Ippolito
Di Euripide e Ettore Romagnoli
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Traduzione di Ettore Romagnoli.
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Anteprima del libro
Ippolito - Euripide
IPPOLITO
Euripide
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli
Prima edizione 2018
© Sinapsi Editore
PERSONAGGI:
Afrodite
Ippolito
Fedra
Teseo
Artemide
Ancella
Nunzio
Seguaci d'Ippolito
Nutrice di Fedra
Coro di donne di Trezène
L'azione si svolge a Trezène, avanti alla reggia. Ai due lati
sorgono due statue, d'Artemide e d'Afrodite.
AFRODITE:
Diva sono io fra gli uomini possente,
e fra i Numi del cielo: io sono Cípride:
chiaro è il mio nome. Della gente ch'abita
fra il ponto Eusíno ed i confini Atlàntici,
e la luce del sol contempla, quanti
hanno rispetto al poter mio, li onoro;
ma quelli atterro che superbo cuore
nutrono contro me: ché sin tra i Numi
è questa passïon, che degli omaggi
s'allegran dei mortali: io mostrerò
presto la verità di tal sentenza.
Però che adesso, il figlio dell'Amàzzone,
Ippolito, che padre ebbe Teseo,
educatore il virtuoso Pítteo,
solo fra quanti hanno soggiorno in questa
Trezènia terra, dice ch'io la pessima
sono fra tutti i Numi, e sdegna il talamo,
e le nozze respinge, e prima reputa
fra gli Dei tutti quanti, e onora Artemide,
suora di Febo, e gèrmine di Giove.
Insieme sempre per la verde selva
con la vergine sta, strugge le fiere,
con pronte cagne, dalla terra, e altero
va della compagnia piú che mortale.
Né di questo io mi cruccio: a me che fa?
Ma delle offese che lanciava Ippolito
contro me stessa, oggi trarrò vendetta.
Il piú da un pezzo è pronto, e di fatica
poco mi resta omai: ché, mentre Ippolito
moveva, dalla magïon di Pítteo
di Pandíone al suol, per contemplare
le cerimonie dei misteri sacri,
Fedra, del padre suo l'insigne sposa,
lo vide, e invaso da cocente amore,
per mio consiglio, n'ebbe il cuore. Ora essa,
pria di venire a questo suol Trezènio,
su la Pallàdia rupe onde si scopre
questa contrada, eresse un tempio a Cípride,
per questo amore di lontana terra;
e quindi innanzi, io volli che d'Ippolito
avesse il nome questo tempio. Or, quando
Teseo partí dalla Cecròpia terra,
il contagio a espïar del sangue sparso
dei Pallantídi, a questa terra venne
con la sua sposa; ché patí fuggiasco
vivere un anno sopra estranea terra.
E qui geme la misera, e, colpita
dalle frecce d'amor, muta si strugge;
e niun dei servi il morbo suo conosce.
Né tale amore avrà sol questa fine:
a Teseo svelerò questo mistero,
ché divenga palese; e con le sue
maledizioni, darà morte il padre
al giovinetto mio nemico: tale
privilegio a Teseo diede Posídone,
che per tre volte a vuoto non cadessero
le sue preghiere. E Fedra, ancor che grande
sia la sua fama, pur morrà: ché tanto
non m'importa il suo mal, ch'io, per tenerlo
lungi da lei, conceda ai miei nemici
la giusta pena non pagarmi, ond'io
sia soddisfatta. Ma già vedo Ippolito
giungere, il figlio di Teseo, che torna
dalle fatiche della caccia. E lungi
da questi luoghi andrò: gran turba muove
con lui di servi, e ad alte grida Artemide
con gl'inni esalta. Egli non sa che schiuse
già son per lui le porte dell'Averno,
e che questa è per lui l'ultima luce.
(Cípride sparisce)
(Entra Ippolito, seguito da una schiera di servi)
Ippolito:
Seguitemi, seguitemi,
di Giove cantando la figlia,
Artemide, nostra patrona.
CORO DI SERVI:
O santa, santa, veneratissimo
di Giove gèrmine,
salute, Artemide, salute, o figlia
di Giove e di Latona,
bellissima fra quante
vergini per l'intèrmine
cielo, soggiornano nell'aule sante
di Zeus, rutile d'oro.
A te salute, Artemide,
de le fanciulle olimpie
bellissimo decoro.
Ippolito:
Questa corona da un intatto prato,
o Signora, ti reco, e l'intrecciai
dove pastor