Amore malato
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Cosa lega il destino delle due bambine? Cosa c’è dietro alla loro scomparsa?
Dopo un lungo lavoro investigativo, compiuto fra mille difficoltà, si scoprirà che anche il destino delle madri delle due bambine è indiscutibilmente legato alla vicenda e ciò complicherà l’intera indagine.
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Anteprima del libro
Amore malato - Flavia Maria Macca
Tavola dei Contenuti (TOC)
Titolo pagina
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
EPILOGO
RINGRAZIAMENTI
Gli altri romanzi dell’Autrice
Un Giallo di:
Flavia Maria Macca
AMORE
MALATO
ISBN versione digitale
978-88-6660-376-4
AMORE MALATO
Autore: Flavia Maria Macca
© CIESSE Edizioni
www.ciesseedizioni.it
info@ciesseedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
I Edizione stampata nel mese di gennaio 2021
Impostazione grafica e progetto copertina: © CIESSE Edizioni
Immagine di copertina: Licenza Creative Commons CC0
(libero uso commerciale, attribuzione non richiesta)
Collana: Black & Yellow
Editing a cura di: Renato Costa
Editore e Direttore Editoriale: Carlo Santi
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, pertanto nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza che l'Editore abbia prestato preventivamente il consenso.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
A mamma, con tutti gli abbracci e i baci
che ultimamente non le ho potuto dare.
PROLOGO
Parigi, 30 agosto 2013
Josette Lemoine giocava tranquilla, seduta all’ombra di un grande albero nel giardino della villetta dove abitava con mamma Danielle e nonna Rose. I riccioli biondi svolazzavano intorno al visino dolce, mossi da una leggera brezza. Era emozionata, quel giorno lo aspettava da tempo. Lui sarebbe venuto a prenderla, come promesso, proprio quel mercoledì mattina. Era eccitata per l’avventura che l’aspettava, soprattutto perché era un segreto, il loro segreto. Lui si era raccomandato tanto di non parlarne con nessuno. Né con la mamma, né con la nonna. Avere un segreto, la faceva sentire molto più grande dei suoi sette anni. Sarebbe stata un’avventura fantastica, l’avrebbe raccontata alle compagne a settembre, al rientro a scuola dopo le vacanze estive e tutte l’avrebbero invidiata. Non temeva che sua madre si arrabbiasse, lui le aveva assicurato che non sarebbe successo e gli credeva. E poi per niente al mondo avrebbe rinunciato a quella giornata, mamma avrebbe capito.
«Josette, tesoro, tutto bene?», la voce della nonna affacciata alla porta della villetta la riportò alla realtà.
«Sì, nonnina, sto giocando con Brenda».
Brenda era la sua bambola preferita, una ballerina con un delizioso tutù rosa e le scarpette da ballo. L’amava tantissimo, da grande anche lei sarebbe diventata una ballerina, la più brava. Studiava danza classica da tre anni e la maestra diceva che era molto dotata. Un giorno tutti l’avrebbero applaudita e sarebbero impazziti per lei, come succede alle grandi star.
«Sono le undici, dovresti rientrare e fare i compiti. Sei molto indietro con gli esercizi di matematica e le vacanze finiranno tra due settimane!»
«Più tardi, nonna, lasciami giocare ancora un po’ qui fuori. Ti prometto che oggi pomeriggio farò il doppio degli esercizi, sto così bene in giardino!»
Aveva utilizzato quel tono dolce e supplichevole a cui la nonna era incapace di resistere. Alla fine gliele dava tutte vinte, la mamma lo diceva sempre.
«Va bene, però ricordati che le promesse vanno sempre mantenute. Vado a preparare il pranzo, ti chiamerò quando sarà in tavola. Va bene la bistecca con le patate fritte?»
«Va benissimo, nonna!», rispose soddisfatta.
Mentire alla nonna era stato più facile del previsto. Prese una piccola spazzola e cominciò a pettinare i lunghi e nerissimi capelli di Brenda. Intanto le parlava, raccontandole quello che avrebbe fatto quel giorno. Un fischio acuto, che aveva imparato a riconoscere, la fece balzare in piedi. Era arrivato! Era talmente emozionata da lasciare cadere Brenda a terra. Si avviò correndo verso il cancello, lo aprì mostrando il più smagliante dei sorrisi, diede la mano all’uomo che gliela tendeva e si allontanò con lui.
CAPITOLO UNO
Parigi, febbraio 2014
Claude allungò una mano verso il comodino. A tastoni trovò il bicchiere e sorseggiò lo champagne. Denise si era appena addormentata, lui non riusciva a prendere sonno. Avevano trascorso un’altra splendida giornata di sole a Cuba. Denise era ancora in convalescenza, dopo la brutta esperienza vissuta in autunno per colpa di David Leclerc, la maschera di Belleville
. Le ferite fisiche erano guarite, per quelle psicologiche ci sarebbe voluto ancora molto tempo e pazienza. Era seguita da una psicoterapeuta molto in gamba, la quale però le aveva preannunciato che sarebbe stato un percorso piuttosto lungo. Dieci giorni di completo relax a Cuba, accanto all’uomo che amava, facevano parte della terapia. Spesso la notte Denise si svegliava urlando, in preda a incubi ricorrenti. Bastava che qualcuno la sfiorasse mentre era distratta, per farla sobbalzare e urlare terrorizzata.
Claude cercava di darle tutto l’affetto e l’amore di cui aveva bisogno. La viziava, la coccolava, la teneva stretta a sé per ore, cercando di ridarle quella voglia di vivere che a volte sembrava aver perso. Era raro vederla sorridere, era spesso triste, lo sguardo perso nel vuoto, immersa in chissà quali orribili ricordi. Dopo quanto era successo, non avevano più fatto l’amore. Denise non se la sentiva e lui rispettava la sua volontà, accontentandosi della sua vicinanza e del suo affetto. David Leclerc era rinchiuso in una clinica psichiatrica di massima sicurezza, questa volta per sempre. Non avrebbe più fatto del male a nessuno, questo gli dava un certo conforto. Ancora tre giorni e avrebbero fatto ritorno a Parigi.
Il commissariato gli sembrava un lontano ricordo. Era bastata una settimana in quel paradiso per dimenticarsi della dura realtà che lo attendeva al ritorno. Aveva mantenuto i propositi di ridurre l’orario di lavoro, così aveva più tempo da dedicare a Denise e ai suoi figli, Steve e Jean Luc.
Denise si agitò nel sonno. Claude posò il bicchiere, in modo da avere le mani libere per poterla abbracciare nel caso si fosse svegliata in preda a uno dei soliti incubi. Rimase immobile e in silenzio per non disturbare il riposo della donna che amava con tutto il cuore. Dopo una manciata di secondi, sentì il respiro di Denise tornare lento e regolare. Cominciò a pensare al lavoro e a quanto dolore avesse portato nella sua vita. Le esperienze vissute negli ultimi anni lo avevano profondamente segnato, nel fisico e nell’animo. All’età di cinquantasette anni, si sentiva stanco e demotivato. Dopo una vita trascorsa a dare la caccia ai criminali più spietati, agli assassini più feroci, sentiva che era arrivato il momento di pensare al futuro. Lo immaginava lontano da Parigi, in un posto esotico e affascinante come quello in cui si trovava in quel momento. Aveva voglia di mare, di sole e di riposo. Avrebbe venduto la casa e con il ricavato, unito alla buonuscita, avrebbe acquistato una casa in una località marina e avrebbe vissuto lì la sua vecchiaia insieme a Denise. Se fosse riuscito a ricucire il rapporto con i figli, sarebbero andati a trovarlo di tanto in tanto, doveva pensare a una casa abbastanza spaziosa per poterli ospitare. Volava con la fantasia, immaginando un futuro roseo e sereno. L’età della pensione era ancora lontana, ma pensare al domani lo metteva di buonumore.
Un urlo lacerò il silenzio. Denise si era svegliata. Si voltò verso di lei, pronto ad accoglierla tra le sue braccia.
Elly guardava il soffitto. Era sdraiata sul letto, erano le quattordici e si annoiava a morte. Henry era al commissariato, lei passava le giornate nel letto o sul divano. Nonostante fossero passati tre mesi dalla brutta esperienza vissuta e si stesse riprendendo, era ancora ben lontana dall’essere in forma. Le fratture alle costole si stavano rinsaldando, la ferita alla spalla era guarita. Quello che le dava maggiori problemi erano le ferite interne provocate dalla coltellata che David Leclerc le aveva inferto al ventre. Gli organi interni erano stati seriamente danneggiati e nonostante il chirurgo l’avesse completamente rattoppata
, il dolore era ancora piuttosto intenso e frequente. Inoltre stava cercando di superare lo choc post-traumatico per quanto accaduto. Era seguita da uno psicologo molto bravo, il dottor Lucien Beltroit, che trascorreva insieme a lei un paio d’ore tutti i giorni. Ma quello che la stava aiutando maggiormente a superare un momento così difficile, era l’amore di Henry, unito all’affetto dei colleghi di lavoro, che non mancavano mai di farle visita o una telefonata. Persino Luc, vittima dell’aggressione di Leclerc in occasione del suo rapimento, la andava a trovare quasi ogni giorno. Era completamente guarito e trascorreva molto tempo con lei. Poi c’era Roxane. Da quando avevano condiviso un’esperienza così forte, erano diventate inseparabili. A Elly piaceva stare con lei e con la figlioletta Cristine e quel pomeriggio si sarebbero incontrate verso alle sedici. Roxane stava bene, la caviglia era guarita quasi completamente. Il ricordo del calvario vissuto insieme a Roxane e a Denise non l’abbandonava mai. Ci pensava in continuazione, anche quando era in compagnia, quando chiacchierava allegramente, quando guardava un film o leggeva un libro. Il ricordo di quelle ore era vivo e presente in ogni giornata, probabilmente lo sarebbe stato per sempre. Era come se quell’uomo le avesse impresso un marchio indelebile che l’avrebbe accompagnata per il resto della vita. Anche il corpo non era più come un tempo. Le cicatrici erano numerose, alcune molto evidenti, e questo le provocava dei complessi difficili da sopportare. Henry le diceva sempre che non l’avrebbe certo amata meno a causa dei segni che aveva sul corpo, che il vero amore va ben oltre l’estetica, e sapeva quanto era sincero. Era lei che non accettava un corpo così devastato. Di questo aveva discusso a lungo con il dottor Beltroit, con la speranza di riuscire a superare anche quel difficile ostacolo.
Il lavoro, nonostante tutto, le mancava molto. Si chiedeva spesso se sarebbe stata ancora in grado di svolgerlo al meglio, ma era certa che avrebbe continuato a prestare la sua opera al commissariato fino all’età della pensione, con lo stesso impegno e la stessa dedizione di sempre. Non avrebbe permesso a David Leclerc di toglierle anche questo, dopo averle tolto un figlio, la bellezza e la serenità. La sveglia sul comodino cominciò a suonare, per ricordarle che era ora di assumere i farmaci. Con un sospiro, allungò una mano verso le scatole dei medicinali e la bottiglia dell’acqua. Per il momento non poteva far altro che curarsi, al lavoro avrebbe pensato a tempo debito.
Cristine si era svegliata da poco, Roxane l’aveva vestita ed erano pronte per andare a trovare Elly, come facevano quasi ogni pomeriggio. Roxane, rispetto a Elly e Denise, aveva superato piuttosto bene lo choc della prigionia e del trattamento subito da Leclerc. La disavventura vissuta l’aveva avvicinata al mondo delle forze dell’ordine, l’idea di entrare in polizia non era stata frutto del momento, era sempre più determinata a far parte della squadra del commissariato di Belleville, accanto ad Alex, Henry, Elly e Isabelle. Si era informata su come fare a coronare il suo sogno, aveva compilato la domanda per l’assunzione come agente semplice, il concorso si sarebbe tenuto il mese successivo, aveva tutti i requisiti necessari per parteciparvi e Claude avrebbe fatto in modo di farla assegnare al suo distretto. Alex all’inizio era stato contrario e avrebbe voluto lasciare lui stesso la polizia.
Quello che era successo con David Leclerc gli aveva fatto desiderare di cambiare lavoro e stile di vita, ma la determinazione di Roxane e le sue motivazioni l’avevano convinto ad andare avanti appoggiandola nel suo progetto. Roxane avrebbe lavorato part-time e soltanto in ufficio, questo era l’unico compromesso che Alex le aveva imposto e lei aveva accettato di buon grado. Non si sentiva tagliata per una carriera da agente d’azione
, il suo desiderio era quello di condurre le indagini dal commissariato, era certa di essere in grado di farlo e con grande passione. Aveva grande stima di chi rischiava ogni giorno la vita per rendere il mondo più sicuro e pulito. Ne ammirava il coraggio, la passione e la dedizione. Soltanto adesso riusciva a capire a fondo l’amore che Alex nutriva da sempre per il suo lavoro. Nonostante le fatiche, l’impegno e il pericolo che comportava, era comunque un mestiere nobile e utile alla società.
Cristine era pronta. Chiamò un taxi e uscì di casa, quel pomeriggio avrebbe parlato a Elly del suo progetto, non aveva ancora avuto la possibilità di farlo. L’amica avrebbe cercato di dissuaderla, ne era certa, ma non avrebbe permesso a nessuno di infrangere il suo sogno.
Alle sedici, Alex ed Henry erano in ufficio e si apprestavano a concludere una tranquilla, quasi noiosa giornata di lavoro. Claude era ancora a Cuba con Denise, Elly era in convalescenza e loro, per espressa volontà di Claude, erano responsabili del commissariato fino al suo ritorno e potevano contare sull’aiuto di Isabelle, di Simon, di Luc e di Armand.
«Come sta Elly?», chiese Alex a Henry sorseggiando l’ennesimo caffè della giornata.
«Sta come al solito, Al. Fisicamente, considerando quello che ha passato, sta meglio. È il suo stato psicologico a preoccuparmi. Il dottor Beltroit la sta aiutando molto, ma sarà un lavoro lungo e difficile. E di Roxane, invece, che mi dici? Sempre decisa a entrare nella squadra?»
«Sì, è irremovibile! Ho cercato di dissuaderla in tutti i modi, ma non c’è stato nulla da fare. Conserverò la speranza che ci ripensi fino al giorno in cui si svolgeranno le prove scritte del concorso. Non che voglia infrangere il suo sogno, ma so bene cosa vuol dire lavorare in questo posto: bisogna costruirsi una corazza per sopportare tutto il male con il quale si viene a contatto ogni giorno. E a essere sincero, non so se sia in grado di sopportarlo. È quasi un gioco per lei diventare agente di polizia e questo mi preoccupa moltissimo».
«Io non credo sia così. Roxane è una donna molto intelligente, generosa e altruista. Penso creda veramente in quello che sta facendo. Credo che il suo passato l’abbia resa forte, tieni presente che è stato molto più facile per lei superare lo choc rispetto a Elly e Denise. È un po’ come se fosse vaccinata contro il dolore e la violenza. È una cosa tremenda, ma sono convinto che sia così. E poi considera che rimarrebbe qui al commissariato, al sicuro, non correrebbe alcun pericolo».
«Forse hai ragione tu. In fondo i pericoli più grossi che ha dovuto affrontare nella vita sono sempre scaturiti al di fuori di questo ambiente, dove avrebbe dovuto essere al sicuro. Eppure, non riesco ad abituarmi al pensiero di vederla indossare una divisa».
«Io penso invece che le starebbe molto bene! Non dirmi che nei tuoi sogni erotici non l’hai mai immaginata con una divisa da poliziotta!»
Alex non poté trattenere una risata, suo malgrado. Henry riusciva sempre a sdrammatizzare qualsiasi situazione, anche la più tragica.
In quel momento bussarono alla porta.
«Avanti!», urlò Henry.
L’agente Sylvie Mittard entrò sventolando un fax.
«C’è qualche novità, Sylvie?»
«Sì, Henry, è appena arrivato questo dalla prefettura».
Henry prese il foglio e lo lesse attentamente.
«Problemi?», chiese Alex.
«Direi proprio di sì. Una denuncia di scomparsa di una bambina di cinque anni. Era con la madre al Parco di Belleville, l’ha persa di vista e non è più riuscita a trovarla. Si chiama Sarah Bonnaire e abita in Rue Ramponeau, a meno di un chilometro dall’ingresso del parco. La prefettura ha già inviato una squadra di agenti per le prime ricerche e ci ha incaricato di occuparci del caso».
«D’accordo, la tregua è finita, si ricomincia a lavorare sul serio. Andiamo sul posto con Armand e Simon», disse Alex.
«Simon non c’è oggi, è andato ad accompagnare il figlio a una visita medica, ricordi?», sottolineò Sylvie.
«Ah, certo, è vero, l’avevo scordato!», esclamò Alex colpendosi la fronte con una mano, «d’accordo, andremo con Armand. Isabelle si occuperà di tenere a bada il commissariato in nostra assenza. Henry, andiamo!»
Armand raggiunse i colleghi, presero un’auto e si avviarono verso il luogo della scomparsa. Il periodo di tregua era ufficialmente terminato.
Patrick aveva portato a termine la missione. Era stato più facile del previsto. A volte era sconcertante quanto fosse semplice per lui svolgere un lavoro difficile e pericoloso. Ciò che lo aiutava maggiormente era la mancanza di sensi di colpa, non avrebbe potuto fare quel mestiere se li avesse provati. Aveva avuto soltanto un attimo d’incertezza di fronte agli occhi spaventati della bambina, ma in pochi secondi aveva riacquistato la freddezza di sempre. Si incamminò verso la villa del suo attuale datore di lavoro.
I cinquantamila euro che avrebbe incassato gli sarebbero serviti per coprire interamente i suoi debiti. Sarebbe rimasto anche qualcosa per un viaggio, aveva già in mente un paio di destinazioni e anche la donna giusta da portare con sé. Per il mese successivo aveva già un altro incarico, avrebbe dovuto eliminare un pezzo grosso dell’industria farmaceutica francese. Doveva ancora studiare gli ultimi dettagli, ma il tempo non gli mancava, ora gli premeva soltanto incassare i soldi che si era guadagnato. Come d’accordo, si presentò alla guardia che controllava la villa dove risiedeva il suo principale e pronunciò le parole concordate. La guardia lo fece passare, senza fare domande. Quindi, suonò per quattro volte il campanello del cancello, attorniato da filo spinato. Attese un paio di minuti, poi un uomo di circa quarant’anni, alto e robusto, venne ad aprirgli. Probabilmente era una guardia del corpo, ma a lui non interessava, l’unica cosa che voleva era chiudere il più in fretta possibile quella faccenda. L’energumeno lo scortò fino all’interno della villa, gli chiese di attendere e sparì voltando a sinistra del corridoio. Si guardò intorno. Tutto in quella villa parlava di lusso e di denaro. I quadri appesi alle pareti, i soprammobili, l’arredamento, i lampadari, erano tutti pezzi di gran pregio. Non era un esperto, ma neanche uno stupido e capiva perfettamente il valore di quello che lo circondava. Dopo circa dieci minuti, il suo cliente si presentò personalmente.
«Buongiorno, capo», lo salutò.
«Ciao, Patrick, ho appena saputo che hai portato brillantemente a termine la tua missione e che il pacco
è giunto a destinazione».
«Sì, capo, è tutto a posto. Non è stato facile, operare in un luogo pubblico è sempre molto rischioso, ma non risaliranno mai a me, e nemmeno a lei».
«Non ne dubito, non per niente ti pago profumatamente, so che sei il migliore nel tuo campo e io amo circondarmi sempre del meglio, come vedi», disse indicando con un ampio gesto della mano il lusso sfrenato della villa, «seguimi nel mio studio, ho bisogno di parlarti».
Patrick annuì e lo seguì attraverso un lungo corridoio. Entrarono in una stanza enorme, arredata con mobili di grande valore, anche qui era evidente la ricchezza che il suo capo ostentava in ogni modo.
«Siediti, vuoi qualcosa da bere? Un cognac?»
«Un cognac andrà benissimo, grazie», rispose Patrick.
L’uomo si avvicinò al mobile bar, prese due bicchieri, versò il liquore, aggiunse due cubetti di ghiaccio e ne porse uno a Patrick. Poi prese una busta e gliela consegnò.
«Qui ci sono i cinquantamila euro pattuiti per il lavoro che hai svolto per me questo pomeriggio. Il nostro rapporto di collaborazione sarebbe dovuto terminare qui, ma ci ho ripensato. Ho un altro lavoro da affidarti».
«Come le avevo detto in precedenza, ho già un incarico per il prossimo mese, devo ancora definire i dettagli e il tempo stringe. Mi vedo costretto a rifiutare l’offerta».
«Non essere precipitoso, lasciami finire. Quanto guadagneresti da quel lavoro?»
«Diecimila euro, perché?»
«Se ti pagano quella cifra, non deve essere un lavoro molto complicato. Manderò un mio uomo di fiducia, non lo saprà nessuno. A cose fatte ti presenterai a chi ti ha dato l’incarico e incasserai quanto ti spetta. Per il lavoro che ho in mente, ho bisogno della tua esperienza e del tuo sangue freddo. Ho degli ottimi ragazzi con me, ma voglio il meglio, e tu lo sei. Ci saranno da guadagnare molti soldi, alcune centinaia di migliaia di euro. Pensaci bene. So che hai il vizio del gioco, i soldi che ti ho appena consegnato ti serviranno giusto a coprire i debiti, poi avrai bisogno di altro denaro, tanto denaro…»
Patrick passò la lingua sulle labbra. Qualsiasi cosa gli avesse proposto, sapeva già che avrebbe accettato. Di fronte al denaro, non sapeva proprio dire di no.
CAPITOLO DUE
«Roxane! Che piacere vederti! Entra, accomodati. Ma chi c’è qui? Cristine, tesoro, sei ogni giorno più bella! Non vedo l’ora di guarire per poterti tenere in braccio!», disse Elly baciando la bambina sulle guance.
A Cristine, Elly piaceva e stava volentieri in sua compagnia. Passavano i pomeriggi sedute sul divano, sia Elly che Roxane non erano ancora guarite del tutto. Cristine stava seduta in braccio alla madre, mentre Elly la accarezzava e le parlava dolcemente. Chiacchierarono per un po’ del più e del meno, finché Roxane mise Cristine seduta sul tappeto, le diede una busta piena di giocattoli e decise che era giunto il momento di parlare all’amica dei suoi progetti.
«C’è una cosa della quale vorrei parlarti, Elly. È una faccenda della massima importanza per me e ci terrei tanto ad avere il tuo parere».
«Ma certo, dimmi tutto».
«Non sto a fare troppi giri di parole… Voglio entrare in polizia», disse tutto d’un fiato.
Elly la guardò come avesse di fronte un alieno. L’espressione era a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.
«Tu? Entrare in polizia? E perché mai? Voglio dire, come ti è venuto in mente? Non ti è bastato avere vissuto in prima persona cosa vuol dire essere un poliziotto? I rischi che si corrono? Le brutte storie che, vuoi o non vuoi, diventano parte della tua vita? E poi, non pensi a Cristine?»
«È proprio l’esperienza vissuta che mi ha fatto prendere questa decisione. Pensaci un attimo, se non ci fossero persone come te, Alex ed Henry, mostri come Leclerc agirebbero indisturbati. È troppo comodo pensare tanto c’è chi lo fa, perché dovrei farlo io?
Voglio occuparmi personalmente della difesa dei cittadini di Parigi, voglio rendermi utile, capisci? A Cristine ho pensato, eccome, non ho intenzione di lasciarla crescere con persone estranee. Avrò tutto il tempo per prendermi cura di lei. La mia intenzione è quella di lavorare in ufficio, di portare avanti le indagini dal commissariato, un po’ quello che sta facendo Isabelle. Ho considerato anche la possibilità di lavorare part-time, soltanto mezza giornata, il resto del tempo lo dedicherò alla bambina e ad Alex. E comunque dovrò superare un concorso, ho già parlato con Claude. Se ci riuscirò, farà in modo che io venga destinata al suo commissariato e mi assegnerà compiti d’ufficio».
«Vuoi dire che Claude è al corrente di quello che vuoi fare e ti appoggia? E anche Alex ed Henry? Non me ne hanno mai parlato!», esclamò Elly stupita.
«Sono stata io a chiedere loro di non farlo, volevo parlartene di persona e lo faccio soltanto ora perché la mia domanda di ammissione al concorso è stata ufficialmente accettata ieri. All’inizio hanno reagito come te, hanno cercato di dissuadermi in tutti i modi. Poi, vista la mia determinazione, hanno dovuto semplicemente prendere atto della mia decisione. E dovresti farlo anche tu, Elly».
«Rox, rispetto il tuo pensiero e capisco i tuoi motivi, ma non hai idea di quello che vuol dire lavorare in un commissariato. Adesso può sembrarti emozionante, eccitante e persino eroico, la realtà è ben diversa! A volte è difficile non farsi coinvolgere emotivamente dai casi che ti capitano tra le mani. Storie tristi, terribili, a volte folli! Spesso sono coinvolte donne indifese, bambini, disabili! Violenze sessuali, abusi su minori, pedofilia… Credi davvero che sia facile uscire dal portone del commissariato e lasciarsi tutto alle spalle? Sai cosa vuol dire tornare a casa la sera e pensare all’orrore che c’è là fuori? Vuoi davvero che tutto questo faccia parte della tua vita?»
«Ci ho pensato bene, Elly, ma non dimenticare che sono sposata con un poliziotto e quindi tutto quello che hai elencato fa già parte della mia vita. Non sono un’ingenua, né una stupida, so benissimo che sarà difficile e ci vorrà tempo per abituarmi, ma se riuscirò anche soltanto una volta a proteggere o a dare giustizia a una vittima di abusi di qualsiasi genere, allora la mia vita avrà un senso. Lo desidero con tutto il cuore, sento che è la mia strada ed è giusto iniziare a percorrerla».
Elly non aveva più argomenti. Si rendeva conto della determinazione dell’amica e sapeva che qualsiasi cosa avesse aggiunto, non sarebbe bastata a farle cambiare idea.
«Non so che dirti, Rox. La tua decisione non mi entusiasma, non posso negarlo. Ma è la tua vita ed è giusto che decida tu come viverla, seguendo il tuo cuore. Sarò felice di lavorare con te, sei una donna coraggiosa e molto intelligente. Credo che le violenze subite nella vita ti abbiano resa forte e generosa verso chi soffre e questo farà di te un’ottima poliziotta. Se ti serve una mano per il concorso, sono a tua disposizione».
«Grazie, Elly! Sapevo che alla fine avresti capito!»
Roxane abbracciò l’amica. Dopo aver parlato anche con lei si sentiva più leggera, finalmente aveva condiviso con tutte le persone che amava il suo entusiasmo e questo accresceva ancor più la sua determinazione. Doveva concentrarsi nello studio, le prove del concorso non erano semplici da superare, avrebbe dovuto impegnarsi a fondo e l’avrebbe fatto. Nessuno le avrebbe impedito di coronare il suo sogno.
Giunti al Parco di Belleville, Henry, Alex e Armand parcheggiarono l’auto e facendosi largo tra la folla di curiosi, si avvicinarono a un gruppo di agenti alle prese con le prime ricerche della bambina scomparsa. Una donna, probabilmente la madre della bimba, piangeva sorretta da un agente sfogando tutto il suo dolore.
Armand si occupò di tenere a bada i curiosi, mentre Henry e Alex si avvicinarono alla donna per cercare di capire cosa fosse successo. Quando la raggiunsero, si accorsero che si trattava di una donna giovanissima, poco più di una ragazzina. Aveva due grandi occhi azzurri, un corpo fanciullesco e un’espressione di pura disperazione.
«Lei è la madre di Sarah?», chiese Alex.
«Sì, sono io. Voi chi siete?», chiese la donna in tono apprensivo.
«Ispettore Alex Renard e Ispettore Henry Rupert, commissariato di Belleville», spiegò Alex.
«Vi prego, trovate Sarah, trovate la mia bambina!»
«Siamo qui per questo, signora…?»
«Corinne Bonnaire», rispose lei porgendo la mano prima ad Alex e poi a Henry.
«Sarah porta il suo cognome?», chiese incuriosito Henry.
«Sì, ispettore, sono una ragazza madre, Sarah non ha un padre. O meglio, non l’ha mai conosciuto. E nemmeno io, se è per questo».
Lo sguardo attonito dei due ispettori valse più di mille parole.
«È una lunga storia, non mi sembra questo il momento giusto per parlare della mia vita privata. Cercate Sarah, vi prego, è