Papers by manfredi scanagatta
4 | 1 | 2023 Relations
The dematerialisation of information and the development of Information Systems combined with the... more The dematerialisation of information and the development of Information Systems combined with the use of flexible metadata standards enable a new accessibility for the sources. Matching this new accessibility with the bottom-up historiographic production promoted by Public History enables the development of new forms of history teaching and the generation of information objects through participatory metadata creation with a community of reference. Through the analysis of three different cases, this article brings out the importance of metadata for the organisation, archiving and use of historical sources in a Public History perspective.
Fort360 project is a cultural initiative that receives the main directives of edutainment process... more Fort360 project is a cultural initiative that receives the main directives of edutainment processes, trying to provide an answer to the necessity of a capillary system of information and awareness about the dismissing cultural heritage. The proposed study – carried out in the Fort Bravetta, Rome – presents a video where the educational aspect, related to the historical and architectural site contents, is strictly connected with the playful and emotional quality, resulted from a VR interaction with a panoramic video. This first case study focuses on the use of low-cost digital instrumentation and tries to improve the value of culture from the bottom, proposing an alternative way of cultural heritage enjoyment, based on participation and on interdisciplinarity of the proposed contents.
Public History seeks to provide a method for researching and disseminating history, while at the ... more Public History seeks to provide a method for researching and disseminating history, while at the same time engaging with different types of public. Public historians study documentary sources and languages in order to penetrate society, to contribute to the creation of a critical thinking to counter an uncritical relativism increasingly present in new and ‘old’ media. Photography is both a source an element of very powerful communication. For this reason, it is necessary that the historian is able to exploit all the possibilities that this instrument allows.
Per comprendere quali potranno essere gli effetti del crollo del prezzo del petrolio sulle impres... more Per comprendere quali potranno essere gli effetti del crollo del prezzo del petrolio sulle imprese, è necessario volgere lo sguardo verso gli Stati Uniti, che insieme alla Russia è il paese che per diversi motivi sta già vedendo settori specifici delle proprie imprese andare in crisi.
Secondo il New York Times, che riporta un reportage dal Texas, le trivelle si stanno fermando, molte imprese hanno già iniziato a licenziare personale,ristoranti e negozi stanno abbassando i prezzi per tenersi i clienti che temono di perdere il lavoro.
Gli Stati Uniti benedetti dalla manna dello shale oil devono fare i conti con la picchiata del prezzo del petrolio.
Il boom degli idrocarburi non convenzionali si sta sgonfiando e il Texas in particolar modo si sta preparando ad affrontare una nuova crisi. Sono le stesse paure che devono fronteggiare i piccoli produttori dell’Oklahoma, dell’Alabama, dell’Arkansas o del North Dakota, tutti Stati dove la ricerca e l'estrazione del petrolio è uno dei settori trascinanti dell'economia.
Di opinione diversa è il dipartimento statunitense dell’energia, che, in opposizione a quanto si è detto sopra, si è premurato di far sapere che solo il 4% dei campi di shale oil in Texas, North Dakota e altri Stati ha necessità che il petrolio stia sopra gli 80 dollari per ripagare gli investimenti sostenuti per la produzione. Un big del settore come EOG Resources ha fatto sapere che riuscirebbe a estrarre petrolio dai suoi campi in Texas facendo profitti anche con il barile a 40 dollari.
Ma stando ai dati più recenti il rapporto tra debito e margine operativo lordo, la differenza tra i ricavi di un’azienda e i costi che sostiene per produrre, nell’industria dello shale oil supera quota 3, a fronti di valori dell’industria petrolifera che raramente vanno oltre il 2. Un rapporto superiore a 3 è considerato una prima spia rossa sulla capacità di un’azienda di far fronte a tutti i suoi debiti.
Sarebbe comunque sbagliato affermare che il settore è a rischio crac; sia perché ci sono aziende finanziariamente più solide, sia perché i costi estrattivi variano da campo a campo e stanno progressivamente diminuendo.
Prendete un bel respiro e preparatevi a tuffarvi in questo nostro abisso privato. Come in un docu... more Prendete un bel respiro e preparatevi a tuffarvi in questo nostro abisso privato. Come in un documentario che mostra le quattro stagioni di un paesaggio che scorre alla velocità di un battito di ciglia, affrontiamo anche noi le quattro stagioni della storiografia.
Tra storia e filosofia:
Lafilosofiadellastoria VOLTAIREeVICOforseancheunpodiKANT Leconcezionidellastorianellottocento HEGELCOMTEMARX Lostoricismo WEBERePOPPER BENEDETTOCROCE
Un po’ di teoria
Tempoeverità ARONVILARCROCEeinfineBLOCH Storiaepolitica ancoraCROCEeMARX
Laconoscenzastorica COMTEvsVEYNEeperchènoHEIDEGGER Esisteloggettività? BRUHLWEBERecistannobeneancheSALVEMINIRICOEUR
La ricerca che problema:
Metodologia UNPOTUTTIeforseNESSUNO
Lefontieladottrina DROISENBERNHEIMTOPOLSKImaancheCHABODCROCEetantialtri
Lefontielorocritica IPROTOCOLLIdeiSAVIdiSIONprimaditutto
From Erodoto to Weber:
Torniamoallesuperiori ERODOTOTUCIDIDEPOLIBIOeleversionidilatinoegreco Lastoriografiamoderna MACHIAVELLIinattesadiVOLTAIREeMONTESQUIEU Lottocento HUMBOLDTeMICHELETmanondimenticateCARLYLEeRANKE Positivismoemarxismo arrivanoTOQUEVILLEegliingombrantiMARXeENGELS Lanascitadellastoriografiaculturale WEBER
La storiografia contemporanea: primi anni...:
Newhistory? LACOMBELANGLOISSEIGNOBOSeancheDURKHEIM Leannales BLOCHFEBVREPIRENNE
Culturaepolitica CASSIRERHUIZINGA
...il dopoguerra:
Lascuoladi BLOCHeFEBVRE
Terzagenerazione BRAUDELLEGOFFFURETenondimenticateFOUCAULT
Storiografia in Italia:
Trapositivismoeidealismo VILLARICROCEGENTILE VOLPEeSALVEMINI
CHABODelanuovastoriografia MORANDIROSSELLI
Ilruolodelmarxismo GRAMSCI
Respirate ora.
Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera. Se vi serve, rileggete i grandi nomi, lentamente, riflettete sul loro significato, pensate alla strada percorsa. Quanti ne mancano? Tanti, forse troppi, ma sentivamo il loro peso sulle spalle troppo grande da continuare a portare. Così come nell’omonimo film, la semplificazione della circolarità - metaforica - della condizione umana (nel nostro caso della storia, ma non è forse la stessa cosa?) si spezza in un impeto di violenza - solo simbolica naturalmente - che ci riporta all’interno della nostra contemporaneità. L’intero nostro lavoro si sviluppa nel tentativo di inserire in un contesto ben conosciuto, o almeno conoscibile, un elemento di rottura metodologica, che a nostro avviso è rappresentato dall’équipe. A questo, che sarà ben evidente durante l’intera lettura, aggiungiamo in questo momento solamente l’accenno di una riflessione da cui non pensiamo sia possibile esulare e che si inserisce perfettamente nel contesto di quanto andiamo scrivendo. Un paradigma di cui il nostro concetto di équipe è semplicemente un’emanazione:
Il paradigma della sostenibilità.
Sostenibilità che, ancor prima che filosofica, economica, ambientale, sociale, siamo fermamente convinti sia del pensiero.
Pensiero sostenibile
Una rivoluzione del pensiero che sta prepotentemente prendendo forma negli ultimi anni e che quotidianamente interagisce e fa l’occhiolino a tutte le scienze umane con alternate, e a volte contraddittorie, risposte. Una scienza che richiede, a nostro avviso, di definire anche un nuovo paradigma sociale inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e comportamenti condivisi da una comunità, che dà forma a una visione particolare della realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996). Detto questo, pensiamo che tale riflessione non possa essere evitata dalla storia e da chi se ne occupa, proprio perché si inserisce in modo massiccio nel contesto delle relazioni umane e quindi della costruzione di significati.
Lo spazio geografico tende così a configurarsi quale meta-spazio, come trama di eventi e situazio... more Lo spazio geografico tende così a configurarsi quale meta-spazio, come trama di eventi e situazioni iper-naturali composte soprattutto da segni, figure, specula di un altro ordine, di una “sovra natura”; la navigazione dei monaci irlandesi è, da un punto di vista strutturale e “testuale”, facilmente riconducibile allo schema che, in geografie meno avventurose, dà sfondo ad un qualsiasi pellegrinaggio, costellato di memorie, di segni tangibili della presenza divina, di luoghi narranti diversissimi fra loro ma sempre rapportabili a una stessa dialettica: viaggi mitici, viaggi liturgici, ove gli orizzonti naturali “aprono” a ben altro tipo di geografie: in un’analoga leggenda, ambientata stavolta in Oriente, i viaggiatori intendono raggiungere il Paradiso terrestre posto ai confini del mondo, là dove «la terra si congiunge con lo cielo».1
Secondo Giuseppe Tardiola, l’immagine del mondo è, prima di tutto, un’immagine divina; un codice infarcito di messaggi, citazioni; paradigma che lo stesso Dio ha creato e che a Lui rimonta e conduce. Lo spazio geografico è una trama di segni da interpretare.
Introduzione
Arditi tra leggenda e realtà
Non è semplice comprendere la storia degli arditi. Pri... more Introduzione
Arditi tra leggenda e realtà
Non è semplice comprendere la storia degli arditi. Prima degli studi portati avanti da Cordova e Rochat, memorialistica e pubblicistica fornivano infatti molte leggende e poche notizie autentiche. Gli studi erano spesso condizionati da esigenze politiche e propagandistiche, le fonti ufficiali troppo scarse e contraddittorie, e gli archivi praticamente inutilizzabili.
Ovviamente vi erano notizie sui reparti più illustri, ma era difficile ottenere un quadro di insieme più generale. È da considerare anche che i reparti d’assalto non ebbero mai un comando unico né un’amministrazione propria e furono distinti da una numerazione per armata nell’estate del 1917, una numerazione unica per tutto l’esercito all’inizio del 1918, una nuova numerazione secondo il corpo d’armata all’inizio dell’estate .1
È quindi complicato ricostruirne le vicende.
Ciò che è interessante è vedere come anche all’interno di documenti ufficiali, i numeri su quanti fossero i corpi d’assalto non collimino. A seconda delle fonti, infatti, cambia il numero dei reparti, ciò rende chiara l’idea di come ci si stia occupando di un fenomeno assolutamente particolare: all’ottobre 1917 risultano costituiti secondo la commissione di inchiesta su Caporetto 23 reparti d’assalto, 22 secondo la relazione ufficiale dell’Ufficio storico dell’esercito. Questi numeri, però, non vengono confermati dalla Relazione ufficiale. L’ordine di battaglia al 24 ottobre 1917 cita solo 17 reparti d’assalto con una numerazione parzialmente fantastica.2
Dati più completi sui reparti d’assalto son forniti dalla Relazione ufficiale per il secondo semestre 1918. Ne risulta che si può calcolare con qualche approssimazione i reparti d’assalto costituiti, ma che è impossibile avere un totale degli arditi passati attraverso questi reparti, e un numero delle perdite.3
È quindi interessante cercare di capire chi realmente fossero gli arditi, e quale fosse il loro reale scopo.
La mistica che si è creata attorno a questa figura è dovuta al rapporto con il fascismo che ne ha esaltato delle forme per poi farle proprie, ma gli arditi erano in primis dei soldati, che paradossalmente rappresentavano l’ultimo baluardo di un mondo che stava scomparendo, o meglio di un mondo che la loro guerra stava contribuendo a distruggere.
Per la prima volta, con la Grande Guerra si può parlare concretamente di eserciti di massa, la coscrizione diventa obbligatoria, e il soldato perde ogni valore, diventando un numero da sommare ad altri numeri. In una guerra di posizione e logoramento, come è stata la prima guerra mondiale, l’esercito più forte era quello ad avere più soldati, le tante acclamate virtù del soldato, che fino ad allora rappresentavano l’orgoglio di un esercito e di una nazione vengono completamente dimenticate perché ritenute inutili.4
In un esercito di massa non c’è spazio per l’individualismo, il soldato è senza volto, ignoto, così nella vita come nella morte.
È quindi quanto meno interessante notare come all’interno dello stesso conflitto, da una parte il soldato perda la sua umanità e unicità, ma dall’altro si creino dei miti su gruppi d’assalto che all’urlo di “me ne frego” o “vivere pericolosamente” si gettavano contro la morte.
«Il nostro organismo militare (…) tendeva soprattutto a separare nettamente la massa combattente in due categorie: quella che aveva più attitudine per l’attacco; e quella che meglio si adattava alla resistenza. Da una parte i più giovani, gli spensierati, gli scapigliati, gli spregiudicati, gli irrequieti, i violenti, gli scontenti, i superatori, i passionali, i frenetici e gli sfrenati, i ginnasti e gli sportmen, i mistici e gli sfottitori, gli avanguardisti di ogni campo della vita, i futuristi di cervello o di cuore o di muscoli. Dall’altra gli anziani, i padri di famiglia, i lenti, i pesanti, i passivi gli sfiduciati, i pigri, magari in gran parte buoni soldati, ma più adatti all’obbedienza che all’iniziativa, più fermi al loro posto che impazienti di scattare, ottimi puntelli per le trincee, ma poco idonei allo sbalzo in avanti.
I primi venivano in generale dalle città, gli altri più specialmente dalle campagne.»5
Le varie opere dedicate agli arditi concordano nell’illimitata esaltazione delle loro qualità belliche, fisiche e morali e nell’affermazione dell’assoluta originalità della loro esperienza; l’esaltazione degli arditi raggiunge vertici inconsueti. Così, Carli, uno dei fondatori dell’arditismo nel 1919 scriveva:
«C’è proprio una graduatoria del coraggio. Non esiste un tipo unico di coraggio. Gli arditi sono sullo scalino più alto di questa graduatoria. Il coraggio degli arditi non è quello di tutti gli altri. Sembrerà paradossale ma è così. È un fenomeno di selezione, un fenomeno essenzialmente aristocratico.»6
Ma cos’è dunque l’ardito?
È difficile capire e analizzare un fenomeno così complesso ed eterogeneo. L’ardito è quindi l’ultimo eroe o il primo fascista? L’ardito è il soldato poco intelligente ma pronto a tutto o è un idealista? L’ardito è mistica o realtà?
Dagli studi a noi giunti e dall''analisi di questi si può dire che l'ardito è tutto ciò: l’ardito nasce nella dura realtà dei campi di battaglia ma si sviluppa nelle fantasie di una nazione. Sono le passioni a guidarlo e la politica è passione, l’ardito crede in dei valori e farà di tutto per far sì che si realizzino.
Nel 1919 Ferruccio Vecchi scriveva:
«Che cosa sono gli arditi? Sono i figli delle pattuglie, degli assalti, della guerra più cruenta e più fondente, i primi giunti al traguardo della vittoria: l’espressione più pura del coraggio. Sono nati nel solco della trincea scavata dal vomere della vittoria. L’ardito è un fante sbocciato, un seme diventato pianta, un uomo comune valorizzato eroe e che, uscito in mille ramificati assalti, ha dato i frutti più copiosi di sacrificio. Nacquero nell’alto forno carsico, dove le armi e le pietre diedero tutto il loro metallo allo stampo di undici vittorie. Nel grande crogiuolo si raccolse la lega degli arditi, la gemma più tersa dell’eroismo di cui la patria si è adornata per tutti i secoli.»7
Nelle pagine che seguiranno cercheremo di comprendere il fenomeno dell'arditismo nelle sue molteplici forme; per farlo ci appoggeremo agli studi di Rochat, Cordova, Francescangeli cercando tramite essi di ricostruire uno spaccato della storia italiana troppo spesso legato ad un settarismo di indagine o ideologico.
Vedremo come la figura dell'ardito si formi sì nella mistica nazionalistica e intrepida che contraddistingueva il primo novecento italiano e europeo, ma di come si realizzi in estenuanti esercitazioni in campi d'addestramento speciali, dove il soldato, l'ardito, veniva sottoposto a sforzi notevoli per prepararlo al meglio ad ogni genere di situazione riscontrabile in un conflitto non di posizione, ma di azione, dove il corpo a corpo e l'uso del coltello erano spesso, per non dire sempre, gli elementi centrali dello scontro. Vedremo come la divisa assuma un ruolo centrale nell'identificazione di un corpo guerriero che, per quanto possibile, usciva dai rigidi schemi imposti dagli usi militari, un corpo d'élite che subirà all'apice della propria storia trattamenti di riguardo dalle alte sfere militari italiane. Un corpo così al di fuori dei classici schemi che anche nell'arruolamento dei suoi appartenenti seguirà strade parallele rispetto all'obbligo di leva vigente durante il primo conflitto mondiale. Gli arditi saranno volontari, uomini pronti a tutto per la patria ma forse non solo: interessante a riguardo ciò che ci riportano sia Rochat che Cordova, i quali sottolineano come parte degli arditi fossero anche ex galeotti che decisero di arruolarsi per scappare alle patrie galere.
Nella nostra narrazione cercheremo di comprendere le difficoltà di reinserirsi all'interno di una vita normale dopo essersi lanciati contro il nemico urlando alla morte “me ne frego”. Per questo percorso di comprensione è stato fondamentale il sostegno del testo di Fussel che ci racconta le storie dei sopravvissuti inglesi alla prima guerra mondiale, una guerra diversa da quelle del passato, un conflitto dove le vittime non sono solo i caduti sul campo, ma anche coloro che non riescono più a reintegrarsi nel quotidiano sociale.
Vedremo il fascismo stringere le proprie spire su un idea, un'ideale, quello dell'ardito, che non nasceva in seno ad un'ideologia, ma che ne diventerà braccio armato. Vedremo ex combattenti formare associazioni, riunirsi politicamente in schieramenti contrapposti, vedremo come dagli arditi, emergerà la figura di Argo Secondari, che si metterà al comando degli Arditi del popolo, una forza a tutti gli effetti militare che si opporrà al fascismo.
Per capire chi sia Sonia Gandhi è necessario attraversare la storia dell'India, comprenderne le c... more Per capire chi sia Sonia Gandhi è necessario attraversare la storia dell'India, comprenderne le complessità politiche, sociali, economiche e religiose. Oggi l'India è uno stato democratico abitato da oltre un miliardo di persone, ma che ha ottenuto la sua indipendenza dall'Inghilterra solo nel 1947 e che si è costituito come Repubblica dell'India nel 1950.
Una lotta per la libertà e la democrazia iniziata dal Mathama Gandhi e Jawaharlal Nheru che ne divenne il primo ministro.
Ma come pensare di intrecciare una storia così importante con quella di Sonia Maino, un'italiana nata a Lusiana nel 1946, partita adolescente per Cambridge per imparare l'inglese, affrontare il mondo per la prima volta e ovviamente innamorarsi.
Innamorarsi come solo a diciotto anni è possibile, quando si è pronti a tutto pur di coronare il proprio sogno, quando si è disposti a seguire l'amore fino in capo al mondo.
Nel 1968 Sonia Maino salì su un aereo per Nuova Delhi per raggiungere e poco dopo sposare Rajiv Gandhi, figlio di Indira Gandhi e nipote di Jawaharlar Nheru, uno dei padri della democrazia più grande al mondo.
Non è solo una storia d'amore con tinte fiabesche, è una storia di potere, di guerre, di terrore.
Questa è la storia di un popolo, di una nazione, vista con gli occhi dell'inconsapevolezza ma all'interno della casa che questo potere lo gestisce, sono gli occhi di chi pranza e cena tutti i giorni con chi queste guerre le dichiara, le combatte e le vince, sono gli occhi di una donna che ha visto il sangue della suocera, del cognato e infine del marito bagnare una terra che ormai sentono propria.
Sonia Gandhi, eccola, la giovane italiana che eredita uno dei cognomi più importanti della storia contemporanea mondiale e poco importa se è solo una straniera finita li per amore, schiva, priva di velleità politiche adesso è lei che il popolo vuole, critica, elegge, accusa, adesso lei è il potere.
È stato inaspettato, travolgente, lisergico. È stata la musica, l’arte, sono state le droghe, il ... more È stato inaspettato, travolgente, lisergico. È stata la musica, l’arte, sono state le droghe, il sesso, la libertà. Questo libro ripercorre la storia del movimento hippie ponendo l’attenzione su quelli che sono stati i suoi protagonisti. Partendo dagli inizi degli anni quaranta, ricostruisce l’evoluzione di un pensiero che si forma sul concetto di libertà: dalle quattro libertà umane essenziali teorizzate dal presidente Roosevelt, passando attraverso la celebrazione dello Human Be-In fino ad arrivare al Monterey Pop Festival, il primo grande festival rock della storia.
La musica, le droghe psichedeliche e l’arte si intrecciano in una narrazione storiografica dove è l’essere umano, libero da convenzioni e stereotipi a fare suo un momento storico e sociale senza precedenti.
Il movimento hippie ha rischiato di sovvertire il concetto di status quo sul quale si ponevano le colonne della società americana.
Nasce sui marciapiedi di North Beach, cresce negli appartamenti di Haight Ashbury, e lì, da avanguardia si trasformerà in movimento di massa, arrivando fino a noi, ma perdendosi nella storia.
Books by manfredi scanagatta
Affinità elettive Edizioni, 2019
«Con questo numero, 68, si indica un anno del Novecento in cui si è concentrato un numero impress... more «Con questo numero, 68, si indica un anno del Novecento in cui si è concentrato un numero impressionante di lotte, mobilitazioni, manifestazioni, fatti drammatici ed episodi clamorosi che hanno riguardato simultaneamente varie parti del mondo. Un movimento di “contestazione globale” che mise in discussione dalle fondamenta i valori e le regole che ispiravano e disciplinavano i vari aspetti della vita individuale e collettiva. I Protagonisti di quel movimento furono i giovani, soprattutto gli studenti, mossi da una forte spinta ideale e da una grande passione politica: giovani che volevano cambiare il mondo».
Il libro vuole lasciare una traccia scritta dell’attività di divulgazione storica – tre incontri seminariali – organizzata tra novembre 2018 e gennaio 2019 dall’Istituto Gramsci Marche di concerto con l’Associazione universitaria Gulliver in occasione
dei cinquant’anni dal ’68. La sfida era e resta quella di riaprire un dialogo intergenerazionale che ci sembra interrotto a causa delle trasformazioni intervenute nei pochi decenni che ci separano da quegli eventi.
Uploads
Papers by manfredi scanagatta
Secondo il New York Times, che riporta un reportage dal Texas, le trivelle si stanno fermando, molte imprese hanno già iniziato a licenziare personale,ristoranti e negozi stanno abbassando i prezzi per tenersi i clienti che temono di perdere il lavoro.
Gli Stati Uniti benedetti dalla manna dello shale oil devono fare i conti con la picchiata del prezzo del petrolio.
Il boom degli idrocarburi non convenzionali si sta sgonfiando e il Texas in particolar modo si sta preparando ad affrontare una nuova crisi. Sono le stesse paure che devono fronteggiare i piccoli produttori dell’Oklahoma, dell’Alabama, dell’Arkansas o del North Dakota, tutti Stati dove la ricerca e l'estrazione del petrolio è uno dei settori trascinanti dell'economia.
Di opinione diversa è il dipartimento statunitense dell’energia, che, in opposizione a quanto si è detto sopra, si è premurato di far sapere che solo il 4% dei campi di shale oil in Texas, North Dakota e altri Stati ha necessità che il petrolio stia sopra gli 80 dollari per ripagare gli investimenti sostenuti per la produzione. Un big del settore come EOG Resources ha fatto sapere che riuscirebbe a estrarre petrolio dai suoi campi in Texas facendo profitti anche con il barile a 40 dollari.
Ma stando ai dati più recenti il rapporto tra debito e margine operativo lordo, la differenza tra i ricavi di un’azienda e i costi che sostiene per produrre, nell’industria dello shale oil supera quota 3, a fronti di valori dell’industria petrolifera che raramente vanno oltre il 2. Un rapporto superiore a 3 è considerato una prima spia rossa sulla capacità di un’azienda di far fronte a tutti i suoi debiti.
Sarebbe comunque sbagliato affermare che il settore è a rischio crac; sia perché ci sono aziende finanziariamente più solide, sia perché i costi estrattivi variano da campo a campo e stanno progressivamente diminuendo.
Tra storia e filosofia:
Lafilosofiadellastoria VOLTAIREeVICOforseancheunpodiKANT Leconcezionidellastorianellottocento HEGELCOMTEMARX Lostoricismo WEBERePOPPER BENEDETTOCROCE
Un po’ di teoria
Tempoeverità ARONVILARCROCEeinfineBLOCH Storiaepolitica ancoraCROCEeMARX
Laconoscenzastorica COMTEvsVEYNEeperchènoHEIDEGGER Esisteloggettività? BRUHLWEBERecistannobeneancheSALVEMINIRICOEUR
La ricerca che problema:
Metodologia UNPOTUTTIeforseNESSUNO
Lefontieladottrina DROISENBERNHEIMTOPOLSKImaancheCHABODCROCEetantialtri
Lefontielorocritica IPROTOCOLLIdeiSAVIdiSIONprimaditutto
From Erodoto to Weber:
Torniamoallesuperiori ERODOTOTUCIDIDEPOLIBIOeleversionidilatinoegreco Lastoriografiamoderna MACHIAVELLIinattesadiVOLTAIREeMONTESQUIEU Lottocento HUMBOLDTeMICHELETmanondimenticateCARLYLEeRANKE Positivismoemarxismo arrivanoTOQUEVILLEegliingombrantiMARXeENGELS Lanascitadellastoriografiaculturale WEBER
La storiografia contemporanea: primi anni...:
Newhistory? LACOMBELANGLOISSEIGNOBOSeancheDURKHEIM Leannales BLOCHFEBVREPIRENNE
Culturaepolitica CASSIRERHUIZINGA
...il dopoguerra:
Lascuoladi BLOCHeFEBVRE
Terzagenerazione BRAUDELLEGOFFFURETenondimenticateFOUCAULT
Storiografia in Italia:
Trapositivismoeidealismo VILLARICROCEGENTILE VOLPEeSALVEMINI
CHABODelanuovastoriografia MORANDIROSSELLI
Ilruolodelmarxismo GRAMSCI
Respirate ora.
Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera. Se vi serve, rileggete i grandi nomi, lentamente, riflettete sul loro significato, pensate alla strada percorsa. Quanti ne mancano? Tanti, forse troppi, ma sentivamo il loro peso sulle spalle troppo grande da continuare a portare. Così come nell’omonimo film, la semplificazione della circolarità - metaforica - della condizione umana (nel nostro caso della storia, ma non è forse la stessa cosa?) si spezza in un impeto di violenza - solo simbolica naturalmente - che ci riporta all’interno della nostra contemporaneità. L’intero nostro lavoro si sviluppa nel tentativo di inserire in un contesto ben conosciuto, o almeno conoscibile, un elemento di rottura metodologica, che a nostro avviso è rappresentato dall’équipe. A questo, che sarà ben evidente durante l’intera lettura, aggiungiamo in questo momento solamente l’accenno di una riflessione da cui non pensiamo sia possibile esulare e che si inserisce perfettamente nel contesto di quanto andiamo scrivendo. Un paradigma di cui il nostro concetto di équipe è semplicemente un’emanazione:
Il paradigma della sostenibilità.
Sostenibilità che, ancor prima che filosofica, economica, ambientale, sociale, siamo fermamente convinti sia del pensiero.
Pensiero sostenibile
Una rivoluzione del pensiero che sta prepotentemente prendendo forma negli ultimi anni e che quotidianamente interagisce e fa l’occhiolino a tutte le scienze umane con alternate, e a volte contraddittorie, risposte. Una scienza che richiede, a nostro avviso, di definire anche un nuovo paradigma sociale inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e comportamenti condivisi da una comunità, che dà forma a una visione particolare della realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996). Detto questo, pensiamo che tale riflessione non possa essere evitata dalla storia e da chi se ne occupa, proprio perché si inserisce in modo massiccio nel contesto delle relazioni umane e quindi della costruzione di significati.
Secondo Giuseppe Tardiola, l’immagine del mondo è, prima di tutto, un’immagine divina; un codice infarcito di messaggi, citazioni; paradigma che lo stesso Dio ha creato e che a Lui rimonta e conduce. Lo spazio geografico è una trama di segni da interpretare.
Arditi tra leggenda e realtà
Non è semplice comprendere la storia degli arditi. Prima degli studi portati avanti da Cordova e Rochat, memorialistica e pubblicistica fornivano infatti molte leggende e poche notizie autentiche. Gli studi erano spesso condizionati da esigenze politiche e propagandistiche, le fonti ufficiali troppo scarse e contraddittorie, e gli archivi praticamente inutilizzabili.
Ovviamente vi erano notizie sui reparti più illustri, ma era difficile ottenere un quadro di insieme più generale. È da considerare anche che i reparti d’assalto non ebbero mai un comando unico né un’amministrazione propria e furono distinti da una numerazione per armata nell’estate del 1917, una numerazione unica per tutto l’esercito all’inizio del 1918, una nuova numerazione secondo il corpo d’armata all’inizio dell’estate .1
È quindi complicato ricostruirne le vicende.
Ciò che è interessante è vedere come anche all’interno di documenti ufficiali, i numeri su quanti fossero i corpi d’assalto non collimino. A seconda delle fonti, infatti, cambia il numero dei reparti, ciò rende chiara l’idea di come ci si stia occupando di un fenomeno assolutamente particolare: all’ottobre 1917 risultano costituiti secondo la commissione di inchiesta su Caporetto 23 reparti d’assalto, 22 secondo la relazione ufficiale dell’Ufficio storico dell’esercito. Questi numeri, però, non vengono confermati dalla Relazione ufficiale. L’ordine di battaglia al 24 ottobre 1917 cita solo 17 reparti d’assalto con una numerazione parzialmente fantastica.2
Dati più completi sui reparti d’assalto son forniti dalla Relazione ufficiale per il secondo semestre 1918. Ne risulta che si può calcolare con qualche approssimazione i reparti d’assalto costituiti, ma che è impossibile avere un totale degli arditi passati attraverso questi reparti, e un numero delle perdite.3
È quindi interessante cercare di capire chi realmente fossero gli arditi, e quale fosse il loro reale scopo.
La mistica che si è creata attorno a questa figura è dovuta al rapporto con il fascismo che ne ha esaltato delle forme per poi farle proprie, ma gli arditi erano in primis dei soldati, che paradossalmente rappresentavano l’ultimo baluardo di un mondo che stava scomparendo, o meglio di un mondo che la loro guerra stava contribuendo a distruggere.
Per la prima volta, con la Grande Guerra si può parlare concretamente di eserciti di massa, la coscrizione diventa obbligatoria, e il soldato perde ogni valore, diventando un numero da sommare ad altri numeri. In una guerra di posizione e logoramento, come è stata la prima guerra mondiale, l’esercito più forte era quello ad avere più soldati, le tante acclamate virtù del soldato, che fino ad allora rappresentavano l’orgoglio di un esercito e di una nazione vengono completamente dimenticate perché ritenute inutili.4
In un esercito di massa non c’è spazio per l’individualismo, il soldato è senza volto, ignoto, così nella vita come nella morte.
È quindi quanto meno interessante notare come all’interno dello stesso conflitto, da una parte il soldato perda la sua umanità e unicità, ma dall’altro si creino dei miti su gruppi d’assalto che all’urlo di “me ne frego” o “vivere pericolosamente” si gettavano contro la morte.
«Il nostro organismo militare (…) tendeva soprattutto a separare nettamente la massa combattente in due categorie: quella che aveva più attitudine per l’attacco; e quella che meglio si adattava alla resistenza. Da una parte i più giovani, gli spensierati, gli scapigliati, gli spregiudicati, gli irrequieti, i violenti, gli scontenti, i superatori, i passionali, i frenetici e gli sfrenati, i ginnasti e gli sportmen, i mistici e gli sfottitori, gli avanguardisti di ogni campo della vita, i futuristi di cervello o di cuore o di muscoli. Dall’altra gli anziani, i padri di famiglia, i lenti, i pesanti, i passivi gli sfiduciati, i pigri, magari in gran parte buoni soldati, ma più adatti all’obbedienza che all’iniziativa, più fermi al loro posto che impazienti di scattare, ottimi puntelli per le trincee, ma poco idonei allo sbalzo in avanti.
I primi venivano in generale dalle città, gli altri più specialmente dalle campagne.»5
Le varie opere dedicate agli arditi concordano nell’illimitata esaltazione delle loro qualità belliche, fisiche e morali e nell’affermazione dell’assoluta originalità della loro esperienza; l’esaltazione degli arditi raggiunge vertici inconsueti. Così, Carli, uno dei fondatori dell’arditismo nel 1919 scriveva:
«C’è proprio una graduatoria del coraggio. Non esiste un tipo unico di coraggio. Gli arditi sono sullo scalino più alto di questa graduatoria. Il coraggio degli arditi non è quello di tutti gli altri. Sembrerà paradossale ma è così. È un fenomeno di selezione, un fenomeno essenzialmente aristocratico.»6
Ma cos’è dunque l’ardito?
È difficile capire e analizzare un fenomeno così complesso ed eterogeneo. L’ardito è quindi l’ultimo eroe o il primo fascista? L’ardito è il soldato poco intelligente ma pronto a tutto o è un idealista? L’ardito è mistica o realtà?
Dagli studi a noi giunti e dall''analisi di questi si può dire che l'ardito è tutto ciò: l’ardito nasce nella dura realtà dei campi di battaglia ma si sviluppa nelle fantasie di una nazione. Sono le passioni a guidarlo e la politica è passione, l’ardito crede in dei valori e farà di tutto per far sì che si realizzino.
Nel 1919 Ferruccio Vecchi scriveva:
«Che cosa sono gli arditi? Sono i figli delle pattuglie, degli assalti, della guerra più cruenta e più fondente, i primi giunti al traguardo della vittoria: l’espressione più pura del coraggio. Sono nati nel solco della trincea scavata dal vomere della vittoria. L’ardito è un fante sbocciato, un seme diventato pianta, un uomo comune valorizzato eroe e che, uscito in mille ramificati assalti, ha dato i frutti più copiosi di sacrificio. Nacquero nell’alto forno carsico, dove le armi e le pietre diedero tutto il loro metallo allo stampo di undici vittorie. Nel grande crogiuolo si raccolse la lega degli arditi, la gemma più tersa dell’eroismo di cui la patria si è adornata per tutti i secoli.»7
Nelle pagine che seguiranno cercheremo di comprendere il fenomeno dell'arditismo nelle sue molteplici forme; per farlo ci appoggeremo agli studi di Rochat, Cordova, Francescangeli cercando tramite essi di ricostruire uno spaccato della storia italiana troppo spesso legato ad un settarismo di indagine o ideologico.
Vedremo come la figura dell'ardito si formi sì nella mistica nazionalistica e intrepida che contraddistingueva il primo novecento italiano e europeo, ma di come si realizzi in estenuanti esercitazioni in campi d'addestramento speciali, dove il soldato, l'ardito, veniva sottoposto a sforzi notevoli per prepararlo al meglio ad ogni genere di situazione riscontrabile in un conflitto non di posizione, ma di azione, dove il corpo a corpo e l'uso del coltello erano spesso, per non dire sempre, gli elementi centrali dello scontro. Vedremo come la divisa assuma un ruolo centrale nell'identificazione di un corpo guerriero che, per quanto possibile, usciva dai rigidi schemi imposti dagli usi militari, un corpo d'élite che subirà all'apice della propria storia trattamenti di riguardo dalle alte sfere militari italiane. Un corpo così al di fuori dei classici schemi che anche nell'arruolamento dei suoi appartenenti seguirà strade parallele rispetto all'obbligo di leva vigente durante il primo conflitto mondiale. Gli arditi saranno volontari, uomini pronti a tutto per la patria ma forse non solo: interessante a riguardo ciò che ci riportano sia Rochat che Cordova, i quali sottolineano come parte degli arditi fossero anche ex galeotti che decisero di arruolarsi per scappare alle patrie galere.
Nella nostra narrazione cercheremo di comprendere le difficoltà di reinserirsi all'interno di una vita normale dopo essersi lanciati contro il nemico urlando alla morte “me ne frego”. Per questo percorso di comprensione è stato fondamentale il sostegno del testo di Fussel che ci racconta le storie dei sopravvissuti inglesi alla prima guerra mondiale, una guerra diversa da quelle del passato, un conflitto dove le vittime non sono solo i caduti sul campo, ma anche coloro che non riescono più a reintegrarsi nel quotidiano sociale.
Vedremo il fascismo stringere le proprie spire su un idea, un'ideale, quello dell'ardito, che non nasceva in seno ad un'ideologia, ma che ne diventerà braccio armato. Vedremo ex combattenti formare associazioni, riunirsi politicamente in schieramenti contrapposti, vedremo come dagli arditi, emergerà la figura di Argo Secondari, che si metterà al comando degli Arditi del popolo, una forza a tutti gli effetti militare che si opporrà al fascismo.
Una lotta per la libertà e la democrazia iniziata dal Mathama Gandhi e Jawaharlal Nheru che ne divenne il primo ministro.
Ma come pensare di intrecciare una storia così importante con quella di Sonia Maino, un'italiana nata a Lusiana nel 1946, partita adolescente per Cambridge per imparare l'inglese, affrontare il mondo per la prima volta e ovviamente innamorarsi.
Innamorarsi come solo a diciotto anni è possibile, quando si è pronti a tutto pur di coronare il proprio sogno, quando si è disposti a seguire l'amore fino in capo al mondo.
Nel 1968 Sonia Maino salì su un aereo per Nuova Delhi per raggiungere e poco dopo sposare Rajiv Gandhi, figlio di Indira Gandhi e nipote di Jawaharlar Nheru, uno dei padri della democrazia più grande al mondo.
Non è solo una storia d'amore con tinte fiabesche, è una storia di potere, di guerre, di terrore.
Questa è la storia di un popolo, di una nazione, vista con gli occhi dell'inconsapevolezza ma all'interno della casa che questo potere lo gestisce, sono gli occhi di chi pranza e cena tutti i giorni con chi queste guerre le dichiara, le combatte e le vince, sono gli occhi di una donna che ha visto il sangue della suocera, del cognato e infine del marito bagnare una terra che ormai sentono propria.
Sonia Gandhi, eccola, la giovane italiana che eredita uno dei cognomi più importanti della storia contemporanea mondiale e poco importa se è solo una straniera finita li per amore, schiva, priva di velleità politiche adesso è lei che il popolo vuole, critica, elegge, accusa, adesso lei è il potere.
La musica, le droghe psichedeliche e l’arte si intrecciano in una narrazione storiografica dove è l’essere umano, libero da convenzioni e stereotipi a fare suo un momento storico e sociale senza precedenti.
Il movimento hippie ha rischiato di sovvertire il concetto di status quo sul quale si ponevano le colonne della società americana.
Nasce sui marciapiedi di North Beach, cresce negli appartamenti di Haight Ashbury, e lì, da avanguardia si trasformerà in movimento di massa, arrivando fino a noi, ma perdendosi nella storia.
Books by manfredi scanagatta
Il libro vuole lasciare una traccia scritta dell’attività di divulgazione storica – tre incontri seminariali – organizzata tra novembre 2018 e gennaio 2019 dall’Istituto Gramsci Marche di concerto con l’Associazione universitaria Gulliver in occasione
dei cinquant’anni dal ’68. La sfida era e resta quella di riaprire un dialogo intergenerazionale che ci sembra interrotto a causa delle trasformazioni intervenute nei pochi decenni che ci separano da quegli eventi.
Secondo il New York Times, che riporta un reportage dal Texas, le trivelle si stanno fermando, molte imprese hanno già iniziato a licenziare personale,ristoranti e negozi stanno abbassando i prezzi per tenersi i clienti che temono di perdere il lavoro.
Gli Stati Uniti benedetti dalla manna dello shale oil devono fare i conti con la picchiata del prezzo del petrolio.
Il boom degli idrocarburi non convenzionali si sta sgonfiando e il Texas in particolar modo si sta preparando ad affrontare una nuova crisi. Sono le stesse paure che devono fronteggiare i piccoli produttori dell’Oklahoma, dell’Alabama, dell’Arkansas o del North Dakota, tutti Stati dove la ricerca e l'estrazione del petrolio è uno dei settori trascinanti dell'economia.
Di opinione diversa è il dipartimento statunitense dell’energia, che, in opposizione a quanto si è detto sopra, si è premurato di far sapere che solo il 4% dei campi di shale oil in Texas, North Dakota e altri Stati ha necessità che il petrolio stia sopra gli 80 dollari per ripagare gli investimenti sostenuti per la produzione. Un big del settore come EOG Resources ha fatto sapere che riuscirebbe a estrarre petrolio dai suoi campi in Texas facendo profitti anche con il barile a 40 dollari.
Ma stando ai dati più recenti il rapporto tra debito e margine operativo lordo, la differenza tra i ricavi di un’azienda e i costi che sostiene per produrre, nell’industria dello shale oil supera quota 3, a fronti di valori dell’industria petrolifera che raramente vanno oltre il 2. Un rapporto superiore a 3 è considerato una prima spia rossa sulla capacità di un’azienda di far fronte a tutti i suoi debiti.
Sarebbe comunque sbagliato affermare che il settore è a rischio crac; sia perché ci sono aziende finanziariamente più solide, sia perché i costi estrattivi variano da campo a campo e stanno progressivamente diminuendo.
Tra storia e filosofia:
Lafilosofiadellastoria VOLTAIREeVICOforseancheunpodiKANT Leconcezionidellastorianellottocento HEGELCOMTEMARX Lostoricismo WEBERePOPPER BENEDETTOCROCE
Un po’ di teoria
Tempoeverità ARONVILARCROCEeinfineBLOCH Storiaepolitica ancoraCROCEeMARX
Laconoscenzastorica COMTEvsVEYNEeperchènoHEIDEGGER Esisteloggettività? BRUHLWEBERecistannobeneancheSALVEMINIRICOEUR
La ricerca che problema:
Metodologia UNPOTUTTIeforseNESSUNO
Lefontieladottrina DROISENBERNHEIMTOPOLSKImaancheCHABODCROCEetantialtri
Lefontielorocritica IPROTOCOLLIdeiSAVIdiSIONprimaditutto
From Erodoto to Weber:
Torniamoallesuperiori ERODOTOTUCIDIDEPOLIBIOeleversionidilatinoegreco Lastoriografiamoderna MACHIAVELLIinattesadiVOLTAIREeMONTESQUIEU Lottocento HUMBOLDTeMICHELETmanondimenticateCARLYLEeRANKE Positivismoemarxismo arrivanoTOQUEVILLEegliingombrantiMARXeENGELS Lanascitadellastoriografiaculturale WEBER
La storiografia contemporanea: primi anni...:
Newhistory? LACOMBELANGLOISSEIGNOBOSeancheDURKHEIM Leannales BLOCHFEBVREPIRENNE
Culturaepolitica CASSIRERHUIZINGA
...il dopoguerra:
Lascuoladi BLOCHeFEBVRE
Terzagenerazione BRAUDELLEGOFFFURETenondimenticateFOUCAULT
Storiografia in Italia:
Trapositivismoeidealismo VILLARICROCEGENTILE VOLPEeSALVEMINI
CHABODelanuovastoriografia MORANDIROSSELLI
Ilruolodelmarxismo GRAMSCI
Respirate ora.
Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera. Se vi serve, rileggete i grandi nomi, lentamente, riflettete sul loro significato, pensate alla strada percorsa. Quanti ne mancano? Tanti, forse troppi, ma sentivamo il loro peso sulle spalle troppo grande da continuare a portare. Così come nell’omonimo film, la semplificazione della circolarità - metaforica - della condizione umana (nel nostro caso della storia, ma non è forse la stessa cosa?) si spezza in un impeto di violenza - solo simbolica naturalmente - che ci riporta all’interno della nostra contemporaneità. L’intero nostro lavoro si sviluppa nel tentativo di inserire in un contesto ben conosciuto, o almeno conoscibile, un elemento di rottura metodologica, che a nostro avviso è rappresentato dall’équipe. A questo, che sarà ben evidente durante l’intera lettura, aggiungiamo in questo momento solamente l’accenno di una riflessione da cui non pensiamo sia possibile esulare e che si inserisce perfettamente nel contesto di quanto andiamo scrivendo. Un paradigma di cui il nostro concetto di équipe è semplicemente un’emanazione:
Il paradigma della sostenibilità.
Sostenibilità che, ancor prima che filosofica, economica, ambientale, sociale, siamo fermamente convinti sia del pensiero.
Pensiero sostenibile
Una rivoluzione del pensiero che sta prepotentemente prendendo forma negli ultimi anni e che quotidianamente interagisce e fa l’occhiolino a tutte le scienze umane con alternate, e a volte contraddittorie, risposte. Una scienza che richiede, a nostro avviso, di definire anche un nuovo paradigma sociale inteso come “una costellazione di concetti, valori, percezioni e comportamenti condivisi da una comunità, che dà forma a una visione particolare della realtà come base del modo in cui la comunità si organizza” (Capra, 1996). Detto questo, pensiamo che tale riflessione non possa essere evitata dalla storia e da chi se ne occupa, proprio perché si inserisce in modo massiccio nel contesto delle relazioni umane e quindi della costruzione di significati.
Secondo Giuseppe Tardiola, l’immagine del mondo è, prima di tutto, un’immagine divina; un codice infarcito di messaggi, citazioni; paradigma che lo stesso Dio ha creato e che a Lui rimonta e conduce. Lo spazio geografico è una trama di segni da interpretare.
Arditi tra leggenda e realtà
Non è semplice comprendere la storia degli arditi. Prima degli studi portati avanti da Cordova e Rochat, memorialistica e pubblicistica fornivano infatti molte leggende e poche notizie autentiche. Gli studi erano spesso condizionati da esigenze politiche e propagandistiche, le fonti ufficiali troppo scarse e contraddittorie, e gli archivi praticamente inutilizzabili.
Ovviamente vi erano notizie sui reparti più illustri, ma era difficile ottenere un quadro di insieme più generale. È da considerare anche che i reparti d’assalto non ebbero mai un comando unico né un’amministrazione propria e furono distinti da una numerazione per armata nell’estate del 1917, una numerazione unica per tutto l’esercito all’inizio del 1918, una nuova numerazione secondo il corpo d’armata all’inizio dell’estate .1
È quindi complicato ricostruirne le vicende.
Ciò che è interessante è vedere come anche all’interno di documenti ufficiali, i numeri su quanti fossero i corpi d’assalto non collimino. A seconda delle fonti, infatti, cambia il numero dei reparti, ciò rende chiara l’idea di come ci si stia occupando di un fenomeno assolutamente particolare: all’ottobre 1917 risultano costituiti secondo la commissione di inchiesta su Caporetto 23 reparti d’assalto, 22 secondo la relazione ufficiale dell’Ufficio storico dell’esercito. Questi numeri, però, non vengono confermati dalla Relazione ufficiale. L’ordine di battaglia al 24 ottobre 1917 cita solo 17 reparti d’assalto con una numerazione parzialmente fantastica.2
Dati più completi sui reparti d’assalto son forniti dalla Relazione ufficiale per il secondo semestre 1918. Ne risulta che si può calcolare con qualche approssimazione i reparti d’assalto costituiti, ma che è impossibile avere un totale degli arditi passati attraverso questi reparti, e un numero delle perdite.3
È quindi interessante cercare di capire chi realmente fossero gli arditi, e quale fosse il loro reale scopo.
La mistica che si è creata attorno a questa figura è dovuta al rapporto con il fascismo che ne ha esaltato delle forme per poi farle proprie, ma gli arditi erano in primis dei soldati, che paradossalmente rappresentavano l’ultimo baluardo di un mondo che stava scomparendo, o meglio di un mondo che la loro guerra stava contribuendo a distruggere.
Per la prima volta, con la Grande Guerra si può parlare concretamente di eserciti di massa, la coscrizione diventa obbligatoria, e il soldato perde ogni valore, diventando un numero da sommare ad altri numeri. In una guerra di posizione e logoramento, come è stata la prima guerra mondiale, l’esercito più forte era quello ad avere più soldati, le tante acclamate virtù del soldato, che fino ad allora rappresentavano l’orgoglio di un esercito e di una nazione vengono completamente dimenticate perché ritenute inutili.4
In un esercito di massa non c’è spazio per l’individualismo, il soldato è senza volto, ignoto, così nella vita come nella morte.
È quindi quanto meno interessante notare come all’interno dello stesso conflitto, da una parte il soldato perda la sua umanità e unicità, ma dall’altro si creino dei miti su gruppi d’assalto che all’urlo di “me ne frego” o “vivere pericolosamente” si gettavano contro la morte.
«Il nostro organismo militare (…) tendeva soprattutto a separare nettamente la massa combattente in due categorie: quella che aveva più attitudine per l’attacco; e quella che meglio si adattava alla resistenza. Da una parte i più giovani, gli spensierati, gli scapigliati, gli spregiudicati, gli irrequieti, i violenti, gli scontenti, i superatori, i passionali, i frenetici e gli sfrenati, i ginnasti e gli sportmen, i mistici e gli sfottitori, gli avanguardisti di ogni campo della vita, i futuristi di cervello o di cuore o di muscoli. Dall’altra gli anziani, i padri di famiglia, i lenti, i pesanti, i passivi gli sfiduciati, i pigri, magari in gran parte buoni soldati, ma più adatti all’obbedienza che all’iniziativa, più fermi al loro posto che impazienti di scattare, ottimi puntelli per le trincee, ma poco idonei allo sbalzo in avanti.
I primi venivano in generale dalle città, gli altri più specialmente dalle campagne.»5
Le varie opere dedicate agli arditi concordano nell’illimitata esaltazione delle loro qualità belliche, fisiche e morali e nell’affermazione dell’assoluta originalità della loro esperienza; l’esaltazione degli arditi raggiunge vertici inconsueti. Così, Carli, uno dei fondatori dell’arditismo nel 1919 scriveva:
«C’è proprio una graduatoria del coraggio. Non esiste un tipo unico di coraggio. Gli arditi sono sullo scalino più alto di questa graduatoria. Il coraggio degli arditi non è quello di tutti gli altri. Sembrerà paradossale ma è così. È un fenomeno di selezione, un fenomeno essenzialmente aristocratico.»6
Ma cos’è dunque l’ardito?
È difficile capire e analizzare un fenomeno così complesso ed eterogeneo. L’ardito è quindi l’ultimo eroe o il primo fascista? L’ardito è il soldato poco intelligente ma pronto a tutto o è un idealista? L’ardito è mistica o realtà?
Dagli studi a noi giunti e dall''analisi di questi si può dire che l'ardito è tutto ciò: l’ardito nasce nella dura realtà dei campi di battaglia ma si sviluppa nelle fantasie di una nazione. Sono le passioni a guidarlo e la politica è passione, l’ardito crede in dei valori e farà di tutto per far sì che si realizzino.
Nel 1919 Ferruccio Vecchi scriveva:
«Che cosa sono gli arditi? Sono i figli delle pattuglie, degli assalti, della guerra più cruenta e più fondente, i primi giunti al traguardo della vittoria: l’espressione più pura del coraggio. Sono nati nel solco della trincea scavata dal vomere della vittoria. L’ardito è un fante sbocciato, un seme diventato pianta, un uomo comune valorizzato eroe e che, uscito in mille ramificati assalti, ha dato i frutti più copiosi di sacrificio. Nacquero nell’alto forno carsico, dove le armi e le pietre diedero tutto il loro metallo allo stampo di undici vittorie. Nel grande crogiuolo si raccolse la lega degli arditi, la gemma più tersa dell’eroismo di cui la patria si è adornata per tutti i secoli.»7
Nelle pagine che seguiranno cercheremo di comprendere il fenomeno dell'arditismo nelle sue molteplici forme; per farlo ci appoggeremo agli studi di Rochat, Cordova, Francescangeli cercando tramite essi di ricostruire uno spaccato della storia italiana troppo spesso legato ad un settarismo di indagine o ideologico.
Vedremo come la figura dell'ardito si formi sì nella mistica nazionalistica e intrepida che contraddistingueva il primo novecento italiano e europeo, ma di come si realizzi in estenuanti esercitazioni in campi d'addestramento speciali, dove il soldato, l'ardito, veniva sottoposto a sforzi notevoli per prepararlo al meglio ad ogni genere di situazione riscontrabile in un conflitto non di posizione, ma di azione, dove il corpo a corpo e l'uso del coltello erano spesso, per non dire sempre, gli elementi centrali dello scontro. Vedremo come la divisa assuma un ruolo centrale nell'identificazione di un corpo guerriero che, per quanto possibile, usciva dai rigidi schemi imposti dagli usi militari, un corpo d'élite che subirà all'apice della propria storia trattamenti di riguardo dalle alte sfere militari italiane. Un corpo così al di fuori dei classici schemi che anche nell'arruolamento dei suoi appartenenti seguirà strade parallele rispetto all'obbligo di leva vigente durante il primo conflitto mondiale. Gli arditi saranno volontari, uomini pronti a tutto per la patria ma forse non solo: interessante a riguardo ciò che ci riportano sia Rochat che Cordova, i quali sottolineano come parte degli arditi fossero anche ex galeotti che decisero di arruolarsi per scappare alle patrie galere.
Nella nostra narrazione cercheremo di comprendere le difficoltà di reinserirsi all'interno di una vita normale dopo essersi lanciati contro il nemico urlando alla morte “me ne frego”. Per questo percorso di comprensione è stato fondamentale il sostegno del testo di Fussel che ci racconta le storie dei sopravvissuti inglesi alla prima guerra mondiale, una guerra diversa da quelle del passato, un conflitto dove le vittime non sono solo i caduti sul campo, ma anche coloro che non riescono più a reintegrarsi nel quotidiano sociale.
Vedremo il fascismo stringere le proprie spire su un idea, un'ideale, quello dell'ardito, che non nasceva in seno ad un'ideologia, ma che ne diventerà braccio armato. Vedremo ex combattenti formare associazioni, riunirsi politicamente in schieramenti contrapposti, vedremo come dagli arditi, emergerà la figura di Argo Secondari, che si metterà al comando degli Arditi del popolo, una forza a tutti gli effetti militare che si opporrà al fascismo.
Una lotta per la libertà e la democrazia iniziata dal Mathama Gandhi e Jawaharlal Nheru che ne divenne il primo ministro.
Ma come pensare di intrecciare una storia così importante con quella di Sonia Maino, un'italiana nata a Lusiana nel 1946, partita adolescente per Cambridge per imparare l'inglese, affrontare il mondo per la prima volta e ovviamente innamorarsi.
Innamorarsi come solo a diciotto anni è possibile, quando si è pronti a tutto pur di coronare il proprio sogno, quando si è disposti a seguire l'amore fino in capo al mondo.
Nel 1968 Sonia Maino salì su un aereo per Nuova Delhi per raggiungere e poco dopo sposare Rajiv Gandhi, figlio di Indira Gandhi e nipote di Jawaharlar Nheru, uno dei padri della democrazia più grande al mondo.
Non è solo una storia d'amore con tinte fiabesche, è una storia di potere, di guerre, di terrore.
Questa è la storia di un popolo, di una nazione, vista con gli occhi dell'inconsapevolezza ma all'interno della casa che questo potere lo gestisce, sono gli occhi di chi pranza e cena tutti i giorni con chi queste guerre le dichiara, le combatte e le vince, sono gli occhi di una donna che ha visto il sangue della suocera, del cognato e infine del marito bagnare una terra che ormai sentono propria.
Sonia Gandhi, eccola, la giovane italiana che eredita uno dei cognomi più importanti della storia contemporanea mondiale e poco importa se è solo una straniera finita li per amore, schiva, priva di velleità politiche adesso è lei che il popolo vuole, critica, elegge, accusa, adesso lei è il potere.
La musica, le droghe psichedeliche e l’arte si intrecciano in una narrazione storiografica dove è l’essere umano, libero da convenzioni e stereotipi a fare suo un momento storico e sociale senza precedenti.
Il movimento hippie ha rischiato di sovvertire il concetto di status quo sul quale si ponevano le colonne della società americana.
Nasce sui marciapiedi di North Beach, cresce negli appartamenti di Haight Ashbury, e lì, da avanguardia si trasformerà in movimento di massa, arrivando fino a noi, ma perdendosi nella storia.
Il libro vuole lasciare una traccia scritta dell’attività di divulgazione storica – tre incontri seminariali – organizzata tra novembre 2018 e gennaio 2019 dall’Istituto Gramsci Marche di concerto con l’Associazione universitaria Gulliver in occasione
dei cinquant’anni dal ’68. La sfida era e resta quella di riaprire un dialogo intergenerazionale che ci sembra interrotto a causa delle trasformazioni intervenute nei pochi decenni che ci separano da quegli eventi.