sembra più fedele
all’originale di quanto non lo sia la medaglia secentesca. Qui infatti l’avambraccio sinistro della Vergine va a formare una linea obliqua con il
resto del braccio; simili considerazioni possono
ben attagliarsi alla posizione del braccio destro
del Bambino, che sicuramente ricalca quella
della scena che funge da modello. Un particolare che può risultare signiicativo, in seguito
ad una più attenta osservazione, è rappresentato dall’ampia curva che l’autore della medaglia
impone al mantello del Bambino dietro la sua
schiena. Sembra infatti che a tale scelta soggiaccia la volontà di tradurre, con un linguaggio ormai distante dall’originale, il dettaglio (peraltro
tipicamente bizantino) della piega che forma il
mantello del Bambino nell’icona, proprio nel
punto in cui si intravedono le dita della madre.
Anche in questo caso non è apprezzabile la presenza della mano sinistra di Gesù Bambino che,
nell’immagine lignea, stringe un rotolo. A fronte
di tutti questi elementi che accomunano le due
immagini si possono tuttavia annoverare alcune
signiicative distanze tra le stesse. Innanzitutto,
come già accennato, la posizione del capo del
Bambino unito al nimbo della Vergine che viene
trasformato in un giro di stelle, laddove il iglio
presenta il capo raggiato. Questi ultimi particolari testimoniano una sostanziale indipendenza di
questa rappresentazione sia dall’icona mariana
che dalla medaglia secentesca. Un’altra precisa
scelta di campo degli autori di questa medaglia è
quella di incrociare le gambe del bambino, dettaglio che non trova riscontro nelle altre due scene
prese in esame. Questa seconda medaglia dunque
sembra rifarsi anch’essa al modello dell’icona,
pur con l’aggiunta di particolari innovativi, ma
tradisce un certo impaccio dal punto di vista stilistico: dal panneggio del Bambino, che ha tutta
l’aria di conformarsi come una traduzione latina
99
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
di uno stilema greco, alla resa della tunica della Madonna che, anche qui, ricade ai lati del suo
volto con un andamento che forma linee curve
delicatamente tondeggianti come l’altra, molto
distanti dalle spigolose linee che frastagliano gli
orli delle vesti dell’Odigitria criptense.
La medaglia n. 3 è in pessimo stato di conservazione; tuttavia si evince la possibilità di annoverarla come parente delle altre due per quanto
concerne la presenza della riproduzione dell’icona di Grottaferrata sul dritto. Nello speciico, la
sovrapposizione graica con il dritto della medaglia n. 1 dimostra l’utilizzo della stessa matrice
per l’esecuzione di entrambi i manufatti.
Presupposto dunque che, come affermato
dalle iscrizioni, le medaglie rafigurino l’icona
della Vergine dell’Abbazia di Grottaferrata pur
tradotte in un linguaggio distante dall’originale,
ciò su cui si sofferma l’attenzione è l’elemento
che maggiormente differenzia le medaglie secentesche da quella realizzata due secoli dopo: vale a
dire la presenza, in quest’ultima, delle corone sui
capi dei personaggi. In realtà il capo del Bambino
è circondato da un nimbo radiato, possibile trasposizione dell’originale nimbo crucigero, mentre la Madonna è coronata da un cerchio di stelle.
Le corone che furono nel corso del tempo apposte all’Odigitria criptense furono in realtà tre.
Ciò lo si evince da un inventario vergato nel 1727
dal P. Placido Schiappacasse, sotto l’abbate Epifanio Stavischi22, il quale trascrisse “due corone
d’oro sulla testa della B.ma Vergine, cioè una
mezzana fatta dal card. Farnese, con alcune pietre
preziose nel cerchio della medesima; l’altra grande, donata dal Capitolo di S. Pietro, che appoggia immediatamente sul capo della Madonna. Un
diadema di bronzo dorato, ornato e framezzato
di alcune pietre false”23. Quest’ultima in bronzo
è la corona più antica attribuita all’icona, della
cui esistenza abbiamo testimonianza nell’inventario redatto da un notaio di iducia del vescovo
Nicolò Perotti, incaricato dal cardinale Bessarione, dal 1462 abbate commendatario. Fra i beni
mobili catalogati come “oggetti che stanno attor22
Giannini 1988, p. 19 n. 28.
23
Ivi, p. 33.
100
no all’immagine della Vergine” troviamo infatti
“una corona d’argento dorata intorno al capo della Vergine, con 12 stelle e 5 rose d’argento dorato
e 70 pietre contraffatte […] una corona d’argento
dorato intorno al capo di Cristo, con una luna e
un sole […] e 30 pietre contraffatte”24. Sorvolando sul fatto che in realtà i diademi sono realizzati
in bronzo dorato (con le sole decorazioni in argento), quest’importante documento ci informa
della presenza di tali corone già in un periodo
precedente al 1463, e fornendone la descrizione
ci permette di identiicarle con quelle esistenti.
La seconda corona (più preziosa) della
quale non rimane traccia è quella commissionata dal cardinale Odoardo Farnese alla fine
del XVI secolo25.
Inine la terza corona (aurea) che Schiappacasse poté registrare nel 1727, è quella offerta
all’efigie criptense dal Capitolo Vaticano il 16
Novembre del 168726, giorno in cui avvenne la
solenne incoronazione.
Questi dati relativi ai diademi dell’icona permettono di fare chiarezza sull’iconograia scelta
per le medaglie. Nelle medaglie secentesche n. 1
e 3 i capi dei personaggi vengono circondati semplicemente da nimbi realizzati con linee circolari.
Nella medaglia n. 2, collocabile nel XIX secolo,
l’intento sembra quello di riprodurre delle corone, ed in particolar modo quelle in bronzo dorato
descritte negli anni ’60 del XV secolo: la raggiera
che contorna il capo del Bambino potrebbe infatti ricordare il sole argenteo presente nel diadema
più antico, mentre nessun dubbio sorge nell’evidente richiamo delle stelle alla corona bronzea.
Per quanto riguarda il rovescio delle medaglie
prese in esame, due di esse (nn. 1 e 2) riportano
la medesima rafigurazione pur con sostanziali
differenze stilistico formali. La scena presenta tre
igure stanti, identiicabili chiaramente tramite le
iscrizioni con S. Nilo (sulla sinistra), S. Basilio
Magno (al centro) e S. Bartolomeo (sulla destra).
La gestualità dei personaggi lascia evincere l’in24
Giannini 2005, p. 95.
25
Ivi, p. 97.
26
RoCChi 1998, pp. 251-252; MiniSCi 1966, p. 51; Giannini
1988, p. 35; Giannini 2005, p. 98.
Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
tento di rappresentare un’interazione verosimilmente dialogica tra gli stessi.
La medesima iconograia è riportata in un disegno edito nel 1699 da Filippo Buonanni (ig.
4)27 e riferito, dallo stesso autore, ad una medaglia che avrebbe accolto al dritto il ritratto del
ponteice Urbano VIII Barberini. L’erudito corredò l’immagine di una breve descrizione nella
quale affermò di non conoscere i motivi che portarono alla coniazione di tale medaglia se non,
genericamente, lo stretto legame che intercorreva
tra Urbano VIII, il cardinale Francesco Barberini, e l’Abbazia di Grottaferrata28. Un’ulteriore
descrizione della medesima rafigurazione la fornì nel 1744 Rodolfo Venuti29. Una cronologia più
precisa della stessa venne poi ipotizzata nel 1919
da Edoardo Martinori il quale datò la sua coniazione al XV anno di pontiicato di Urbano VIII
(1638)30. Inine nel 1953 Antonio Patrignani attribuì la commissione di tale medaglia, realizzata
in edizione unica e non ribattuta posteriormente,
al cardinale Francesco Barberini31.
Anche in questo caso, dunque, si ha la fortuna di poter risalire al modello cui si fa riferimento per la realizzazione delle scene e, ancora
una volta, sembra opportuno fornire una descrizione delle stesse per poter poi istituire confronti tra le immagini.
Già ad una preliminare osservazione il rovescio della medaglia n. 1, meglio conservata,
sembra del tutto simile al disegno riportatoci dal
Buonanni. Tale vicinanza tra le due immagini
non arriva, tuttavia, a permetterne la sovrapponibilità. Che l’autore della medaglia si ispiri al
disegno è facilmente dimostrabile. In entrambe
le rappresentazioni sono visibili i tre personaggi
stanti, laddove la linea di esergo funge da piano
27
BUonanni 1699, p. 563, n. XXXXXV.
28
Ivi, pp. 612-613.
29
VenUti 1744, p. 246, n. LXXIV, il quale ne descrisse con
maggiore precisione il dritto (che avrebbe ospitato l’immagine
di Urbano VIII col piviale arabescato), ed il rovescio.
30
31
Martinori 1919, p. 78, nt. 2.
Patrignani 1953, medaglia SD/6°; da ultimo sulla
medaglia in esame vd. MiSelli 2001, p. 319, con bibliograia
di riferimento.
Fig. 4 - Disegno del rovescio della medaglia per Urbano VIII
Barberini (da BUonanni 1699)
di calpestio. Sulla sinistra S. Nilo, posto di tre
quarti, veste l’abito monastico ed è caratterizzato (come del resto gli altri due Santi) dalla barba
lunga e dal capo nimbato; il braccio destro è piegato e proteso in avanti verso S. Basilio e la veste
lascia intravedere la gamba destra sottostante,
con il ginocchio lievemente piegato. La posizione centrale è occupata da S. Basilio Magno, che
vestito di felonio e omophorion sorregge con la
mano sinistra il pastorale terminante in una croce
a tre bracci. Il suo sguardo sembra rivolto verso la
colonna in iamme, simbolo dell’ordine basiliano
che sta a signiicare fede illesa, che campeggia tra
i primi due personaggi. Il braccio destro è proteso
in avanti e, anche qui, il capo è circondato dal
nimbo. Un certo interesse per l’inserimento della
igura nello spazio lo si evince dalla sporgenza
del ginocchio sinistro piegato in avanti. Il terzo
personaggio, posto a destra e identiicato con S.
Bartolomeo, è anch’egli rivolto verso la colonna,
dunque posto di tre quarti in maniera speculare
rispetto a S. Nilo. Anche Bartolomeo è avvolto
nell’abito monastico. La mano destra posa sul
petto, mentre la sinistra regge un libro.
Una prima sostanziale differenza tra le due
immagini riguarda la gestione dello spazio: se nel
disegno del Buonanni, infatti, ogni personaggio
sembra avere il proprio raggio d’azione e i igure
sono dunque poste a debita distanza l’una dall’al-
101
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
tra, nella medaglia tale spazio diviene angusto,
tale da imporre la sovrapposizione delle igure
in alcuni punti e, più precisamente, l’invasione
da parte di S. Basilio dello spazio dei suoi due
compagni (si noti, a tal proposito, come la sua
mano destra si sovrappone alla veste di S. Nilo,
così come il braccio sinistro va ad occultare parte
del braccio di S. Bartolomeo). Un’ulteriore rilessione su questo tema riguarda poi l’inserimento
delle igure e dei loro attributi nello spazio: tenendo conto del medium artistico utilizzato nella
medaglia n. 1, i personaggi (così come i nimbi ed
il pastorale), sembrano schiacciati su di un piano
se paragonati ai medesimi elementi presenti nel
disegno. Passando ai dettagli si notano poi minime differenze tra le due scene. Nel disegno del
Buonanni la posizione del braccio destro di S.
Nilo diverge da quello della medaglia n. 1, ed il
suo volto appare palesemente rivolto verso l’alto,
mentre nella medaglia n. 1 sembra essere girato
verso il personaggio centrale. Ancora nell’immagine di S. Nilo una lieve differenza la si nota
anche nella rappresentazione della veste: sembra
infatti che nel disegno del Buonanni non si metta
in evidenza il particolare, ben visibile nella medaglia n. 1, della stola che ricadendo sul petto
giunge ino alle caviglie. Il diverso plasticismo
delle immagini è apprezzabile in modo particolare osservando la igura di S. Basilio Magno: il
suo capo nella medaglia n. 1 viene reso di proilo, laddove nel disegno del Buonanni è posto
di tre quarti; il pastorale che nel disegno forma
una linea obliqua, occupa una posizione quasi
verticale nella trasposizione in metallo; inine le
naturalistiche pieghe del panneggio che ricadono morbide sul corpo sottostante, nella medaglia
n. 1 vanno incontro ad una sempliicazione. Per
l’immagine sulla destra l’incisore della medaglia
n. 1 prevede una posizione differente per il braccio destro, la cui mano non posa tanto sul petto
quanto sull’addome; inoltre, se per gli altri due
personaggi è verosimile ritenere che nella riproduzione metallica si sia tentata un’imitazione
dell’andamento delle pieghe dei panneggi, in
questo caso la manica del braccio sinistro di S.
Bartolomeo, mossa da numerose pieghe, si presenta ampia, non mostrando alcuna parentela con
102
l’affusolata manica del suo modello disegnativo
edito dal Buonanni. Non è purtroppo apprezzabile con certezza la presenza del libro nella sua
mano sinistra.
Tornando ancora sull’imbarazzo dell’autore
della medaglia n. 1 nella riproduzione degli spazi
e dunque nell’inserimento delle igure in esso, è
interessante notare un particolare: nell’iscrizione
che occupa l’esergo, dunque quella che riporta il
nome di S. Basilio Magno, viene sacriicata una
lettera, vale a dire la “G” di “MAG” (abbreviazione dell’epiteto “magnus” riferito a S. Basilio,
come si legge nel disegno).
Il rovescio della medaglia ottocentesca n. 2
accoglie la medesima immagine di quella secentesca n. 1 e dunque ripropone l’iconograia del
disegno riportato dal Buonanni. Ancora una volta
la scena vede come protagonisti i tre Santi (Nilo,
Basilio e Bartolomeo) identiicati tramite iscrizioni, che occupano le stesse posizioni degli altri
due esempi; anche la gestualità dei personaggi è
del tutto simile, così come i loro attributi (anche
se, nello speciico, qui è visibile chiaramente il
libro sorretto da S. Bartolomeo). Per quanto risulti palese la riproduzione della medesima scena
presente nel disegno e nella medaglia secentesca
n. 1, non è tuttavia veriicabile a quale dei due
modelli l’autore della medaglia ottocentesca n.
2 si sia potuto ispirare direttamente. È agevole
peraltro notare come sussistano rilevanti differenze dal punto di vista stilistico. Nella medaglia
in questione, infatti, l’intera scena subisce uno
schiacciamento sul fondo, rendendo poco apprezzabile l’inserimento delle immagini in uno
spazio illusionisticamente tridimensionale, portando a più estreme conseguenze il percorso già
iniziato con il passaggio dal disegno alla riproduzione metallica del XVII secolo. Ciò è particolarmente evidente nel modo in cui vengono resi
i panneggi: le naturalistiche pieghe che caratterizzano l’andamento dei precedenti due esempi,
vengono qui tradotte in linee parallele che, avvolgendo i personaggi, non ne lasciano intravedere i
corpi sottostanti, frenandone notevolmente il dinamismo. Tale processo di sempliicazione è ben
osservabile nella veste di S. Nilo, solcata appunto
da linee verticali; nel mantello di S. Basilio, reso
Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
con una larga curva al di sotto dell’addome; e nel
volto di quest’ultimo, rappresentato di proilo.
Nonostante questa differente temperie formale
cui soggiace la scena, si noti però come nella medaglia presa in esame non vi sia sovrapposizione
tra le immagini dei protagonisti della stessa, così
come invece avviene nella sua compagna secentesca, dove la rappresentazione sembra sovraffollata. Altri dettagli suggeriscono una maggiore
aderenza al modello disegnativo (presupposte le
distanze formali): qui infatti S. Bartolomeo posa
la sua mano destra sul petto e i nimbi, a differenza della medaglia secentesca, vengono ben
inseriti nello spazio, non essendo resi con semplici linee circolari al di sopra del capo di ciascun
Santo. Va notato inine che ancora una volta cambia l’iscrizione posta nell’esergo ad identiicare
S. Basilio: qui, infatti, l’epiteto “magnus” viene
del tutto omesso, lasciando spazio per trascrivere
l’intero nome del personaggio.
Il contesto storico
La medaglia n. 1, tipologicamente inquadrabile nel XVII secolo, si inserisce agevolmente nel
clima delle proicue relazioni tra il papa Urbano
VIII, al secolo Maffeo Barberini già protettore
dell’Ordine basiliano, i suoi nipoti Francesco e
Carlo Barberini, abbati commendatari, e la comunità monastica criptense. Nel 1639 Urbano
VIII concesse la preminenza dell’Abbazia sui
monasteri basiliani della provincia romano-napoletana, costituita tre anni prima32: tale atteggiamento di benevolenza ben si ricollegherebbe
alla coniazione della medaglia illustrata dal Buonanni. Nel corso dello stesso secolo l’Abbazia
continuò ad essere al centro degli interessi della
famiglia Barberini: basti ricordare la risistemazione dell’altare da parte del cardinale Francesco
nel 166433, e la concessione all’icona della coro-
na d’oro dal Capitolo Vaticano nel 1687, durante
la reggenza di Carlo34.
Il rovescio della medaglia n. 3, anch’essa
ascrivibile al XVII secolo, è attinente al culto di S. Carlo Borromeo. Tale culto è attestato nella chiesa dalla presenza di un altare che
si trovava nel nartece almeno dal 164435. La
devozione verso Carlo Borromeo, canonizzato
nel 1610, ebbe grande diffusione negli anni ’30
e ’40 del secolo, anche in relazione alle epidemie di peste che in quegli anni funestarono la
Campagna Romana36.
Che la realizzazione di medaglie devozionali
a Grottaferrata fosse una consuetudine anche nel
secolo successivo, è attestato dalla notizia della
fusione di alcune medaglie rafiguranti al dritto
l’icona mariana e al rovescio i SS. Nilo e Bartolomeo, avvenuta agli inizi del settecento37. Più in
là nel secolo si ha ulteriore conferma della diffusione di tale pratica da due lettere scritte dal cardinale Carlo Rezzonico (allora abbate commendatario) ed indirizzate al parroco di Grottaferrata:
nello scambio epistolare in un caso si fa esplicito
riferimento alla spedizione di involti contenenti
“mille medaglie con l’immagine della Santissima Vergine”38, nell’altro a “due involti […]
contenenti mille medaglie per il solito uso in codesta parrocchia”39. E’ interessante notare come
la richiesta delle medaglie da parte del parroco
avesse scadenza annuale, tanto da indurre l’abbate commendatario a raccomandarsi di far durare per due anni l’ultimo quantitativo spedito. La
corrispondenza in entrambi i casi si è svolta nel
34
RoCChi 1998, pp. 251-252; MiniSCi 1966, p. 51.
35
RoCChi 1998, p. 516. Vedi inoltre la pianta della chiesa
risalente al periodo barberiniano pubblicata in thaU 2007,
tav. 3, con il posizionamento dell’altare dedicato a S. Carlo
sulla parete destra del nartece.
36
RoCChi 1998, pp. 230 sgg.; si ricorda inoltre nello stesso
periodo l’adozione del Santo a Patrono di Rocca di Papa.
37
32
33
RoCChi 1998, pp. 221-222.
Ivi, p. 246. All’interno della pietra di fondazione vennero
poste alcune medaglie in argento e bronzo rafiguranti al dritto
il cardinale committente ed a rovescio il modello del nuovo
altare realizzato da A. Giorgetti. La medaglia è pubblicata in
Giannini 1988, p. 53, ig. 6.
Ordinate dall’abate Passarini, erano prodotte nella ferriera
nelle vicinanze dell’Abbazia già dal 1663, vd. Ivi, p. 266.
38
Archivio Monastero Esarchico Grottaferrata, Parrocchia,
carteggio, busta B.3, fasc. 1760, lettera del 10 agosto 1760
39
Archivio Monastero Esarchico Grottaferrata, Parrocchia,
carteggio, busta B.3, fasc. 1761-1768, lettera dell’11 agosto
1762.
103
Medaglie devozionali di S. Maria di grottaferrata (rM)
Fig. 5 - Cartolina postale del 1930 stampata per il VII centenario della traslazione dell’Icona
mese di agosto, in prossimità di due importanti festività mariane: l’Assunzione della Vergine
(15 agosto) e l’ottava di Assunzione (22 agosto),
successivamente fatta coincidere con la ricorrenza della traslazione dell’icona40. Queste festività
mariane, nonché le due iere annuali, hanno sempre attirato numerosi devoti e pellegrini e hanno
certamente offerto l’occasione per la distribuzione
di medaglie devozionali.
La produzione di medaglie devozionali in
concomitanza con eventi legati all’Abbazia si è
protratta sicuramente nel corso del XIX secolo:
nel 1871 l’abbate Contieri fece realizzare delle
medaglie con la rafigurazione della Theotokos;
in quell’occasione un esemplare in oro venne donato al ponteice Pio IX41. Per quanto riguarda la
testimonianza fornita dalla medaglia n. 2, inerente
a tale periodo storico, è signiicativo notare la reiterazione del modello iconograico secentesco. La
stessa iconograia del rovescio è stata mantenuta
sino agli inizi del XX secolo, laddove per il dritto è
stata adottata una rafigurazione dell’icona fedele
all’originale che comprende la presenza di entrambe le corone42. Tale rappresentazione è divenuta
canonica dagli anni ’30 del XX secolo (ig. 5).
Conclusione
Il dato materiale ed archeologico fornito dalle
medaglie devozionali secentesche conferma indirettamente le informazioni bibliograiche ed archivistiche relative al culto di S. Carlo Borromeo nella chiesa di S. Maria; fornisce inoltre un ulteriore
indizio sull’effettiva realizzazione della medaglia
riprodotta dal Buonanni, coniata sotto il pontiicato di Urbano VIII.
Da quanto inora esposto è verosimile una collocazione cronologica per la medaglia n. 1 tra il
42
40
Giannini 1988, pp. 25-26.
41
Ivi, pp. 35-36.
104
E’ stato possibile visionare una medaglia devozionale con
tali caratteristiche, in possesso di privati, risalente agli inizi
del XX secolo.
Bollettino Unione Storia ed arte n. 8 / 2013
1638 e la ine del secolo, pertanto durante tutta la
reggenza barberiniana. Per quanto riguarda la medaglia n. 3, è plausibile che essa sia stata realizzata
almeno a partire dal 1644 (ovvero il terminus post
quem fornito dalla fonti per l’erezione dell’altare
al Santo); è probabile inoltre che sia stata riprodotta anche successivamente, nel corso del secolo,
per via di una particolare devozione di Carlo Barberini verso il Santo suo omonimo43. Inine, dato
l’utilizzo della stessa matrice del dritto, è ragionevole supporre che la realizzazione delle medaglie
nn. 1 e 3 sia stata coeva.
La medaglia n. 2 è stata probabilmente realizzata intorno agli anni ’70 e ’80 del XIX secolo,
in concomitanza con i pontiicati di Pio IX e Leone XIII: nel clima del ripristino del rito bizantino
dopo le vicissitudini subite dal monastero nel periodo napoleonico, testimoniato dalla trasformazione dell’altare in iconostasi44.
L’importanza dell’immagine dell’icona mariana, venerata per secoli nell’ambito della devozione popolare, soggiace alla sua forte valenza apotropaica e taumaturgica. In tale ottica la
riproduzione dell’icona criptense sulle medaglie
devozionali non necessitava di risultare copia fedele all’originale. Pur attraverso la distorsione e la
reinterpretazione di determinati elementi, come ad
esempio il sovradimensionamento della croce sulla spalla della Theotokos, permane il rimando ad
un repertorio igurativo devozionale comune, nel
quale rimangono inalterate le proprietà miracolose
dell’immagine sacra. A tal proposito ben si attaglia
un pensiero di Ferdinando Castagnoli: “Dobbiamo
limitarci a constatare alcuni motivi, e spiegare la
loro varietà ammettendo che in queste minuscole riproduzioni numismatiche si vollero dare solo
delle esempliicazioni, con liberi criteri di scelta,
delle parti che sembravano più signiicative”45.
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43
RoCChi 1998, p. 255.
44
Giannini 2005, p. 99.
45
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