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Come tutti sanno. La Lectura Dantis di Sermonti alla radio

Dante e l'Arte

Dante e l'arte 9, 2022 165-170 "E sta selva selvaggia… e via dicendo". Non ha terminato la seconda terzina Vittorio Sermonti quando, con impercettibile scarto nel tono, disegna il primo ponte tra il testo che sta leggendo e gli ascoltatori "amici suoi plurali". Confida nell'energia vocale che sa suscitare il dialetto "per italiani futuri" 1 della Commedia, una lingua che ha fretta di raccontare, paterna, quindi familiare. Una lingua verso la quale Sermonti sollecita come nessuno il senso di avventura della conoscenza acustica. "Leggeremo non come i commercianti immagazzinano, ma come i marinai vanno per mare", premette, cioè per esplorare qualcosa che si sa più grande di noi. E raggiunge un numero straordinario di persone, partendo dalla radio e dilagando in presenza nelle città italiane, con cicli interi e completi delle cantiche, anno dopo anno, Ravenna, Milano, Roma, Firenze… fino al papa (il 31 agosto 1997, il canto XXIII del Paradiso al cospetto di Giovanni Paolo II), radunando cittadini sempre più attenti e numerosi, tra cattedrali e monumenti, un pubblico che viene a costituirsi nei vent'anni a cavallo del millennio-presunta spina dorsale del paese, stando all'algoritmo patria lingua-e che lui Sermonti è tra i primi a intercettare, scegliendo di abbinare il testo e il medium sorgenti sonore pubbliche primigenie, anticipando festival e saloni, o per lo meno accompagnando il loro parallelo fiorire. E il "trucco" risiede nell'intuizione di partenza: la radio è il luogo della lectura dantis. Più dei teatri e delle chiese, più della vetta delle civilissime torri. E certo più della televisione, che negli anni Ottanta dilaga per ogni dove. La radio pubblica, entrata in apparente ombra dopo i fasti del decennio precedente, quando dettava linee valide al futuro di

Dante e l’arte ,  - Come tutti sanno. La Lectura Dantis di Sermonti alla radio Lorenzo Pavolini Scrittore e giornalista radiofonico “E sta selva selvaggia… e via dicendo”. Non ha terminato la seconda terzina Vittorio Sermonti quando, con impercettibile scarto nel tono, disegna il primo ponte tra il testo che sta leggendo e gli ascoltatori “amici suoi plurali”. Confida nell’energia vocale che sa suscitare il dialetto “per italiani futuri” della Commedia, una lingua che ha fretta di raccontare, paterna, quindi familiare. Una lingua verso la quale Sermonti sollecita come nessuno il senso di avventura della conoscenza acustica. “Leggeremo non come i commercianti immagazzinano, ma come i marinai vanno per mare”, premette, cioè per esplorare qualcosa che si sa più grande di noi. E raggiunge un numero straordinario di persone, partendo dalla radio e dilagando in presenza nelle città italiane, con cicli interi e completi delle cantiche, anno dopo anno, Ravenna, Milano, Roma, Firenze… fino al papa (il  agosto , il canto XXIII del Paradiso al cospetto di Giovanni Paolo II), radunando cittadini sempre più attenti e numerosi, tra cattedrali e monumenti, un pubblico che viene a costituirsi nei vent’anni a cavallo del millennio – presunta spina dorsale del paese, stando all’algoritmo patria lingua – e che lui Sermonti è tra i primi a intercettare, scegliendo di abbinare il testo e il medium sorgenti sonore pubbliche primigenie, anticipando festival e saloni, o per lo meno accompagnando il loro parallelo fiorire. E il “trucco” risiede nell’intuizione di partenza: la radio è il luogo della lectura dantis. Più dei teatri e delle chiese, più della vetta delle civilissime torri. E certo più della televisione, che negli anni Ottanta dilaga per ogni dove. La radio pubblica, entrata in apparente ombra dopo i fasti del decennio precedente, quando dettava linee valide al futuro di . “La lingua di Dante è un dialetto di italiani futuri… La lingua italiana aspetta ancora una lingua che abbia la ricchezza e l’energia di un dialetto”, in una intervista per la televisione svizzera (Rsi, ControLuce,  ottobre ) Sermonti commenta così lo straordinario successo che ancora nei primi anni Duemila continuavano a riscuotere le sue letture pubbliche; il riferimento in quell’occasione erano le serate milanesi a Santa Maria delle Grazie per la lettura del Purgatorio, che nell’autunno dell’anno precedente avevano fatto registrare il tutto esaurito ed erano pazientemente seguite anche dal pubblico eccedente assiepato all’esterno della chiesa – che aveva una capienza di circa  persone – davanti a degli schermi. https://doi.org/./rev/dea.  - (digital),  - (paper)  Dante e l’arte ,  Lorenzo Pavolini qualsiasi medium – cioè protagonismo diretto, più ancora che partecipazione, degli utenti (Chiamate Roma ; Radio anch’io), e pregiato intrattenimento demenziale (Alto gradimento) – è proprio questa radio che sembra ritirarsi come l’onda dalla riva pubblicitaria accresce le sue proprietà di spazio adeguato a rifondare un gusto, un vizio, una passione e una riflessione, un pubblico affezionato alla parola comunità e disposto al discorso complesso, come quello dantesco o riguardante la rappresentazione artistica in generale. Uno spazio di cui Sermonti sa anche come forzare i limiti, casa ideale e palestra per chi come lui è tante cose insieme tra giornalismo e letteratura, tra scrivere e interpretare. “Studente lavoratore, che lavora scrivendo, e che talora scrive di altri scrittori”, come lo definiva Gianfranco Contini (che soprintende la lettura delle prime due cantiche, morirà mentre si concludeva il lavoro sul Purgatorio, e sarà poi Cesare Segre a revisionare il Paradiso), Sermonti maneggia lo strumento al massimo delle possibilità. Adotta in scioltezza un espediente fino ad allora tentato giusto in qualche radiodramma sperimentale, e oggi regola aurea dei più avanzati podcast: dare del tu all’ascoltatore, accoglierlo in una equilibrata intimità, escogitare addirittura per lui una categoria, quella dell’“amico mio plurale”, che metta tutti a proprio agio. E in questa premessa fondante sta la riuscita e la lunga tenuta nella ricezione della sua Lectura Dantis. Per quanto l’abbia potuta mutuare dal poeta stesso – che nella ventina di appelli al lettore della Commedia adotta spesso la seconda persona singolare – Sermonti è consapevole di come davanti a un microfono, osservando il proprio riflesso nell’ampio vetro che lo separa da una o due persone incaricate di assisterlo nella registrazione, chi siamo veramente “noi” alle prese con un classico assoluto resta il problema centrale, quanto ricevere un segnale decente per sintonizzarsi sulla frequenza del canale. La sua risposta è che noi siamo: “una molteplicità di unici lettori, interi, attuali e concreti… Noi è io e te, questa unica volta, consentitemi di fare il verso al poeta e darvi del tu”. Siamo alla metà degli anni Ottanta. Le comunità in ascolto sono frantumate. L’orizzonte del mercato e dei desideri sta per essere definitivamente invaso dai device individuali, il cui impiego si adatta al tempo personale di attenzione. La possibilità di una relazione, la sua cura e sviluppo incerto, in vista di attribuire senso comune alla realtà così come a un testo, sono elementi essenziali al fare radio. Tra le sue mille esperienze radiofoniche precedenti, va ricordato come Sermonti sia stato artefice centrale dell’episodio più ardito di intrattenimento . “Lo vedevo spesso a casa di Roberto Longhi, a Firenze. Stavo zitto e gli dedicavo un’ammirazione muta. Avrò scambiato con lui una ventina di parole. Poi quando proposi di leggere Dante alla radio, era il , andai a trovarlo. Stava un po’ sulle sue e mi disse: ‘Mi foni’. Parlava così, voleva dire ‘Mi faccia sentire’. Gli declamai il V dell’Inferno. E lui: ‘Il solfeggio è perfetto, ma ora me lo legga’. Alla fine fu d’accordo. E così cominciai”. Francesco Erbani intervista Sermonti, Leggete per essere cattivi, “La Repubblica”,  agosto . Come tutti sanno. La Lectura Dantis di Sermonti alla radio Dante e l’arte ,   culturale degli anni Settanta, le interviste impossibili. Suo il testo, la regia e l’interpretazione, suo l’esperimento della puntata pilota, il format si direbbe adesso, di questa storica trasmissione a cui parteciparono Calvino, Manganelli, Eco, Arbasino, Sanguineti, Ceronetti e tanti altri, ma in cui lui fu il primo a cimentarsi, scovando quella tonalità di erudita leggerezza, sarcastica e spiritosa, fine come il fiato, che gli sarà poi indispensabile nell’impresa dantesca. Il  giugno , Sermonti registra il suo incontro con Marco Aurelio/ Carmelo Bene, nel giorno tra l’altro che segna la scoperta della radio e delle virtù microfoniche da parte dell’attore pugliese; che poi con quei microfoni scaglierà nella notte di Bologna la propria lectura dantis, il  luglio del , per commemorare il primo anniversario della strage alla stazione. Sermonti e Bene negli studi di via Asiago conversano secondo copione in greco e latino, “nelle more della tosse” e dei gargarismi (l’attore pretese in prima battuta di eseguirli con della birra in gola, ma pare non facesse il suono giusto e si rassegnò infine alla vile acqua) che scuotono l’imperatore-filosofo romano mentre giace in una branda, “sotto una montagna di pelli di pecoro”, nell’accampamento a due passi dal confine austro-polacco,  anni fa, per la campagna invernale contro Ermunduri e Marcomanni. Sermonti è autore di  interviste impossibili e regista di , il doppio di quelle gestite da Andrea Camilleri, che tra i registi radiofonici impegnati nel progetto sarà secondo. Questo per capire anche con quale animo dieci anni dopo, nel , Sermonti potesse affrontare, se non leggero, fiducioso, la mole delle  ore e mezzo complessive finali, che dureranno la sua lettura e commento dell’Inferno, uscendone trionfatore. E come contemporaneamente la televisione producesse una lectura dantis presentata da Giorgio Petrocchi, letta da Albertazzi, Sbragia, Salerno, con il commento di professori come Borsellino e Tartaro – la regia era di Marco Parodi – ricevendo gelide inerti accoglienze (Beniamino Placido arrivò a definirla “un rosario”). Dunque Sermonti appena letta la prima terzina si interrompe e dice: “Così comincia, come tutti sanno, senza ricordar neppure da quanto lo sappiano, il più gran libro scritto da un cristiano”. Subito gli preme, come detto, stabilire la relazione fondamentale alla radio, la ricezione, e pronuncia la formula più ardita, tra gli appelli all’ascoltatore – come tutti sanno – apostrofe ormai ban. “Su tutti comunque metto Vittorio Sermonti: le sue letture alla radio sono state straordinarie: la dizione era perfetta, l’interpretazione piena di grande acutezza. Sì, meglio alla radio”. Così Geno Pampaloni che “boccia” la Commedia di Gassman nei teatri (intervistato da Emanuela Audisio, Gasmann all’inferno, “La Repubblica”  dicembre ). Per una rassegna esaustiva delle molte letture pubbliche dantesche del periodo, quasi una moda – e il consenso unanimemente tributato a Sermonti – vedi l’articolo Dante for President, “Il Diario”, III, ,  e il saggio di Rino Caputo, Dante “a mente” di Benigni in Letture dell’inferno di Roberto Benigni, Apiro/Jesi / ottobre , p. - . Beniamino Placido, Galeotto fu Dante e chi lo lesse, “La Repubblica”,  aprile .  Dante e l’arte ,  Lorenzo Pavolini dita dalla comunicazione, in specie se una trasmissione riguarda libri, arte, scienza e teatro, perché nessun elemento culturale può essere considerato comune, e soprattutto darlo per scontato rivelerebbe un’atteggiamento snobistico, ritenuto poco inclusivo. Eppure un’insegna tale – come tutti sanno – può essere azzardata forse soltanto all’ingresso della Divina Commedia. Stabilita la sintonia propizia alla ricezione più ampia possibile e collettiva, Sermonti procede nella verticale autobiografia di ognuno, con quel cenno alle reminiscenze personali, a quel non ricordar neppure quando e come ci capitarono nelle orecchie le prime rime. Perché in lui proprio quel ricordo è chiaro e luminoso, si mescola con le estati della guerra, con la voce e il fumo delle sigarette del padre, quando “Le cicale concertavano nel fico […] le nostre motosiluranti solcavano invitte il golfo della Sirte, e io, praticamente, non capivo nulla.” Aveva  anni quando il padre decise che ogni estate avrebbe letto e spiegato una cantica ai fratelli maggiori. Così in lui la voce della realtà viene a coincidere con la voce del padre e con la voce del testo. Ed è alla sorpresa di questo primo ascolto che tornerà sempre a fare appello. È quello il suono, ma anche la relazione che punta a ricreare. Nell’introdurre il Purgatorio dice: “Cerchiamo di raccontarcela con calma, amico mio plurale […] Dante ha bisogno di noi, che con il nostro ascolto perpetuiamo la vita dei suoi versi, di noi uno per uno con la singolare esperienza della vita detenuta dalle persone intere e uniche che siamo e con l’esperienza di pietà e di orrore che questa epoca ci obbliga a condividere… coraggio amico, più dai a Dante, più lui ti dà, più a fondo lo leggi più lui ti legge a fondo, la Commedia deve continuare…”. E lo ribadisce mirabilmente, giunto “alla metà”, quando commenta il canto XVII del Purgatorio, proprio dove “lo scriba torna ad appellarsi a te lettore, testimone della verità sensibile delle sue percezioni d’oltremondo e insieme del libro che le registra”. Impossibile bloccarla “mentre la sacra favola continua a scorrere in su verso l’inesauribile sorgente dell’essere”, si può tuttalpiù tentare di “tallonare il racconto terzina dopo terzina – ripetere insieme – amico mio – la sbalorditiva esperienza della prima lettura. Solo gli specialisti possono dimenticare – o forse solo fingere di dimenticare – che questo libro francamente divino si legge sempre per la prima volta. È così: leggilo e rileggilo, e non sarai mai l’identica persona che lo ha letto la penultima volta. Per quanto tu te ne ricordi, la tua stessa memoria ti si svelerà non come un patrimonio acquisito una volta per tutte, ma come uno sterminato e rischiosissimo campo di avventura. Forse, questo che per noi tutti è un ‘libro-mondo’, per ciascuno di noi, amico, è un ‘libro-vita’ ”. Oggi chi volesse ascoltare la lettura radiofonica di Sermonti non potrà farlo sulle piattaforme della radio pubblica, che allora la produsse con grande . L’inferno di Dante, con la supervisione di Gianfranco Contini, Rizzoli, , p. XV Come tutti sanno. La Lectura Dantis di Sermonti alla radio Dante e l’arte ,   senso della sua funzione. È disponibile solo la versione video della lettura ai Mercati di Traiano nel . Pochi anni prima di morire Sermonti propose alla Rai di rinnovare i diritti su questa sua opera, come sulle sue letture dell’Eneide di Virgilio e delle Metamorfosi di Ovidio, da lui tradotte e registrate con accuratezza ineguagliabile. Proposta che non fu praticamente neppure presa in considerazione. Qualche tempo dopo sono stati acquistati da Emons e si possono ascoltare su Storytel.