Academia.eduAcademia.edu

Sulla scena. Luoghi e generi teatrali fra '500 e '

2023

contributi e proposte Collana di letteratura italiana fondata da Mario Pozzi diretta da Enrico Mattioda 127 Comitato scientifico benedict buono (Universidade de Santiago de Compostela) Jean-Louis FourneL (Université de Paris 8) roberto GaLbiati (Università di Torino) pasquaLe sabbatino (Università di Napoli Federico II) duccio tonGiorGi (Università di Genova) sabine VerhuLst (Koninklijke Vlaamse Academie van België voor Wetenschappen en Kunsten) I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica. Paola Cosentino Sulla scena Luoghi e generi teatrali fra ’500 e ’600 Edizioni dell’Orso Alessandria Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Torino. © 2023 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. Sede legale: via Legnano, 46 15121 Alessandria Sede operativa e amministrativa: viale Industria, 14/A 15067 Novi Ligure (AL) tel. e fax 0143.513575 e-mail: info@ediorso.it http://www.ediorso.it Redazione informatica e impaginazione a cura di Francesca Cattina (francesca.cattina@gmail.com) Grafica della copertina a cura di Paolo Ferrero (pferrero64@gmail.com) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41 ISSN 1720-4992 ISBN 978-88-3613-327-7 A Canio, libraio PREMESSA Questa raccolta di saggi, nati in occasioni diverse e qui ripartiti in quattro diverse sezioni, obbedisce a un intento preciso. Che è quello di ripercorrere le mie indagini teatrali degli ultimi anni, arrivando a costruire un quadro assai mosso e di lì a riconoscere somiglianze e differenze, fratture e continuità: partendo da una serie di incursioni nel mondo della commedia fiorentina (e romana) di primo Cinquecento sono infatti arrivata a sondare la produzione tragica di fine secolo, gli spettacoli seicenteschi in corte e in accademia, infine il teatro barocco di Federico Della Valle. L’attraversamento di questi ambiti, pur distanti fra loro, mi ha consentito non solo di valorizzare, attraverso una lettura attenta dei testi, il ruolo dei modelli antichi e moderni, ma talvolta anche di mettere a confronto letteratura alta e letteratura bassa, generi codificati e prodotti “popolari” meno conosciuti, e tuttavia assai diffusi sul mercato cinque e seicentesco. In esordio affronto un gigante, Machiavelli. E quindi rileggo il Discorso o dialogo come utile abbrivio per mettere a confronto le teorie esposte nel trattato sulla lingua e la pratica delle commedie. Naturalmente le posizioni assunte all’interno dell’operetta linguistica – legate alla difesa del volgare toscano, alla ripresa dei modelli comici antichi, alla definizione tradizionale dei personaggi – non raggiungono l’oltranza scenica dei capolavori, Mandragola e Clizia, ove è invece agevole riconoscere il portato di una rivoluzione maturata a partire dall’intreccio, capace, nel primo caso, di rappresentare una vicenda dai tratti blasfemi, nel secondo, di mettere in scena una vera e propria autoparodia. Ma è vero che interrogarsi sulla funzione della commedia, sulle difficoltà di impiegare una lingua dotata di realismo, sull’importanza di ricorrere ai motti che possano indurre al riso è operazione necessaria, in un contesto fiorentino dove la riflessione sul teatro va di pari passo con la rilettura e il commento dei classici, greci e latini. A questo si aggiunga un altro elemento: al principio del secolo, e non solo a Firenze, il rapporto fra commedia, tragedia e storia della lingua è strettissimo. E nella prospettiva di un rinnovamento sostanziale che coinvolge anche le trame: lo dimostra l’invenzione di un meccanismo teatrale perfetto, come è quello della commedia di Callimaco e Lucrezia, fondata non solo su un linguaggio che si adatta ai diversi personaggi (penso, ad esempio, alla caratterizzazione di Nicia), ma anche sul fruttifero incontro fra tradizione latina e novella volgare. Incontro dotato di uno straordinario potenziale comico, come aveva intuito Bernardo Dovizi da Bibbiena che, nella Calandra, aveva messo a frutto l’eredità 8 premessa del «moccicone» Plauto coniugandola con un gusto, tutto moderno, per la beffa. Proprio la commedia del cardinal Dovizi autorizza uno spostamento in un’altra area assai promettente sul fronte spettacolare, quella della Roma dei papi. Qui viene rappresentata la Calandra, dopo un interessante passaggio urbinate, che offre l’occasione di ricostruire l’origine del testo, voluto dal duca Della Rovere per rafforzare l’alleanza politica con la città pontificia. Roma è dunque il centro attivo di un classicismo anche volgare, sorto sotto l’egida di Leone X, cui non a caso si rivolge il Trissino nella dedica della prima tragedia italiana del secolo, la Sofonisba. Sede dei più vari esperimenti spettacolari, Roma è pure il luogo dove, non a caso, vengono stampate le sette commedie volgari ad opera dell’editore Minizio Calvo: costui mette a punto un canone comico che corrisponde alla realtà spettacolare dell’epoca, ove, accanto ai maggiori – Ariosto, Bibbiena, Machiavelli – fanno la loro comparsa autori minori, destinati ad essere, di lì a poco, dimenticati. Ciononostante, l’essenziale collanina, fondata su testi redatti in prosa, sembra fare scuola, dal momento che ben due stampatori, Girolamo Soncino prima (1526) e Niccolò Zoppino dopo (1525-1531), si rifanno alla lezione del Calvo, ben comprendendo l’importanza assunta dalla titolografia teatrale per l’espansione della tipografia. La fortuna del genere commedia è determinata dal recupero dei modelli plautini e terenziani, spesso rivisitati attraverso l’impiego del Boccaccio più faceto: tuttavia, alla novella volgare va affiancata un’altra tradizione narrativa, che è quella inaugurata dalle Metamorfosi di Apuleio, e più specificamente dal IX libro, legato al tema dell’adulterio. Ne costituisce un esempio lampante il Formicone del Mantovano, il primo dei testi pubblicati dal Calvo, modellato sulla celebre novella delle pianelle. Ma un’ulteriore traccia è rinvenibile in un’altra commedia che ci fa tornare a Firenze: alludo alla Milesia di Donato Giannotti, già nel titolo omaggio dichiarato alla tradizione della fabula che appunto milesia si chiama. Dal romanzo latino di Apuleio ha origine un percorso comico che sembrerà segnare le tappe della drammaturgia primo-rinascimentale, lambendo finanche la Mandragola, opera in cui inganno, tradimento e corruzione appaiono perfettamente orchestrati insieme. Alle intersezioni fra storia contemporanea e genere tragico è dedicata la seconda sezione, che muove, in continuità con la precedente, dall’esperienza degli Straccioni del Caro, commedia ispirata alla realtà di una Roma farnesiana che anima sì il fondale teatrale, ma che diventa altresì lo spunto per mettere in scena figure davvero esistite. In maniera analoga, anche i lamenti redatti a seguito della morte dei due amanti omicidi (Ippolita e Ludovico) e pubblicati su fogli volanti pongono in relazione evento drammatico e rapida costruzione popolare di un mito, così come la tragedia intitolata Il soldato (1550), esempio efficace di trasformazione letteraria di un terribile fatto di cronaca che, avvenuto a Padova, aveva suscitato sgomento e partecipazione emotiva da premessa 9 parte dell’intera cittadinanza. Questo sarebbe avvenuto anche qualche anno dopo, in occasione della presa di Cipro (1571) da parte dei turchi: di fronte alla brutale e inaspettata esecuzione del governatore veneziano Marco Antonio Bragadin, colpevole solo di aver creduto alle garanzie offerte dai nemici, la pubblica opinione veneziana aveva reagito con un moto di orrore. Quello stesso che aveva guidato le prime cronache volgari dell’accaduto, a loro volta seguite da una serie di tragedie, capaci di trasfigurare il terribile episodio collocandolo in un lontano passato oppure di narrare, attraverso una struttura modellata sui classici, i momenti essenziali di una vera e propria passio, considerata esempio perfetto di tragedia moderna da Tommaso Campanella. Accanto alle vicende contemporanee emergono, sulla scena drammatica di fine secolo, numerose figure di donna, così come era capitato fin dagli esordi del genere: insieme a Merope, protagonista dell’omonima pièce del Torelli che pure utilizza sempre il personaggio femminile quale depositario privilegiato degli affetti e del lutto fanno la loro comparsa Adriana (protagonista dell’omonimo dramma del Groto), Alvida e Rosmonda (voci muliebri dell’unica tragedia del Tasso, il Re Torrismondo), infine Gismonda (che dalla novella di Boccaccio balza sulla scena tragica di fine secolo), tutte eroine dolenti cui è demandato il compito di dare corpo alle ragioni del privato e quindi di enfatizzare il pathos connaturato al genere. Ad esse vanno senz’altro affiancate le protagoniste del teatro dellavalliano, che, se da un lato ci riportano al confronto fra la parola in coturno e la storia contemporanea (penso alla Reina di Scozia dedicata alla morte di Maria Stuarda), dall’altro offrono un’interpretazione della storia biblica capace, attraverso il culto della Vergine rilanciato dalla Riforma cattolica, di esaltare figure femminili forti e generose. Grazie al Della Valle, che sarà fatto oggetto di una specifica indagine nell’ultima parte del volume, abbiamo superato le soglie del Seicento: il secolo barocco assiste alle metamorfosi della tragedia, la quale, pur rifacendosi alla tradizione classica, acquisisce nuovi elementi utili a una progressiva trasformazione sotto l’egida del romanzo, della tragicommedia, dell’apporto dei comici dell’arte. Più in generale, il teatro seicentesco si fa veicolo di sperimentazione e di contaminazione fra i generi, determinando una realtà spettacolare posta sotto l’insegna della commistione come della varietà. Ancora al Seicento delle Accademie, luoghi di elaborazione, teorica e pratica, di esperimenti teatrali è dedicata la terza campata di questo lavoro. Con una specifica attenzione rivolta a Firenze, ove i diversi sodalizi accademici erano divenuti, spesso grazie alla protezione accordata loro dai Medici, spazi di confronto, di promozione culturale, di celebrazione encomiastica. Alternativi alle rappresentazioni ufficiali patrocinate dalla corte, gli spettacoli di alcune di queste congreghe seppero coinvolgere numerosi artisti, impegnati quindi sul doppio fronte della messa in scena e della tela. Un altro ambito è poi quello delle opere teatrali, ma anche letterarie, pittoriche e musicali, 10 premessa ispirate dalla granduchessa Maddalena d’Asburgo negli anni della sua reggenza: attorno alla nobildonna si muove un gruppo di intellettuali fra i quali è agevole riconoscere non solo il librettista Andrea Salvadori, ma anche Iacopo Cicognini, autore di un testo sacro che si colloca a metà fra l’elogio della martire (sotto il quale si cela l’encomio nei confronti della granduchessa stessa) e la commedia, ad attestare, ancora una volta, la natura metamorfica dei generi teatrali barocchi. Che infatti privilegiano forme ibride, in special modo le tragicommedie, nella forma delle pastorali come delle marittime: soprattutto queste ultime conoscono, grazie all’elemento spettacolare ad esse connaturato, ovvero all’impiego, artificioso o naturale, dell’acqua, una straordinaria fortuna. A partire dalla versione “bagnata” dell’Aminta tassiana fino alle imitazioni pescatorie del Pastor fido, prodotte all’interno di alcune Accademie italiane e spesso incentrate sulla fedeltà del personaggio femminile protagonista, talvolta pure abbigliato sotto mentite spoglie maschili. Viene così indicato un cambiamento di gusto, che poggia sulla ricerca della variatio e, al contempo, insiste sulle coloriture patetiche della favola in direzione melodrammatica. A questo va poi aggiunto un altro significativo elemento: le marittime seicentesche, proprio in ragione della loro ambientazione per l’appunto marina, non esitano a ricorrere a quei motivi romanzeschi utili a movimentare il plot e a introdurre l’avventura, il pericolo, i repentini mutamenti di sorte. Altre sono, invece, le coordinate culturali cui si rifà Federico Della Valle: lo scrittore muove i suoi passi dalla corte di Torino per approdare alla Milano spagnola all’inizio del Seicento, ove vedrà la luce tutta la sua opera in versi. La sua vocazione teatrale si colloca su un piano affatto diverso rispetto alle esperienze spettacolari fin qui prese in esame: con l’Adelonda di Frigia egli sceglie la via della tragicommedia, ma ne fa un’antipastorale in cui l’eden primigenio corrisponde a un mondo ferino ed irredimibile, poi recupera la vicenda contemporanea di Maria Stuarda e ne ricava un vero e proprio martirologio, infine consacra a Giuditta ed Ester, straordinarie figure bibliche, due veri e propri poemi tragici che tuttavia si rifanno anche agli espedienti più raffinati della rappresentazione barocca. Ciononostante la sua voce rimane isolata, probabilmente perché nulla concede l’autore alle sirene del romanzo: la sua poetica appare fondata su una gravitas che resta la cifra essenziale del suo teatro, volto soprattutto a scandagliare i rapporti fra terra e cielo, e quindi a dire dei limiti insuperabili della condizione umana di fronte alla misteriosa potenza di Dio.