Pallottino Elettronica
Pallottino Elettronica
Pallottino Elettronica
DI
ELETTRONICA
A.A. 2004-2005
DIPARTIMENTO DI FISICA
UNIVERSITA’ LA SAPIENZA
ROMA
APPUNTI DI ELETTRONICA
INDICE
INTRODUZIONE ALL'ELETTRONICA
APPENDICE C L'AFFIDABILITA'
1. Cenni sull’affidabilità
2. I criteri per ottenere elevata affidabilità
S.M. Sze Semiconductor Devices, Physics and Technology John Wiley, 1985
per il materiale sui dispositivi
P.Horowitz, W.Hill The Art of Electronics Cambridge University Press, 2a edizione, 1989
1
Oggi il termine elettrotecnica è usato spesso con il significato di teoria dei circuiti elettrici.
2
Ricordiamo peraltro che le prime scoperte, e le prime applicazioni, dei dispositivi a stato solido hanno
preceduto quelle dell'elettronica dei dispositivi a vuoto. La scoperta, per esempio, dell'effetto Hall era avvenuta
già nel 1880. I primi "diodi" (i raddrizzatori a baffo di gatto, basati sulle proprietà di un contatto metallo-
semiconduttore) erano stati costruiti da F. Braun nel 1874 e furono usati largamente ai primordi della radio. Ma
a quel tempo non si disponeva ancora delle basi teoriche della fisica dei solidi (in particolare della meccanica
quantistica) e questo impedì ulteriori progressi. Tuttavia, vari tipi di raddrizzatori a stato solido (selenio, ossido
di rame) furono sviluppati su basi empiriche e usati comunemente fino a qualche decennio addietro.
Questa differenza fondamentale rispetto al passato per ciò che s’intende per
elettronica è segnata anche da una tendenza continua di questa disciplina verso la
"dematerializzazione", come avviene del resto anche in altri settori. Sebbene la parte fisica e
materiale dell'elettronica (l'hardware) abbia sempre grandissima importanza, con la continua
introduzione di nuove tecnologie e la loro diffusione in ogni ambito della società unama,
vogliamo sottolineare l'evoluzione che si è svolta nei decenni trascorsi, conducendo
l'elettronica, inizialmente intesa soltanto come scienza e tecnica dei dispositivi, ad estendere i
suoi contenuti in un quadro più generale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti formali
e metodologici. Questi hanno avuto origine, sopratutto, dall'esigenza importantissima di
modellizzare in modo significativo, e al stesso tempo efficiente, gli oggetti fisici (dispositivi,
circuiti e sistemi) di interesse per l'elettronica, di analizzarne il comportamento e di
progettarli efficacemente, in relazione alle loro applicazioni. E sono proprio questi aspetti
formali e metodologici dell’elettronica, in buona misura indipendenti dalle tecnologie e dai
loro sviluppi nel tempo, che vengono privilegiati nella formazione universitaria, mirata a
fornire all’allievo le basi più durevoli.
Esemplare, a questo riguardo, è la vicenda della "teoria dei circuiti", che tratta dei
metodi di rappresentazione, di analisi e di sintesi dei circuiti elettrici. Questa teoria avrebbe
potuto svilupparsi, attraverso opportune specializzazioni ed approssimazioni, a partire dal
Bisogna dire che questo modo di procedere ha condotto a risultati assai fecondi:
l'eleganza e la semplicità del quadro teorico così costruito e delle metodologie che sono state
sviluppate a tale proposito, è venuto a costituire, addirittura, un paradigma per la trattazione
di argomenti anche assai lontani da quello dell'elettricità. La teoria dei circuiti ha trovato
infatti molteplici applicazioni, che si estendono, per esempio, dallo studio di sistemi biologici
all'analisi del comportamento dinamico di strutture meccaniche e di sistemi termici.
Sotto questo punto di vista, che si ricollega alla tendenza verso la dematerializzazione
accennata prima, i dispositivi, non più necessariamente soltanto di tipo elettrico, vengono ad
assumere solo il ruolo di mezzi fisici per la realizzazione di opportune funzioni di
elaborazione. Già oggi, in elettronica, non mancano esempi d'impiego di dispositivi non
elettrici (risonatori meccanici di vario tipo, dispositivi a onde acustiche superficiali,
dispositivi "fotonici" per sistemi di trasmissione basati su impulsi di luce che viaggiano in
fibre ottiche). E del resto la nuova tecnologia fotonica ha già soppiantato quella elettronica in
senso stretto in parecchi settori delle telecomunicazioni. Ma anche a questa nuova tecnologia
è l'elettronica a fornire tutto il necessario quadro metodologico, analitico e progettuale, come
infatti si verifica a proposito dei sistemi di trasmissione di tipo ottico.
Notiamo infine, per concludere, che l'elettronica gioca un ruolo essenziale nella
formazione culturale di un fisico, anche a prescindere dai vari sbocchi professionali diversi da
quelli tradizionali della ricerca scientifica e industriale, sotto due distinti punti di vista:
1
Per trasduttore s'intende un dispositivo che trasferisce un segnale da una grandezza di supporto a un'altra, di
differente natura fisica; per esempio da una grandezza non elettrica a una elettrica e in tal caso chiamato anche
sensore.
I SEGNALI
Come mostrano gli esempi fatti prima, la funzione essenziale dei sistemi, in
elettronica, è quella di elaborare segnali, intesi come grandezze fisiche variabili nel tempo che
costituiscono generalmente il supporto di informazioni. In quanto segue esamineremo prima
alcune caratteristiche generali dei segnali e poi alcune famiglie di segnali che si usano più di
frequente.
temporale, cioè il campionamento, può, invece, essere resa reversibile scegliendo il passo di
campionamento opportunamente piccolo rispetto alla velocità di variazione del segnale. Il
teorema del campionamento stabilisce, più precisamente, che un segnale x(t) a banda limitata,
cioè il cui contenuto spettrale svanisce al di sopra di una data frequenza fM, può essere
ricostruito esattamente quando si conoscano i suoi campioni, se questi sono equispaziati con
passo:
(1) Tc ≤ 1/2fM
cioè se la frequenza di campionamento 1/Tc è maggiore o uguale della frequenza 2fM, detta
frequenza di Nyquist. La formula di ricostruzione è la seguente:
sin(ω M (t − kTc ))
(2) x(t ) = ∑ x(kTc )
k ω M (t − kTc )
Le tensioni, le correnti e tutte le altre grandezze fisiche variabili sono segnali analogici, in quanto
funzioni reali della variabile reale tempo. Notiamo che di solito anche le grandezze che costituiscono il supporto
dei segnali digitali sono, in realtà analogiche anch'esse (per convincersi di questo, basta osservare
all'oscilloscopio l'andamento temporale della forma d'onda di un segnale in un circuito logico). Si parla, però, di
segnali campionati se si considera significativo il valore della grandezza fisica di supporto (che può essere una
sequenza di impulsi più o meno stretti) solo a determinati valori discreti del tempo; si parla poi di segnali digitali
solo se, oltre a restringere l'attenzione a determinati istanti (come prima), si considerano significative solo
determinate fasce di valori della grandezza fisica (per esempio, all'uscita di un circuito logico si considerano
usualmente "0" tutti i valori fra 0 e 0,6 volt, "1" tutti i valori fra 3, 2 e 5 volt; il significato di queste due fasce di
valori viene poi riconosciuto correttamente quando il segnale viene applicato all'ingresso di un altro circuito
logico appartenente alla stessa "famiglia" del primo).
4. Funzioni sinusoidali
La famiglia delle funzioni sinusoidali presenta particolare interesse in elettronica, sia
perchè il teorema di Fourier permette di scomporre in funzioni sinusoidali elementari tutte le
funzioni periodiche di interesse pratico (e l'integrale di Fourier compie analoga operazione su
un'ampia classe di funzioni aperiodiche) sia per altri motivi che vedremo. Rappresentiamo le
funzioni sinusoidali, cioè la classe dei seni e dei coseni, nella forma generale:
1 T 2 A
(4) xeff =
T ∫0
x (t ) dt =
2
Esercizio. Determinare il contenuto in sinusoidi elementari del segnale x(t) = (cosω1t + cosω2t)3.
Quelle considerate sinora sono funzioni sinusoidali armoniche pure, che si estendono
sull'asse dei tempi da -∞ a +∞. Oltre ad esse si considerano spesso sinusoidi che si estendono
solo sulla parte positiva dell'asse dei tempi e anche "pacchetti d'onda", cioè sinusoidi che
assumono valori diversi da zero solo in un determinato intervallo; queste ultime costituiscono
un esempio di segnale transitorio, cioè dotato di supporto temporale limitato.
Mediante l'integrale di Fourier si rileva che il contenuto spettrale di un pacchetto
d'onda di frequenza f non è una riga alla frequenza f (come nel caso armonico), ma costituisce
uno spettro continuo, tanto più esteso attorno a f quanto più breve è la durata del pacchetto.
2
Non sono periodiche, in generale, le funzioni sinusoidali a tempo discreto del tipo x(kTc)=sin(wkTc+f), mentre
è sempre periodico il loro inviluppo.
dove si è usata la funzione segno, che rappresenta appunto il segno del suo argomento
(sgn(x)=1 se x>0, sgn(x)=-1 se x<0). Le onde quadre presentano in ciascun periodo soltanto
due discontinuità, in corrispondenza alle transizioni di livello, sicchè sono sviluppabili in serie
di Fourier.
Sviluppando l'onda quadra mostrata nella figura, cioè A sgn(cos ωt), si ottiene:
Queste onde, oltre alla fondamentale, contengono dunque solo le armoniche dispari,
pesate secondo l'inverso dell'ordine armonico.
Sviluppando in serie l'onda triangolare mostrata nella figura si ottiene:
8A cos ( 3ω t ) cos ( 5ω t )
(8) x (t ) = 2
cos ω t + + + ...
π 9 25
Le onde triangolari hanno dunque lo stesso contenuto spettrale delle onde quadre, ma
pesato diversamente, cioè secondo l'inverso del quadrato dell'ordine armonico. Questo
risultato è in accordo col fatto che un'onda triangolare costituisce l'integrale nel tempo
dell'onda quadra della stessa frequenza.
La definizione di valore efficace (4) può essere applicata alle onde quadre (xeff=A), alle
onde triangolari (xeff=A/√3) e a qualsiasi altro segnale periodico. Per questi segnali si
definisce anche il fattore di picco (o di cresta), dato dal rapporto fra l'ampiezza (valore di
picco) e il valore efficace.
Spesso il valore efficace di un segnale periodico si determina integrando il quadrato
del segnale su un intervallo più lungo del periodo ed estraendo poi la radice quadrata. Il
risultato di questa operazione è esatto (cioè coincide con quello dato dalla (4)) solo se la
durata dell'intervallo d'integrazione è un multiplo del periodo; altrimenti si commette un
errore che, in generale, si riduce al crescere del rapporto fra la durata dell'intervallo e il
periodo del segnale. Quanto si è detto conduce alla seguente definizione alternativa di valore
efficace:
lim 1 To
(9) xeff =
To → ∞ 2To ∫ − To
x 2 (t ) dt
∞
(10) ∫ δ ( t ) dt = 1 con δ(t) = 0 per qualsiasi t≠0
−∞
Si noti che tale funzione ha dimensioni fisiche pari all'inverso di quelle della variabile
d'integrazione (cioè hertz, nel caso della (10)). Con la notazione Aδ(t-t0) si indica una delta di
area (o, come si dice abitualmente, di intensità) A al tempo
A
t0. Le funzioni impulsive si rappresentano graficamente con
una freccia verticale al tempo di occorrenza, di lunghezza
proporzionale all'area. to t
La funzione delta è pari: infatti δ(t-to) = δ(to-t). Essa gode inoltre della seguente
proprietà, detta di "campionamento":
∞
(11) ∫ x ( t ) δ ( t − t ) dt = x ( t )
−∞ o o
3
Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al corso di Metodi matematici.
precisamente x(0). E' da questa proprietà che derivano la (10) e la (11). Due esempi di
sequenze siffatte, costituite dunque da funzioni ordinarie (in particolare prive di
discontinuità), sono i seguenti:
fn(t) = (n/π)1/2 exp(-nt2) ; gn(t) = sin(nt)/πt
Nessuna grandezza fisica, in realtà, può
assumere valore infinito. E' dunque evidente che la 1.493
1.5
n=7
f ( t , 7) 0.5
che però hanno durata brevissima e ampiezza n=1
estremamente utile ed efficace, non tanto per descrivere il segnale stesso, ma, sopratutto, per
studiare gli effetti che esso determina quando viene applicato a un sistema.
L'integrale della δ(t) prende il nome di funzione gradino unitario (unit step function) e
si indica con la notazione u(t) (oppure 1(t) o δ-1(t)):
t 0 per t < 0
(12) u ( t ) = ∫ δ (τ )dτ =
−∞ 1 per t < 0
4
Per funzioni “buone” s’intendono quelle che sono derivabili dovunque un numero qualsiasi di volte e che,
quando il loro argomento x tende all’infinito, tendono a zero, assieme a tutte le loro derivate, più rapidamente di
|x|-n per qualsiasi n.
A
A u(t-to)
to
Anche la funzione gradino unitario, come la delta, può essere considerata come il
limite di una sequenza di opportune funzioni.
Esercizio. Rappresentare in termini di rampe e gradini un impulso trapezoidale di ampiezza A, che ha inizio al
tempo t1 e termina al tempo t4, assumendo valore costante (A) fra t2 e t3.
Le funzioni che abbiamo considerato ora rappresentano soltanto dei modelli dei
segnali reali. Infatti, non sono realizzabili nè impulsi di durata nulla e di ampiezza infinita, nè
segnali che impieghino un tempo nullo per portarsi da un livello a un altro (gradini ideali). In
particolare è ragionevole approssimare con una funzione delta un impulso reale, come quello
mostrato nella figura seguente, soltanto se la sua durata è significativamente inferiore al
tempo caratteristico di risposta del sistema a cui viene applicato per studiarne l'effetto (e allora
la risposta alla delta non differisce apprezzabilmente da quella all’impulso reale).
la cosidetta "energia"5.
t2
(14) E = ∫ x 2 ( t )dt
t1
la durata T, definita come la distanza fra i due istanti dove il segnale assume valore pari alla
metà dell'ampiezza massima, e i due tempi di transizione. Questi sono il tempo di salita (rise
time) tr, definito come la distanza fra i due istanti in cui, nel fronte d'onda iniziale, il segnale
assume valore pari al 10% e al 90% del massimo6, e il tempo di discesa (fall time) tf, definito
allo stesso modo del precedente, ma per il fronte d'onda finale.
Le definizioni dei tempi di transizione date sopra sono dette "empiriche" perchè sono
rivolte a facilitare la misura di tali grandezze (per esempio, attraverso l'osservazione
all'oscilloscopio). Vedremo in seguito anche altre definizioni.
5
Le dimensioni fisiche di questa grandezza non sono, in generale, quelli di un’energia. Tuttavia, se il segnale
x(t) rappresenta una corrente elettrica (una tensione), la grandezza E ha lo stesso valore numerico dell’energia
dissipata in un resistore unitario attraversato dalla corrente (ai terminali del quale sia applicata la tensione).
6
Questa particolare convenzione ha lo scopo pratico di facilitare la misura dei tempi di transizione nelle
osservazioni all’oscilloscopio.
7. Sistemi e modelli
Il temine sistema viene usato comunemente con uno spettro molto vasto di significati.
Noi lo useremo per indicare sia i sistemi fisici, naturali o artificiali, costituiti da un aggregato
di più elementi (o anche da un solo elemento), sia i modelli matematici che li rappresentano
formalmente. Il termine sistema può essere anche usato, a un livello ancora più astratto, per
indicare una relazione fra due funzioni del tempo, definita dall'operatore che, applicato alla
prima, fornisce la seconda7.
L'aspetto modellistico ha un ruolo essenziale nella trattazione dei sistemi: dei
molteplici aspetti di un dato sistema fisico, un modello permette infatti di evidenziare solo
quelli che hanno rilevanza rispetto a un determinato punto di vista. Ne consegue che, a
seconda dei casi, si potranno considerare per un medesimo sistema modelli anche assai diversi
fra loro. Nella modellizzazione dei sistemi, poi, l'economia ha un ruolo essenziale: non
soltanto occorre tener conto al meglio di tutti gli aspetti che si considerano importanti ai fini
che interessano, ma è opportuno limitarsi solo ad essi. Si cerca sempre, infatti, di arrivare a
una rappresentazione che sia, al tempo stesso, adeguatamente significativa ma anche
sufficientemente semplice.
Facciamo un esempio considerando un dispositivo, il resistore, che, solo in apparenza, si presenta come
semplicissimo e di ovvia rappresentazione. Il resistore può essere descritto in termini essenziali mediante la legge
di Ohm, se il punto di vista è puramente elettrico; dal punto di vista termico, d'altra parte, esso costituisce una
sorgente di calore e altri punti di vista ancora possono essere presi come base per la costruzione di altri modelli
del resistore (trave sospesa agli estremi, ...). Ciascuno di questi modelli, poi, può venire raffinato per rendere
meglio conto del comportamento del dispositivo: nel caso elettrico potremo tener conto della sua induttanza e
capacità parassita; nel caso termico, della sua capacità termica e della resistenza termica che incontra lo
smaltimento verso l'esterno del calore prodotto; e così via. Può anche essere necessario tenere conto
dell'interazione fra diversi punti di vista; per esempio, volendo tener conto della dipendenza dalla temperatura
della conducibilità elettrica del materiale che costituisce il resistore, occorrerà utilizzare un modello del
dispositivo che ne consideri, al tempo stesso, gli effetti elettrici e termici.
La natura di questi operatori dipende dalla natura dei modelli con cui si rappresentano
i sistemi. Il caso che considereremo più spesso è quello di operatori lineari integro-
differenziali.
Facciamo un esempio relativo ad un circuito
RLC serie, in cui assumiamo come ingresso l'intensità
i(t) della corrente che lo attraversa e come uscita la
tensione v(t) ai suoi terminali.
L'equazione del circuito è:
di (t ) 1 t
(16) L + R i (t ) + ∫ i (τ ) dτ = v(t )
dt C −∞
7 Non è affatto detto, in generale, che a un "sistema" descritto da un dato operatore corrisponda un sistema fisico
che realizzi tale operazione. La stessa considerazione, d'altronde, si applica anche al caso dei modelli dei sistemi
fisici.
Assumere un modello statico significa ignorare gli effetti di inerzia (di varia natura) che sono peraltro
sempre presenti in un sistema fisico reale, ammettendo così che l'uscita risponda istantaneamente all'ingresso e,
in particolare, che la risposta a una eccitazione sinusoidale sia sempre la stessa, per qualunque frequenza, anche
se elevatissima. Sebbene ciò sia certamente sbagliato in linea di principio, è evidente l'utilità di un modello
statico per rappresentare i fenomeni in cui gli effetti d'inerzia siano trascurabili sulla scala dei tempi (o delle
frequenze) che interessa.
Facciamo un esempio, per mostrare che la proporzionalità tra causa ed effetto (chiamata "omogeneità")
non è sufficiente a determinare la linearità di un sistema, perchè occorre che sia verificata anche l'”additività”,
richiesta appunto dal principio di sovrapposizione degli effetti. Consideriamo un circuito che, quando la variabile
d'ingresso attraversa lo zero, produce in uscita un impulso di ampiezza pari alla derivata dell'ingresso a
quell'istante. L'effetto è proporzionale alla causa sicchè il sistema è omogeneo; esso, però, non è additivo
(applicando all’ingresso la somma di due segnali, gli attraversamenti dello zero della somma si verificano a
istanti diversi rispetto a quelli di ciascun segnale) e quindi non è lineare.
Qui non consideriamo i metodi che sono stati introdotti per l'analisi dei sistemi
nonlineari (in realtà solo per alcune particolari classi di tali sistemi). Accenniamo, invece, a
due metodi di linearizzazione dei sistemi nonlineari statici, che sono usati per ricondurne
l'analisi nel quadro di quelli lineari. Entrambi i metodi, ma sopratutto il primo, sono molto
usati nella trattazione dei dispositivi elettronici a semiconduttori.
Consideriamo un sistema descritto dalla relazione ingresso-uscita:
(17) y = f(x)
Il primo metodo, detto di linearizzazione per piccoli segnali, consiste nello sviluppare
in serie l'equazione (17) attorno a un determinato valore xo della variabile d'ingresso, che
stabilisce il punto di lavoro del sistema, allo scopo di individuare una relazione lineare fra le
variazioni delle due variabili x e y (anzichè fra le variabili stesse) rispetto ai valori (xo e yo)
corrispondenti al punto di lavoro.
Si ottiene così: y = f(xo) + (x-xo) [f’(x)]x=xo+ ...
da cui, trascurando gli altri termini dello sviluppo, si ottiene:
δ x x − xo
(18) = ≈ f ' ( x ) x= x
δ y y − yo o
dove l'approssimazione è tanto migliore quanto più piccole sono le variazioni dei segnali.
Questo metodo è applicabile anche quando una variabile d'uscita dipende da più
variabili d'ingresso x1, x2, ... . Qui il punto di lavoro è stabilito da un opportuno insieme di
valori x1o, x2o, ... La variazione dell'uscita rispetto al valore yo corrispondente al punto di
lavoro si esprime allora nella forma:
dove intervengono le derivate parziali della funzione, tutte calcolate nel punto di lavoro.
8
Questo non è possible nel caso dei sistemi dinamici, perchè l'uscita a un dato istante non dipende soltanto
dall'ingresso allo stesso istante.
δ i a vo / b io + a
= e =
δv b b
dove abbiamo indicato con i0 e v0 i valori delle variabili nel punto di lavoro. Notiamo che il
rapporto così ottenuto ha le dimensioni fisiche di una conduttanza; esso prende il nome di
conduttanza differenziale del diodo. Come mostra la figura, questo metodo consiste
nell'approssimare la curva caratteristica del dispositivo con la retta ad essa tangente nel punto
di lavoro.
9
Il sistema, all'atto dell'applicazione dei segnali x(t) e x(t-T), si deve trovare evidentemente nello stesso stato.
Si tratta, chiaramente, di un sistema statico, che si può classificare come nonlineare oppure come non
stazionario. Se l'onda portante p(t) viene considerata come un segnale d'ingresso, il sistema è evidentemente
nonlineare (e stazionario). Ma se l'onda portante non viene considerata come un ingresso e il suo effetto viene
rappresentato mediante un coefficiente variabile nel tempo (cos ωpt), il sistema allora è non stazionario (e
lineare).
Questi due diversi punti di vista sono rappresentati nei due schemi a blocchi qui sotto.
dove yl(t) rappresenta l'evoluzione libera a partire dallo stato iniziale (a t=0) ed yf(t)
rappresenta la risposta forzata all'eccitazione x(t) applicata da t=0 in poi.
Si capisce, per quanto detto, che il ruolo dello stato iniziale è simile a quello
dell'eccitazione esterna, nel senso che concorrono entrambi a determinare l'andamento del
segnale d'uscita del sistema. Stato iniziale ed ingresso a partire dall'istante iniziale in poi
costituiscono assieme l'eccitazione generalizzata.
Nello studio dei sistemi, in particolare di quelli lineari, presenta particolare interesse la
risposta in regime permanente a una eccitazione sinusoidale (che si suppone dunque applicata
a partire da t = -∞). Questa, infatti, proprio e soltanto nel caso dei sistemi lineari e stazionari,
è costituita ancora da una sinusoide della stessa frequenza di quella applicata in ingresso.
Ye (
j ω t +ϕ )
Y
(23) H= =
Xe jωt X
dove spesso la fase di H(jω) si indica col simbolo /H(jω). Qui il modulo |H(jω)|, che
rappresenta il rapporto fra le ampiezze Y e X, e la fase ϕ(ω), che rappresenta lo sfasamento
della sinusoide d'uscita rispetto a quella d'ingresso, sono le due funzioni reali che
costituiscono la risposta in frequenza, chiamate rispettivamente caratteristica di ampiezza e
caratteristica di fase.
10
In questa rappresentazione i segnali si ottengono prendendo la parte reale delle corrispondenti grandezze
simboliche (si può, tuttavia, anche scegliere una diversa convenzione).
d ϕ (ω )
(25') Tg (ω ) =
dω
cioè il ritardo subito da un pacchetto d'onda di frequenza angolare ω applicato all'ingresso del
sistema11.
Quando la funzione H(jω) esprime il rapporto fra la tensione e la corrente (simboliche)
ai morsetti di un circuito in regime sinusoidale permanente, essa prende il nome di impedenza
e si indica col simbolo Z:
dove R(ω) si chiama resistenza, X(ω) reattanza. Quando H(jω) rappresenta il rapporto fra la
corrente e la tensione (simboliche) prende il nome di ammettenza e si indica col simbolo Y:
11
Consideriamo il segnale costituito dalla somma di due sinusoidi di ampiezza unitaria e frequenze angolari
ω − ∆ω, ω + ∆ω. Il battimento fra queste crea una serie di pacchetti d'onda con inviluppo 2cos ∆ωt. All'uscita del
sistema, l'inviluppo dei pacchetti d'onda è 2 cos(∆ωt+dφ(ω)/dt), cioè essi subiscono il ritardo dφ(ω)/dt.
1 ω L − 1 ωC
Y ( jω ) = / Y ( jω ) = −arctang
( ω L − 1 ωC )
2
+ R2 R
(28) 20 log10(x)
Questa rappresentazione è molto usata in
elettronica per esprimere sia valori di ampiezza che,
sopratutto, rapporti di ampiezza, e questo per vari motivi.
In particolare, è molto più agevole tracciare i
grafici di grandezze espresse in decibel, quando esse
assumono valori che differiscono di molti ordini di
grandezza; inoltre, i rapporti di ampiezza determinati dal
modulo delle funzioni di trasferimento usuali si prestano bene a una rappresentazione approssimata (diagrammi
di Bode) del tipo lineare a tratti (cioè mediante spezzate) in funzione del logaritmo della frequenza. E' poi
evidente che il prodotto (il rapporto) di due grandezze espresse in decibel è dato semplicemente dalla somma
(dalla sottrazione) dei loro valori. Questo risulta assai comodo quando più sistemi lineari sono collegati in
cascata (l'uscita del primo costituisce l'ingresso del secondo, e così via) e si debba determinare la risposta
complessiva in regime sinusoidale permanente come prodotto delle risposte dei vari sistemi.
Come si è detto, la formula (28) si usa per esprimere in decibel valori di ampiezza o di rapporti di
ampiezza. Nel caso di una grandezza p che rappresenti il quadrato di una ampiezza, cioè sia proporzionale alla
potenza, oppure il rapporto fra quadrati di ampiezze, si usa invece la formula:
(28’) 10 log10(p)
x xdB x xdB
6
10 120 1 0
3
10 60 0,9 -0,9152.. ≈ -1
2
10 40 0,8 -1,938.. ≈ -2
10 20 1/√2 ≈ 0,707.. -3,010.. ≈ -3
9 19,08.. ≈ 19 0,5 -6,021.. ≈ -6
8 18,06.. ≈ 18 0,4 -7,959.. ≈ -8
10/√2=7,071.. 16,99.. ≈ 17 1/√10 ≈ 0,3162.. -10
5 13.98.. ≈ 14 0,2 -13,98.. ≈ -14
4 12,04.. ≈ 12 √2/10 ≈ 0,141.. -16,99.. ≈ -17
√10=3,162.. 10 0,1 -20
2 6,021.. ≈ 6 0,01 -40
-3
√2=1,414.. 3,010.. ≈ 3 10 -60
1 0 10-6 -120
L'ammettenza del circuito RLC che abbiamo considerato prima è una funzione
continua della frequenza; di questa proprietà godono tutte le funzioni H(jω) dei sistemi che ci
interessano. Le bande di frequenza trasmesse non presentano pertanto limiti netti. I limiti delle
bande di frequenza vengono espressi di solito in termini di frequenze di taglio (cutoff
frequencies) che sono definite come quelle frequenze a cui il modulo della risposta si riduce a
1√2 = 0,707.. (cioè -3 dB) di quello nella banda trasmessa uniformemente (o del massimo in
banda), ossia la risposta in potenza si dimezza.
Esercizio. Determinare analiticamente le due frequenze di taglio, f1 ed f2, e la larghezza di banda f2-f1 per
l'ammettenza del circuito RLC considerato prima.
12
La possibilità di ricostruire le caratteristiche di ampiezza e di fase interpolando i risultati sperimentali ottenuti
soltanto a un insieme di valori discreti della frequenza deriva dalla già menzionata proprietà di continuità di
queste funzioni.
Y1 (ω , X )
(29) H d ( jω , X ) =
X (ω )
Il principio di causalità pone il vincolo h(t)=0 per t<0 per i sistemi fisicamente realizzabili. Questo
principio tuttavia non si applica ai sistemi usati per analizzare una sequenza temporale di dati, dopo che essa sia
stata registrata. Questo è il caso degli algoritmi che si applicano a dati registrati su nastro magnetico, mediante un
programma su calcolatore, avendo quindi a disposizione l'andamento sia passato che futuro del segnale. Un
esempio molto semplice è quello di un filtro a media mobile, che assegna all'uscita, a ciascun istante di tempo, il
valor medio dell'ingresso in un intervallo T centrato in t, eseguendo l’operazione:
1 t +T / 2
y (t ) = x (τ )dτ
T ∫t −T / 2
Sappiamo che l'uscita di un sistema statico a un dato istante dipende solo dal valore
dell'ingresso allo stesso istante. Si conclude pertanto che le risposte indici di un sistema
lineare statico14 coincidono, rispettivamente, con un una funzione delta e con una funzione a
gradino, aventi un medesimo coefficiente di ampiezza.
Il calcolo delle risposte indici di un sistema può essere eseguito risolvendone
l'equazione differenziale ingresso-uscita. Più spesso, in pratica, si preferisce usare il metodo
della trasformazione di Laplace, che conduce più agevolmente al risultato: di questo ci
occuperemo nella III parte del corso. Qui ci limitiamo a illustrare brevemente il calcolo delle
risposte indici attraverso la soluzione diretta dell'equazione, nel caso di un sistema descritto da
13
Tutti i sistemi fisici reali verificano evidentemente questo principio. La condizione che l’effetto segua e non
preceda la causa è chiamata anche condizione di “realizzabilità fisica”.
14
Nel caso dei sistemi nonlineari, le risposte indici usuali (a eccitazione unitaria) perdono significato; occorre
infatti usare funzioni indici dipendenti da due argomenti, il tempo e l'ampiezza dell'eccitazione. Anche nel caso
dei sistemi non stazionari (supposti lineari) occorre usare funzioni indici dipendenti da due argomenti: il tempo a
cui si considera la risposta e l'istante di applicazione del segnale di eccitazione).
Esercizio. Decomporre la (32) nei due termini che costituiscono la risposta transitoria e la risposta permanente.
15
In questo caso particolare l'equazione ingresso-uscita coincide con l'equazione ingresso-stato del sistema, dal
momento che l'uscita coincide con l'unica variabile di stato del sistema.
1
(34) H ( jω ) =
1 + jωτ
1
(35) H ( jω ) = ; /H ( jω ) = −arctang (ωτ )
1 + ω 2τ 2
La forma della (34) (e della (35)) permette di verificare che si tratta effettivamente di
un sistema passabasso, in particolare con risposta unitaria a frequenza zero, in accordo col
fatto che il valore asintotico della risposta indiciale (32) è unitario. Uguagliando la (35) a
1/√2, si ottiene la frequenza limite superiore (frequenza di taglio) del sistema:
1 0,16
(36) f1 = ≈
2πτ τ
Nella risposta
indiciale di un sistema si
distinguono i seguenti
parametri caratteristici:
tempo di salita tr (già
definito trattando l'impulso
reale), ritardo (delay time)
td, definito dal tempo a cui
la risposta raggiunge il
50% del valore massimo
(o del valore asintotico ai
tempi lunghi) e tempo di assestamento (settling time) ts. Quest'ultimo rappresenta il tempo
(misurato dall'applicazione del gradino) a partire dal quale la risposta normalizzata si
mantiene definitamente entro la fascia 1-∆, 1+∆, per un valore prefissato16 di ∆.
A volte, come nel caso rappresentato nella figura, la risposta indiciale presenta un
16
La scelta di questo valore dipende dal caso che si considera. Per esempio, se il circuito costituisce il filtro che
precede un convertitore A/D, il valore di ∆ sarà ragionevolmente riferito all’ampiezza del quanto di conversione.
Ricordiamo che tutti i risultati precedenti, dalla (32) alla (40), sono validi per qualsiasi
sistema descritto dall'equazione differenziale (31) e non soltanto per il circuito RC. Si può
dimostrare poi che i risultati (37), (38) e (40) sono validi con ottima approssimazione anche
per i sistemi passabanda che hanno ad alta frequenza lo stesso andamento dei sistemi
passabasso descritti dalla (34), purchè la loro frequenza limite inferiore sia molto minore della
frequenza limite superiore (questo si verifica di solito in molti amplificatori, per esempio in
quelli che coprono la banda audio oppure quella video). Infine, la relazione (40), che presenta
grandissima utilità pratica, risulta valida, sia pure approssimativamente, anche per una classe
più estesa di sistemi, descritti da equazioni differenziali di grado superiore al primo (di solito,
il prodotto B tr assume valori fra ~0,3 e ~0,45).
Le precedenti definizioni del tempo di salita tr e del ritardo td sono dette pratiche o
empiriche, perchè intese a facilitarne la determinazione sperimentale. Per queste stesse
grandezze si usano anche delle diverse definizioni, dette analitiche, che indicheremo con
simboli diversi per evitare ambiguità. Tali definizioni si applicano soltanto ai sistemi
passabasso, la cui risposta indiciale tende, ai tempi lunghi, a un valore asintotico costante non
nullo, purchè questa presenti un andamento monotono crescente (almeno
approssimativamente).
hn(t) = h(t)/hu(∝)
cioè divisa per il valore asintotico della risposta indiciale (che rappresenta l'area della h(t)). Il
ritardo ρ e il tempo di salita σ e sono così definiti:
∞
(41) ρ = ∫ thn ( t )dt
0
∞
σ = 2π ∫ ( t − ρ ) hn ( t )dt
2
(42)
0
dove la costante 2π è stata scelta in modo che il tempo di salita σ coincida con il tempo di
salita tr nel caso particolare dei sistemi con risposta impulsiva Gaussiana. Svolgendo il
quadrato che figura nella (42) e utilizzando la (41) si ottiene:
σ = 2π ∫ t 2 hn ( t )dt − ρ 2
∞
(43)
0
Applicando le definizioni analitiche al caso del sistema descritto dalla (31) si ottiene:
ρ =τ ; σ = 2π τ ≈ 2, 05066τ
15. Calcolo della risposta a una eccitazione qualsiasi con le risposte indici
L’importanza delle funzioni indice sta nel fatto che esse consentono, sempre nel caso
dei soli sistemi lineari e stazionari, di calcolare la risposta forzata a una eccitazione di forma
qualsiasi.
Supponiamo che l'ingresso x(t) sia costituito dalla somma di tre impulsi rettangolari di
Dal momento che, per l'ipotesi di stazionarietà, se la risposta a δ(t) è h(t) quella a δ(t-
T) sarà h(t-T), si conclude, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, che la risposta
di un sistema con risposta impulsiva h(t) all’eccitazione x(t) data sopra è:
Esercizio. Tracciare il grafico del segnale d'uscita di un circuito RC passabasso con τ = 1 s, al quale è applicato
l'ingresso x(t) considerato sopra con ε = 0,25 s: a) ricavandolo in modo esatto, b) ricavandolo approssimando gli
impulsi mediante funzioni delta.
Supponiamo ora che x(t) sia un segnale di forma arbitraria. Suddividendo l'asse dei
tempi in intervalli di durata ∆τ, possiamo esprimere x(t) nella forma della somma seguente:
dove ciascuna componente xk(t) coincide con x(t) nel corrispondente intervallo τk, τk+∆τ ed è
nulla altrove. Se ∆τ è sufficientemente piccolo, ciascuna componente elementare xk(t) può
essere approssimata con una funzione delta di area x(tk) ∆τ applicata al tempo tk, contribuendo
così alla risposta con il termine elementare corrispondente:
t
(47) y ( t ) = ∫ x (τ )h ( t − τ )dτ
0
dove il limite inferiore d'integrazione rappresenta l'istante t=0 a partire dal quale consideriamo
la risposta forzata del sistema (che si suppone trovarsi nello stato zero) e il limite superiore t è
fissato dal principio di causalità (l'uscita al tempo t non è influenzata dai valori dell'ingresso a
tempi successivi).
L'integrale di convoluzione (47) si scrive anche nella seguente forma equivalente:
t
(48) y ( t ) = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ
0
dove l'integrazione si svolge nello stesso intervallo di prima, ma secondo un asse diretto in
verso opposto al precedente: con l'origine τ=0 all’istante t e l'estremo superiore è τ=t, dove si
ha t-τ=0. Le due forme (47) e (48) dell'integrale di
convoluzione possono essere interpretate graficamente
come è mostrato nella figura.
Qualche considerazione sui limiti d'integrazione usati nelle due espressioni (47) e (48) dell'integrale di
convoluzione. Essi derivano dal fatto che abbiamo scelto di occuparci della risposta forzata, considerando quindi
soltanto gli effetti dell'ingresso a partire da un istante determinato (t=0) fino al tempo t al quale calcoliamo la
risposta (per l'ipotesi di causalità). Decidendo di calcolare l'effetto di un ingresso applicato a partire da un
generico istante to (che può anche assumere il valore to=-∝) scriveremo:
Nel caso dei sistemi non fisicamente realizzabili, come quelli usati per elaborare dati già registrati in
precedenza, cade il vincolo posto dalla causalità e si ha in generale:
∞ ∞
(50) y ( t ) = ∫ x (τ )h ( t − τ )dτ = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ
−∞ −∞
Notiamo infine che ad espressioni analoghe alle (47) e (48) si perviene anche decomponendo il segnale
d’ingresso in funzioni a gradino elementari, anzichè in funzioni impulsive. In tal caso l'ingresso viene
rappresentato dalla somma della funzione a gradino x(0)u(t) e di una sequenza di funzioni a gradino elementari,
applicate agli istanti tk, con coefficiente x(tk)-x(tk-∆τ). Ciascuna di queste contribuisce all'uscita y(t) con il
termine elementare (x(τk)-x(τk-1)) hu(t-τk) ∆τ.
∞
(51) f (t ) = ∫ f1 (τ ) f 2 ( t − τ ) dτ
−∞
definisce un'operazione binaria fra due funzioni. Nell'insieme delle funzioni ordinarie non
esiste l'elemento identità per tale operazione, cioè una funzione f2(t) che introdotta nella (51)
dia f(t) = f1(t). Questo elemento esiste solo se estendiamo l'insieme delle funzioni considerate
a comprendere anche la funzione impulsiva δ(t), tale che, per qualsiasi funzione ordinaria f(t),
sia
∞
(52) f (t ) = ∫ f (τ ) δ ( t − τ ) dτ
−∞
∞ ∞
(53) y ( t ) = X ∫ exp jω ( t − τ ) h (τ ) dτ = X exp ( jω t ) ∫ exp ( − jωτ ) h (τ ) dτ
−∞ −∞
∞
(54) H ( jω ) = ∫ exp ( − jω t ) h ( t ) dt
−∞
Ai exp(pit)
mentre in presenza di una radice p con molteplicità m la risposta contiene gli m termini
Ne consegue che l'andamento asintotico della risposta impulsiva per t che tende
all'infinito è comunque determinato dai termini esponenziali, più precisamente dal valore delle
radici reali, o delle parti reali delle eventuali radici complesse, dell'equazione caratteristica. Se
anche uno soltanto di questi è positivo, allora la risposta impulsiva diverge all'infinito,
indicando che il sistema è instabile. D'altra parte, perchè sia h(∝)=0 occorre che tutti questi
valori abbiano segno negativo.
Una condizione di stabilità usata spesso in elettronica è quella denominata stabilità
b.i.b.o. (bounded input-bounded output, ingresso limitato-uscita limitata). Questa condizione
di stabilità richiede che a un ingresso x(t) limitato corrisponda sempre un'uscita y(t) anch'essa
limitata. Più precisamente si richiede che valga la seguente condizione per qualsiasi ingresso
x(t):
Questa particolare condizione di stabilità può essere espressa in termini della risposta
impulsiva ed equivale allora alla condizione di integrabilità assoluta di tale funzione:
∞ ∞ ∞
y (t ) = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ ≤ ∫ x ( t − τ ) h (τ )dt ≤ X I∫ h (τ ) dt = X I
-∞ -∞ -∞
Oltre che condizione sufficiente, la (55) è anche necessaria. Scegliendo infatti h(t)=sin
ωot (corrispondente a una coppia di radici coniugate immaginarie) si ha evidentemente I=∞. E
allora se l'ingresso è x(t)=sin ωot si ha:
∞ ∞
y ( 0) = ∫ x (τ ) h ( −τ ) dτ = ∫ sin 2 (ω oτ ) dτ = ∞
-∞ -∞
Entrambe le ipotesi precedenti non sono più necessarie quando i sistemi vengano rappresentati mediante
circuiti, ossia come interconnessione di una molteplicità di componenti elementari. Ciascun tipo di questi
elementi viene descritto da determinate equazioni, mentre altre equazioni descrivono come i vari elementi sono
collegati assieme. La rappresentazione circuitale, di cui ci occuperemo nelle parti seguenti del corso, tiene conto
infatti, in modo naturale e diretto, sia delle modifiche che il segnale all'uscita di un sistema subisce quando viene
applicato all'ingresso di un altro sistema, sia dell'eventuale flusso inverso dei segnali, dall'uscita verso l'ingresso.
Questo richiede però una maggiore complessità nella rappresentazione dei sistemi: nella descrizione circuitale,
infatti, all'ingresso e all'uscita dei sistemi, non è più sufficiente considerare una sola grandezza fisica, ma ne
occorrono due (tensione e corrente nei sistemi elettrici, forza e spostamento nei sistemi meccanici, temperatura e
quantità di calore nei sistemi termici, ecc.).
In pratica, tuttavia, occorre spesso tener conto anche di altre considerazioni. Per esempio, è certamente
vero che la funzione di trasferimento del sistema ottenuto collegando in cascata un preamplificatore a basso
rumore e un amplificatore di potenza rimane la stessa anche quando si inverte l'ordine con cui si collegano i due
sottosistemi. Però le prestazioni delle due configurazioni saranno assai diverse sia per quanto riguarda il rumore
che la potenza disponibile in uscita.
Esercizio. Determinare l'equazione differenziale ingresso-uscita e la risposta in frequenza dei due sistemi nella
figura qui sotto, se i sottosistemi sono governati dalle seguenti equazioni, dove x indica l’ingresso e y l’uscita:
A y' = a y + b x
B y' = c y + d x
A B
B A
Esercizio. Calcolare la risposta a un inpulso rettangolare, con ampiezza di 10 V e durata di 100 ms, del sistema
costituito da un limitatore simmetrico (pag.19), con guadagno 2 nella zona lineare e livelli di limitazione in
uscita di 0,5 V, e da un circuito RC passabasso, con R=1 MΩ e C=1µF:
a) se il limitatore precede il filtro, b) se il filtro precede il limitatore.
1. Introduzione ai circuiti
I circuiti elettrici di cui ci occupiamo, e gli elementi che li costituiscono, vengono
caratterizzati in termini delle due seguenti grandezze fisiche, che indicheremo nel seguito
come grandezze elettriche:
- differenza di potenziale o tensione, una grandezza del tipo "agli estremi", che si
misura collegando uno strumento (voltmetro) tra due punti di un circuito;
- intensità di corrente elettrica o corrente, una grandezza del tipo "attraverso", che si
misura inserendo uno strumento (amperometro) in un punto del circuito.
Tensioni e correnti sono grandezze reali, in generale dipendenti dal tempo.
1
Dal momento che, in realtà, µ ed ε hanno sempre valore finito, si può anche dire che nel resistore ideale si
considerano trascurabili l'energia magnetica e quella elettrostatica rispetto a quella dissipata per effetto Joule; nel
condensatore ideale si considerano trascurabili l'energia magnetica e quella dissipata per effetto Joule rispetto
all'energia elettrostatica; nell'induttore ideale ...
I vari elementi di circuito interagiscono fra loro solo in termini di tensioni e correnti,
cioè soltanto attraverso i conduttori metallici che li interconnettono, supposti a loro volta
ideali, nel senso di conduttori perfetti e privi inoltre di effetti capacitivi, induttivi e di
irraggiamento. Quanto detto significa che i campi elettrici e magnetici, da cui dipende il
funzionamento degli elementi di circuito, si suppongono strettamente confinati all'interno
degli elementi stessi. Notiamo anzi, a questo proposito, che non vi alcun elemento di circuito
che rappresenti il fenomeno dell'irraggiamento.
L'insieme delle interconnessioni tra gli elementi che costituiscono un circuito è
descritto, a sua volta, da altre equazioni, dette equazioni topologiche. Queste non dipendono
dalla natura degli elementi in gioco, ma solo dalla "topologia" dello schema di collegamento.
Le equazioni complete dei circuiti, infine, si ottengono combinando le equazioni costitutive
degli elementi con quelle topologiche che ne descrivono le interconnessioni (parte III).
Gli elementi dei circuiti sono di due tipi: a costanti distribuite e a costanti
concentrate. In questi ultimi non ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia, sicchè
essi si considerano puntiformi, privi di dimensioni fisiche. Il loro comportamento è descritto
da equazioni costitutive che sono equazioni differenziali alle derivate totali. Negli elementi a
costanti distribuite, invece, ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia al loro interno,
sicchè non possiamo trascurarne le dimensioni (e la forma). Fra questi elementi, che sono
descritti da equazioni differenziali a derivate parziali (per tener conto delle dipendenze
spaziali, oltre che temporali, delle grandezze elettriche), rientrano le linee di trasmissione, che
considereremo in un'altra parte del corso.
Qui ci occupiamo solo dei circuiti usuali, costituiti da elementi a costanti concentrate.
Sottoliniamo che in questi circuiti l'ipotesi costanti concentrate assume un duplice significato:
quello già detto a proposito degli elementi che li costituiscono e quello relativo ai conduttori
di collegamento, ciascuno dei quali viene supposto equipotenziale a ogni istante di tempo. Per
la validità di quest’ultima ipotesi, che non sempre è verificata in pratica, occorre dunque che
le dimensioni del circuito siano sufficientemente piccole, rispetto alla lunghezza d'onda λ dei
dove c è la velocità della luce (ricordiamo che a 1 MHz la lunghezza d'onda nel vuoto è di 300
m; a 1 GHz di 30 cm). Per esempio, un circuito a microonde che lavori a 10 GHz e che si
estenda su 10 cm non è certamente rappresentabile come un circuito a costanti concentrate (e
allora potrà essere analizzato utilizzando la teoria delle linee di trasmissione oppure
risolvendo le equazioni del campo elettromagnetico).
2. I bipoli
I più semplici elementi di circuito sono i bipoli, cioè gli elementi dotati di due
terminali. Essi sono completamente caratterizzati dalla corrente i(t) che li attraversa e dalla
tensione v(t) che vi è fra i loro terminali2. Queste due grandezze sono legate da un'equazione
costitutiva, la cui forma è caratteristica del particolare tipo di bipolo:
dove {z(t)} e {y(t)} sono generalmente operatori integrodifferenziali, con {y}={z}-1. Queste
relazioni sono però valide soltanto per bipoli che non comprendono al loro interno dei
generatori. Altrimenti si ha:
+ v(t) -
2
Non ha senso, in generale, chiedersi quale delle due grandezze elettriche rappresenti la causa e quale l'effetto.
Solo se il bipolo collegato a un generatore ideale di tensione, è la tensione che va intesa come causa, mentre la
corrente costituisce l'effetto (l'opposto, se l'elemento collegato a un generatore ideale di corrente). Altrimenti non
è possibile, e non ha senso, individuare a priori la causa (tensione o corrente) per determinare poi l'effetto
risultante (corrente o tensione).
3. Le leggi di Kirchhoff
Le tensioni e le correnti di qualsiasi circuito debbono soddisfare le due leggi di
Kirchhoff, che nella teoria dei circuiti vengono assunte come postulati (è ben noto, d'altra
parte, che queste leggi derivano dalle equazioni di Maxwell).
La prima di esse, chiamata legge delle correnti (in inglese KCL) stabilisce che, a
qualsiasi istante di tempo, la corrente totale attraverso una qualsiasi superficie chiusa è nulla,
esprimendo così la conservazione della carica elettrica. Se la superficie chiusa viene fatta
passare attraverso i terminali degli elementi del circuito, si scriverà:
Σk ik(t) = 0
dove la sommatoria è estesa a tutte le correnti ik(t) che attraversano la superficie, per esempio
assegnando verso positivo alle correnti uscenti, negativo a quelle entranti. Se la superficie
considerata racchiude soltanto un bipolo, si conclude che la corrente che entra in un terminale
è uguale a quella che esce dall'altro.
(5) Σk vk(t) = 0
Per applicare questa legge, partiamo da un nodo del circuito e individuiamo un circuito
chiuso, costituito da una catena di k elementi collegati fra loro che ci riporti al punto di
partenza, e gli assegnamo un verso di percorrenza, arbitrariamente. Il segno da attribuire alle
tensioni vk degli elementi, che sommeremo assieme nella (5), sarà positivo per quelle concordi
col verso di percorrenza del circuito chiuso, negativo per le altre.
E' chiaro che, generalmente, ciascuna delle due leggi può essere applicata più volte a
un dato circuito, ottenendo così più relazioni fre le grandezze elettriche; anticipiamo qui che
un punto chiave degli sviluppi successivi sarà quello di individuare, di queste relazioni, un
numero minimo, ma sufficiente a caratterizzare completamente il circuito.
Un'altra, essenziale, osservazione: le leggi di Kirchhoff sono costituite da equazioni
algebriche lineari omogenee nelle grandezze elettriche e non dipendono dalla natura fisica
degli elementi del circuito, ma solo dal loro numero e da come essi sono collegati, cioè
soltanto dalla "topologia del circuito".
E' interessante notare che la relazione (3), che avevamo stabilito in base al principio di conservazione
dell'energia, può essere dedotta direttamente dalle leggi di Kirchhoff, cioè senza richiedere considerazioni
energetiche. Consideriamo un circuito costituito da bipoli. Siano vk' e ik' le grandezze elettriche associate al
bipolo generico in una generica situazione (per esempio a un certo istante), tutte evidentemente compatibili con
le leggi di Kirchhoff. Siano vk" e ik" le stesse grandezze in un'altra situazione (per esempio a un altro istante). Si
dimostra che è sempre valida la seguente relazione, che prende il nome di teorema di Tellegen:
3
Questa legge esprime la conservatività del campo elettrico all'esterno degli elementi induttivi e dei generatori
di tensione, tenendo presente che le tensioni ai terminali di questi elementi sono determinate da opportune forze
elettromotrici e ricordando che i campi magnetici si suppongono confinati all'interno degli elementi induttivi.
Per quanto riguarda le proprietà generali degli elementi e dei circuiti, che sono
evidentemente sistemi analogici a tempo continuo, rimandiamo a quanto detto nella prima
parte del corso. Ricordiamo in particolare le proprietà di stazionarietà (invarianza temporale) e
di linearità, che supponiamo possedute da tutti gli elementi e circuiti che consideriamo in
questa parte. Notiamo peraltro che le leggi generali di Kirchhoff (4) e (5), come pure la
conservazione dell'energia (3), sono valide comunque, anche per circuiti nonlineari e/o non
stazionari.
Accenniamo ora a due proprietà, passività e reciprocità, che hanno particolare interesse nei
circuiti.
5. Passività
Un bipolo si dice passivo se l'energia da esso assorbita dal tempo -∞ a un generico
istante t è non negativa, a qualunque circuito esso venga collegato:
t t
(7) ∫ p (τ ) dτ = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ ≥ 0
−∞ −∞
Ciò significa, in altre parole, che un bipolo passivo non è in grado di fornire energia a un
circuito esterno (a parte quella eventualmente assorbita e immagazzinata al suo interno).
Altrimenti il bipolo si dice attivo.
La stessa definizione può essere estesa a una rete a più terminali e in particolare a una
a più porte; in quest'ultimo caso la potenza p(t) sarà espressa dalla sommatoria dei prodotti
v(t)i(t) relativi alle porte del circuito (con l'avvertenza che i versi delle grandezze elettriche
siano definiti nel modo coordinato detto prima). Notiamo infine che è passivo solo un circuito
che sia costituito unicamente da elementi passivi.
Supponiamo che la tensione applicata da un generatore esterno a una porta di una rete sia v(t) = V cos(Ωt+ϕv) =
Re[V ejΩt], dove V=V ejϕv e V=|V|. La corrente che scorre nella porta in regime sinusoidale permanente sarà
evidentemente: i(t) = I cos(Ωt+ϕi) = Re[I ejΩt], dove I=I ejϕi e I=|I|. La potenza istantanea assorbita dalla rete è
allora: p(t) = v(t) i(t) = VI (Ωt+ϕv) cos(Ωt+ϕi) = ½ VI cos(ϕv - ϕi) + ½ VI cos(2Ωt+ϕv + ϕi)
Dato che il valor medio del secondo termine a destra è nullo, la potenza media assorbita in regime sinusoidale è:
Pm = ½ VI cos(ϕv - ϕi); in termini di valori efficaci si ha la formula di Galileo Ferraris Pm = Veff Ieff cos(ϕv - ϕi).
Si nota che l'argomento ϕv - ϕi è uguale all'angolo di fase dell'impedenza Z(jω) della rete alla frequenza angolare
Ω. Inoltre, dato che Z(jΩ) = V / I = (V/I) exp(j(ϕv - ϕi)), Y(jΩ)=1/Z(jΩ), si può esprimere la potenza media nelle
due forme seguenti:
Pm = ½ I2 Re[Z(jΩ)] = ½ V2 Re[Y(jΩ)]
Se una rete a una porta è passiva, la potenza media assorbita da essa deve essere non negativa a qualsiasi
frequenza, e allora, per quanto sopra, sia l'impedenza che l'ammettenza della rete devono avere parte reale non
negativa a qualsiasi frequenza, cioè deve essere:
D'altra parte, se vi è una frequenza a cui la (7a) non è verificata, allora la rete è attiva.
Notiamo infine che per quanto riguarda la potenza istantanea assorbita da una rete non vale
evidentemente il principio di sovrapposizione degli effetti. Questo è, invece, verificato per quanto riguarda la
potenza media nel caso di un circuito in regime permanente sinusoidale, quando l'ingresso sia costituito dalla
somma di più sinusoidi a frequenze diverse. La dimostrazione è basata sull'ortogonalità fra sinusoidi di frequenza
diversa.
6. Reciprocità
La reciprocità è una proprietà che stabilisce delle relazioni fra gli effetti di eccitazioni
applicate in punti diversi di un circuito.
Consideriamo una rete costituita da bipoli e da elementi a più porte, riconducibile
quindi a una rete di bipoli. Se in serie a un bipolo h disponiamo un generatore di tensione
vo(t), nel bipolo k scorrerà una corrente corrispondente, che indichiamo con ikh(t) (questa
corrente, per la linearità del circuito, si somma a quella determinata dalle altre eventuali
eccitazioni del circuito, di cui qui non ci occupiamo). Disponendo lo stesso generatore in serie
al bipolo k, nel bipolo h scorrerà la corrispondente corrente ihk(t).
per tutte le coppie h e k di bipoli, e per tutte le coppie H e K di terminali del circuito.
Da quanto sopra consegue che in un circuito reciproco possibile scambiare fra loro di
posto un generatore di tensione (di corrente) e un amperometro (un voltmetro) senza che si
modifichi l'indicazione dello strumento. Il significato della reciprocità può essere dunque
interpretato così: l'effetto non si modifica se scambiamo fra loro la posizione della causa con
quella dell'effetto.
Chiariamo quanto detto con
1 2 3 1 2 3
l'esempio illustrato nella figura,
vo + i13 vo +
i31
relativo a una rete costituita da tre - -
resistori. Disponendo il generatore vo in serie al bipolo 1, nel bipolo 3 scorre la corrente i31.
Disponendo vo in serie al bipolo 3, nel bipolo 1 scorre la corrente i13. Si dimostra facilmente
che i31=i13, qualunque siano i valori dei tre resistori.
Notiamo che la reciprocità è una proprietà diversa dalla passività. Sebbene la quasi
totalità degli elementi passivi e delle reti passive da essi costituite goda della proprietà di
reciprocità, vi sono alcuni esempi di elementi reali passivi non reciproci (dispositivi a
microonde costituiti da strutture contenenti ferriti, dispositivi a effetto Hall). Si dimostra,
d'altra parte, che una rete costituita da bipoli passivi lineari stazionari è sempre reciproca.
Diverso è il caso delle reti contenenti elementi attivi, in particolare generatori
controllati, che sono certamente non reciproche; è evidente, per esempio, che l'effetto della
tensione d'ingresso di un amplificatore sulla corrente d'uscita è totalmente diverso da quello
della stessa tensione, applicata in uscita, sulla corrente d'ingresso del circuito.
7. Resistore
Il resistore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:
dove G=1/R; la costante reale R, chiamata resistenza, si misura in ohm (Ω); la costante reale
G, chiamata conduttanza, si misura in siemens (S). Se la costante
R è positiva si ha il resistore passivo, che costituisce un ottimo
modello dei resistori reali; se è negativa, si ha il resistore attivo4;
i(t)
se è nulla, l'elemento degenera in un cortocircuito.
Dato che la (9) è un'equazione algebrica, il resistore è un dispositivo statico, privo di
memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le forme d'onda della
corrente e della tensione sono identiche, a parte il fattore di scala stabilito dalla (9).
In regime sinusoidale permanente l'impedenza del resistore è reale e indipendente dalla
frequenza:
(10) Z(jω) = R
t t
(11) E ( t ) = R ∫ i 2 (τ ) dτ = G ∫ v 2 (τ ) dτ
0 0
4
Questo costituisce un modello sia di vari dispositivi fisici (per esempio il diodo tunnel), sia di particolari
circuiti comprendenti elementi attivi.
dv ( t ) 1 t
i (t ) = C v (t ) = i (τ ) dτ + v ( 0 )
C ∫0
(12) ovvero
dt
Si conclude dalla (13) che la fase della corrente è in anticipo di π/2 rispetto a quella della
tensione.
E' molto importante osservare che nessun condensatore reale ubbidisce effettivamente
alla (12), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (13) quando si
considerino frequenze sufficientemente basse. Infatti qualsiasi condensatore reale è
inevitabilmente soggetto a fenomeni di autoscarica a causa di vari effetti fisici, che si
manifestano in modo evidente quando l'elemento si trova a circuito aperto.
Introducendo nella (12) la carica elettrica q posseduta dal condensatore, si ottiene la
seguente relazione di proporzionalità diretta6 fra carica e tensione:
5
Questo costituisce un modello di particolari circuiti comprendenti elementi attivi.
6
Ciò significa che se avessimo definito come grandezze elettriche fondamentali la tensione e la carica, il
condensatore sarebbe un elemento statico (con questa definizione, d'altra parte, il resistore risulterebbe dotato di
memoria).
t t dv (τ ) C v2 (t )
(14) E ( t ) = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ = C ∫ v (τ ) dτ =
0 0 dτ 2
9. Induttore
L'induttore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:
di ( t ) 1 t
v (t ) = L i (t ) = v (τ ) dτ + i ( 0 )
L ∫0
(15) ovvero
dt
Si conclude dalla (16) che la fase della corrente è in ritardo di π/2 rispetto a quella della
tensione.
E' importante osservare che nessun induttore reale (neanche gli induttori
superconduttori che presentano caratteristiche molto prossime a quelle ideali) ubbidisce
effettivamente alla (15), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (16)
quando si considerino frequenze sufficientemente basse. Qualsiasi induttore è infatti
inevitabilmente soggetto a fenomeni di autoscarica a causa di vari di effetti fisici, che si
manifestano in modo particolarmente evidente quando l'elemento si trova in cortocircuito.
Introducendo nella (15) il flusso magnetico Φ(t) prodotto dalla corrente i(t) quando
attraversa l'induttore, si ottiene una relazione di proporzionalità diretta fra flusso e corrente:
t
Φ ( t ) = ∫ v (τ ) dτ = Li ( t )
−∞
t t di (τ ) L i2 (t )
(17) E ( t ) = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ = L ∫ i (τ ) dτ =
0 0 dτ 2
7
Con l'eccezione degli induttori superconduttori, il comportamento degli induttori reali, realizzabili in pratica,
differisce da quello ideale ancor più che nel caso dei condensatori reali.
1 µω
(18) R (ω ) =
πd 2γ
Nel modello di un resistore reale, per tener conto dell'effetto di autoinduzione (che è
particolarmente rilevante nei resistori a filo, assai meno in quelli a composizione) si dispone
un induttore di valore opportuno in serie al resistore ideale; per tener conto delle capacità
Esercizio 1. Tracciare i diagrammi del modulo dell'impedenza in funzione della frequenza per i due circuiti
equivalenti mostrati nella figura, assumendo in entrambi R=1000 Ω e C=1pF, nel primo L=1 µH, nel secondo
L=0.1 µH.
Esercizio 2. Individuare una geometria atta a minimizzare l’induttanza parassita di un resistore realizzato
usando un filo metallico di lunghezza data.
Nei resistori a impasto e in quelli a carbone di altissimo valore, oltre alle capacità
parassite fra i terminali (e fra l'elemento e massa), intervengono anche le capacità distribuite
interne fra le particelle conduttrici, separate da materiale isolante, che li costituiscono.
L'azione di queste capacità fa sì che il valore della resistenza diminuisca al crescere della
frequenza8: questo fenomeno è chiamato effetto Boella.
Anche i condensatori sono disponibili su una estesa gamma di valori, dal picofarad al
farad; nelle serie più comuni i valori sono compresi fra qualche pF e qualche centinaio di µF.
Le tecnologie realizzative sono molto varie, anche perchè si usa un'ampia varietà di geometrie
e di materiali dielettrici: aria, mica, materiali plastici, materiali ceramici. I valori maggiori di
capacità si ottengono nei condensatori realizzati con un procedimento elettrolitico (questi
ultimi, a differenza degli altri, hanno polarità definita), fra cui i cosidetti “supercondensatori”,
utilizzati in applicazioni di potenza, con capacità anche di alcuni farad.
Gli effetti dissipativi che si verificano nei conduttori (incluse le armature) si
rappresentano disponendo un resistore in serie al condensatore ideale; quelli che si verificano
nel dielettrico, disponendo un resistore in parallelo al condensatore ideale. L'autoinduzione,
infine, si rappresenta disponendo un induttore in serie
all'elemento ideale.
8
Tipicamente, in un resistore da 1 MΩ l'effetto Boella si manifesta poco oltre 100 kHz; in un resistore da 10 GΩ
ad appena 1 kHz.
Gli induttori sono disponibili con valori tipicamente compresi fra i microhenry e gli
henry. Una distinzione importante è fra quelli avvolti in aria (o su un supporto isolante) e
quelli avvolti su un nucleo di materiale ferromagnetico (che permette di ottenere induttanza
più elevata). Questi ultimi possono manifestare effetti nonlineari, dato che la caratteristica
flusso magnetico-corrente presenta sia saturazione che isteresi.
Gli effetti dissipativi che si verificano negli induttori si rappresentano disponendo un
resistore in serie all'induttore ideale; quelli che si verificano nell'eventuale nucleo
ferromagnetico (correnti parassite), disponendo un resistore in parallelo all'induttore ideale.
Le capacità parassite, infine, si rappresentano (in prima approssimazione, dato che si tratta di
capacità distribuite fra le spire) disponendo un condensatore in
parallelo.
Circuito equivalente di un induttore reale
Gli induttori reali sono soggetti a fenomeni di accoppiamento magnetico con l'esterno,
che sono particolarmenti rilevante nei dispositivi che non sono avvolti su un nucleo
ferromagnetico chiuso: non è trascurabile, in generale, nè il campo magnetico prodotto da un
9
Per osservare questo fenomeno basta caricare un condensatore, poi scaricarlo, cortocircuitandolo, e quindi
misurare la tensione ai suoi terminali con un voltmetro avente alta resistenza d'ingresso.
X B
(19) Q= =
Rs Gp
Il fattore di merito ha un significato fisico diretto: essa esprime il rapporto, moltiplicato per
2π, fra l'energia massima immagazzinata dall'elemento reattivo e l'energia dissipata in un
10
Per minimizzare gli inconvenienti dovuti al fenomeno, gli induttori si possono schermare, ma questo
procedimento riduce l’induttanza (effetto prossimità) e introduce dissipazioni addizionali (per minimizzare
l’accoppiamento fra due bobine cilindriche, conviene disporle con gli assi perpendicolari fra loro). D'altra parte,
se si vogliono rappresentare in un circuito gli effetti dell'accoppiamento magnetico fra due induttori, si utilizza
un apposito elemento a due porte: gli induttori accoppiati.
ωL Rp 1
(20) Q= = ; Q= = ω CR p
RS ωL ω CRS
Esercizio 1. Si consideri il modello di un condensatore reale, costituito da un resistore R1 in serie alla capacità C
e da un resistore R2 in parallelo ad essa, dove C, R1 e R2 sono grandezze indipendenti dalla frequenza. Ricavare
l'espressione dell'impedenza del circuito e individuarne la resistenza serie equivalente e la capacità equivalente.
Determinare i limiti per ω→0 e per ω→∞ dell'impedenza, della resistenza serie equivalente e della capacità
equivalente. Ricavare l'espressione della grandezza tangδ in funzione di ω e tracciarne un grafico. Esprimere
questa grandezza in funzione di tangδ1 (R1≠0, R2=∞) e di tangδ2 (R1=0, R2<∞).
Esercizio 2. Misurando con un ponte il fattore di merito tangδ di un condensatore da 10 nF a varie frequenze si
sono ottenuti i valori riportati nella tabella.
Esso impone dunque ai suoi terminali la tensione vo(t), con legge prestabilita,
indipendentemente dalla corrente che lo attraversa, e quindi dal circuito a cui esso è collegato.
Dipende invece dal circuito il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono
essere qualsiasi. Se vo(t)=0, l'elemento è disattivato e degenera in un cortocircuito11. Il
generatore indipendente ideale di tensione costituisce un buon modello di molti generatori
elettrici reali (pile, accumulatori, dinamo, alternatori, ecc.).
Esso è dunque attraversato dalla corrente io(t), con legge prestabilita, indipendentemente dalla
tensione ai suoi morsetti, e quindi dal circuito a cui esso collegato. Dipende, invece, dal
circuito esterno il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono essere
qualsiasi. Se io(t)=0, l'elemento è disattivato e degenera in un circuito aperto11. Il generatore
indipendente ideale di corrente costituisce un modello di vari circuiti contenenti elementi
attivi reali.
11
Si potrebbe, in alternativa, considerare il cortocircuito come un particolare generatore di tensione caratterizzato
da vo(t)=0 e, allo stesso modo, considerare il circuito aperto come un particolare generatore di corrente
caratterizzato da io(t)=0. Questi elementi sono, però, passivi.
mentre lasciandoli a circuito aperto la tensione che si stabilisce ai loro terminali è, nei due
casi:
Si conclude allora che i due generatori reali sono equivalenti fra loro, nel senso che
l'uno può essere sostituito con l'altro, se sono verificate le condizioni:
Se vale la (23a), infatti, collegando ai generatori reali un bipolo di impedenza arbitraria Z(jω),
la corrente che scorre in quest'ultimo è la stessa in entrambi i casi.
d i1 ( t ) d i (t ) d i1 ( t ) d i (t )
(24) v1 ( t ) = L1 +M 2 ; v2 ( t ) = M + L2 2
dt dt dt dt
La passività dell'elemento impone le seguenti condizioni per i valori delle tre costanti reali che figurano nelle
equazioni costitutive:
Se, infatti, la porta 2 è aperta, e quindi i2=0, l'elemento si comporta alla porta 1 come un induttore di induttanza
L1, sicchè deve essere L1≥0 per la passività. Analogo discorso, scambiando fra loro le porte, conduce alla
condizione L2≥ 0. La condizione per M, infine, si ricava imponendo la passività dell'elemento quando si
considerino ambedue le porte percorse da corrente. Poichè la potenza assorbita è:
p(t) = v1(t) i1(t) + v2(t) i2(t) = L1i1di1/dt + M(i1di2/dt + i2di1/dt) + L2i2di2/dt
la condizione di passività (7), applicata alle due porte dell'elemento, diventa:
E(t) = ∫p(τ) dτ = ½ L1i1²(t) + Mi1(t)i2(t) + ½ L2i2²(t) ≥ 0
Che è verificata per qualunque valore delle due correnti all'istante generico t, e quindi per qualunque valore del
rapporto i1/i2, soltanto se M²-L1L2 ≤ 0, da cui deriva l'ultima delle condizioni (26).
M
(27) K= 0≤K≤1
L1 L2
Le equazioni costitutive (24) indicano che lo stato del sistema è caratterizzato dalle
due variabili i1(t) e i2(t) (ma ne basta una sola se K=1). E' possibile invertire le equazioni
costitutive, esprimendo le correnti in funzione delle tensioni (e introducendo i termini che
rappresentano lo stato iniziale, come nella (15)), salvo quando si verifica K=1. Questo caso
particolare di accoppiamento totale viene rappresentato con un altro elemento: il trasformatore
ideale.
E' possibile generalizzare l'elemento induttori accoppiati da 2 a N porte. Le costanti che appaiono nelle
equazioni costitutive dovranno soddisfare condizioni analoghe alle (26): Lk ≥ 0, |Mhk| ≤ √(LhLk).
Esercizio. Determinare l'induttanza del circuito ottenuto collegando in serie le due porte dell'elemento induttori
accoppiati, in ciascuno dei due modi possibili. Nel primo si porrà: v = v1+v2, i1=i, i2=i; nel secondo, v = v1-v2,
i1=i, i2=-i.
dove n è una costante reale e il segno negativo che appare nella seconda equazione dipende
dalla scelta coordinata dei versi delle grandezze elettriche. Questo elemento costituisce un
modello dei trasformatori reali (il modulo del coefficiente n rappresenta il rapporto fra il
numero di spire dell'avvolgimento primario e quello del secondario).
12
I trasformatori usati nelle applicazioni di potenza possono presentare rendimenti di oltre il 99%.
Osserviamo infine che il trasformatore ideale può essere ricavato con un passaggio al
limite dall'elemento ideale induttori accoppiati. Per questo occorrono due ipotesi. La prima è
che vi sia accoppiamento totale K=1, cioè M=(L1L2)½, da cui si ha: L1 = n²L, M = nL, L2 = L.
Sostituendo i coefficienti nelle equazioni costitutive (24) si ottiene: v1 = n v2. La seconda
ipotesi è che l'induttanza L abbia valore infinito. Ricavando dalla seconda delle (24) il
rapporto: (di1/dt)/(di2/dt) = (v2/nL)/(di2/dt) - 1/n Facendo tendere L all'infinito, si ottiene:
di1/dt = -(di2/dt)/n. Integrando da -∞ a t si ha infine: i1 = -i2 / n.
E' dunque chiaro che il trasformatore ideale e l'elemento induttori accoppiati sono due
modelli di uno stesso elemento reale, che viene realizzato con due bobine avvolte di solito su
un nucleo di materiale ferromagnetico. Usiamo pertanto un unico circuito equivalente per
rappresentare gli effetti parassiti dei due elementi ideali.
Esercizio 1. Usiamo un trasformatore con rapporto spire n per collegare un carico di resistenza RL = 4 Ω alla
uscita di un amplificatore, che schematizziamo come un generatore di tensione alternata di valore efficace Vo =
10 volt con in serie una resistenza Ro = 1000 Ω. Calcolare, in funzione di n, la tensione efficace ai terminali del
carico, la corrente efficace che attraversa il carico e la potenza assorbita dal carico. Determinare il valore di n che
massimizza quest'ultima grandezza. Calcolare quindi l'induttanza L che deve avere il primario perchè il circuito
trasmetta la banda audio (entro -3 dB al limite inferiore della banda).
Esercizio 2. Abbiamo un amplificatore il cui stadio di uscita (supposto avente resistenza interna nulla) presenta
le seguenti caratteristiche: a) la sua tensione è compresa nell'intervallo -15, +15 V; b) la corrente che può erogare
è compresa tra -0,1 e +0,1 A. Vogliamo usarlo per alimentare un resistore di carico di 8 Ω, al quale si desidera
fornire la massima potenza massima in regime sinusoidale.
1) Calcolare la potenza ottenibile nel carico quando esso viene collegato direttamente all'amplificatore.
2) Calcolare la potenza nel carico quando esso viene collegato all'amplificatore tramite un trasformatore.
3) Determinare il valore del coefficiente n per cui la potenza nel carico è massima.
16. Giratore
La terza rete passiva a due porte, chiamata giratore, è l'unica che non sia reciproca. Le
sue equazioni costitutive sono:
18. Circuito comprendente un transistore bipolare: circuito equivalente per piccoli segnali
L'elettrodo
di base (B) del
transistore in figura
è polarizzato da un
apposito circuito,
che schematizziamo con un generatore ideale di corrente costante IB=60 µA; l'elettrodo di
collettore (C), dall'alimentatore (un generatore di tensione con vo=VCC=12 volt) attraverso il
resistore R=1 kΩ. Se il guadagno di corrente del transistore, in queste condizioni, è pari a 100,
la corrente continua che scorre nel collettore è IC=6 mA e la corrispondente tensione del
collettore, rispetto al riferimento comune di massa, è VC=VCC-ICR=6 volt. Calcolando la
potenza assorbita dai vari elementi, si ottiene: per il generatore di alimentazione pA=-72 mW
(esso, cioè, fornisce potenza), per il resistore pR=36 mW, per il transistore pT=36 mW
(trascurando la potenza dissipata nel circuito di base del transistore).
Quando all'ingresso del circuito viene applicato il generatore di corrente variabile ib(t),
questa corrente si sovrappone a quella di polarizzazione. Se l'eccitazione variabile segue la
legge ib(t)=Ibsenωot, con ampiezza Ib=10√2 µA, la corrente totale nella base del transistore
sarà iB(t)=IB+Ibsenωot; e quella totale nel collettore sarà iC(t)=IC+Icsenωot, con ampiezza
13
Le condizioni di polarizzazione stabiliscono peraltro il valore del parametro di controllo e delle altre costanti
che figurano eventualmente nel modello del dispositivo.
Oltre ai generatori controllati si definiscono vari altri elementi attivi ideali a due porte. Tra questi ci
limitiamo a citare i convertitori di impedenza negativa (negative impedance converters, NIC), che cambiano da
passivo in attivo un elemento bipolare, oltre ad alterarne il valore.
Collegando per esempio un resistore R alla porta 2 di un INIC, si ha: v2 = -i2 R. Si ha d'altra parte v1 =
k1 v2, da cui v1 = -k1 i2 R. Dividendo per i1 = k2 i2, si ottiene infine: v1/i1 = - (k1/k2) R.
Si conclude che il resistore R, osservato attraverso la porta 1 dell'INIC, viene trasformato da passivo in
attivo (o viceversa) e che il valore della resistenza viene mutato nel rapporto k1/k2.
1. Il grafo di un circuito
Un circuito elettrico può essere sempre ricondotto all'interconnessione di r elementi
bipolari, in quanto costituito da bipoli e da elementi a più porte (o da elementi multipolari
riconducibili ai precedenti). Esso è dunque completamente determinato quando si conoscano
le r correnti e le r tensioni di tali elementi, cioè 2r grandezze elettriche. Queste devono
soddisfare al tempo stesso:
a) le relazioni costitutive degli elementi;
b) i vincoli topologici stabiliti dalle due leggi di Kirchhoff (equazioni algebriche lineari
omogenee nelle correnti e nelle tensioni).
L'insieme delle r correnti può essere sempre suddiviso in due sottoinsiemi tali che,
note le correnti del primo (sottoinsieme di correnti indipendenti), i vincoli topologici
determinino1 quelle del secondo (sottoinsieme delle correnti dipendenti). Analogo discorso
vale per le tensioni, che si possono anch'esse suddividere in un sottoinsieme di tensioni
indipendenti e in uno di tensioni dipendenti. Vi sono, generalmente, più modi di suddividere
le correnti (oppure le tensioni) in due sottoinsiemi con queste proprietà.
L'individuazione di questi sottoinsiemi è importante anche perchè costituisce un passo
obbligato verso la determinazione delle equazioni generali del circuito, che sono opportune
combinazioni delle equazioni costitutive degli elementi e delle leggi di Kirchhoff delle
correnti o delle tensioni. E qui notiamo che la suddivisione delle correnti (o delle tensioni) in
sottoinsiemi indipendenti e dipendenti non dipende dalla natura degli elementi del circuito, ma
solo da come essi sono collegati, cioè dalle proprietà topologiche del circuito (quelle che
rimangono invarianti sottoponendolo a deformazione).
Sotto questo punto di vista, le proprietà di un circuito che qui ci interessano sono
completamente descritte dal grafo ad esso associato, che si ottiene sostituendo a ciascun
1
E' immediato, per esempio, osservare che due bipoli collegati in serie sono attraversati dalla stessa corrente:
nota una di queste, l'altra è determinata. Analogo discorso vale per le tensioni di due bipoli disposti in parallelo.
2. Tagli e maglie
Applicando a un circuito la prima legge di Kirchhoff, si utilizza una superficie chiusa
che ne interseca alcuni elementi, attraverso la quale la somma delle correnti è nulla. A
ciascuna di queste superfici (che sono linee chiuse se il circuito può essere disegnato su un
piano2) corrisponde un insieme di rami del grafo che vengono tagliati da essa. Questo insieme
prende il nome di taglio.
Applicando a un circuito la seconda legge di Kirchhoff, si utilizza una linea chiusa,
lungo la quale la somma delle differenze di potenziale è nulla. Una linea di questo tipo prende
il nome di maglia e comprende un insieme di rami del grafo ognuno dei quali ha un nodo in
comune con i due rami adiacenti.
3. Alberi e coalberi
Una importanza speciale hanno quei particolari insiemi di rami che collegano fra loro
tutti i nodi del grafo, ma senza formare percorsi chiusi (cioè maglie). Un insieme di tale tipo
prende il nome di albero. Nel caso di un grafo connesso, che abbia r rami ed n nodi, qualsiasi
albero è costituito da n-1 rami. Il primo ramo dell'albero, infatti, unisce due nodi. L'aggiunta
2
Questo non è sempre possibile.
m=r-n+1
Notiamo che, dato un albero, ciascuna maglia fondamentale contiene un solo ramo del
coalbero e che ciascun ramo del coalbero appare in una sola maglia fondamentale.
Se il circuito non è connesso (cioè vi sono più parti che si influenzano a vicenda, per
esempio attraverso trasformatori) anche il grafo non è connesso ed è costituito allora da p parti
separabili. In tal caso il numero delle diverse maglie fondamentali è:
m = r - n + p.
Togliendo un ramo a un albero, i nodi del grafo restano suddivisi in due gruppi, non
più connessi fra loro. Si può quindi individuare un taglio costituito dal ramo che abbiamo tolto
all'albero e da altri (uno o più) rami del corrispondente coalbero. Un taglio siffatto si chiama
taglio fondamentale (associato all'albero considerato). Il numero di questi tagli è pari a
quello dei rami dell'albero (che possiamo togliere, separatamente, uno per volta). Di tagli
fondamentali, cioè, ve ne sono n-1.
Notiamo che, dato un albero, ciascun taglio fondamentale contiene un solo ramo
dell'albero e che ciascun ramo dell'albero appare in un solo taglio fondamentale.
Consideriamo le tensioni dei rami di un albero: esse costituiscono un insieme di
tensioni indipendenti. Infatti:
a) non esistono legami fra esse (perchè non vi sono maglie);
b) esse definiscono le tensioni di tutti gli n nodi del circuito, e quindi anche le differenze
di potenziale (esprimibili come differenze fra le tensioni dei nodi) di tutti i rami,
compresi quelli del coalbero.
(1) m=r-n+1
(2) t=n-1
(3) m=r-n+p
(4) t=n-p
(5) ∑ k
vk(t) = 0
Per scrivere tali equazioni, si associa a ciascuna maglia una corrente, detta appunto
corrente di maglia, e se ne sceglie il verso arbitrariamente. Le correnti che scorrono nei vari
elementi del circuito si esprimono poi in termini delle correnti di maglia. La corrente di un
elemento che appartenga a una sola maglia sarà uguale alla corrente di tale maglia (presa con
segno positivo se il verso della corrente di maglia coincide con quello assegnato alla corrente
dell'elemento considerato, negativo nel caso opposto). La corrente di un elemento che
appartenga a più maglie sarà espressa come somma algebrica delle correnti delle maglie a cui
esso appartiene (con lo stesso criterio di prima per quanto riguarda i segni).
Notiamo che se il circuito comprende dei generatori di corrente il numero delle
equazioni (5) si riduce da m a:
(6) M = m - gi = r – n + p - g i
dove gi è il numero di generatori di corrente presenti nel circuito. Ciascuno di essi, infatti,
introduce una corrente di intensità nota, sicchè la corrente della maglia in cui il generatore è
inserito è nota a sua volta (oppure, nel caso di generatori controllati, è esprimibile in termini
di correnti di altre maglie). Questo si ottiene peraltro solo se si ha l'avvertenza di scegliere
l'albero in modo che ciascun generatore di corrente sia inserito in un ramo del coalbero
corrispondente3 (solo così la corrente di ciascun generatore coincide con una determinata
corrente di maglia).
3
Questo è sempre possibile con l'unica eccezione, di interesse pratico trascurabile, dei circuiti in cui vi sia un
taglio anomalo costituito da soli generatori di corrente. In questo caso notiamo che: a) il taglio anomalo deve
comunque verificare la prima legge di Kirchhoff; b) la soluzione del problema è indeterminata, ma solo per
quanto riguarda le tensioni fra i due gruppi di nodi nei quali il taglio suddivide il circuito.
dove i segni sono stati determinati in base ai criteri di concordanza (fra corrente di maglia e
correnti degli elementi) esposti prima. Introducendo nella precedente le relazioni costitutive
degli elementi abbiamo:
d 1
R + + ∫ dt i ( t ) − vo ( t ) = 0
dt C
d 1 t
R + L + ∫0 dτ i ( t ) + vC ( 0 ) − vo ( t ) = 0
dt C
Questa può essere risolta solo se si completa la specificazione delle variabili di stato (che qui
sono due) all'istante iniziale, cioè assegnando un valore determinato alla corrente iL(0) che
scorre nell'induttore a t=0.
{ z ( t )} = − C1 ∫ dτ { z ( t )} = − C1 ∫ dτ
t t
e gli operatori mutui: 12 ; 21
0 0
1 1
In ciascuno dei primi figurano tutti e soli gli operatori degli elementi della maglia
corrispondente; in ciascuno dei secondi gli operatori degli elementi in comune (in questo caso
soltanto C1) fra le due maglie. Il segno negativo di {z12(t)} deriva dal fatto che la corrente che
scorre nell'elemento comune, espressa in termini delle correnti di maglia è: iC1(t)=i1(t)-i2(t).
Gli operatori mutui, qui, sono uguali fra loro, esprimendo così la reciprocità del circuito
considerato (che deriva dall'assenza in esso di elementi non reciproci).
Possiamo ora scrivere le equazioni delle maglie nella seguente forma standard:
Queste possono essere risolte senza necessità di ulteriori specificazioni, dal momento
che i valori delle uniche due variabili di stato (le tensioni dei due condensatori) sono già stati
considerati nell'eccitazione generalizzata.
Caso generale
Generalizziamo i risultati illustrati nei due esempi precedenti, considerando il caso di
una rete con m maglie indipendenti, rappresentata da M equazioni.
Scegliamo, innanzitutto, un determinato insieme di maglie indipendenti (e qui
conviene di solito procedere in modo da minimizzare il numero dei termini che figureranno
nelle equazioni4) e assegnamo i versi di percorrenza delle M correnti di maglia ih(t). Per
quanto detto prima, conviene scegliere le maglie in modo che in ciascuno degli eventuali
generatori di corrente scorra una sola corrente di maglia (delle m-M), che risulterà quindi
determinata. Si può anche, in alternativa, trasformare i generatori di corrente in generatori di
4
Quando abbia particolare interesse determinare la tensione di uno specifico elemento (che rappresenta, per
esempio, la tensione d'uscita del circuito), converrà scegliere le maglie in modo che tale elemento sia attraversato
da una sola corrente di maglia.
Le M equazioni della rete, poste nella forma standard, sono dunque le seguenti:
Ad esse vanno poi associate le condizioni iniziali relative alle correnti che scorrono negli
eventuali induttori delle maglie al tempo t=0, il cui numero è compreso fra 0 ed M. In molti
casi semplici le equazioni precedenti possono essere scritte direttamente, sempre a partire
dalle (5), individuando prima le eccitazioni generalizzate e poi gli operatori {zhk(t)} nel modo
seguente. Per ciascuna maglia il corrispondente operatore è:
d 1
{ z ( t )} = R
t
(9) kk
k + Lk +
dt Ck ∫0
dτ
d 1
{ z ( t )} = R ∫ dτ + { z ' ( t )}
t
(10) kh kh + Lkh + kh
dt Ckh 0
dove le grandezze Rkh, Lkh, Ckh rappresentano la resistenza totale, l'induttanza totale (compreso
(12) Vk = Σh Zkh(jω) Ih
dove nelle eccitazioni di maglia figurano solo i generatori di tensione indipendenti (perchè qui
le condizioni iniziali non interessano) e il significato delle impedenze Zkh(jω) dovrebbe essere
ovvio.
con determinante
Vo 1
Applicando il metodo di Cramer si ottiene: I2 =
jω C1 D
VC 2 1
H ( jω ) = =
Vo 1 + jω ( R1C1 + R1C2 + R2C2 ) − ω 2 R1C1 R2C2
Esercizio. Il circuito considerato sopra è costituito da due filtri RC passabasso collegati in cascata, ciascuno dei
quali, preso separatamente, ha risposta in frequenza: Hi(jω) = 1/(1+jωRiCi).
Spiegare perchè H(jω) ≠ H1(jω) H2(jω), dove H(jω) è la risposta in frequenza trovata nell'esempio precedente.
Individuare sotto quali condizioni per i valori dei parametri si ha H(jω) ≈ H1(jω) H2(jω).
Si ottiene così il grafo mostrato nella figura, da cui si ricava, applicando le regole
esposte nella I parte del corso:
− Z 21 Z 22 − Z 21Z C 2Vo
VC 2 = Vo ZC 2 =
1 − Z12 Z 21 Z11 Z 22 Z11Z 22 − Z12 Z 21
1 I2 1 1 I1
Z11 = R1 + ; Z12 = Z 21 = − ; Z 22 = R1 + + ; ZC =
jω C1 jω C1 jω C1 jω C2 jω C2
Vo R1
Vo ' = ; Z ' ( jω ) =
1 + jω R1C1 1 + jω R1C1
Applicando tale
generatore alla parte
del circuito a valle
si ha:
1 jω C2
VC 2 = Vo '
Z '+ R2 + 1 jω C2
E sostituendo nella precedente le espressioni di Vo' e Z' si riottiene infine quanto già trovato
nell'Esempio 1.
Esercizio. Risolvere il circuito precedente con il seguente metodo. Assumendo nota la tensione VC2, in tal caso
sarà nota anche la corrente che attraversa C2 e quindi si potrà calcolare VC1; e allora ....
5
A ciascuna di queste coppie di nodi corrisponde un taglio particolare: quello che isola il nodo "caldo" da tutti
gli altri (in ciascuna delle parti separabili del circuito). Ma questi tagli non si possono ottenere col metodo
descritto precedentemente: occorre modificare prima l'albero del circuito, introducendovi dei rami fittizi in modo
che tutte le coppie di nodi esistenti vengano ad essere collegate fra loro (questi rami corrisponderanno, per
(13) Σk ik(t) = 0
Per scrivere tali equazioni si sceglie un nodo del circuito come riferimento6 (o nodo di
massa) e poi si associa a ciascuno degli altri nodi una tensione, detta tensione di nodo, che
rappresenta la differenza di potenziale tra il nodo considerato e quello di riferimento. Le
correnti ik(t) che figurano nella (13) vengono quindi espresse, introducendo le relazioni
costitutive degli elementi, in termini delle tensioni nodali, che vengono a rappresentare le
incognite del sistema di equazioni del circuito.
Se il circuito contiene dei generatori di tensione, essi determinano le tensioni fra le
coppie di nodi a cui essi sono collegati, riducendo così il numero delle coppie di nodi
effettivamente indipendenti e il numero delle corrispondenti equazioni. Queste sono pertanto,
in un circuito con p parti separabili:
(14) N = t – gv = n - gv - p
esempio, ad elementi di circuito fittizi, di resistenza infinita). Anche questi tagli particolari, naturalmente, sono in
numero di n-1 o n-p.
6
Uno per ciascuna delle p parti separabili del circuito.
−1
d 1
io ( t ) = L vo ( t ) = ∫ dt vo ( t )
dt L
Assumiamo i
versi indicati in figura
per le correnti e le
tensioni degli elementi.
Applicando la (13) al nodo "caldo" si ottiene:
dove i segni sono stati determinati in base ai criteri di concordanza (fra tensione di nodo e
tensioni degli elementi) esposti prima. Introducendo nella precedente le relazioni costitutive
degli elementi abbiamo:
Anche qui, volendo analizzare il circuito a partire da un istante iniziale (al tempo t=0),
trasformiamo l'integrale indefinito in uno definito, fra 0 e t, scrivendo:
1 d 1 t
+ C + ∫0 dτ v ( t ) + iL ( t ) − io ( t ) = 0
R dt L
{ y ( t )} = R1 + C dtd + L1 ∫ dτ
t
e l'operatore integrodifferenziale
0
Questa può essere risolta solo se si completa la specificazione delle variabili di stato
(che in questo caso sono due) all'istante iniziale, cioè assegnando un valore determinato alla
tensione vC(0) del condensatore a t=0.
1 a 1 1 1
− − v1 ( t ) + + + v2 ( t ) = 0
R R RL
R f Ro o f
In queste individuiamo gli operatori, che questa volta sono di natura algebrica, di nodo:
1 1 1 1
{ y11} = { y22 } =
1 1
+ + ; + +
Rs Rin R f Ro R f RL
e mutui:
a
{ y12 } = − { y21} = −
1 1
; −
R f R f Ro
In ciascuno dei primi figurano gli operatori degli elementi collegati al nodo
Queste possono essere risolte senza necessità di ulteriori specificazioni, dal momento che si
tratta di un circuito statico.
Esercizio. Calcolare la risposta ingresso-uscita del circuito, cioè il rapporto v2(t)/vo(t). Individuare per quali
scelte dei parametri questa coincide con la risposta di un amplificatore operazionale invertente (≈ –Rf/Rs).
Caso generale
Generalizziamo i risultati illustrati nei due esempi precedenti, considerando il caso di
una rete con n coppie di nodi indipendenti, rappresentata da N equazioni.
Se la rete comprende generatori di tensione, questi verranno trasformati in generatori
di corrente usando il metodo discusso nella parte II. Il procedimento è immediato se il
generatore è disposto in serie a un solo elemento (cioè se almeno uno dei due nodi fra cui esso
si trova è un nodo semplice);
altrimenti occorre prima
modificare la rete eliminando
il generatore e sostituendolo
con tanti generatori identici
disposti in serie a tutti gli
elementi collegati a uno dei due nodi fra cui esso era disposto, come è mostrato nella figura.
Si può anche analizzare la rete senza trasformare i generatori di tensione in generatori
di corrente. In tal caso gli N nodi per cui si scriveranno le N equazioni del circuito, allo scopo
di determinarne le tensioni, comprenderanno uno solo dei due nodi fra cui ciascuno dei
generatori di tensione è collegato (le tensioni dei t-N nodi restanti sono determinate dalla
conoscenza delle tensioni dei generatori e di quelle degli altri N nodi).
Le N equazioni della rete, poste nella forma standard, sono dunque le seguenti:
N
(16) ik ( t ) = ∑ { ykh ( t )}vh ( t ) per k = 1, 2, ..., N
h =1
Ad esse vanno poi associate le condizioni iniziali relative alle tensioni degli eventuali
condensatori.
In molti casi semplici le equazioni precedenti possono essere scritte direttamente,
sempre a partire dalle (13), individuando prima le eccitazioni generalizzate e poi gli operatori
{yhk(t)} nel modo seguente. Per ciascun nodo il corrispondente operatore è:
{ y ( t )} = R1 d 1 t
(17) kk
k
+ Ck +
dt Lk ∫ dτ
0
dove Rk rappresenta l'inverso della somma degli inversi di tutte le resistenze, Lk l'inverso della
somma degli inversi di tutte le induttanze, Ck la somma di tutte le capacità degli elementi
collegati al nodo k.
Per ciascuna coppia k,h di nodi tali che il secondo influenzi il primo (cioè abbiano
almeno un elemento collegato fra essi oppure nel primo vi sia un generatore di corrente
controllato dalla tensione del secondo nodo) l'operatore mutuo è:
1 d 1
{ y ( t )} = R ∫ dτ + { y′ ( t )}
t
(18) kh + Ckh + kh
kh dt Lkh 0
dove le grandezze Rkh, Lkh, Ckh rappresentano la resistenza totale, l'induttanza totale
(compreso il contributo delle eventuali mutue induzioni) e la capacità totale degli elementi
collegati fra i due nodi, e dove l'operatore {y'kh(t)}, se presente, rappresenta l'effetto della
DUALITA' E ANALOGIE
d 1 1 d 1
vo ( t ) = R + L + ∫ dt i ( t ) ; io ( t ) = + C ' + ∫ dt
dt C R' dt L '
che hanno esattamente la medesima struttura e che vengono addirittura a coincidere se i valori
numerici dei coefficienti soddisfano le uguaglianze: R' = 1/R, L' = C, C' = L. Evidentemente,
poi, se io(t) = vo(t) le due soluzioni sono identiche a loro volta.
In generale si dicono duali due maglia indipendente coppia di nodi indipendente
circuiti che siano rappresentati dalle stesse corrente di maglia tensione di nodo
generatore di tensione generatore di corrente
equazioni, l'uno su base nodi, l'altro su base generatore di corrente generatore di tensione
elementi in serie elementi in parallelo
maglie. Fra due reti duali si può costruire la resistenza R resistenza R'=1/R
induttanza L capacità C'=L
tabella di corrispondenza qui a fianco.
capacità C induttanza L'=C
7
Questo non è sempre possibile, ma soltanto per le reti dette planari, che sono quelle che si possono disegnare
sul piano senza che due rami s'incrocino (cioè che non hanno elementi comuni a tre o più maglie).
8
Notiamo che in elettronica il termine oscillatore di solito non è usato per designare i circuiti risonanti ma solo i
Notiamo che si può stabilire anche una seconda analogia elettromeccanica, duale della precedente, ottenuta
mediante le corrispondenze fra le grandezze meccaniche e le grandezze elettriche duali di quelle della tabella.
Il metodo delle analogie è usato anche per studiare i sistemi termici in termini di
circuiti elettrici equivalenti. Si tratta, naturalmente, di sistemi termici schematizzati in termini
di elementi concentrati e quindi descritti da equazioni differenziali ordinarie (intese come
approssimazione delle equazioni alle derivate parziali che descrivono il trasferimento del
calore per conduzione). In questo caso l'analogia usata più spesso è descritta dalla tabella
seguente, dove si nota l'assenza di elementi induttivi, in accordo con la forma delle equazioni
che descrivono i fenomeni termici.
dT ( t ) To T ( t )
Ct = p (t ) + −
dt Rt Rt
Esempio 2. Vogliamo studiare l'andamento della temperatura T(t) nella regione attiva di un
transistore conoscendo l'andamento temporale della potenza elettrica dissipata nel dispositivo
p(t) ≈ v(t) i(t), la capacità termica CJ della giunzione, la resistenza termica RJC fra la regione
attiva e il contenitore del dispositivo, la capacità termica CC del contenitore e la resistenza
termica RC fra il contenitore e l'ambiente esterno, che si suppone trovarsi alla temperatura
fissa To.
Questo circuito è usato in pratica
per scegliere i parametri del sistema in
modo che, anche nelle condizioni di
funzionamento più gravose, la temperatura
TJ della zona attiva del transistore non superi mai il valore oltre il quale il dispositivo si
guasta, non assuma valori tali da provocare il cattivo funzionamento del circuito per effetto
delle variazioni dei parametri che dipendono dalla temperatura (correnti di perdita, ecc.) e
mantenga comunque valori sufficientemente bassi da non peggiorare l’affidabilità.
Il metodo delle analogie trova impieghi importanti anche nello studio dei sistemi
elettromeccanici, che comprendono una parte costituita da elementi elettrici e una costituita da
elementi meccanici, che sono accoppiate fra loro in modo trasferimento di segnali dall'una
parte all'altra. Questo è il caso, per esempio, dei trasduttori (microfoni, altoparlanti, sensori di
vibrazioni, ecc.) dove l'accoppiamento elettromeccanico può derivare, a seconda dei casi, da
forze elettrostatiche, forze elettrodinamiche, effetti piezoelettrici.
Un caso di interesse diretto in elettronica è quello dei cristalli di quarzo. Tali
dispositivi sono degli oscillatori meccanici che vibrano a frequenze determinate dalla loro
geometria e che presentano dissipazioni generalmente molto basse, costituendo così dei
risonatori con valori molto alti del fattore di merito, vari ordini di grandezza maggiori di
quelli ottenibili da un circuito elettrico risonante. Essi sono costituiti da una lastrina di quarzo,
le cui facce vengono metallizzate e collegate ai due terminali del dispositivo. La parte
Esercizio. Tracciare il grafico dell’impedenza di un cristallo di quarzo con C2=20 pF, C1=C2/103, Q meccanico
di 105 e risonanza serie fo=215 Hz.
In quanto precede abbiamo sempre considerato il caso di circuiti lineari, cioè costituiti
esclusivamente dagli elementi ideali discussi nella parte II. Ha spesso interesse, d'altra parte,
l'analisi di circuiti comprendenti anche elementi nonlineari (diodi, transistori, ecc.), che non
s'intendano linearizzare. Limitandosi al caso statico, questi elementi saranno rappresentati
mediante opportuni modelli, espressi nella forma di relazioni nonlineari, algebriche,
polinomiali o trascendenti, nelle variabili elettriche. Qui, a differenza del caso lineare, sorge il
problema dell'esistenza e dell'unicità della soluzione delle equazioni del circuito. Mentre è
chiaro che il circuito fisico ammette sempre una soluzione (una o più di una), non è affatto
detto in generale che il modello (matematico) che si considera ammetta soluzione.
Nei problemi più semplici sono molto convenienti le tecniche di soluzione di tipo
grafico, che esamineremo in seguito a proposito dei diodi. Nei casi più complicati la soluzione
dove v(t) è la tensione d'ingresso, τ=RC la costante di tempo del circuito, vc(t) la tensione del
condensatore (che coincide con l'uscita del circuito). Sebbene vi siano vari modi per
approssimare la derivata, useremo il seguente, detto algoritmo di Eulero inverso:
Ponendo a=Tc/(Tc+τ), b=τ /(Tc+τ) e sostituendo nella (1) si ha: vc(t) ≈ av(t) + bvc(t-Tc).
La riscriviamo tenendo presente che nella rappresentazione a tempo discreto i valori che la
variabile tempo può assumere sono solo quelli appartenenti alla sequenza t=kTc, con k intero:
Esercizio. Calcolare numericamente, utilizzando la (3), la risposta indiciale del modello discreto di un circuito
RC passabasso con τ = 1 s: a) scegliendo Tc = 0.2 s; b) scegliendo Tc = 0.05 s. Confrontare i risultati ottenuti con
quelli ricavati dall'analisi esatta del circuito.
Per facilitare la risoluzione delle equazioni differenziali dei circuiti e dei sistemi
lineari e stazionari, riconducendole a equazioni algebriche mediante opportune
trasformazioni, sono stati introdotti vari metodi, chiamati spesso metodi operazionali.
Utilizzando questi metodi il segnale d'ingresso viene decomposto esprimendolo come
somma o integrale di determinate funzioni base, le equazioni (trasformate in algebriche)
vengono risolte per queste funzioni e la soluzione ottenuta viene poi ricondotta (mediante
antitrasformazione) a rappresentare il segnale d'uscita nel dominio del tempo.
I vari metodi differiscono per i tipi di funzioni base impiegate, e quindi dei segnali ai
quali essi possono venire applicati:
sinusoidi pure di frequenza data metodo simbolico
sinusoidi con frequenze multiple di una data serie di Fourier
esponenziali complessi trasformata di Fourier
esponenziali complessi (nulli per t<0) trasformata di Laplace
1. La trasformata di Fourier
Uno dei metodi operazionali più importanti è il metodo della trasformata di Fourier,
che è basato sui due seguenti integrali:
∞
(1) F (ω ) = ∫ f ( t ) exp ( − jω t ) dt
−∞
1 ∞
(2) f (t ) = ∫ F (ω ) exp ( jω t ) dω
2π −∞
∞
(3) ∫ f ( t ) dt < ∞
−∞
Questa condizione non è verificata per molte funzioni di notevole interesse, fra cui tutte le
funzioni periodiche, mentre lo è certamente per le funzioni limitate dotate di supporto
temporale limitato (identicamente nulle al di fuori di un dato intervallo t1, t2), che
rappresentano segnali transitori.
La proprietà essenziale della trasformata di Fourier, che la rende particolarmente
appropriata allo studio dei circuiti dinamici è la seguente: la trasformata della derivata
temporale di una funzione del tempo è data dal prodotto di jω per la trasformata della
funzione considerata, la trasformata dell'integrale di una funzione è data dal rapporto fra la
trasformata della funzione e jω. Applicando la trasformazione di Fourier a una equazione
integrodifferenziale, questa si riduce pertanto a una equazione algebrica nelle trasformate di
Fourier dei segnali.
Alcuni segnali
esponenziali.
che verifica la condizione (3), dato che ha area finita (in particolare unitaria). Utilizzando la
(1) si ottiene la corrispondente trasformata
α 0 α ∞ 1 α 1 α α2
F (ω ) = exp ( − jω t + α t ) dt + exp ( − jω t − α t ) dt =
2 ∫−∞ 2 ∫0
+ = 2
2 α − jω 2 α + jω α + ω 2
jω
F (ω ) =
α +ω2
2
F(ω) è una funzione immaginaria della variabile ω. Ricordiamo anche che questa è una
proprietà generale delle trasformate di Fourier delle funzioni dispari del tempo.
(7) s = σ + jω
∞
(8) F ( s ) = L f ( t ) = ∫ f ( t ) exp ( − st ) dt
0
1 σ + j∞
f ( t ) = L−1 F ( s ) = F ( s ) exp ( st ) ds
2π j ∫σ
(9)
− j∞
3. I teoremi fondamentali
Fra i teoremi più importanti ricordiamo i seguenti, dove assumiamo che le funzioni
del tempo f(t) siano trasformabili con trasformata F(s) e indichiamo la corrispondenza tra una
funzione e la sua trasformata con la notazione: f(t) ↔ F(s).
F (s)
L ∫ f ( t ' ) dt ' =
t
(12)
0 s
5) Valore finale.
lim lim
(14) f (t ) = sF ( s )
t→∞ s→0
7) Cambiamento di scala.
L ∫ f1 (τ ) f 2 ( t − τ )dτ = F1 ( s ) F2 ( s )
t
(18)
0
1
Attenzione: si ottengono così i valori asintotici, non gli andamenti asintotici, della funzione.
∞
(19) δ ( t ) ↔ ∫ δ ( t ) exp ( − st )dt = exp ( − st ) t =0 = 1
0
Con questi risultati, usando anche il teorema di traslazione nel dominio del tempo
(15), si ottengono le trasformate di molti segnali usati in elettronica. Nel caso, per esempio, di
un impulso rettangolare di durata T si ha:
∞ 1 ∞ 1
(24) exp ( γ t ) ↔ ∫ exp ( γ − s ) t dt = ∫ exp ( γ − s ) t d ( γ − s ) t =
0 γ −s 0 s −γ
1
(26) u ( t ) exp ( j β t ) ↔
s − jβ
exp ( j β t ) − exp ( − j β t ) β
(27) u ( t ) sin ( β t ) = ↔ 2
2j s + β2
exp ( j β t ) + exp ( − j β t ) s
(28) u ( t ) cos ( β t ) = ↔ 2
2 s + β2
exp ( j β t ) − exp ( − j β t ) β
(29) u ( t ) exp ( −α t ) sin ( β t ) = u (t ) exp ( −α t ) ↔
(s + α )
2
2j + β2
exp ( j β t ) + exp ( − j β t ) s +α
(29a) u ( t ) exp ( −α t ) cos ( β t ) = u (t ) exp ( −α t ) ↔
(s + α )
2
2 + β2
Si conclude che la risposta forzata nel dominio di s è sempre espressa dal prodotto fra la
trasformata del segnale d'ingresso e una funzione che esprime le proprietà del circuito
considerato. A seconda dei casi - tensioni relative a due porte di un circuito, correnti e
tensioni relative a una stessa porta o a due porte diverse - avremo dunque
V1 ( s ) τ v2 ( 0 )
+
(33) V2 ( s ) = +
1+τ s 1+τ s
dove il primo termine a destra rappresenta la risposta forzata del circuito V2f(s), dovuta
all'effetto della tensione d'ingresso, mentre il secondo rappresenta invece la risposta libera
V2l(s), determinata dallo stato iniziale.
L'antitrasformazione del termine relativo alla risposta libera è immediata: utilizzando
la (25) si ha infatti, v2l(t) = v2(0+) u(t)e-t/τ. Il termine relativo alla risposta forzata è dato dal
prodotto fra la trasformata della funzione d'ingresso e una funzione che rappresenta le
proprietà del circuito considerato: in questo caso la funzione di trasferimento del circuito
dalla porta d'ingresso a quella d'uscita espressa nel dominio della variabile s. Si ha dunque
V2 f ( s ) 1
(34) H (s) = =
V1 ( s ) 1+τ s
1 exp ( −t / τ )
(37) h ( t ) = L−1 = u (t )
1 + τ s τ
Si conclude che in
generale che la funzione H(s)/s
coincide con la trasformata della
risposta indiciale e, inoltre, che
nel caso di eccitazione a gradino unitario la trasformata dell'uscita coincide con H(s)/s.
Il calcolo della risposta indiciale si esegue antitrasformando la funzione Hu(s)= H(s)/s,
che nel nostro caso non è esprimibile direttamente in termini delle funzioni considerate in
precedenza. Ad esse però può essere ricondotta mediante sviluppo in frazioni parziali.
Utilizzando la (34) e ponendo
H (s) 1 A B
(40) = = +
s s (1 + τ s ) s 1 + τ s
H (s) −1 1 τ
(41) hu ( t ) = L−1 =L − = u ( t ) (1 − exp ( −t / τ ) )
s s 1 + τ s
1 t v (0) I ( s )
(42) v (t ) = v (0) + ∫ i ( t ' ) dt ' ↔ V ( s ) = +
C 0 s sC
dove le condizioni
iniziali sono
rappresentate, nei
due casi, nella
forma di un
gradino di tensione di ampiezza v(0) e di un impulso di corrente di intensità Cv(0)
(corrispondente alla carica Q=Cv(0)).
Analogamente, per un induttore L si ha
1 t i ( 0) V ( s )
i (t ) = i (0) + ( ) ( )
L ∫0
(44) v t ' dt ' ↔ I s = +
s sL
(45) v(t) = Ldi/dt ↔ V(s) = sLI(s) - Li(0)
dove le condizioni iniziali sono rappresentate, nei due casi, nella forma di un gradino di
corrente di ampiezza i(0) e di un impulso di tensione Li(0) (corrispondente al flusso φ=Li(0)).
Così procedendo, possiamo scrivere direttamente l'equazione trasformata del circuito
RLC mostrato in figura nella forma
dove Z(s) è l'impedenza del circuito nel dominio di s e V(s) è l'eccitazione generalizzata.
Procedendo allo stesso modo le equazioni delle maglie e dei nodi di un circuito si
scriveranno nelle forme seguenti:
N (s)
∑b s j
j
(52) F (s) = = j =0
D (s) n
∑a s
i =0
i
i
N ( s ) bm ( s − z1 )( s − z2 ) ... ( s − zm )
(53) F (s) = =
D ( s ) an ( s − p1 )( s − p2 ) ... ( s − pn )
2
Questo è quanto si verifica nello studio dei circuiti elettrici: i coefficienti ai e bj sono tutti reali perchè tali sono
i coefficienti delle equazioni differenziali, nelle cui espressioni figurano i parametri dei circuiti (R, L, C, ecc.).
Dal momento che l'impiego della formula (9) per l'antitrasformazione è generalmente
tutt'altro che agevole, i metodi di antitrasformazione più usati in pratica sono i seguenti:
a) uso di tabelle3 con eventuale impiego di appropriati teoremi;
b) metodo dei residui;
c) sviluppo in frazioni parziali;
d) metodi numerici;
e) uso del calcolatore (con metodi numerici o programmi simbolici).
La formula (9) non è del tutto inutile. Da essa deriva infatti un metodo di
antitrasformazione (metodo dei residui) per le funzioni razionali fratte di s. E qui ricordiamo
che le funzioni impedenza, ammettenza e di trasferimento dei circuiti a costanti concentrate
sono appunto funzioni razionali fratte di s (ma non è detto però che tali siano anche le
trasformate di Laplace dei segnali d'ingresso che, nell'espressione dei segnali d'uscita che
occorre antitrasformare, vanno a moltiplicare le funzioni caratteristiche dei circuiti).
3
Le coppie trasformata-antitrasformata riportate in quanto precede già costituiscono una tabella sufficiente a
trattare molti casi. Tabelle molto più estese sono raccolte in vari testi. Fra questi citiamo i seguenti:
J. G. Holbrook Laplace Transforms for Electronic Engineers Pergamon Press, Londra, 1959
F. E. Nixon Handbook of Laplace Transformation Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1960
N (s)
∑b s j
j
F (s) =
j =0
(54) =
D (s) n
∑a s
i =0
i
i
1
f ( t ) = L−1 F ( s ) = F ( s ) exp ( st ) ds
2π j v∫ C
(55)
Dal momento che il cammino chiuso C racchiude tutti i poli della funzione integranda,
l'integrale può essere espresso in termini della sommatoria
dove i residui Ri, se la funzione F(s) non possiede poli multipli, si calcolano con la formula
(57) Ri = [(s-pi)F(s)exp(st)]s=p
i
Si conclude in generale che l'antitrasformata f(t) di una funzione razionale fratta F(s),
che sia una frazione propria e abbia tutti i poli distinti, è una sommatoria di prodotti fra un
coefficiente indipendente dal tempo e un fattore exp(pit) dipendente dal tempo, il cui
andamento temporale è pertanto determinato dai poli della funzione.
Se la funzione F(s) possiede poli multipli, l'espressione dei residui corrispondenti ha
una forma diversa dalla (57), contenendo anche prodotti di potenze di t per gli esponenziali.
bm b
(60) F ( s) = + G ( s ) ↔ f ( t ) = m δ ( t ) + L−1 G ( s )
an an
dove G(s) è evidentemente una frazione propria e, ricordando la (19), l'antitrasformata del
termine costante è una funzione delta.
Di particolare importanza è l'andamento asintotico di una funzione antitrasformata per
t che tende all'infinito. La (58), in particolare, mostra che la funzione f(t) converge a zero
soltanto se tutti i poli della F(s) possiedono parte reale negativa. Questo ha importanti
conseguenze ai fini della stabilità di un circuito, in relazione a quanto detto a pag. 39 della
Parte I, quando la F(s) è una funzione di trasferimento e la corrispondente antitrasformata è
allora una risposta impulsiva: un circuito è stabile (nel senso b.i.b.o.) soltanto se la sua
funzione di trasferimento non possiede alcun polo con parte reale nulla o positiva.
τ 1s A s
(61) H (s) = A =
(1 + τ1s )(1 + τ 2 s ) τ 2 ( s − p1 )( s − p2 )
dove i poli sono
H (s) A 1
(63) Hu ( s ) = =
s τ 2 ( s − p1 )( s − p2 )
e dunque in base alla (58) si ha
Applicando alla (63) i teoremi del valore iniziale e del valore finale si ricava che hu(0) e hu(∞)
sono nulli entrambi, in accordo col fatto che il circuito non trasmette nè la continua nè le
frequenze più alte.
Calcoliamo i coefficienti U1 e U2 usando la formula (59)
A 1 Aτ 1
(65) U1 = ( s − p1 ) H u ( s ) s = p = =
1
τ 2 ( s − p2 ) s = p1 τ1 − τ 2
A 1 Aτ 1
(66) U 2 = ( s − p2 ) H u ( s ) s = p = =
2
τ 2 ( s − p1 ) s = p2 τ 2 − τ 1
τ1
(67) hu ( t ) = A exp ( −t / τ 1 ) − exp ( −t / τ 2 ) u ( t )
τ1 − τ 2
Dalla (68) si ricava inoltre che in continua lo sfasamento è +π/2 (in anticipo), a frequenza
infinita -π/2 (in ritardo).
N ( s ) n Ui
(71) F (s) = =∑
D ( s ) i =1 s − pi
N ( s )( s − pi ) ( s − pi ) + ... + U ... + U ( s − pi )
(72) F ( s )( s − pi ) = = U1
D (s) ( s − p1 ) ( s − pn )
i n
Il circuito mostrato nella figura prende il nome di partitore RC. Vogliamo calcolarne
la risposta indiciale. Ponendo τ=RC e chiamando
αR R
(73) Z1 ( s ) = ; Z2 ( s ) =
1 + αβτ s 1+τ s
Z2 ( s ) 1 1 + αβτ s
(74) H (s) = =
Z1 ( s ) + Z 2 ( s ) 1 + α 1 + ατ s (1 + β ) / (1 + α )
H (s) 1 1+τ zs
(76) V2 ( s ) = H u ( s ) = =
s 1 + α s (1 + τ p s )
Questa funzione, in aggiunta alle singolarità relative alla funzione di trasferimento del
circuito, possiede un polo reale all'origine, relativo al segnale d'ingresso: si tratta di una
frazione propria con m=1 e n=2. Riscrivendola in termini di poli e zeri, con
(77)
1 1 1 1+α
z=− =− ; p1 = 0 ; p2 = − =−
τz αβτ τp α (1 + β )τ
si ha
β s−z U1 U2
(78) Hu ( s ) = = +
1 + β ( s − p1 )( s − p2 ) s − p1 s − p2
Questi risultati s'interpretano considerando che la risposta del partitore ai tempi brevi (alle
alte frequenze) è determinata dai condensatori, come se si avesse un partitore puramente
capacitivo; mentre quella ai tempi lunghi (alle basse frequenze) è determinata invece dai
resistori, come se si avesse un partitore puramente resistivo.
La (78) mostra che la funzione antitrasformata ha la forma
1 αβ − 1
(80) U1 = ; U2 =
1+α (1 + α )(1 + β )
Sostituendo nella (79) si ottiene infine l'espressione della risposta indiciale del partitore:
1 αβ − 1 (1 + α ) t
hu ( t ) = 1 + exp u (t )
1+α (1 + β ) α (1 + β )τ
Questa funzione ha andamento esponenziale, che
raccorda i valori iniziale e finale determinati prima. La
sua forma, come è mostrato nella figura, dipende in
modo sostanziale dai valori dei parametri del circuito,
cioè a seconda che il prodotto αβ sia maggiore, uguale o
minore dell'unità (e conseguentemente il valore iniziale
della funzione sia maggiore, uguale o minore di quello
finale).
Un caso particolare molto interessante è quello per cui αβ=1 e quindi la risposta
indiciale è un gradino di tensione, cioè ha la stessa forma dell'eccitazione: conseguenza
importantissima è che la risposta a qualsiasi segnale d'ingresso ne ha la stessa forma, a parte
un fattore di scala. Il partitore RC si comporta allora come un circuito statico, sebbene
contenga dei condensatori, cioè elementi dotati di memoria. In questo caso, infatti, si verifica
il fenomeno della cancellazione polo-zero: dato che il polo p2 e lo zero z assumono lo stesso
valore, i termini che li rappresentano si elidono nella funzione di trasferimento H(s) che
diventa indipendente da s, come in un circuito statico. Il circuito, in queste condizioni, prende
il nome di partitore compensato.
Il partitore RC contiene due condensatori, e dunque in linea di principio ha due variabili di stato. Nel
circuito considerato, tuttavia, queste due variabili, cioè le tensioni dei due condensatori, non sono controllabili
indipendentemente da parte dell'ingresso, per come sono disposti i due elementi (essi sono in serie fra loro
rispetto all'ingresso). Questo spiega perchè nella relazione ingresso-uscita figura una sola variabile di stato. La
conseguenza è che l'equazione differenziale del circuito è del primo ordine e corrispondentemente la sua
funzione di trasferimento ha un solo polo. Quando poi αβ=1, e allora i fattori di partizione del partitore
capacitivo (β/(1+β)) e di quello resistivo (1/(1+α)) diventano uguali fra loro, anche questa variabile di stato
svanisce (e si ha formalmente il fenomeno della cancellazione polo-zero) nel senso che non vi sono effetti di
memoria in quanto la risposta ai tempi lunghi coincide con quella ai tempi brevi.
Esercizio. Il partitore RC esaminato nell'Esempio precedente trova numerosi impieghi ed è usato fra l'altro nelle
sonde degli oscilloscopi. Queste sonde si usano per osservare un segnale perturbando il meno possibile la
sorgente, cioè presentando ad essa elevata impedenza e in particolare bassa capacità: alquanto inferiore a quella
che vedrebbe la sorgente se l'ingresso dell'oscilloscopio venisse collegato direttamente ad essa (qualche decina
U i1 Ui2 U ir
(82) F ( s ) = ... + + + ... + r + ...
( s − pi ) ( s − pi ) 2
( s − pi )
(84) p = -1/τ
U1 U12 U 22
(85) Hu ( s ) = + +
s ( s − p ) ( s − p )2
L'antitrasformazione dei primi due termini è immediata; quella del terzo si ottiene ricordando
la coppia (21), relativa a una rampa, e usando il teorema di traslazione nel campo complesso
(17). Il risultato è
Dal momento che l'andamento temporale di una funzione del tempo dipende
essenzialmente dalla natura dei poli della corrispondente funzione di s, ci può chiedere quale
sia il ruolo svolto dagli zeri. La risposta è che essi influenzano fortemente i coefficienti (Ui)
dei fattori esponenziali la cui sommatoria costituisce la funzione f(t).
Si nota, in particolare, che quando uno zero ha valore prossimo a quello di un polo, il
coefficiente relativo a quel polo assume valori tanto più piccoli quanto minore è la distanza
fra le due singolarità. Quanto si è detto è presto verificato esaminando la funzione
F(s) = (s-z)/(s-p)
F(s) = 1 + (p-z)/(s-p)
la cui antitrasformata mostra appunto che l'ampiezza del termine esponenziale dipende dalla
differenza (p-z)
Un caso interessante è quello degli zeri che si trovano sull'asse immaginario. In questo
caso la funzione, considerata nel dominio di ω, presenta antirisonanza alla frequenza degli
zeri, con il risultato, se si tratta di una funzione di trasferimento, che a quella frequenza la
trasmissione si annulla (filtro eliminafrequenza o filtro notch); tali zeri si chiamano per
questo "zeri di trasmissione".
Un altro problema riguarda la profonda diversità della forma delle funzioni del tempo corrispondenti a
funzioni di s con poli distinti e poli multipli (e anche in questo caso è chiaro che in nessun circuito fisico reale i
valori dei parametri potranno essere tali che due poli coincidano esattamente).
Considerando funzioni con due poli, nei due casi si ha infatti:
1
F (s) = ↔ f ( t ) = t exp ( pt )
(s − p)
2
Esaminiamo cosa avviene quando i due poli sono assai prossimi fra loro, ponendo p1=p(1+ε) e p2=p(1-ε) nella
F'(s). Sostituendo p1 e p2 nella espressione della f'(t) e sviluppando in serie gli esponenziali si ha:
exp ( pt ) exp ( pt )
f '( t ) = exp ( ε pt ) − exp ( −ε pt ) ≈ (1 + ε pt ) − (1 − ε pt ) = t exp ( pt )
2ε p 2ε p
La f'(t) è dunque approssimativamente uguale alla f(t), a cui diventa uguale quando ε tende a zero.
Tutte queste funzioni, definite come rapporti fra trasformate di grandezze elettriche,
possono essere interpretate in vari modi. La prima interpretazione è quella di risposta, nel
dominio di s, a una eccitazione impulsiva, ossia di trasformata di una risposta impulsiva.
Consideriamo per esempio la funzione di trasferimento H(s), definita dal rapporto fra le
trasformate della tensione alla porta 2 e di quella alla porta 1 di una rete:
V2 ( s )
H (s) =
V1 ( s )
E' evidente che quando v1(t)=δ(t) la V2(s) coincide con H(s), che quindi rappresenta la
trasformata della risposta impulsiva h(t) della rete.
2. Risposta in frequenza
V
(2) V1 ( s ) =
s − jω
V
(3) V2 ( s ) = H (s)
s − jω
con antitrasformata
dove la sommatoria è estesa a tutti i poli pi della funzione di trasferimento (supposti distinti,
per semplicità). Se il sistema è stabile, cioè le parti reali di tutti i suoi poli sono negative,
allora a tempi sufficientemente lunghi i termini relativi alla sommatoria sono tutti destinati a
svanire, mentre sopravviverà solo il primo termine. Il coefficiente di quest'ultimo, calcolato al
solito modo, vale
Si potrebbe pensare di calcolare la risposta in regime sinusoidale di una rete di cui sia nota la funzione
di trasferimento H(s) antitrasformando il prodotto di tale funzione per la trasformata di Laplace di una sinusoide
ωo/(s²+ωo²). Va notato tuttavia che il segnale così ottenuto rappresenta la risposta desiderata (cioè la risposta in
regime permanente sinusoidale) soltanto dopo un certo tempo. Il motivo è che la "sinusoide" così applicata non
è un segnale armonico puro, ma il prodotto di un segnale armonico per un gradino unitario a t=0, a cui è
associata una risposta transitoria che si esaurisce soltanto dopo un tempo sufficientemente lungo (3-5 volte, in
pratica) rispetto alla più lunga delle costanti di tempo in gioco (determinate dalle parti reali dei poli della
funzione di trasferimento).
Si noti che il fenomeno è del tutto analogo a quanto si verifica nelle misure di risposta in frequenza,
l’esecuzione di ciascuna delle quali, come è noto, richiede un certo tempo (con particolare riferimento ai sistemi
risonanti ad altissimo Q e ai sistemi “lenti”, come quelli termici). E del resto al tempo t dopo l’applicazione
della “sinusoide” il segnale effettivamente applicato al sistema non è altro che un pacchetto d’onda di durata t, il
cui contenuto spettrale non è certamente una riga.
3. Le risposte caratteristiche
B) delle risposte indici nel dominio del tempo (risposte impulsive o risposte indiciali),
calcolate risolvendo le equazioni del circuito oppure, più spesso, mediante
antitrasformazione delle corrispondenti funzioni di rete:
Notiamo che queste due caratterizzazioni sono formalmente equivalenti, dal momento
che è sempre possibile passare dall'una all'altra mediante trasformazione o
antitrasformazione. Ma non sempre, in pratica, il passaggio dall'una all'altra è immediato, in
particolare quando la caratterizzazione del circuito (nel dominio del tempo o in quello della
frequenza) è stata eseguita sperimentalmente e i dati sono allora disponibili in forma di
grafici o tabelle, e non in forma analitica.
La forma delle funzioni di rete, che sono sempre funzioni reali della variabile s,
dipende dalla natura dei circuiti. Nel caso dei circuiti a costanti concentrate esse sono
funzioni razionali fratte di s, a coefficienti costanti reali1; nel caso dei circuiti a costanti
distribuite, funzioni trascendenti di s.
Nel primo caso, che è quello di cui ci occupiamo in quanto segue, il numero di
singolarità (poli e zeri) è finito, nel secondo, invece, generalmente infinito (il numero di
1
I coefficienti sono costanti dato che i circuiti sono stazionari (ricordiamo che le funzioni di rete sono definite
soltanto per circuiti lineari e stazionari). I coefficienti sono reali dato che sono reali i parametri (R, C, L, ecc.)
degli elementi che costituiscono i circuiti.
• a coppie di poli
complessi corrispondono
andamenti oscillanti,
Qui notiamo che le funzioni di trasferimento relative alle reti passive possono avere
soltanto poli con parte reale negativa o nulla, ma i poli con parte reale nulla derivano dalla
presenza di elementi reattivi ideali (senza dissipazioni) e pertanto nei circuiti passivi reali i
poli hanno sempre parte reale negativa. Soltanto le reti attive possono avere anche poli con
parte reale positiva (e in tal caso sono instabili).
4. I circuiti RC
L'ammettenza
indiciale, cioè la
corrente che scorre
nel circuito quando
esso è eccitato da una
tensione a gradino unitario, è
Y ( s ) −1 1 τ
(9) yu ( t ) = L−1 =L
s R 1 + sτ
lim lim
(10) yu ( 0 ) = Y (s) = 1 R ; yu ( ∞ ) = Y (s) = 0
s→∞ s→0
Y ( s ) u (t )
(10) yu ( t ) = L−1 = exp ( − t τ )
s R
L'ammettenza impulsiva y(t), cioè la corrente che scorre nel circuito quando esso è eccitato
da una tensione impulsiva unitaria, si può ottenere antitrasformando la Y(s) oppure derivando
rispetto al tempo l'ammettenza indiciale:
δ ( t ) u ( t ) exp ( − t τ )
(11) y (t ) = −
R R τ
Questo andamento si
spiega come segue. La
tensione impulsiva
unitaria d'ingresso
Il circuito CR si
ottiene dal circuito
precedente disponendolo
come mostrato nella
figura, realizzando così
una rete a due porte. La funzione di trasferimento è la seguente
τs
(12) H ( s ) = RY ( s ) =
1+τ s
Si noti che per |s|<<1/τ (cioè ai tempi lunghi) tale funzione si può approssimare con τs, che
rappresenta la funzione di trasferimento di un derivatore. Per questo il circuito CR viene
anche denominato "quasi derivatore".
u ( t ) exp ( − t τ )
(13) h ( t ) = Ry ( t ) = δ ( t ) −
τ
(14) hu ( t ) = R yu ( t ) = u ( t ) exp ( − t τ )
Esaminando la risposta
impulsiva, si nota che
inizialmente l'uscita
riproduce la funzione
impulsiva d'ingresso
mentre la corrente impulsiva carica istantaneamente il condensatore, portando a tensione
negativa l'armatura collegata al nodo d'uscita; successivamente, di conseguenza, l'uscita
jωτ
(15) H ( jω ) =
1 + jωτ
ωτ π
(16) H ( jω ) = ; ∠H ( jω ) = − arctan (ωτ )
1+ ω τ 2 2 2
1 1
(17) H (s) = Y (s) =
sC 1+τ s
Si noti che per |s|>>1/τ (cioè ai tempi brevi) tale funzione si può approssimare con 1/τs, che
rappresenta la funzione di trasferimento di un integratore. Per questo il circuito RC viene
anche denominato "quasi
integratore".
La risposta impulsiva
e quella indiciale si ottengono
dalla (17) mediante
antitrasformazione:
u ( t ) exp ( − t τ )
(18) h ( t ) = L−1 H ( s ) =
τ
H (s)
(19) hu ( t ) = L−1 = u ( t ) (1 − exp ( − t τ ) )
s
1
(20) H ( jω ) =
1 + jωτ
1
(21) H ( jω ) = ; ∠H ( jω ) = − arctan (ωτ )
1 + ω 2τ 2
1 sC 1 s
(22) Y (s) = = =
Z ( s ) 1 + sRC + s LC L 1 LC + sR L + s 2
2
Notiamo subito che i poli dell'ammettenza Y(s) sono anche i poli dei circuiti che si
ottengono disponendo i tre elementi in modo da realizzare una rete a due porte, come negli
esempi mostrati nella figura a pagina seguente: un filtro passabasso, un passabanda e un
passaalto. Le funzioni di trasferimento dei tre circuiti sono date infatti dal prodotto di Y(s)
per l'impedenza del ramo trasversale. Si trova poi che quando il fattore di merito del circuito
ωo L 1 L
(24) Q= =
R R C
(25) ωo = 1/√(LC)
con larghezza di banda ωo/Q (fo/Q, esprimendo la banda in hertz). Essi si comportano cioè
come passabanda attorno a ωo, pur presentando, per ω che tende a zero e all'infinito, le
proprietà loro caratteristiche (rispettivamente, passabasso, passabanda e passaalto).
Fissiamo ora l'attenzione sul denominatore della funzione (22) Y(s), che costituisce un
funzione del secondo ordine in s. Questo, oltre che nella forma fattorizzata
(s-p1)(s-p2) (A)
(28) ξ = 1/2Q
ωo
(29) p1,2 = − ± 1 − 1 4Q 2 = −ξωo ± ωo 1 − ξ 2
2Q
e sono dunque
Quando i poli sono complessi, si può esprimerli in termini delle loro parti reale α e
immaginaria β:
(31a) ωo2 = α2 + β2
E' interessante esaminare come si spostano nel piano complesso i poli al variare del
parametro Q (e del parametro ξ), utilizzando le relazioni (32) e (33). Il grafico nella figura,
tracciato assumendo ωo costante, mostra che, al crescere di Q, i poli (supposti reali e distinti)
inizialmente si spostano sull'asse reale, avvicinandosi fino a coincidere; successivamente essi
si allontanano
spostandosi sulla
circonferenza di raggio
ωo, fino a raggiungere,
quando Q assume
valore infinito, l'asse
immaginario. Il
prolungamento delle
traiettorie nel
semipiano di destra
(che rappresenta il caso
di una rete attiva
sempre più fortemente
instabile) corrisponde a
valori negativi di Q, di
valore crescente (decrescente in modulo) a partire da -∞ (l'attraversamento dell'asse
immaginario corrisponde infatti a una discontinuità di Q da +∞ a -∞).
sL 1 s 1 s
(34) Z (s) = = =
1 + sL R + s LC C 1 LC + s RC + s
2 2
C s + ωo s Q + ωo2
2
dove la frequenza angolare caratteristica è data ancora dalla (25), mentre il fattore di merito, a
differenza di prima, è dato dall'espressione
R
(35) Q = ω o RC =
ωo L
Si noti che in questo circuito (sempre quando Q > 0,5) è l'impedenza, e non l'ammettenza,
che presenta risonanza, anche qui con larghezza di banda ωo/Q.
In pratica, nei circuiti reali, il valore della resistenza R non è una costante, ma dipende
dalla frequenza. Tale resistenza, infatti, non rappresenta soltanto quella del resistore in
parallelo (che spesso è addirittura assente), ma anche e sopratutto le dissipazioni associate
agli elementi L e C, che dipendono dalla frequenza. Spesso la resistenza parallelo R dipende
soltanto dalle perdite dell’induttore, che si rappresentano, come sappiamo, con una resistenza
serie RL a cui corrisponde il fattore di merito QL=ωL/RL. Uguagliando a QL il fattore di
merito espresso dalla (35), si ricava la seguente utile relazione fra R ed RL
(35a) R = Q 2R L
Esempio. Esaminiamo l'effetto delle dissipazioni associate ai tre elementi sul fattore di
merito complessivo di un circuito RLC parallelo reale.
1 1 R R
= + 2L 2 + 2C 2
Req R ωo L ωo L
1 ω o L ω o L RL R 1 1 1
= = + + C = + +
Q Req R ω o L ω o L QR QL QC
Ricaviamo in quanto segue una espressione approssimata per l'impedenza del circuito RLC parallelo
nell'intorno della frequenza angolare di risonanza ωo. Nella (34), espressa in funzione di jω, sostituiamo ω con
ωo + ∆ω. Sviluppando i calcoli nella approssimazione ∆ω<<ωo si ottiene:
ω oQL R
(36) Z ( j ∆ω ) ≈ =
1 + 2 j ∆ω Q ω o 1 + j ∆ωτ
con τ=2Q/ωo. Questa espressione approssimata risulta assai utile grazie alla sua semplicità. Calcoliamo, per
esempio, la risposta normalizzata in regime sinusoidale di un circuito RLC con Q=50, che risuona a 1 MHz. In
questo caso la larghezza di banda totale è 1 MHz/50 = 20 kHz, la semilarghezza 10 kHz (data da 1/2πτ). Di
conseguenza alla frequenza di 1010 kHz (e di 990 kHz) la risposta si riduce di -3 dB, alla frequenza di 1100 kHz
(e di 900 kHz) si riduce di -20 dB. Ma perchè eseguendo calcolando la risposta a 2 MHz otterremmo un risultato
insensato?
Ci occupiamo qui delle reti due porte (vedi Parte II) lineari e stazionarie,
considerandole come scatole nere, cioè prescindendo dalla loro costituzione interna, dal
momento che le grandezze elettriche accessibili sono esclusivamente quelle relative alle porte
attraverso cui queste reti possono interagire con altri circuiti. L'obiettivo è quello di
rappresentarle mediante equazioni e circuiti equivalenti, ricavare espressioni per le loro
funzioni di rete, individuarne certe proprietà interessanti ed esaminare alcuni casi particolari.
I1 I2
+ +
V1 porta 1 RETE porta 2 V2
- DUE PORTE -
2
Per determinare quattro variabili occorrono quattro equazioni indipendenti fra esse. Alle due equazioni che
rappresentano la rete si aggiungono infatti le due equazioni che ne descrivono le condizioni di terminazione,
mettendo così in relazione fra loro la corrente e la tensione a ciascuna delle due porte o stabilendone altrimenti i
valori.
3
Oltre alle sei rappresentazioni fondamentali se ne usano anche altre. La più diffusa fra queste è quella detta in
base S, (basata sulla matrice di diffusione o di scattering), che tratta le grandezze elettriche in termini di onde.
La scelta fra le diverse rappresentazioni dipende da varie considerazioni. Per esempio, se alle porte
della rete sono collegati dei bipoli in parallelo, può essere conveniente la rappresentazione Y; se i bipoli sono
collegati in serie, la rappresentazione in base Z. Un altro aspetto riguarda il comportamento naturale della rete,
che può essere tale che in una rappresentazione occorra tener conto di tutti e quattro i parametri, mentre in
un'altra può bastarne un numero minore. Questo è il caso della rappresentazione linearizzata dei transistori
bipolari: qui, in prima approssimazione, è sufficiente considerare solo uno o due parametri, ma soltanto nella
rappresentazione in base H (H21, che rappresenta il guadagno in corrente, e subordinatamente l’impedenza H11).
Per quanto detto la caratterizzazione completa di una rete due porte richiede in
generale la conoscenza di quattro parametri, più precisamente di quattro funzioni di s o di jω,
dato che in generale i parametri saranno funzioni della frequenza, oppure di quattro operatori
integrodifferenziali (esprimendo nel dominio del tempo le relazioni (37), (38), (39)).
Esaminando le equazioni, o i
corrispondenti schemi equivalenti, è immediato
stabilire il significato fisico dei parametri. Per
esempio Z11 rappresenta l'impedenza della rete
alla porta 1 quando la porta 2 viene lasciata
aperta: infatti quando I2=0 la prima equazione si riduce a V1 = Z11 I1 e si ha quindi Z11 =
V1/I1. Ragionando similmente si trova che Y11 rappresenta l'ammettenza della rete alla porta 1
quando la porta 2 si trova in cortocircuito (e questo chiarisce che Z11 è cosa ben diversa da
1/Y11).
Questi stessi ragionamenti sono utilizzati anche per stabilire le modalità di misura per
determinare sperimentalmente i valori dei parametri di una rete due porte. Per esempio,
volendo misurare la transimpedenza Z21, che in base alla seconda delle equazioni (37) è
definita dal rapporto V2/I1 quando I2=0, si disporrà un generatore di corrente alla porta 1 e si
collegherà un voltmetro alla porta 2.
Notiamo poi che se la funzione della rete è quella di trasmettere segnali da una porta
all'altra, per esempio dalla 1 alla 2, è evidente che rivestono particolare importanza i
parametri con indici 21, che determinano appunto come il circuito in cui è inserita la porta 1
influenza quello collegato alla 2.
Notiamo infine che è molto diffusa anche una diversa notazione per gli indici dei
parametri, sopratutto per quanto riguarda i modelli linearizzati dei dispositivi attivi.
Considerando la porta 1 come ingresso e la 2 come uscita, si usa spesso l'indice i (input,
ingresso) al posto di 11, l'indice o (output, uscita) al posto di 22, l'indice f (forward, diretto) al
posto di 21 e l'indice r (reverse, inverso) al posto di 12. Per esempio, H12 si indica con Hfe.
Nelle reti reciproche il numero di parametri essenziali si riduce a tre, dal momento
che, evidentemente, si ha Z12=Z21 (e Y12=Y21). Il numero dei parametri si riduce poi a due nel
caso delle reti simmetriche, nelle quali le due porte sono indistinguibili fra loro: si ha allora
Z11=Z22, oltre che Z12=Z21.
Il caso delle reti reciproche è piuttosto importante, dal momento che tali sono tutte le
reti passive, escluse quelle contenenti giratori, cioè le reti costituite dagli elementi passivi
usuali: resistori, condensatori, induttori e trasformatori (e induttori accoppiati). Ne consegue
che queste reti si possono rappresentare con schemi equivalenti più semplici, in cui
intervengono soltanto tre elementi, come è mostrato negli esempi della figura qui sotto che
illustrano i due modelli detti a T e a π (che sono fra loro duali), chiamati rispettivamente
stella e triangolo dagli elettrotecnici . I parametri Z si esprimono assai semplicemente in
termini dei parametri del modello a T, nel modo seguente:
(40) Z11 = Z1T + Z2T ; Z12 = Z21 = Z2T ; Z22 = Z2T + Z3T
(41) Y11 = Y1π + Y2π ; Y12 = Y21 = -Y2π ; Y22 = Y2π + Y3π
Gli schemi qui sopra illustrano invece, anzichè modelli, alcune particolari strutture
circuitali interne usate nella realizzazione delle reti a due porte.
da cui si ricava immediatamente il rapporto fra le correnti alle due porte, cioè l'amplificazione
di corrente Ai:
I2 − Z 21
(43) Ai = =
I1 Z 22 + Z L
Notiamo subito che il "motore" del funzionamento della rete è costituito dalla
transimpedenza diretta Z21. Notiamo poi che il segno meno deriva dalla definizione del
guadagno di corrente come rapporto fra le due correnti di porta (entranti per convenzione); il
segno sarebbe infatti positivo se definissimo il guadagno come rapporto fra la corrente nel
carico (IL = -I2) e quella della porta 1.
Ricavando I2 dalla (43) e sostituendo nella prima delle equazioni (37) si ha:
V1 = Z11 I1 - (Z12Z21/(Z22+ZL)) I1
V1 Z Z
(44) Z in = = Z11 − 12 21
I1 Z 22 + Z L
Da questa si ottiene
( Z11 − Z 22 ) ± ( Z11 + Z 22 )
2
− 4 Z12 Z 21
(45) Z o1 =
2
Esercizio. Considerate la rete resistiva simmetrica che nel modello a T ha i seguenti valori dei parametri:
R1T=100 Ω, R2T= 400 Ω. Calcolate i valori dell'impedenza caratteristica, discutendo i risultati ottenuti.
V2 − Z L I 2 −Z L Z 21Z L
(47) Av = = = − Ai =
V1 Z in I1 Z in Z11Z 22 + Z11Z L − Z12 Z 21
(48) Av = -Ai
si ricava
V2 −Z L I 2 −Z L Z 21Z L
(50) Av = = = − Ai =
Vs ( Z in + Z s ) I1 Z in + Z s ( Z11 + Z s )( Z 22 + Z L ) − Z12 Z 21
Allo stesso risultato si arriva semplicemente sostituendo Z11 con Zs+Z11 nell'espressione finale della
(47). Infatti, sostituendo la rete originale con una che inglobi l’elemento Zs, i parametri Z restano immutati ad
eccezione di Z11, a cui si somma Zs. E se la (47) fosse stata espressa in termini di parametri Y?
9. Reti in cascata
Molti sistemi elettronici sono realizzati collegando in cascata, fra una sorgente e un
carico, un certo numero di reti due porte (amplificatori, attenuatori, linee di trasmissione,
ecc.), che vengono così a costituire un'unica rete due porte. I parametri di questa rete, per
In quest’ultimo caso l'insieme delle reti in cascata si presenta come un'unica rete due
porte con impedenza caratteristica data da quella delle reti costituenti e con amplificazione di
tensione (in condizioni di adattamento) pari al prodotto delle amplificazioni (sempre in
condizioni di adattamento) delle singole reti costituenti. Questo criterio trova numerose
applicazioni pratiche, come nei sistemi a 600 Ω usati in telefonia e nei sistemi a 50 Ω usati
sia a radiofrequenza (antenna TV, preamplificatore, cavo di discesa) sia nella strumentazione
fisica per l'elaborazione di segnali veloci.
con Ho e T≥0 reali e costanti. In tal caso si ha infatti: y(t) = Ho x(t-T). La funzione di
trasferimento deve dunque avere la forma: H(jω) = Ho exp(-jωT).
Le condizioni precedenti risultano verificate solo nei seguenti due casi: a) sistemi
statici (con H(jω) = Ho e T=0), b) elementi di ritardo puro (con |H(jω)| = Ho e T>0). E
soltanto per sistemi ideali, dato che sappiamo che ad alta frequenza qualsiasi oggetto reale
introduce attenuazione e sfasamento.
Senza in alcun modo approfondire l’argomento, va detto qui che per una certa classe
di funzioni di trasferimento vi sono delle relazioni fra l’andamento del modulo in funzione
della frequenza e quello della fase. Per esempio, negli intervalli di frequenza dove il modulo
è costante la fase è nulla; dove il modulo ha una data pendenza, la fase assume un valore
costante (cioè a una pendenza di 20 dB/dec nel diagramma di Bode corrisponde una fase di
π/2, ecc.).
AMPLIFICATORI LINEARI
1. Generalità
1
Queste assunzioni, naturalmente, non sempre sono ben verificate. Esse non sono valide in molti amplificatori a
un solo stadio (un esempio immediato è il circuito inseguitore d'emettitore). Ma anche nel caso degli
amplificatori a più stadi può essere necessario impiegare cautela. Si pensi all'effetto di una capacità parassita,
anche di valore molto piccolo, fra l'ingresso e l'uscita di un amplificatore ad alto guadagno.
decomponendola cioè nel prodotto di una costante reale Ao che rappresenta il guadagno (per
esempio, a centrobanda), e di due funzioni di s espresse in forma normalizzata: B(s), che
caratterizza la risposta dell'amplificatore ai tempi brevi (alte frequenze), ed L(s) che ne
caratterizza la risposta ai tempi lunghi (basse frequenze). Si noti peraltro che negli
amplificatori "in continua", che non presentano tagli a bassa frequenza, si ha L(s)=1. In
pratica la decomposizione (1) è significativa soltanto se i poli e gli zeri della A(s) possono
venire raggruppati nel piano complesso in due "nuvole" ben separate fra loro: una prossima
all'origine e una ben distante da essa, come mostrato nella figura. Questo discorso
corrisponde alla nozione intuitiva di un amplificatore che ha guadagno costante in una estesa
regione di frequenza, presentando poi tagli sia alle basse che alle alte frequenze (vedi
Esempio a pag. 16 della Parte IV, nel caso in cui si ha τ1>>τ2).
b(t)=L-1[B(s)] ; bu(t)=L-1[B(s)/s]
(3) σ = 2π ( ∫ t b (t )dt − ρ )
∞
0
2 2
2
Ricordiamo che nella Parte II è stata ricavata la seguente relazione esatta fra il tempo di salita empirico tr e la
larghezza di banda B (a -3 dB) per un sistema del primo ordine: B tr = 0,3497... ≈ 0,35. Abbiamo visto anche
che questa relazione è valida, in prima approssimazione, anche per altri tipi di sistemi, con valori del prodotto
B tr che sono generalmente compresi fra 0,3 e 0,45.
∞ ∞ ∞ s2 ∞
(4) B ( s ) = ∫ exp ( − st )b ( t )dt ≈ ∫ b ( t )dt − s ∫ tb ( t )dt + ∫ t 2 b ( t )dt
0 0 0 2 0
s2 2 σ 2
(5) B ( s) ≈ 1− sρ + ρ +
2 2π
Le relazioni desiderate fra i tempi caratteristici e i coefficienti della B(s) si ottengono infine
uguagliando le due espressioni (5) e (7):
(8) ρ ≈ µ1 − λ1
Si nota che queste relazioni, che non sono esatte, vanno utilizzate con attenzione, dato che
sono state ottenute attraverso numerose approssimazioni.
1 1
Qui abbiamo B (s) = =
(1 + τ1s )(1 + τ 2 s ) 1 + (τ 1 + τ 2 ) s + τ 1τ 2 s 2
e i coefficienti valgono
Si ha pertanto: ρ = τ1 + τ2 ; σ = [2π(τ12+τ22)]1/2
Confrontando i risultati dei due Esempi si osserva subito che i ritardi si compongono
linearmente, mentre i tempi di salita si compongono quadraticamente.
Esempio 3. Circuito passabasso RC, con induttore L in serie al resistore per allargare la
banda.
1 + γτ s
Ponendo γ=L/R²C, abbiamo la funzione B (s) =
1 + τ s + γτ 2 s 2
e i coefficienti valgono
3
Precisiamo ancora che il calcolo presentato nell’Esempio è comunque approssimato. L’analisi esatta va svolta
antitrasformando la funzione B(s)/s e studiando i parametri caratteristici (tempo di salita, ritardo e
sovraelongazione) della risposta indiciale nel dominio del tempo al variare del parametro γ.
1 + ατ s
Consideriamo la funzione B (s) =
1+τ s
con α<1, per cui i coefficienti valgono:
I tempi caratteristici diminuiscono all'aumentare di α, fino ad annullarsi per α=1, cioè quando
lo zero cancella il polo e B(s)=1.
Esempio 5. Circuito passabasso del secondo ordine: funzione espressa nella forma
standard dei sistemi risonanti.
Esercizio 1. Ricavare le espressioni della risposta impulsiva e della risposta indiciale del circuito considerato
nell’Esempio 4. Calcolare il ritardo ρ, per τ=1 s e per i seguenti valori di α: 0, 0.1, 0.2, 0.5, a) utilizzando la
relazione esatta (2); b) utilizzando la relazione approssimata (8). Ripetere i calcoli precedenti utilizzando la
definizione empirica del ritardo td (50% del valore finale della risposta indiciale), supponendo che questa
grandezza dipenda da α allo stesso modo di ρ. Presentare i risultati in una tabella.
Esercizio 2. Spiegare per quale motivo nell’Esempio 4 non avrebbe senso considerare il caso α<1.
La figura di merito resta infatti invariata dal momento che sia la transconduttanza che
la capacità aumentano dello stesso fattore.
Le due linee, quella alimentata dal segnale d'ingresso e quella dove si raccoglie il segnale d'uscita, sono
entrambe adattate, allo scopo
di evitare riflessioni, e sono
realizzate con uguale ritardo
per cella, in modo che su
entrambe i segnali si
propaghino in fase. Se
l'ingresso, in particolare, è un
gradino di tensione, il fronte
d'onda del segnale amplificato
dal primo transistore
raggiungerà l'uscita del
secondo allo stesso istante in
cui il fronte d'onda amplificato da quest'ultimo verrà ad eccitare la linea d'uscita, e così via.
Se il segnale d'ingresso è V1, a ciascuna delle basi viene applicato V1/2 trattandosi di una linea adattata.
Se la transconduttanza di ciascun transistore è gm, ciascun collettore contribuirà all'uscita con una corrente di
intensità gmV1/2, che nella linea d'uscita si suddividerà in parti uguali fra le due onde che viaggiano verso le
resistenze di terminazione. Di conseguenza la corrente totale fornita al carico dagli n transistori sarà ngmV1/4. Si
conclude che l'amplificazione statica totale, dalla sorgente al carico, è
(11) Ao = -ngmRo2/4
Non ci occupiamo qui del calcolo del tempo di salita, che è generalmente piuttosto laborioso perchè
dipende dalle caratteristiche sia delle linee che dei dispositivi amplificatori. In prima approssimazione si ha:
σ ≈ Ro2(C1+C2).
s2 σ 12 + σ 2 2
B ( s ) ≈ 1 − s ( ρ1 − ρ 2 ) + ( )
2
(13) 1 ρ + ρ +
2π
2
2
da cui si deduce che ρ = ρ1 + ρ2 e σ2 = σ12 + σ22. Nel caso di n stadi in cascata si ha pertanto:
Esercizio. Calcolare il tempo di salita di un impulso con tempo di salita di 10 ns, amplificato da un circuito con
tempo di salita di 50 ns, quale viene osservato a un oscilloscopio il cui amplificatore ha, con buona
approssimazione, funzione di trasferimento del primo ordine, con larghezza di banda B=100 MHz.
5. La larghezza di banda
Quando la funzione B(s) risulta dal prodotto di più funzioni, di ciascuna delle quali è
nota la larghezza di banda Fi, il calcolo della larghezza di banda F della B(s) in funzione delle
Fi non è affatto immediato. Per questo ci limitiamo a considerare il caso in cui la B(s) abbia
soltanto poli reali, cioè sia costituita dal prodotto di n funzioni, ciascuna con una sola
∏ 1 + ( 2π Fτ i )2 = ∏ n 1 + ( F Fi )2 = 2
n
(16) i =1 i =1
Nel caso particolare in cui tutte le Fi sono uguali fra loro (cioè i poli della B(s) sono
tutti coincidenti) si ha
(17) [1 + (F/Fi)²]n = 2
e si ricava allora
Se le funzioni Bi non sono uguali, ma hanno tutte larghezze di banda molto maggiori di F,
allora si può sviluppare la (16) nella forma seguente
(19) ∏
n
1 + ( F Fi )2 ≈ 1 + F 2 ∑ n (1 Fi )2 = 2
i =1 i =1
∑ (1 F )
n 2
(20) F ≈ 1/ i =1 i
d lu ( t )
(21) µ=
dt t =0
Applicando questa definizione al caso del circuito CR considerato prima si ha: µ = -1/τ. Si
può interpretare dunque µ come il negativo del reciproco della costante di tempo equivalente
dominante alle basse frequenze.
Dal valore di
questo parametro
dipende la forma della
risposta agli impulsi
reali, come mostra la
figura, che rappresenta la
risposta di un circuito
CR a un gradino unitario
e a un impulso unitario
di durata fissa T per
valori decrescenti di τ. Si
nota in particolare che
alla risposta a un impulso è sempre associata una "coda", la cui presenza può falsare la misura
dell'ampiezza dell'impulso seguente (ciò non si verifica negli amplificatori in continua).
Quando, come accade di frequente negli amplificatori, alla funzione L(s) sono
associate più costanti di tempo (per esempio quando essa possiede più zeri all'origine e
altrettanti poli reali) può darsi che la corrispondente risposta indiciale non decada
monotonicamente a zero, presentando dunque delle oscillazioni. Ciò si verifica in particolare
quando vi sono più costanti di tempo uguali o poco diverse fra loro. Pertanto quando si
Esercizio. Calcolare e graficare la risposta indiciale per le funzioni L(s) = (τs/(1+τs))², L'(s) = (τs/(1+τs))3.
Tutti questi fenomeni che, come si è detto, conducono a errori anche rilevanti nella
misura dell'ampiezza degli impulsi, possono essere eliminati alla radice ricorrendo ad
amplificatori in continua, oppure ridotti grandemente utilizzando
circuiti nonlineari, generalmente impieganti diodi. Dopo un circuito
di accoppiamento CR, per esempio, si può collegare un diodo verso
massa in modo da evitare che la tensione d’uscita abbia escursioni
negative (o positive, a seconda del verso con cui viene disposto).
Disponendo più stadi in cascata, ciascuno con risposta indiciale con pendenza iniziale
µi, la pendenza iniziale della risposta complessiva risulta pari alla somma delle pendenze
iniziali dei singoli stadi:
(22) µ = Σ µi
Questo risultato si dimostra immediatamente nel caso di due blocchi in cascata con
pendenze iniziali µ1=-1/τ1 e µ2=-1/τ2. Se la funzione complessiva è
L(s)=τ1τ2s²/(1+τ1s)(1+τ2s), la risposta indiciale è lu(t)=[ τ2exp(-t/τ1)- τ1exp(-t/τ2)]/(τ2-τ1).
Derivando rispetto al tempo e ponendo t=0, si ottiene infatti µ = -(1/τ1+1/τ2) = µ1 + µ2.
Il risultato espresso dalla (22) può essere interpretato come segue: un sistema che
possiede una molteplicità di costanti di tempo a bassa frequenza è equivalente (per quanto
riguarda la pendenza iniziale della risposta indiciale), a un sistema con una sola costante di
tempo, il cui inverso è pari alla somma degli inversi di tutte le costanti di tempo del primo
sistema.
Consideriamo qui brevemente gli amplificatori per grandi segnali, dove le ampiezze
dei segnali in gioco - tensioni negli amplificatori di tensione, tensioni e correnti negli
amplificatori di potenza - sono tali che i modelli linearizzati per piccoli segnali non sono più
applicabili o richiedono cautela. In questi circuiti l'attenzione è rivolta sopratutto ad ottenere
determinate prestazioni (escursione di tensione sul carico, potenza fornita al carico, efficienza
energetica, ecc.), non superando i limiti di tensione, corrente e potenza, oltre i quali i
dispositivi si danneggiano, e assicurando, quando ciò risulta possibile, una buona linearità
alla relazione ingresso-uscita.
Vc 2 2 + Vc 32 + ...
(24) D=
Vc1
Per un dato circuito, l'entità della distorsione dipende sia dal punto di lavoro prescelto
che dall'ampiezza dei segnali. Essa aumenta, in genere più che proporzionalmente, al crescere
(25) η = PL / Pal
fra la potenza fornita al carico e quella (Pal) erogata in continua dall'alimentatore, anche in
relazione alla potenza dissipata nei dispositivi amplificatori, che li riscalda innalzandone la
temperatura. Sono i limiti per quest'ultima grandezza, infatti, che stabiliscono in genere il
limite pratico alla potenza massima che può essere fornita al carico. Poichè d'altra parte la
potenza erogata dall'alimentatore è pari alla somma della potenza fornita al carico e di tutte le
dissipazioni nel circuito (incluse quelle nei dispositivi, che generalmente sono dominanti) si
comprende come il rendimento rappresenti una importante figura di merito di un
amplificatore di potenza.
9. Classi di funzionamento
La figura
mostra che la
potenza massima
(prodotto dei
valori efficaci
In presenza di segnale la tensione di collettore, in questi circuiti, varia attorno a VC ≈ VCC con una
escursione massima totale approssimativamente doppia rispetto al caso del circuito con carico resistivo visto
prima. Il rendimento limite corrispondente al caso di linearizzazione totale è dunque η = 50% (ciò si ottiene
ponendo nella (26) Vmax=2VCC, Vmin=0, Imax=2IC, Imin=0, e considerando che Pal=VCCIC).
La distorsione, d'altra parte, può essere rilevante, dal momento che i dispositivi,
interdetti a riposo, vengono portati in conduzione dal segnale e si muovono dunque,
sopratutto nella fase iniziale, in una regione fortemente nonlineare della caratteristica. Si
dimostra però che se i due dispositivi usati nello schema a controfase hanno caratteristiche
molto simili, le armoniche di ordine pari generate da ciascuno di essi si cancellano fra loro
nel segnale d'uscita.
Resta il fatto che l'ampiezza della sinusoide d'uscita non è proporzionale all'ampiezza
di quella d'ingresso. Gli amplificatori in classe C sono dunque utilizzabili per amplificare
sinusoidi di ampiezza costante (per esempio un'onda portante in un sistema a radiofrequenza,
ma non un segnale modulato in ampiezza).
In questi amplificatori, che hanno rendimenti assai elevati, prossimi all'unità, occorre
però un apposito circuito (modulatore d'impulsi) che provveda a convertire il segnale
analogico d'ingresso nel segnale impulsivo che comanda gli interruttori che ne costituiscono
lo stadio finale di potenza. E occorre anche un circuito di filtraggio, simbolizzato
dall'induttore L nello
schema in figura, che
riconverta in forma
analogica gli impulsi
di corrente generati
dagli interruttori.
LA CONTROREAZIONE
1
Secondo l’ingegnere americano Robert A. Pease, progettista di circuiti integrati e studioso della
controreazione, le prime applicazioni del principio della reazione negativa sono antichissime. Egli cita a questo
riguardo l'anello che viene posto al naso dei buoi da tiro. Tirando l'anello con una corda ed esercitando una forza
anche assai debole, si riesce infatti a persuadere l'animale a muoversi trainando un carico pesante. Si tratta,
evidentemente, di un sistema "inseguitore di posizione" (→ pag.4) a reazione negativa.
2
H.S. Black Stabilized Feed-Back Amplifiers Electrical Engineering, gennaio 1934, pp.114-120, ristampato in
Proc. IEEE, vol.72, giugno 1984, pp.716-722; H.S. Black Inventing the negative-feedback amplifier IEEE
Spectrum, vol.14, pp.54-60, dicembre 1977.
3
L'attenuazione introdotta dalle linee di trasmissione nelle comunicazioni telefoniche a grandi distanze viene
compensata disponendo amplificatori (detti ripetitori) a intervalli regolari lungo le linee. Si ha così un gran
numero di amplificatori in cascata, la cui distorsione può sommarsi fino a rendere inaccettabile la trasmissione
dei segnali. Usando tubi elettronici come elementi attivi, il fenomeno è aggravato dalle variazioni del guadagno
dei dispositivi (la corrente emessa da un catodo, e quindi la transconduttanza di un tubo elettronico, si riduce
gradualmente man mano che il catodo, al passare del tempo, si deteriora).
Vo ( s ) A( s)
(3) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1 + A ( s ) β ( s )
cioè il modulo del fattore di reazione è molto maggiore dell'unità, allora la funzione AF(s)
viene a dipendere esclusivamente da quella del blocco di reazione
(e in tal caso l'ampiezza del segnale d'errore diventa trascurabile rispetto a quella del segnale
d'ingresso). Per questo la condizione (6) viene detta di desensibilizzazione totale, nel senso
che quando è verificata la funzione a ciclo chiuso AF(s) viene ad essere totalmente
indipendente dalla funzione A(s) del blocco diretto4. Un'estesa classe di circuiti, in particolare
la maggior parte di quelli impieganti amplificatori operazionali, sfrutta proprio questa
condizione per realizzare funzioni di varia natura (amplificazione, integrazione nel tempo,
filtraggio, ecc.) con grandissima precisione, dipendente quasi esclusivamente dalla precisione
degli elementi passivi che costituiscono il blocco di reazione.
Quanto espresso dalla (7), naturalmente, riguarda anche la dipendenza dalla frequenza
e la risposta temporale, che vengono mutate profondamente rispetto a quelle del circuito non
reazionato.
Nel caso particolare, realizzato spesso in pratica, in cui il blocco di reazione sia
costituito esclusivamente da elementi resistivi e quindi β(s) sia costante, la funzione a ciclo
chiuso viene ad essere a sua volta indipendente da s, per tutti i valori di questa variabile per
cui è verificata la (6). Da ciò deriva in genere un allargamento della banda passante e una
corrispondente riduzione dei tempi caratteristici della risposta temporale. Ma questo sarà
precisato meglio nel seguito.
4
Si noti però che nella condizione (6) interviene la variabile s. Pertanto, dato che a frequenze sufficientemente
alte il guadagno di qualsiasi amplificatore tende inevitabilmente a ridursi, la relazione (6) può essere verificata
soltanto in un intervallo di frequenze limitato superiormente.
cioè quando il segnale di reazione -βVo si trova in fase, anzichè in opposizione di fase,
rispetto a quello d'ingresso.
Nel primo caso l'amplificazione a ciclo chiuso è minore in modulo di quella del
blocco diretto, nel secondo l'amplificazione è maggiore (dato che il segnale di reazione si
somma, anzichè sottrarsi, a quello d'ingresso). Inoltre nel primo caso (reazione negativa) la
funzione di trasferimento a ciclo chiuso è soggetta agli effetti di desensibilizzazione rispetto
ai parametri del blocco diretto e di minore dipendenza dalla variabile s rispetto alla funzione
A(s); nel secondo (reazione positiva) si hanno invece effetti opposti, generalmente
indesiderati. Il caso limite della reazione positiva si verifica quando |D(s)| tende a zero. In tal
caso si ha instabilità e il circuito diventa sede di oscillazioni indesiderate che ne stravolgono
il funzionamento.
Qui è importante osservare che può darsi che per determinati valori di frequenza si
abbia reazione negativa mentre per altri si abbia invece reazione positiva. Questo può
succedere quando la funzione di trasferimento a ciclo aperto ha due o più poli (due o più zeri
a bassa frequenza, tipicamente all’origine), in modo che alle alte frequenze (alle basse
frequenze) si abbia una rotazione di fase complessiva equivalente ad una inversione di segno,
e sopratutto quando possiede degli elementi di ritardo puro (e-sT), che introducono sfasamento
continuamente crescente con la frequenza.
Un'altra osservazione riguarda le ipotesi che sono alla base dello schema di figura 1 e
che solo di rado sono esattamente verificate in pratica, dato che stiamo rappresentando dei
circuiti elettrici usando uno schema a blocchi (→ pag. 40, parte II). Oltre a supporre che le
impedenze d'ingresso dei due blocchi siano molto maggiori di quelle dei circuiti che li
alimentano e che le loro impedenze d'uscita siano molto minori di quelle dei circuiti che ne
costituiscono il carico, si deve ammettere che in ciascun blocco la trasmissione del segnale
avvenga solamente dall'ingresso verso l'uscita, cioè che essi siano unilaterali. Quest'ultima
ipotesi è ben verificata, di solito, per quanto riguarda il blocco diretto, ma non per il blocco di
reazione, che normalmente è realizzato con elementi passivi (come resistori e condensatori) e
dunque non è unilaterale.
5
Si sarebbe potuto, come in altre trattazioni, considerare in ingresso un circuito sommatore anzichè sottrattore
(assumendo allora implicitamente, per avere reazione negativa, che nella regione delle frequenze di interesse il
blocco diretto e quello di reazione diano luogo complessivamente a inversione di segno). In questo caso si
scriverebbe AF = A/(1-Aß), con L=Aß e D=1-Aß).
Allo stesso risultato si può giungere anche attraverso l'esame dello schema
del circuito, individuando il segnale di reazione βVo nella tensione d'emettitore, che
si sottrae a quella d'ingresso per determinare il segnale d'errore (Vbe=Vi-βVo)
effettivamente applicato al blocco diretto. Assumendo la corrente d'emettitore
uguale a quella di collettore (hfe>>1), si ricava β = -RE/RL. Il blocco diretto,
costituito dal transistore non reazionato, ha poi evidentemente guadagno -hfeRL/hie.
Notiamo infine che il punto di vista della reazione, che si rivela di grande utilità
quando è usato con fini intenzionali nel progetto di circuiti, strumenti e sistemi di controllo,
può anche costituire un prezioso "schema interpretativo” nello studio di sistemi della natura
più varia, naturali come artificiali. A modelli a controreazione, infatti, si può infatti assai
utilmente ricondurre il comportamento di molti sistemi fisici, biologici, sociali. In particolare,
si possono interpretare come basati sulla reazione i meccanismi di funzionamento di vari
fenomeni e dispositivi fisici. Un esempio è la relazione fra guadagno in corrente a emettitore
comune e a base comune per un transistore bipolare. Un altro riguarda l’interpretazione della
legge di Moore.
Tutti questi effetti, come si è già detto, hanno un'origine comune nell'azione di
compensazione automatica che ha luogo nei sistemi a reazione negativa: qualsiasi variazione
della grandezza d'uscita, comunque provocata, si traduce in una corrispondente variazione del
segnale d'errore e dunque in una azione correttiva di segno opposto. Questa azione è tanto più
efficace quanto maggiore è il modulo del fattore di reazione, fino al caso limite espresso dalla
(6) (desensibilizzazione totale) quando la relazione fra ingresso e uscita può essere posta
nella forma:
2. La desensibilizzazione
∆H H
(11) S kH =
∆k k
dH H
(12) skH =
dk k
skA
(13) skAF =
D
dove skA rappresenta la sensibilità rispetto a k della funzione A. La sensibilità viene dunque
ridotta all'aumentare del fattore di reazione (e ciò non si verifica per la sensibilità rispetto ai
parametri del blocco di reazione); mentre nel caso della reazione positiva si ha esaltazione,
anzichè riduzione, della sensibilità.
L’aspetto più importante riguarda le variazioni del guadagno del blocco diretto, per
esempio dovute a effetti di temperatura oppure all'invecchiamento o alla sostituzione di
componenti, che possono essere rese trascurabili ai fini pratici scegliendo un valore
opportuno del fattore di reazione. Se il guadagno A è soggetto a una variazione ∆A, il
guadagno a ciclo chiuso è soggetto a sua volta alla corrispondente variazione
A + ∆A A ∆A
∆AF = − =
1 + ( A + ∆A ) β 1 + Aβ (1 + ( A + ∆A ) β ) (1 + Aβ )
Dividendo per AF si ha
∆AF ∆A 1
(14) =
AF A 1 + ( A + ∆A ) β
1
(15) S AAF =
1 + ( A + ∆A ) β
che per ∆A<<A si riduce alla (13), essendo evidentemente sAA =1. Per esempio, se si vuole
ottenere un guadagno preciso all'1% usando un amplificatore che è soggetto a variazioni di
guadagno del 10%, si conclude, usando la (13), che occorre controreazionarlo in modo da
avere |D|>10 a tutte le frequenze che interessano.
Notiamo che, in pratica, quando le variazioni dei parametri sono rilevanti non
conviene usare le espressioni differenziali della sensibilità, ma quelle in termini di differenze
finite. Come illustra l’esempio seguente.
Consideriamo il circuito esaminato nell'esempio precedente, assumendo i seguenti valori dei parametri:
hie=2,5 kΩ, hfe=100, RL=2,5 kΩ, RE=475 Ω. Usando le formule ricavate nell'esempio si ha: A=-hfeRL/hie=
-100*2500/2500=-100, β=-RE/RL=-475/2500=-0,19. Pertanto il fattore di reazione è D=1+Aβ=1+19=20 e il
guadagno a ciclo chiuso AF=-100/20=-5. Se il guadagno del transistore si raddoppia, si ha: ∆A=-100, ∆A/A=1 e
1+(A+∆A)β=39. Usando la (14) si ha pertanto ∆AF/AF=1/39 ≈ 2,6%. Se il guadagno del transistore si dimezza,
si ha: ∆A = 50, ∆A/A = -0,5 e 1+(A+∆A)ß = 10,5. Usando la (14) si ha in tal caso ∆AF/AF = -0,5/10,5 ≈ -4,8%.
Utilizzando la definizione differenziale (13) si avrebbe invece, nei due casi, ...
3. La linearizzazione
(15) vo = f(v)
df
(16) dvo = ( dvi − β dvo )
dv
dvo df dv
(17) =
dvi 1 + β df dv
e rappresentata nelle prime due righe della tabella 1 (dove si riportano soltanto i valori
positivi di v dato che la caratteristica è simmetrica rispetto all'origine). Il guadagno
differenziale nell'origine evidentemente è (df/dv)o=100.
Si noti che per compensare la riduzione del guadagno dovuta alla reazione negativa
occorre introdurre nel blocco diretto ulteriori stadi di amplificazione. Questi non dovranno
introdurre distorsione a loro volta, ma tale requisito è facile da soddisfare dato che devono
trattare segnali di minore ampiezza. L'efficacia della reazione negativa per ridurre la
distorsione è ben dimostrata in un vasto campo di applicazioni, fra cui gli amplificatori usati
per la riproduzione dei suoni dove si richiede bassa distorsione a elevati livelli di potenza.
Ci si può chiedere come sia possibile che un amplificatore con caratteristica nonlineare, nella
connessione a controreazione, produca un segnale d'uscita che, invece, è in relazione approssimativamente
lineare rispetto a quello d'ingresso. La spiegazione, al di là della trattazione formale, si trova nel meccanismo
della controreazione. Quando il fattore di reazione è molto elevato, se l’amplificatore è lineare, il segnale
d'errore è corrispondentemente piccolo, e nel caso statico è una copia fedele dell’ingresso. Se l’amplificatore è
nonlineare, il segnale d’errore, proveniendo dal confronto fra l'ingresso e l'uscita, è costituito quasi
esclusivamente dalla distorsione presente in uscita, con la conseguenza che il legame fra ingresso e segnale
d'errore tende alla relazione nonlineare inversa di quella dell'amplificatore. La conclusione è che in un
amplificatore nonlineare non reazionato l'uscita è distorta rispetto all'ingresso, mentre in uno linearizzato dalla
controreazione l'uscita è approssimativamente lineare rispetto all'ingresso, mentre è fortemente distorto invece il
segnale d'errore.
Esercizio 2. Simulare su calcolatore l'amplificatore con caratteristica nonlineare espressa dalla (18),
controreazionato con β=0,09, applicando in ingresso una sinusoide tale che l'uscita abbia 9 volt di ampiezza
(valore di picco). Tracciare i grafici dei segnali: d'ingresso, d'errore e d'uscita.
Esaminiamo ora l'effetto della controreazione sui disturbi, cioè sui segnali indesiderati
(rumore, distorsione, residuo di alternata dell'alimentazione, effetti di campi elettromagnetici
esterni, ecc.) che si sommano al segnale utile nelle varie parti del circuito. Facciamo
riferimento allo schema in figura,
supponendo per semplicità che i
due blocchi siano caratterizzati
dalle costanti reali A e β.
Qui ni rappresenta il
rumore prodotto nei circuiti
d'ingresso del blocco diretto (ed
eventualmente anche il rumore
associato al segnale d'ingresso vi); no rappresenta i disturbi agenti all'uscita del blocco diretto
(in particolare, gli effetti di distorsione dovuti a eventuali nonlinearità, che qui si
manifestano); nβ rappresenta infine i disturbi agenti sul blocco di reazione (incluso il rumore
ivi generato).
A 1 Aβ
(20) vo = ( vi + ni ) + no − nβ
1 + Aβ 1 + Aβ 1 + Aβ
6
Il segno negativo dell'ultimo termine significa semplicemente che il contributo di nß all'uscita ha segno
opposto a quello di nß stesso.
La (20) indica poi che il contributo del disturbo no agente in uscita viene ridotto dalla
controreazione, tanto più quanto è maggiore il fattore di reazione. Questo risultato è dunque
in accordo con quanto si era trovato prima esaminando l'azione della controreazione sulla
distorsione del blocco diretto. D'altra parte per ridurre il contributo di questo disturbo rispetto
a quello del segnale è necessario aumentare il guadagno A del blocco diretto.
La reazione negativa, infine, è del tutto inefficace nei confronti del disturbo nβ, la cui
azione consiste infatti nell'alterare l'informazione che viene riportata in ingresso, inceppando
così il meccanismo della controreazione, con effetto particolarmente insidioso nei sistemi di
controllo. Negli amplificatori ad alto guadagno fortemente controreazionati può risultare
rilevante il contributo del rumore degli elementi che costituiscono la rete di reazione.
A( s)
(3) AF ( s ) =
1+ A( s) β ( s)
alterando in particolare la posizione dei poli e degli zeri. Questi, all'aumentare del guadagno
d'anello, si spostano nel piano s dalla loro posizione iniziale (poli e zeri della funzione A(s))
fino a tendere asintoticamente, nella condizione di desensibilizzazione totale, alla posizione
dei poli e degli zeri della funzione 1/β(s). Sebbene questo si traduca generalmente in un
allargamento della banda passante e in una corrispondente riduzione dei tempi caratteristici,
vi è la possibilità che i poli vengano ad avvicinarsi all'asse immaginario, e allora la risposta
temporale avrà carattere oscillatorio poco smorzato, o addirittura lo attraversino, assumendo
così parte reale positiva e dando luogo all'instabilità del circuito.
Il caso più semplice è quello in cui il blocco diretto è un sistema del primo ordine e il
blocco di reazione un sistema statico (e quindi la funzione a ciclo aperto ha un solo polo).
7
Il contributo di ni all'uscita (misurato in termini di valore efficace totale) può essere ridotto, rispetto a quello
del segnale, soltanto se il suo spettro è diverso da quello del segnale. Per esempio, se il rumore ha spettro
costante mentre lo spettro del segnale è confinato in un determinato intervallo di frequenze, converrà che la
risposta a ciclo chiuso abbia caratteristiche filtranti atte a trasmettere soltanto le frequenze del segnale.
AFo
(22) AF ( s ) =
1 + sτ F
dove
Ao τ
(23) AFo = ; τF =
1 + Ao β 1 + Ao β
Sia la costante di tempo (e quindi anche tutti i tempi caratteristici della risposta
temporale) che il guadagno del circuito reazionato vengono dunque ridotti nella stessa
misura, secondo il fattore di reazione calcolato in continua, mentre la banda passante viene
allargata corrispondentemente. Questa, che in assenza di reazione vale B=1/2πτ, assume ora
infatti il valore
sτ
(26) A ( s ) = Ao
(1 + sτ )
dove ora Ao rappresenta il guadagno alle frequenze molto maggiori di quella di taglio, sempre
nell'ipotesi di β reale. Questa volta la banda si allarga verso le basse frequenze.
(27) τF = τ (1 + Aoβ)
mentre il guadagno viene ridotto della stessa misura, come espresso dalla (23).
sτ 1
(28) A ( s ) = Ao
(1 + sτ1 )(1 + sτ 2 )
In questo caso, in presenza di reazione negativa8, la costante di tempo τ1, che determina la
frequenza di taglio inferiore, aumenta come stabilito dalla (27), mentre la costante di tempo
τ2, che determina la frequenza di taglio superiore, diminuisce come espresso dalla (23). La
banda passante viene dunque allargata sia alle alte che alle basse frequenze. Sostituendo la
(28) nella (3), e assumendo al solito β reale, si potrà verificare quanto si appena detto, ma si
osserverà anche che i risultati espressi dalla (23) e dalla (27) ora sono validi solo
approssimativamente, con approssimazione tanto migliore quanto maggiore è il rapporto τ1/τ2
fra le due costanti di tempo.
Tutte le volte, infatti, che la funzione di trasferimento del blocco diretto presenta due
o più poli i risultati trovati nel caso di un solo polo risultano validi solo approssimativamente
oppure vengono a cadere del tutto. In particolare, il modulo della funzione di trasferimento
reazionata può eccedere quello della funzione non reazionata (effetto di reazione positiva).
Ao
A(s) =
(29) (1 + sτ )(1 + s τ k )
AFo
AF ( s ) =
1 + sτ (1 + 1 k ) Do + s 2τ 2 kDo
(30)
8
Qui il fattore di reazione Do si calcola a centro banda, cioè nella regione di frequenza in cui A(s) è reale e
assume valore Ao.
Ricavando dal denominatore della (30) l'espressione dei poli a ciclo chiuso, si trova
che se i due poli del blocco diretto sono molto distanti fra loro (k molto diverso dall'unità), e
dunque vi è un polo dominante che determina la banda passante, valori moderati del fattore di
reazione conducono effettivamente a uno spostamento del primo polo e dunque a un
allargamento della banda come nel caso del polo semplice che abbiamo considerato prima.
Tuttavia, al crescere del valore del fattore di reazione, per qualsiasi posizione iniziale
dei poli della (29), i poli della funzione di trasferimento a ciclo chiuso (30) diventano
complessi coniugati, con parte reale negativa costante e parte immaginaria via via crescente.
In queste condizioni il circuito viene ad
assumere un comportamento risonante del tutto
equivalente a quello di un circuito RLC, con un
picco nella risposta in frequenza (vedi figura 5
b) e risposta temporale di tipo oscillante. I
parametri caratteristici della corrispondente
funzione del secondo ordine si determinano
uguagliando il denominatore della (30) con
l'espressione standard 1+2ξs/ωo + (s/ωo)².
k 1+1 k
(31) ωo = kDo τ ; ξ=
Do 2
che mostrano che al crescere del fattore di reazione Do il coefficiente di smorzamento tende a
zero mentre tendono all'infinito la pulsazione di risonanza ωo e il fattore di merito (Q=1/2ξ).
La seconda delle (31) permette, in fase di progetto, di stabilire l'entità di controreazione
ammissibile perchè il coefficiente di smorzamento ξ resti maggiore di un valore prefissato.
9
Reazione positiva può aversi anche a bassa frequenza, quando la funzione di trasferimento del blocco diretto
presenta due o più zeri a bassa frequenza (tipicamente nell'origine). In tali casi lo sfasamento sarà in anticipo,
anzichè in ritardo, ma il suo effetto è il medesimo.
Nella precedente discussione sui possibili effetti di reazione positiva, e sul rischio di
instabilità, abbiamo sempre considerato, per semplicità, funzioni a ciclo aperto con poli reali,
ma prive di zeri. La presenza di zeri, ovviamente, modifica il quadro grazie all’anticipo di
fase che questi introducono, con uno sfasamento asintotico ad alta frequenza che è dato da
-π/2(n-m), dove n è il numero dei poli e m quello degli zeri. Si capisce, allora, che la presenza
di zeri, eventualmente introdotti ad hoc, può alleviare notevolmente il problema della
reazione positiva e dell’instabilità.
L'esame nel dominio del tempo della risposta dinamica degli amplificatori reazionati
presenta notevole interesse, sia per una miglior comprensione dell'effetto della reazione
negativa sia per lo studio dei fenomeni di distorsione che possono verificarsi nel transitorio.
10
Anche circuiti con due poli, in pratica, possono dar luogo a instabilità: il valore di -π, infatti, può venire
huF(t)=AFo(1-exp(t/τF))u(t).
Ciò pone in rilievo un aspetto della reazione negativa a cui non sempre si pone la
debita attenzione: cioè la presenza di un ritardo lungo l'anello di reazione, dal segnale d'errore
Ve al segnale di reazione βVo, che dipende dalla funzione di trasferimento a ciclo aperto.
raggiunto a causa dello sfasamento associato a ritardi non rappresentati nel modello a due poli.
Nella parte b) della figura è tracciato il grafico dell'andamento del segnale d'errore
nell'amplificatore, ottenuto ricavando la funzione
Ve ( s ) 1 1 1 + sτ
Ae ( s ) = = =
Vi ( s ) 1 + Ao β (1 + sτ ) 1 + Ao β 1 + sτ (1 + Ao β )
e poi antitrasformando il prodotto di tale funzione per la trasformata del gradino d'ingresso
Vi(s)=0,1/s. Mentre lasciamo al lettore il calcolo come esercizio, notiamo subito che il valore
iniziale del segnale d'errore, applicando il teorema del valore iniziale, è
lim 0,1
s Ae ( s ) = 0,1 V come previsto in base alle considerazioni precedenti.
s→∞ s
L'analisi nel dominio del tempo illumina anche altri aspetti delle proprietà della risposta dinamica dei
sistemi reazionati. Per esempio, il fatto che generalmente i problemi della stabilità diventino via via più gravosi
all'aumentare del numero di poli della funzione di trasferimento a ciclo aperto deriva dal diverso modo con cui i
due tempi caratteristici fondamentali, tempo di salita e ritardo, dipendono dal numero e dai valori delle costanti
di tempo del circuito. Infatti, al crescere del numero delle costanti di tempo in gioco, il ritardo lungo l'anello di
reazione, che interviene a determinare i fenomeni di reazione positiva e di instabilità, cresce più rapidamente del
tempo di salita, che determina invece la velocità con cui cresce l'ampiezza dell’uscita e conseguentemente del
segnale di reazione in modo che esso possa esercitare la sua azione correttiva (sappiamo infatti che se n è il
numero delle costanti di tempo, supposte tutte uguali fra loro, il tempo di salita è proporzionale a √n, il ritardo a
n).
Il modello che
consideriamo qui,
mostrato nella figura,
rappresenta la struttura
di un amplificatore a
controreazione dotato
di un solo anello di
reazione12. Le parti
essenziali del modello
sono l'amplificatore
base, la rete di reazione, il circuito di confronto e il circuito di prelievo.
11
Quello introdotto da H.W.Bode nel testo "Network Analysis and Feedback Amplifier Design", Van Nostrand,
Princeton, 1945).
12
Si considerano a un solo anello di reazione anche gli amplificatori in cui sono presenti anelli di reazione
locale nei circuiti che li costituiscono (per esempio, uno stadio a emettitore comune con una resistenza
d’emettitore).
Per tener conto della non unilateralità della rete di reazione13, che si traduce nella
trasmissione di segnale fra ingresso e uscita anche quando la sorgente controllata
dell'amplificatore viene disattivata, introduciamo la funzione γ(s), scrivendo l'uscita nella
forma seguente
dove la funzione A(s) (generalmente diversa da quella A'(s) associata alla sorgente controllata
dell'amplificatore) tiene conto della presenza dei carichi collegati all'uscita dell'amplificatore.
13
Perchè realizzata usualmente con elementi passivi reciproci.
Vo ( s ) α ( s ) A ( s ) + γ ( s )
(35) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1+ A( s) β ( s)
La possibilità di individuare due diversi tipi di circuiti di confronto e due diversi tipi
di circuiti di prelievo consente di classificare gli amplificatori a controreazione in quattro
classi14, ciascuna delle quali gode di particolari proprietà circa l'effetto della reazione sulla
relazione ingresso-uscita sia sulle impedenze d'ingresso e di uscita del circuito complessivo:
14
Deve essere chiaro tuttavia che non tutti gli amplificatori a controreazione rientrano in questa classificazione:
si possono, infatti realizzare schemi in cui sia il confronto che il prelievo possono essere di tipo misto, schemi
con più cicli di reazione, a reazione negativa e positiva, ecc.
Esercizio. Scegliere i valori dei componenti dell’amplificatore discusso nell’Esempio precedente in mod che
funzioni correttamente, assumendo VBE=0.7 volt e hfe=100. Analizzare in continua il circuito, determinando le
tensioni dei nodi e le correnti di polarizzazione dei dispositivi. Utilizzando questi risultati (e assumendo per i
due transistori rbb'=100 Ω e η=1) calcolare il guadagno dell'amplificatore interno e dell'amplificatore reazionato
e verificare la validità delle approssimazioni fatte nell'Esempio precedente.
L'impedenza d'ingresso si ricava esaminando lo schema nella figura a in alto a pag. 21:
Notiamo che questo risultato vale per tutti gli amplificatori a reazione serie (sia di
tensione che di corrente). Negli amplificatori a reazione parallelo, invece, la reazione
negativa riduce l'impedenza d'ingresso dello stesso fattore 1+βA; questo caso, data la sua
grande importanza pratica, lo esamineremo in maggior dettaglio nel seguito, occupandoci
degli amplificatori operazionali.
15
E' utile osservare che l'effetto della reazione negativa sull'impedenza d'ingresso non si manifesta,
evidentemente, per quanto riguarda il circuito di polarizzazione. Nello schema in basso a pag. 24, per esempio,
l'innalzamento dell'impedenza d'ingresso riguarda quella vista guardando nella base del primo transistore, ma
non il contributo della rete di polarizzazione.
che viene ridotta dalla reazione di tensione, in accordo col fatto che il comportamento
dell’amplificatore, al crescere del fattore di reazione, tende a quello di un generatore ideale
di tensione.
Si noti che questo calcolo è stato eseguito in assenza di carico esterno, sicchè nella
(39) figura il guadagno a circuito aperto A'. Ma allo stesso risultato si arriva anche tenendo
conto del carico. In tal caso, usando la seguente espressione della funzione di trasferimento
del blocco diretto in termini dei parametri dell'amplificatore e del carico A(s) = A'(s) ZL/(ZL +
Zo), e sostituendo la (33) e la (34) nella (32) (trascurando ancora γ(s)), si ottiene
α A ' Z L ( Z L + Zo ) α A' ZL
(40) AF = =
1 + β A ' Z L ( Z L + Z o ) 1 + β A ' Z L + Z o (1 + β A ' )
Esaminando tale espressione si trova che l'impedenza d'uscita in presenza di reazione è quella
già trovata prima.
Questi risultati, per come sono stati ottenuti, sono evidentemente validi per qualsiasi
amplificatore a reazione di tensione (sia in serie che in parallelo). Negli amplificatori a
reazione di corrente, dove il segnale di reazione è proporzionale alla corrente che scorre nel
carico, la reazione negativa innalza, anzichè ridurre, l'impedenza d'uscita. Nel caso estremo di
desensibilizzazione totale, in particolare, il segnale d'ingresso determina la corrente d'uscita,
che scorre nel carico esterno, indipendentemente dal valore del carico.
Un criterio pratico per garantire che l'approssimazione di guadagno infinito sia ben
verificata, e di conseguenza i circuiti si trovino in condizioni di desensibilizzazione pressochè
totale, può essere basato sulla seguente considerazione: il modulo |AF| della funzione di
trasferimento a ciclo chiuso non può mai eccedere, in un amplificatore a reazione negativa, il
modulo |A| del guadagno dell'amplificatore interno, e deve essere anzi minore di |A| secondo
il modulo |D| del fattore di reazione. La conoscenza della caratteristica d'ampiezza
dell'amplificatore in funzione della frequenza consente dunque di scegliere, sempre in
funzione della frequenza, il massimo valore del modulo del rapporto d'impedenza che, in base
alla (42), determina la funzione AF. Questo dovrà evidentemente sempre soddisfare la
16
Questa mostra che l'amplificatore operazionale invertente si comporta in modo simile a una leva, con il fulcro
disposto nel punto corrispondente all'ingresso dell'amplificatore e i bracci di lunghezza proporzionale ai moduli
delle due impedenze.
17
Il motivo di ciò è assai semplice: la tensione d’ingresso è quella d’uscita divisa per il guadagno a ciclo
aperto, che è generalmente altissimo.
(43) AF ≈ -RF/RS
(45) AF ≈ -1/sRSCF
Si noti peraltro che questa espressione perde senso alle bassissime frequenze (cioè ai tempi
molto lunghi) e in particolare in continua, dove |AF| dovrebbe assumere valore infinito,
mentre il guadagno dell'amplificatore interno è finito e anche il modulo dell'impedenza di
reazione è finito in pratica, a causa della resistenza di perdita parallelo del condensatore.
Comunque la funzione espressa dalla (45) può essere ben realizzata in pratica con ottima
approssimazione in una banda di frequenze limitata sia inferiormente che superiormente.
(46) AF ≈ -sRFCS
E' evidente che tale espressione perde senso alle alte frequenze (cioè ai tempi brevi), dato che
|AF| dovrebbe tendere all'infinito con la frequenza. Tuttavia è possibile realizzare derivatori
che funzionano ragionevolmente bene in una regione di frequenze limitata superiormente.
L'ultimo schema, infine, rappresenta un amplificatore con taglio sia alle basse che alle
alte frequenze. Dalla (42) si ha infatti
ZF RF 1 R sRS CS
(47) AF = − =− =− F
ZS 1 + sRF CF RS + 1 sCS RS (1 + sRF CF )(1 + sRS CS )
Tutti gli schemi considerati finora, come si è già detto, invertono il segno del segnale
e sono chiamati quindi di tipo invertente. Gli amplificatori operazionali si usano
peròpossono nella configurazione detta non invertente, mostrata nella figura a pag. 31. In
(48) AF = 1 + ZF/ZS
dove con Y21 intendiamo la transammettenza fra la porta 1 e la porta 2 delle reti due porte. In
vari testi si trovano tabelle che forniscono le transammettenze di una estesa varietà di reti RC
a due porte, che possono essere usate per progettare questi circuiti,
Notiamo tuttavia che vi sono varie altre soluzioni, oltre a quella appena esaminata, per
ottenere caratteristiche filtranti di forma generale usando esclusivamente reti RC: circuiti con
un operazionale a più cicli di reazione, circuiti impieganti più operazionali (come i filtri a
variabili di stato), ecc.
Torniamo a considerare lo schema base del circuito invertente per analizzarlo tenendo
conto del guadagno finito dell'amplificatore interno, che rappresentiamo come in figura, cioè
con impedenza d'ingresso Zin finita, guadagno A finito, ma impedenza d'uscita nulla
(quest'ultima assunzione conduce ad annullare la trasmissione diretta ingresso-uscita γ(s)).
Vo ( s ) α ( s) A( s)
(52) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1 − β ( s ) A ( s )
YS YF
(53) α= ; β=
YS + YF + Yin YS + YF + Yin
YS A
(54) AF =
YS + Yin + YF (1 − A )
che nella approssimazione di guadagno infinito si riduce all'espressione (42) già trovata.
ZF 1 Z F Z F
(55) AF ≈ − 1 + 1 + +
ZS A Z S Z in
che si ottiene dividendo per A il numeratore e il denominatore della (54) e utilizzando poi
lapprossimazione 1/(1+ε) ≈ 1−ε. Tale espression è di grande utilità pratica per valutare
l'errore che si commette nella approssimazione di guadagno infinito.
Esercizio. Ripetere i calcoli dell'esempio precedente alla frequenza di 1000 Hz, nel caso in cui la funzione di
trasferimento dell'amplificatore possieda un polo reale a 10 Hz.
18
La tipica realizzazione di un multivibratore astabile consiste di due stadi amplificatori a emettitore comune
con accoppiamento capacitivo incrociato, nei quali i transistori commutano periodicamente e alternativamente
fra lo stato di saturazione e quello di interdizione.
Consideriamo il modello mostrato nella figura, dove una rete attiva, opportunamente
polarizzata, manifesta a una sua porta una impedenza con parte reale negativa RN e parte
immaginaria X; a questa porta si collega un bipolo passivo
selettivo in frequenza, che nella figura è costituito da un circuito
accordato RLC serie. Il circuito oscilla alla frequenza angolare
ωo quando sono verificate le due condizioni:
R(ωo) + RN(ωo) = 0
dove la resistenza equivalente serie R(ωo) del circuito RLC ne rappresenta tutte le
dissipazioni a ωo. Naturalmente, perchè si abbia l'innesco dell'oscillazione dovrà aversi
inizialmente G+GN<0.
sicchè il circuito si trova in reazione positiva e con fattore di reazione nullo alla frequenza
angolare ωo (cioè D(ω0)=0). Naturalmente, perchè si abbia l'innesco dell'oscillazione dovrà
aversi inizialmente Aβ>1.
E' importante osservare che l'espressione precedente esprime in realtà due condizioni
scalari alla frequenza angolare ωo. La prima è che il guadagno complessivo lungo il ciclo di
Esiste una estesa varietà di oscillatori a reazione positiva20, realizzati utilizzando nella
rete di reazione dei circuiti RC oppure LC (come nei classici oscillatori di Colpitts e di
Hartley), o anche linee di ritardo, cristalli di quarzo, ...
Analizzando la rete RC a tre celle si ricava la seguente espressione per la sua funzione
di trasferimento
1
(58) β (s) =
1 + 6τ s + 5τ 2 s 2 + τ 3 s 3
che rappresenta anche quella della rete di reazione dell'oscillatore se l'impedenza d'uscita
dell'amplificatore è trascurabile rispetto all'impedenza d'ingresso della rete e se l'impedenza
d'uscita della rete è trascurabile rispetto all'impedenza d'ingresso dell'amplificatore.
La frequenza di oscillazione si determina imponendo che β(s) sia reale e abbia segno
negativo, cioè annullandone la parte immaginaria e scegliendo la radice positiva non nulla
ωo = √6 / τ
19
Per comprendere il significato di queste due condizioni si può immaginare di interrompere il collegamento fra
la rete di reazione e l'ingresso dell'amplificatore, applicando a quest'ultimo il segnale v(t)=Vsin(ωot). Soltanto se
le due condizioni anzidette sono entrambe verificate all'uscita della rete di reazione si avrà un segnale identico a
v(t). In tal caso, rimuovendo il segnale esterno e chiudendo l'anello di reazione, il circuito si manterrà in
oscillazione.
20
J.Millman, A.Grabel Microelectronics McGraw-Hill, 1988, capitolo 15
Per ottenere una buona stabilità d'ampiezza, migliore di quella ottenibile sfruttando la
riduzione di guadagno che accompagna il manifestarsi delle nonlinearità del circuito, si
possono usare vari accorgimenti: rettificare il segnale d'uscita per ricavarne un segnale in
continua che modifichi lo stato di polarizzazione dell'amplificatore riducendone il guadagno,
inserire nel circuito elementi che presentino resistenza variabile in funzione dell'ampiezza del
segnale (diodi, termistori, lampadine21) disposti in modo da ridurre il guadagno
dell'amplificatore, ecc.
21
Una lampadinetta fu usata a questo scopo nell’oscillatore RC costruito da William Hewlett e David Packard
(sviluppando il lavoro di tesi svolto all’università di Stanford), che fu utilizzato per la colonna sonora del film
Fantasia di Walt Disney e poi costituì il primo prodotto commerciale della società Hewlett-Packard (attualmente
denominata Agilent).
IL RUMORE
1. Introduzione al rumore
La precisione delle misure fisiche, come è noto, trova il suo limite negli errori di
misura: questi sono una manifestazione del rumore (noise), in cui rientrano anche gli effetti di
deriva (drift) che sono dovuti alle componenti del rumore a bassissima frequenza. E’, ancora,
il rumore, che limita le prestazioni dei sistemi di comunicazione: nei sistemi telefonici e
radiofonici questo fenomeno si manifesta con un caratteristico soffio o fruscio, da cui derivò
appunto, all’inizio del secolo scorso, la denominazione di “rumore”. E fu proprio nei
laboratori di ricerca della Bell Telephone, con J.B. Johnson e H. Nyquist, che furono svolti
studi essenziali sul rumore elettrico derivante da fluttuazioni di natura fondamentale in
condizioni di equilibrio termodinamico (rumore termico).
1
La generalizzazione al caso di valori non equiprobabili, dovuta a Claude E. Shannon, è la seguente:
H = -Σi pi log2 pi, dove pi è la probabilità del generico valore che può assumere il segnale.
Le proprietà precedenti distinguono il rumore propriamente detto dai disturbi, cioè dai
segnali di origine esterna rispetto ai sistemi considerati (interferenze radio, rete elettrica e sue
armoniche, effetti atmosferici, vibrazioni meccaniche che producono il cosiddetto rumore
“microfonico”, ecc.). Questi disturbi, infatti, si possono considerare, almeno in linea di
principio, eliminabili con opportune tecniche di filtraggio o di schermaggio e spesso il loro
spettro non è di tipo continuo, ma è costituito da
righe. 2
2
Ingrediente essenziale di questa definizione è la banda di frequenza di osservazione, dato che le distribuzioni
spettrali del segnale e del rumore sono generalmente assai diverse. Sicchè, modificando la banda, il rapporto
SNR può cambiare a sua volta (come avverrebbe nel caso rappresentato in figura).
Notiamo per concludere che sebbene il rumore costituisca generalmente, per quanto
detto sopra, un fattore indesiderato, non mancano esempi di sue applicazioni utili3. Citiamo
fra queste, perché di particolare rilievo in fisica, la misura di talune costanti fondamentali (fra
cui la costante di Boltzmann e la carica dell’elettrone) e di determinate grandezze fisiche (fra
cui la temperatura). Menzioniamo anche l’impiego del rumore come segnale a larga banda
nella misura della caratteristica di risposta di circuiti e sistemi (eccitandone l’ingresso con
rumore a larga banda, dallo spettro d’uscita se ne ricava la funzione di trasferimento) e i
molteplici impieghi di “rumore artificiale” nelle telecomunicazioni (sistemi a spettro disperso
o spread spectrum e tecniche di codificazione).
Dal punto di vista matematico il rumore viene rappresentato e caratterizzato dalle sue
proprietà statistiche, utilizzando la teoria dei processi stocastici4 (per processo stocastico
s’intende una famiglia di funzioni del tempo, dette realizzazioni del processo, alle quali sono
associate delle distribuzioni di probabilità). In particolare si assume di solito che il rumore sia
rappresentato mediante un processo stazionario, cioè con proprietà statistiche invarianti
rispetto a traslazione temporale, ed ergodico, cioè tale che tutte le proprietà del processo
(proprietà d’insieme) siano estraibili dall’osservazione di una singola realizzazione.
3
M.S. Gupta Applications of Electrical Noise Proc. IEEE, vol. 63, pp. 996-1010, luglio 1975
S. Engelberg, Y. Bendelac Measurement of physical constants using noise IEEE Instrumentation &
Measurement Magazine, vol. 6, dic. 2003, pp. 49-52
4
A. Papoulis Probability, Random Variables, and Stochastic Processes McGraw-Hill, 3a Edizione, 1991
1 − ( x − η )2
(2) fx ( x) = exp
2πσ 2σ 2
dove η rappresenta il valor medio e σ la deviazione standard (entrambi costanti nel tempo se
il processo è stazionario), e una funzione statistica del secondo ordine, per esempio la
funzione di autocorrelazione, che è così definita:
dove E[ ] è l’operatore di aspettazione (media d'insieme) e τ è il ritardo fra due campioni del
processo. Nel caso dei processi stazionari ergodici la precedente media d’insieme può essere
sostituita con una media temporale su una realizzazione e allora l’autocorrelazione assume la
forma seguente:
lim 1 T
(4) Rxx (τ ) = ∫ x ( t + τ )x ( t ) dt
T → ∞ 2T −T
5
Per ordine di una funzione statistica s’intende il numero di diversi istanti di tempo ai quali è necessario
considerare il processo per poterla calcolare.
6
La correlazione normalizzata nell’intervallo –1,1 si ottiene dividendo l’autocorrelazione per il suo valore a
ritardo zero: ρxx(τ) = Rxx(τ)/Rxx(0).
7
Il valore quadratico medio si riduce alla varianza σ2 quando il processo ha valor medio nullo, come nel caso
del rumore.
Dato che l'autocorrelazione è una funzione pari del suo argomento τ, lo spettro di
potenza è reale e a sua volta pari nel suo argomento ω: esso ha dunque lo stesso valore a ω e
a -ω, per qualsiasi ω. Si noti che nella definizione precedente l’integrale di Fourier si estende
da -∞ a +∞ e pertanto lo spettro,
che nelle formule precedenti
abbiamo indicato con SB(ω) è
definito per frequenze sia positive
sia negative (spettro bilatero,
two-sided spectrum).
∞ 1 ∞
(6) S xx (ω ) = 2 ∫ Rxx (τ ) exp ( − jωτ ) dτ u (ω ) ; Rxx (τ ) = ∫ S xx (ω ) exp ( jωτ ) dω
−∞ 2π 0
Assai spesso, nella pratica, sono usati gli spettri di ampiezza dei segnali stocastici. Lo
spettro di ampiezza di un dato segnale è definito come la radice quadrata dello spettro di
potenza unilatero del segnale. Ne consegue che lo spettro di ampiezza di una tensione, che
indichiamo con Vn(ω) = √Svv(ω), si misura in V/√Hz; quello di una corrente in A/√Hz. Per
calcolare il valore efficace in una banda ∆f utilizzando gli spettri di ampiezza (supposti
costanti nella banda) si deve moltiplicare lo spettro per la radice quadrata della banda:
che dipende dal valore massimo HM di |H(jω)| e dalla forma della funzione di trasferimento.
Normalizzando rispetto ad HM si definisce banda equivalente di rumore del sistema H(jω)
la costante
Nel caso di una funzione di trasferimento del primo ordine con frequenza di taglio
fo = 1/2πτ si ha:
∞
1 ∞ 1 ω ω πf
(10) Bn = ∫ dω = ωo arctan = o = o
2π
( ω) ωo 0
2
0 4 2
1+ ω
o
cioè la banda equivalente di rumore è π/2 volte maggiore della banda a –3dB. Tuttavia questo
rapporto si riduce, tendendo all’unità, all’aumentare della pendenza del filtro.
Il calcolo della banda equivalente di rumore per funzioni di ordine superiore richiede
l’esecuzione di integrali non banali, ma il compito è facilitato da apposite tabelle8. Per
esempio, nel caso della funzione
c1s + c0
(11) H (s) =
d 2 s + d1 s + d 0
2
c12d 0 + c02 d 2
(12) Bn =
4d 0d1d 2
Esercizio. Calcolare la banda equivalente di rumore Bn per la seguente funzione di trasferimento risonante:
H(s) = (s/ωoQ)/(1 + s/ωoQ + s2/ωo2) e confrontarla con la banda a -3 dB (B=fo/Q).
8
G.C. Newton, L.A. Gould, J.F. Kaiser Design of Linear Feedback Controls John Wiley, 1961
Il rumore termico (thermal noise) è la sorgente di rumore più comune, dato che
agisce in ogni sistema fisico dissipativo (che si trovi a temperatura diversa dallo zero
assoluto, dove peraltro si manifesta una componente non termica dovuta alle fluttuazioni di
punto zero). La funzione densità di probabilità del rumore termico è una gaussiana con valor
medio nullo, come si comprende facilmente alla luce del teorema del limite centrale9, dato
che questo rumore proviene dalla somma di un numero enorme di contributi elementari
indipendenti incoerenti.
dove k=1.38 10-23 J/K è la costante di Boltzmann, e quindi lo spettro di potenza (unilatero)
del rumore di tensione vn(t) è dato dall'espressione:
9
Il teorema del limite centrale stabilisce che, in condizioni piuttosto generali, la densità di probabilità della
somma di un gran numero di grandezze casuali indipendenti, comunque distribuite, tende alla legge normale di
Gauss, con valor medio dato dalla somma dei valori medi delle grandezze componenti e varianza pari alla
somma delle loro varianze.
10
J.B. Johnson Thermal agitation of electricy in conductors Physical Review, vol. 32, pp. 97-109, 1928
H. Nyquist Thermal agitation of electric charge in conductors Physical Review, vol. 32, pp. 110-113, 1928
11
Johnson dimostrò che la (14) non dipende né dal tipo di resistore (utilizzando resistori realizzati con i più
vari materiali) né dal valore della resistenza, ed è valida su un esteso intervallo di frequenze.
Una importante conseguenza della (13) è che la potenza di rumore massima che un
resistore può erogare a un carico adattato (chiamata potenza disponibile) non dipende dal
valore della resistenza ma soltanto dalla sua temperatura. Si ha infatti, in una banda ∆f:
Pdisp = Vneff2/4R = kT∆f; in particolare a temperatura ambiente (290 K), nella banda di 1 Hz,
Pdisp =2.62 ×10-21 W.
Per ottenere il valore quadratico medio della tensione di rumore totale, i due contributi,
trattandosi di segnali incoerenti, vanno sommati in energia cioè quadraticamente. Si ottiene
così:
2 2
2 Vn1eff R22 + Vn 2 eff R12
(16) Vn eff =
( R1 + R2 )
2
Sostituendo nella precedente le espressioni del valore quadratico medio del rumore
dei due resistori ottenute dalla (13) si ricava:
Questa, nel caso in cui i due resistori si trovino a una stessa temperatura T, si riduce
2 R1 R2
all’espressione Vn eff = 4kT ∆f che si sarebbe potuta ottenere immediatamente
R1 + R2
considerando il bipolo costituito dai due resistori come un unico resistore di resistenza R1//R2.
L’espressione (13) indica che il valore quadratico medio del rumore termico tende
all’infinito all’aumentare della banda di osservazione, e ad analoga conclusione conduce la
(14) quando la si utilizza per calcolare l’autocorrelazione a ritardo zero, che rappresenta
appunto il valore quadratico medio del processo. Ma chiaramente questa divergenza non ha
senso fisico.
L’incongruenza si risolve a due livelli. In termini classici, considerando che in
parallelo a qualsiasi resistore reale si trova sempre una capacità parassita, che limita dunque
la banda passante (vedi Esempio nel paragrafo seguente); in termini quantistici, tenendo
presente che gli stati di energia non sono continui ma quantizzati sicché la formula (14), in
particolare, non è esatta, ma costituisce un’approssimazione dell’espressione più generale
4hω R 1
(17) Svv (ω ) =
2π hω
exp 2π kT − 1
dove h = 6.63×10-34 J/s è la costante di Planck. La (14) si ottiene dalla precedente espressione
esatta quando kT >> h/2π, cioè per T/f >> k/h = 2.08×1010 K/Hz; a temperatura ambiente
questa condizione è soddisfatta fino a frequenze di 1012 Hz.
Lo spettro di potenza della tensione di rumore termico a circuito aperto per un bipolo passivo
di impedenza Z(jω) è data dal seguente teorema, dovuto a H. Nyquist, che si dimostra
esprimendo l’impedenza come somma delle sue parti reale e immaginaria, e attribuendo
quindi l’effetto di generazione del rumore alla parte reale:
Le relazioni precedenti sono valide per un bipolo (o una porta di una rete elettrica) qualsiasi
purché "strettamente passivo", cioè costituito esclusivamente da elementi passivi (R, L e C,
induttori accoppiati e trasformatori), e soltanto se gli elementi dissipativi si trovano tutti a una
stessa temperatura12.
Utilizziamo il teorema di Nyquist (17) per calcolare il rumore termico del circuito
costituito dalla disposizione in parallelo di un resistore e di un condensatore. Dato che il
bipolo ha impedenza Z(jω)=R/(1+jωRC), lo spettro di potenza del rumore di tensione è
4kTR
(19) Svv (ω ) = 4kT Re Z ( jω ) =
1 + ω 2 R 2C 2
Questa volta la distribuzione spettrale del rumore non è uniforme: lo spettro si annulla
infatti a frequenza infinita. Dato che lo spettro non è costante con la frequenza, non si può
evidentemente usare la (13) per calcolare il valore quadratico medio della tensione di rumore
12
Altrimenti si dovranno considerare separatamente gli elementi dissipativi che costituiscono il bipolo,
assegnare a ciascuno di essi lo spettro appropriato, determinare la funzione di trasferimento fra ciascun elemento
e i terminali del bipolo, applicare il teorema (8) per calcolare il contributo allo spettro d’uscita e poi sommare i
singoli contributi.
1 ∞ 1 ∞ 4kTR kT
(21) Vn2eff = Rvv ( 0 ) = ∫ Svv (ω ) dω = ∫ dω =
2π 0 2π 0 1+ω R C
2 2 2
C
Dal risultato precedente segue che il valore quadratico medio Vneff2 del rumore non
dipende dal valore della resistenza R. Da R dipende però la distribuzione spettrale del
rumore, espressa dalla (19): al crescere di R, in particolare, aumenta il valore dello spettro a
bassa frequenza, ma si restringe la regione in cui esso è approssimativamente bianco. La
funzione di autocorrelazione, che si ottiene antitrasformando lo spettro, segue la legge
esponenziale (Æ figura a pag. 5): Rvv(τ) = (kT/C) exp(-|τ|/RC), con costante di decadimento
data da RC, che assume il significato di “tempo di correlazione”.
13
H.B. Callen, T.A. Welton Irreversibility and generalized noise Physical Review, vol. 83, pp.34-30, 1951.
La corrente i(t) può essere rappresentata come un processo stocastico di Poisson con
valor medio I = λqe, dove λ è la frequenza media di attraversamento della barriera e qe è la
carica dell’elettrone. Calcolando la funzione di autocorrelazione della corrente si ottiene:
dove il primo termine rappresenta le fluttuazioni, il secondo il quadrato della corrente media
(la corrente continua): I = λqe. Considerando soltanto le fluttuazioni e utilizzando la prima
relazione di Wiener-Kintchin (6), si ottiene lo spettro di potenza (unilatero) del rumore shot
nella forma:
Questo spettro è bianco perché è stato spettro di ampiezza della corrente di rumore shot in
unità di fA/√Hz per alcuni valori di corrente continua
ricavato nell’ipotesi che la corrente sia
1 pA 10 pA 100 pA 1 nA 10 nA
costituita da una sequenza di funzioni delta di 0.566 1.79 5.66 17.9 56.6
Dirac, ciascuna corrispondente al passaggio istantaneo di una carica elementare. Se si tiene
conto del tempo di transito delle cariche attraverso la barriera di potenziale, rappresentandone
il passaggio con un impulsetto di durata finita, e la formula (22) viene modificata
corrispondentemente, si trova che lo spettro tende a zero al crescere della frequenza oltre
l’inverso del tempo di transito.
E’ importante notare che quando il flusso della corrente viene regolarizzato in qualche
modo (per esempio, nei tubi a vuoto, da effetti di carica spaziale) allora il rumore shot diventa
inferiore a quello calcolato sopra, detto full shot noise. Deboli effetti di regolarizzazione sono
frequenti; un caso estremo è quello del passaggio della corrente attraverso un conduttore
metallico, dove non si considera il rumore shot perché non si manifesta apprezzabilmente; il
Quando si impiegano le formule precedenti nel calcolo del rumore shot nei dispositivi
elettronici occorre attenzione nell’attribuire il corretto valore alla corrente a cui è associato il
rumore, cioè che determina lo spettro in base alla (23). Consideriamo per esempio un diodo a
giunzione, governato dalla legge di Shockley I = Io(exp(V/VT - 1), polarizzato con V=0.
Applicando la legge precedente si trova che in tale caso I = 0 e pertanto si potrebbe
concludere pedissequamente che non si ha rumore. E invece si deve notare che la corrente
totale è nulla perché consiste nella differenza fra due correnti che hanno uguale intensità Io
ma sono dirette in versi opposti; ciascuna di queste produce rumore shot sicché lo spettro
totale14 è Sii(ω) = 4Ιοqe e il corrispondente spettro di ampiezza è √Sii(ω) = 2√(Ιοqe). Con Io=10
pA si avrebbe √Sii(ω) = 2.5 fA/√Hz.
Considerazioni simili vanno fatte anche nel caso della corrente di perdita IG che
attraversa la porta di un transistore FET a giunzione, che a volte viene misurata (in continua)
per stabilire il rumore di corrente all’ingresso del dispositivo15. Anche tale corrente ha origine
dalla differenza di correnti dirette in versi opposti sicché il rumore effettivo può risultare
maggiore di quello calcolato utilizzando il valore misurato di IG.
14
Si noti che allo stesso risultato si arriva considerando il rumore termico associato alla resistenza differenziale
del diodo, che in condizioni di polarizzazione nulla vale rd = VT/Io. Si ha infatti, ricordando che VT = kT/qe:
Sii(ω) = 4kT/rd = 4Ioqe.
15
Questo metodo viene impiegato in alternativa alla misura diretta del rumore di corrente, che è assai delicata
dato il valore assai basso di tale grandezza rispetto alla sensibilità degli strumenti di misura.
Vi è poi il cosiddetto rumore 1/f, chiamato anche rumore flicker (tremolio) oppure
rumore di eccesso (excess noise), che si manifesta con uno spettro di potenza che segue, su
un’estesa gamma di frequenze, una legge del tipo 1/fα, dove α è un parametro prossimo
all’unità (generalmente compreso fra 0.8 e 1.3), e quindi è un rumore “rosa”. Fluttuazioni con
andamento spettrale di questo tipo non si osservano soltanto nei dispositivi elettronici “attivi”
e nei resistori percorsi da corrente (cioè in condizioni di non equilibrio termodinamico), ma
anche in una estesa varietà di fenomeni16. Fra questi, le fluttuazioni di frequenza dei campioni
di frequenza, il rumore nelle membrane biologiche, e le fluttuazioni dell’intensità del traffico
sulle autostrade, delle piene del fiume Nilo, dell’intensità dei suoni che costituiscono un
brano musicale, dell’attività solare...
Non si dispone di una teoria generale del rumore 1/f, che ne giustifichi la presenza in
ambiti così diversi: l’ipotesi più accettata è che questo rumore sia la risposta a una
eccitazione bianca e gaussiana da parte di sistemi caratterizzati dalla presenza di un gran
numero di costanti di tempo con determinate caratteristiche. Un buon esempio a tale riguardo,
dovuto a V. Radeka17, è costituito da una linea di trasmissione RC, che presenta impedenza
caratteristica Zo(s) = 1/(sRC)1/2, dove R e C sono la resistenza e la capacità della linea per
unità di lunghezza: se la linea è alimentata da uno spettro bianco di rumore di tensione, lo
spettro della corrente che la attraversa seguirà la legge 1/f.
Assumendo un modello con spettro di potenza 1/f, si osserva che la potenza del
rumore è la medesima in ogni decade di frequenza, con conseguente divergenza a bassa
frequenza. Per questi processi non è dunque possibile definire un valore quadratico medio.
Per evitare la divergenza lo spettro dovrebbe tendere a un valore finito quando la frequenza
tende a zero; tuttavia, in vari casi, le osservazioni sperimentali mostrano che, anche a
frequenze molto basse, fino al limite pratico determinato dall’inverso del tempo di
osservazione, lo spettro mantiene l’andamento 1/f.
16
M. Gardner Musica bianca, musica scura, curve fratte e fluttuazioni uno-su-effe Le Scienze, n.120, agosto
1978.
E. Milotti Il rumore 1/f Le Scienze, n.334, pp. 74-79, giugno 1996.
17
V. Radeka 1/f Noise in Physical Measurements IEEE Trans. Nucl. Sci., vol. NS-16, pp.17-35, ottobre 1969.
dove il parametro m dipende dal materiale e dalla tecnologia costruttiva, che si interpreta in
termini di fluttuazioni relative della resistenza. I valori piú bassi di m, per cui l’eccesso 1/f è
trascurabile rispetto al rumore termico si hanno per i resistori a filo metallico; valori più
elevati si hanno, nell’ordine, per i resistori a strato metallico, per quelli a carbone e per quelli
a impasto o a composizione (m ~ 10-6÷10-7), indicando una palese dipendenza dal grado di
uniformità del materiale. In alternativa, il rumore dei resistori si caratterizza con l’indice di
rumore (noise index) in termini di µVeff di
rumore in una decade di frequenza per volt in
continua ai capi del resistore: per un resistore
a impasto questa grandezza ha valori
tipicamente compresi fra 0.3 e 3 µVeff/IR.
Esercizio. Calcolare il rumore 1/f nel caso in cui un resistore di resistenza R attraversato da una corrente
continua I venga sostituito con n resistori di resistenza R/n, se il rumore 1/f dei resistori segue la legge (24).
dove fo è la frequenza d’incrocio del rumore 1/f. I valori della frequenza d’incrocio sono
generalmente compresi fra 1 Hz e 1 MHz, a seconda del tipo di dispositivo.
(26) σ2 = q2/12
Esercizio. Il foglio tecnico dell’amplificatore AD8510 fornisce i seguenti valori tipici del rumore di tensione:
34 nV/√Hz a 10 Hz, 12 nV/√Hz a 100 Hz, 8 nV/√Hz a 1 kHz, 7.6 nV/√Hz a 10 kHz. Ricavare graficamente la
frequenza d’incrocio 1/f.
Esercizio. Il rapporto segnale/rumore di un convertitore A/D. Ricavare una espressione in unità di decibel
per il rapporto segnale/rumore di un convertitore analogico-digitale in funzione del numero n di bit,
considerando il rapporto fra il valore efficace della sinusoide di massima ampiezza che rientra nella dinamica
del convertitore e il valore efficace del rumore di quantizzazione.
E’ importante osservare che la temperatura equivalente a una porta di una rete può essere
minore della temperatura termodinamica a cui questa si trova effettivamente. Ciò può
verificarsi, come vedremo successivamente, in presenza di reazione negativa.
18
Ammettendo che tutti i generatori di rumore siano scorrelati fra loro.
Conoscendo la funzione di trasferimento fra la porta d’ingresso e quella d’uscita, si potrà poi
calcolare lo spettro del rumore alla porta d’uscita. La forma della (29) mostra che si possono
generalmente distinguere tre diverse regioni di funzionamento al crescere del modulo
dell’impedenza della sorgente. Per bassi valori di |Zs| domina il rumore di tensione, poi
interviene il rumore termico della sorgente e infine domina l’effetto del rumore di corrente.
19
Non è detto che questa sia la rappresentazione migliore dal punto di vista del calcolo del rumore. La
rappresentazione più conveniente sotto questo punto di vista è infatti quella per cui i due generatori di rumore
non sono correlati o presentano minima correlazione. Nel caso dei dispositivi elettronici, ciò dipende dalla fisica
del dispositivo, per cui, ad esempio, i due generatori di rumore non correlati potrebbero essere due generatori di
corrente disposti in parallelo alle due porte.
20
In questo calcolo si è supposta infinita l’impedenza della porta della rete. In realtà questa non sarà infinita e
quindi introdurrà un fattore di attenuazione; questo però sarà il medesimo, a ogni frequenza, per i diversi
contributi al rumore come pure per l’eventuale segnale proveniente dalla sorgente.
Esercizio 1. Analizzare il circuito per ricavare l’espressione dello spettro Svv data sopra.
Esercizio 2. Calcolare il valore del resistore di reazione che rende minima la temperatura equivalente e trovare
una espressione per tale grandezza.
21
M.J.Buckingham, E.A. Faulkner The principles of pulse signal recovery from gravitational antennas Radio
Electronic Engineer, vol. 42, pp. 163-171, aprile 1972.
Le prestazioni di rumore delle reti a due porte, e in particolare degli amplificatori, vengono
generalmente caratterizzate in base al rapporto F fra il rumore totale e il rumore termico della
sorgente, chiamato fattore di rumore (noise factor). In questa definizione, naturalmente,
occorre assegnare alla sorgente una data temperatura22, che per convenzione si sceglie pari a
T=290 K. Si noti inoltre che questa definizione non ha senso nel caso di una sorgente con
impedenza zero oppure puramente reattiva. Utilizzando la (29) si ha:
Il fattore di rumore ha dunque valore unitario per un amplificatore privo di rumore e valori
via via crescenti al crescere della sua rumorosità. Più spesso si utilizza in pratica la figura di
rumore (noise figure) NF, cioè il fattore di rumore espresso in decibel:
(32) NF = 10 log10 F
Il fattore di rumore rappresenta l’incremento del rumore, introdotto dalla rete, rispetto
al rumore termico della sorgente; ma può anche interpretarsi come rapporto fra il rapporto
segnale/rumore all’ingresso della rete rumorosa e quello alla sua uscita. Si tratta,
naturalmente, di rapporti spettrali, a differenza di quello definito dalla (1).
La formula (30) mostra che per bassi valori dell’impedenza di sorgente il fattore di
rumore è dominato dall’effetto del rumore di tensione, per alti valori di Zs da quello del
rumore di corrente, e che in una regione intermedia si ha un minimo. Ricercando il minimo
rispetto all’impedenza della sorgente, cioè uguagliando a zero le derivate del fattore di
rumore rispetto a Rs e a Xs, si trovano le seguenti condizioni:
(33) Rs = Rn = (Vn2(ω)/In2(ω))1/2 ; Xs = 0
22
Ovvia, ma indesiderabile, conseguenza di questa definizione è che essa perde significato fisico quando la
sorgente si trova a temperatura diversa da 290 K. Si definisce anche un fattore di rumore “operativo” in cui si
come temperatura di riferimento si considera quella effettiva della sorgente; ma in tal caso un dato
amplificatore, con date caratteristiche di rumore, presenterà valori diversi del fattore di rumore a seconda della
temperatura della sorgente.
12
Grafico delle figura di rumore,
9 in unità di decibel, in funzione
della resistenza di sorgente.
6
s In basso per Vn=10 nV/√Hz e
3 In = 10 fA/√Hz (Tn=3.6 K).
In alto per Vn=100 nV/√Hz e
0 In = 100 fA/√Hz (Tn=360 K).
3 4 5 6 7 8 9 10
100 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 In entrambi i casi si ha Rn=1MΩ.
Rs
Per esempio, nel caso rappresentato dalla curva in basso nella figura sopra, questo
intervallo si estende da poco meno di 10 kΩ fino oltre 100 MΩ, fissando a 3 dB i valori
massimi accettabili per la figura di rumore. Una situazione di questo tipo è certamente
vantaggiosa nel caso di uno strumento di impiego generale. Per caratterizzare il rumore di
questi strumenti, tenendo presente che il fattore di rumore definito dalla (30) dipende dalla
frequenza, si utilizzano di solito i cosiddetti contorni di rumore (noise contours) che
rappresentano nel piano frequenza, resistenza di sorgente le curve costituite dai punti per cui
la figura di rumore è costante.
23
Sia i trasformatori sia i componenti reattivi reali presentano infatti dissipazioni che costituiscono ulteriori
sorgenti di rumore termico. A radiofrequenza, d’altra parte, l’adattamento può essere realizzato con uno
spezzone di linea di trasmissione, ma soltanto a banda stretta.
Vn2 I n2
(35) Tn =
2k
cioè, esprimendo gli spettri di ampiezza nelle unità pratiche usuali (nV/Hz e fA/Hz):
Questa grandezza può essere interpretata come la temperatura a cui va portata la sorgente,
quando siano verificate le condizioni di adattamento (33), perché lo spettro del rumore totale
si raddoppi rispetto al caso in cui la sorgente si trova allo zero assoluto.
dove ricordiamo che T = 290 K è la temperatura di riferimento usata nella definizione del
fattore di rumore.
La temperatura di rumore non può mai annullarsi per l’intervento del rumore dovuto
al principio di indeterminazione di W. Heisenberg; il limite inferiore per questa grandezza è
stato trovato da H. Heffner24:
hω
(38) Tmin =
2π k ln 2
Si noti che il limite di Heffner dipende dalla frequenza: a 1 kHz si ha Tmin = 3.3 ×10-8 K.
24
H. Heffner The fundamental noise limit of linear amplifier Proc. IRE, vol. 70, pp. 1604-1608, 1962.
Si noti che il limite di Heffner riguarda gli amplificatori lineari, ma non le tecniche di “evasione quantistica” che
consentono di eseguire misure estremamente precise di un grandezza a spese di una maggiore incertezza sulla
grandezza coniugata.
25
Non lavorano in regime impulsivo gli amplificatori di carica utilizzati nella misura delle vibrazioni
meccaniche, perchè la loro funzione è quella di convertire in una tensione la carica elettrica, funzione del tempo,
generata da un trasduttore piezoelettrico in risposta alle vibrazioni a cui è soggetto.
Imponendo l’uguaglianza del valore efficace del rumore Vn eff e dell’ampiezza del segnale
Q/eC, si ricava infine la carica equivalente di rumore in ingresso:
che dipende dalle capacità del circuito e dalla temperatura di rumore dell'amplificatore. La
carica ENC può essere espressa in unità di carica elementare, dividendola per qe, oppure in
energia, ricordando che la rottura di un legame covalente nel silicio richiede circa 3.6 eV.
Tutti i dispositivi a giunzione pn sono evidentemente soggetti a rumore shot in relazione alle
correnti che ne attraversano le giunzioni. Allo stesso modo tutti i dispositivi nei quali sia
presente una resistenza sono soggetti a rumore termico.
Nel caso dei transistori a giunzione, nella connessione a emettitore comune l’effetto
shot si manifesta indipendentemente all’ingresso (corrente di base IB) e all’uscita (corrente di
collettore IC) e si può rappresentare pertanto con due generatori di rumore di corrente disposti
rispettivamente fra base ed emettitore e fra collettore ed emettitore. Ma si deve anche
considerare il rumore termico della resistenza di base rbb’, che si rappresenta con un
generatore di rumore di tensione disposto in serie alla base.
Volendo porre il rumore nella forma standard occorre riportare in ingresso il rumore
shot d’uscita, dividendolo per la transconduttanza del dispositivo: gm ≅ 1/re, dove re ≅ VT/IC =
kT/qeIC è la resistenza dinamica della giunzione base-emettitore. Gli spettri di potenza dei due
generatori in ingresso sono pertanto:
26
Queste tecnologie possono essere diverse anche per dispositivi con la stessa sigla, ma per esempio
provengono da costruttori diversi.
dove il contributo shot allo spettro di tensione, inversamente proporzionale a IC, domina a
basse correnti di collettore mentre a correnti più elevate (IC > kT/2qerbb’) domina il contributo
termico di rbb’. Si noti però che le espressioni date sopra forniscono soltanto dei limiti
inferiori per il rumore, dato che in pratica esso è soggetto anche a contributi di tipo 1/f (fra
cui l’effetto della corrente di base che attraversa la resistenza rbb’).
Nel caso dei transistori FET a giunzione, il rumore shot all’ingresso è assai minore
rispetto ai BJT, dato che riguarda la corrente IG di una giunzione polarizzata inversamente
(sia pure con le cautele menzionate a pag. 14). Il rumore termico del canale, che si manifesta
all’uscita del dispositivo con spettro di potenza dato approssimativamente27 da 4kT(2gm/3),
può essere riportato in ingresso, anche in questo caso dividendolo per la transconduttanza del
dispositivo. Gli spettri di potenza dei due generatori in ingresso sono pertanto:
27
Il fattore 2/3 deriva dalla natura distribuita del canale dei dispositivi a effetto di campo.
Dato che nelle due famiglie di dispositivi le tensioni di rumore sono dello stesso
ordine di grandezza, ma nei FET le correnti di rumore sono assai minori, ne consegue che
questi ultimi presentano le temperature di rumore più basse e le resistenze di sorgente ottimali
più alte, come mostrato nella tabella a pagina seguente.
Notiamo infine che per ottenere prestazioni di rumore decisamente migliori rispetto a
quelle dei dispositivi usuali occorre utilizzare i dispositivi elettronici superconduttori basati
sull’effetto Josephson. Gli SQUID a radiofrequenza (rf SQUID), in particolare hanno
temperature di rumore attorno a 10-3 K, mentre gli SQUID in continua (dc SQUID)
consentono di arrivare fino a 10-5÷10-6 K.
Ciò significa in primo luogo assegnare allo stadio d’ingresso un guadagno tale da
poter trascurare il rumore degli stadi successivi. In secondo luogo è necessario curare con
estrema attenzione il circuito d’ingresso, nella scelta dei valori e dei tipi di componenti,
analizzando per ciascuno il contributo al rumore totale. Particolarmente insidiosa a tale
proposito può risultare la scelta dei condensatori.
Nel caso di impedenze di sorgente più elevate converrà invece utilizzare un transistore
a effetto di campo. Per ottenere un basso valore del rumore di tensione si sceglierà un
dispositivo con elevata transconduttanza, polarizzandolo a corrente di drain prossima a quella
di saturazione (IDSS), ma con basso valore di caduta VDS, in modo da ridurre la dissipazione di
potenza e quindi il riscaldamento del FET, che presenta, per quanto detto sopra, varie
conseguenze negative ai fini del rumore. Per ottenere un basso valore del rumore di corrente
si sceglierà un FET con basso valore di IG, ma occorrerà attenzione al resistore di
polarizzazione della porta, che dovrà presentare un elevato valore di resistenza effettiva alle
frequenze di interesse anche tenendo conto dell’effetto Boella (Æ parte II, pag. 15).
Una soluzione spesso adottata per ridurre il rumore di tensione (tecnica di Faulkner)
consiste nel disporre in parallelo N dispositivi. Si dimostra facilmente che se questi hanno
tutti lo stesso rumore di tensione Vn e di corrente In, e la stessa transconduttanza, il rumore di
tensione complessivo è Vn/√N e il rumore di corrente è In√N, mantenendo quindi costante il
valore della temperatura di rumore, ma alterando, in modo simile a un trasformatore, il valore
Poichè, in generale, l’impedenza della sorgente di segnale è data a priori, può darsi
che si ponga il problema di realizzare il corretto adattamento d’impedenza fra la sorgente e la
resistenza di rumore del dispositivo prescelto, più precisamente quella dello stadio
d’ingresso. I trasformatori offrono grande flessibilità di adattamento, ma limitano la banda,
introducono a loro volta rumore e possono anche creare problemi di captazione di disturbi. In
alternativa, quando è possibile, conviene utilizzare la tecnica di Faulker, che è assai meno
flessibile ma fornisce ottime prestazioni.
Indicando con v(t)=V cos(ωt) la tensione della sorgente a circuito aperto, la corrente
che scorre nel carico sarà i(t)=I cos(ωt+φ) con I=V/|ZS+ZL|. Pertanto la potenza assorbita dal
carico è
I 2 RL V 2 RL
(1) P= =
2 2 ( RS + RL ) + ( X S + X L )2
2
per cui si ha il massimo trasferimento di potenza dalla sorgente al carico (si noti che la
seconda corrisponde a imporre la risonanza del circuito). Tali condizioni si possono
esprimere nella forma più compatta
che stabilisce che l'impedenza del carico deve essere uguale alla coniugata dell'impedenza
della sorgente. Quando ciò si verifica, e in tal caso si dice che il carico è adattato alla
sorgente, la potenza assorbita dal carico assume il valore massimo
V2
(4) P=
8 RL
Se le impedenze della sorgente e del carico sono ambedue reali, la rete di adattamento
sarà costituita da un trasformatore1. E occorre allora valutare attentamente gli effetti dei
parametri parassiti di questo componente: a bassa frequenza l'effetto dell'induttanza parallelo,
ad alta frequenza quello delle induttanze disperse e delle capacità parassite.
Se una delle due impedenze (o entrambi) non è reale, la rete di adattamento dovrà
contenere elementi atti a realizzare, oltre alla prima, anche la seconda condizione di
adattamento. Se è sufficiente ottenere l'adattamento soltanto a una frequenza ben determinata,
la soluzione è immediata: basta disporre in serie2 al carico (o alla sorgente) un elemento
reattivo (condensatore o induttore) di reattanza tale da soddisfare la condizione anzidetta. In
tal caso, supponendo per semplicità che si abbia RL = RS, l'elemento di adattamento dovrà
avere reattanza XA tale da verificare, alla frequenza considerata, la condizione:
(5) XS + XL + X A = 0
1
Questa non è l'unica soluzione: in determinate condizioni (se è sufficiente realizzare l'adattamento soltanto
nell'intorno di una determinata frequenza) si possono utilizzare schemi basati sull'impiego di circuiti risonanti
(sfruttando le proprietà di due o più oscillatori accoppiati) oppure, ad alta frequenza, si può usare un tratto di
linea di trasmissione di lunghezza opportuna.
2
L'adattamento si può realizzare anche disponendo l'elemento di adattamento in parallelo alla sorgente e al
carico, in tal caso la sua suscettanza dovrà esser tale da annullare la suscettanza totale.
2. Teorema di Helmholtz-Thévenin
Il teorema stabilisce che qualsiasi rete lineare attiva a una porta è equivalente al
circuito costituito da un generatore di tensione ideale Vo(s) disposto in serie a una impedenza
Zo(s), dove
Vo(s) rappresenta la trasformata della tensione che si osserva alla porta della rete in
assenza di carico esterno (tensione a vuoto);
Quest'ultima grandezza richiede una precisazione: essa s'intende definita quando tutti
i generatori indipendenti contenuti nella rete sono disattivati (cortocircuitando i generatori di
tensione ed eliminando i generatori di corrente), mentre restano invece attivi tutti i generatori
controllati4.
Quanto detto sopra fornisce utili indicazioni per l'esecuzione di misure atte a
determinare sperimentalmente i parametri Vo(s) e Zo(s) di una rete attiva. Ma in queste
3
Questo teorema è comunemente attribuito all'ingegnere telegrafico belga Leon Charles Thévenin che lo
presentò nel 1883, in un lavoro pubblicato nei rendiconti dell'Accademia Francese delle Scienze. In realtà il
teorema venne introdotto per la prima volta dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz nel 1853, in un lavoro
concernente l'elettricità animale (J.E. Brittain Thévenin's theorem IEEE Spectrum, marzo 1990, pag. 42).
4
Si tratta di un punto importante, dato che l'impedenza d'uscita di un circuito reazionato (amplificatori a
controreazione, regolatori di tensione, ecc.) dipende in modo essenziale dall'azione dei generatori controllati
presenti nel circuito stesso.
Io(s) = Vo(s)/Zo(s)
3. Teorema di Norton
e si ha evidentemente:
5
Si può usare questo metodo, per esempio, per misurare l’impedenza d’uscita di un alimentatore stabilizzato in
funzione della frequenza.
(8) V (s) =
∑ V ( s )Y ( s ) = ∑ V ( s ) Z ( s )
i i i i i i
∑ Y (s) i i ∑ 1 Z (s) i i
e l'impedenza d'uscita è data dal parallelo delle impedenze Zi. A questo risultato si arriva
utilizzando il teorema di Norton e il principio di sovrapposizione degli effetti.
5. Teorema di Miller
Il teorema di Miller6 riguarda quelle reti lineari attive in cui la tensione di un nodo
determina univocamente la tensione di un altro nodo
Il teorema stabilisce che un'impedenza Z(s) che sia collegata fra i due nodi può essere
eliminata sostituendola con due impedenze: Z'(s) collegata fra il primo nodo e il riferimento
di massa, Z"(s) collegata fra il secondo e massa, dove
La rete così ottenuta è equivalente alla prima per quanto riguarda i valori delle
tensioni ai nodi e il comportamento esterno.
6
Nel 1919 il fisico americano John Milton Miller osservò che la capacità d'ingresso di un triodo subiva un forte
aumento quando questo funzionava come amplificatore. Studiando il fenomeno (chiamato oggi effetto Miller, in
qualsiasi tipo di dispositivo amplificatore si verifichi), egli trovò che era dovuto all'azione del guadagno del
dispositivo sulla capacità elettrostatica fra l'elettrodo d'ingresso (griglia) e quello d'uscita (anodo) del triodo.
V2 ( s ) − V1 ( s )
(11) IZ ( s ) =
Z (s)
V1 ( s ) − V2 ( s ) V1 ( s ) (1 − K ( s ) )
(12) I1 ( s ) = − I Z ( s ) = =
Z (s) Z (s)
V2 ( s ) − V1 ( s ) V2 ( s ) (1 − 1 K ( s ) )
I2 ( s ) = IZ ( s ) = =
Z (s) Z (s)
esattamente come se fra il primo nodo e massa e fra il secondo e massa fossero collegate,
rispettivamente, le impedenze Z'(s) e Z"(s) date dalla (10).
C' = C(1-A)
Il caso di guadagno positivo con A>1 presenta un certo interesse perchè permette di
realizzare una porta dotata di capacità negativa. A circuito aperto questo circuito è instabile,
mentre è stabile, e può risultare assai utile, quando quando ad esso venga collegata una
capacità (positiva) esterna che sia maggiore, in valore assoluto, di quella negativa.
Esercizio. Si abbia una sorgente di segnale a gradino che sia osservabile attraverso un circuito RC con RS=10
kΩ (in serie alla sorgente) e CS=100 pF (rispetto a massa). All'uscita del circuito RC si colleghi un amplificatore
ideale con guadagno A=10 e capacità C=10 pF fra ingresso e uscita. Calcolare la capacità negativa introdotta
dall'amplificatore, la capacità totale sul nodo d'ingresso dell'amplificatore e il tempo di salita del segnale,
confrontando quest'ultimo risultato con quello relativo al caso in cui si impieghi un amplificatore usuale.
La resistenza d'ingresso totale Rin, fra base e massa, è data dal parallelo di R' e della
resistenza d'ingresso del transistore (approssimativamente pari a hfeRE ≈ 22 kΩ) e si ha
pertanto Rin ≈ 6.4 kΩ. Questo ci permette di calcolare l'attenuazione fra la sorgente di segnale
e la base del transistore (trascurando l'impedenza del condensatore di accoppiamento):
Rin/(Rin+RS) ≈ 0.39. L'amplificazione totale Avs del circuito, fra la sorgente e l'uscita, vale
pertanto ≈ - 3.9.
I DIAGRAMMI DI BODE
1. La rappresentazione grafica delle funzioni dei sistemi nel dominio della frequenza
Il termine costante K corrisponde alla costante 20 log K nel diagramma del modulo e
a fase nulla in quello della fase. Il fattore monomio (jω)±1, che a seconda del segno
dell’esponente corrisponde a un polo o a uno zero nell’origine, è rappresentato nel
diagramma del modulo da una retta con pendenza di ±20 dB/decade7 che attraversa l’asse
delle ascisse nel punto ω = 1, come
mostrato nella figura nel caso di uno
zero (esponente +1). La fase ha
valore costante, data dal prodotto
dell’esponente per π/2. Si ha infatti:
7
20 dB/decade è approssimativamente uguale a 6 dB/ottava. Ricordiamo che una decade rappresenta un
intervallo di frequenza i cui estremi sono in rapporto 10; un’ottava, un intervallo i cui estremi sono in rapporto
2.
Cioè nel caso di un polo, al crescere di ω, l’ampiezza prima è costante (0 dB) poi diminuisce
tendendo ad annullarsi, mentre la fase prima è nulla e poi tende a -π/2; nel caso di uno zero,
l’ampiezza prima è costante (0 dB) e poi aumenta tendendo all’infinito, mentre la fase prima
è nulla e poi tende a π/2. Alla pulsazione caratteristica (ω=1/τ), in particolare, il modulo vale
±3 dB e lo fase ±π/4.
Dalla (3) si ricava che il diagramma del modulo presenta due asintoti. Il primo, per
ω<<1/τ, è una retta orizzontale coincidente con l’asse delle ascisse; il secondo, per ω>>1/τ,
con equazione ±20log ωτ, è una retta con pendenza ± 20 dB, che attraversa le ascisse
(incrociando il primo) nel punto ω=1/τ corrispondente alla pulsazione di taglio. Tracciando il
primo asintoto da -∞ a 1/τ e il secondo da 1/τ e +∞ si ottiene il diagramma asintotico,
mostrato a tratto pieno nella figura, che costituisce una rappresentazione approssimata ma
spesso sufficiente. Lo scarto massimo fra il diagramma asintotico e quello esatto, mostrato a
tratteggio, è infatti di 3 dB. Più precisamente, lo scarto è di 3 dB alla pulsazione ω=1/τ, e di 1
dB un’ottava sotto e una sopra, come si ricava dalla (3).
8
Un caso particolare, sebbene poco frequente in pratica, si ha quando la parte reale dello zero è positiva; in tal
caso lo sfasamento è in ritardo, anzichè in anticipo, variando fra 0 e -π/2 al crescere di ω.
Il diagramma del modulo presenta due asintoti, come nel caso del fattore binomio, che si
incrociano nel punto ω =ωo: uno orizzontale e l’altro inclinato, ma con pendenza doppia (±40
dB/decade). Ma qui lo scarto fra i diagrammi asintotici e quelli esatti dipende dal valore del
fattore di merito Q (o dello smorzamento ξ, ricordando che ξ=1/2Q). Se Q =½ (vedi nota 9),
lo scarto massimo è 6 dB a ω = ωo. Al crescere di Q lo scarto massimo tende a 20 log Q,
come è mostrato nella figura a sinistra che rappresenta il diagramma del modulo per vari
valori di Q nel caso di esponente –1 (due poli complessi coniugati).
ω/ωo
Anche il diagramma della fase dipende fortemente dal fattore di merito, come mostra la
figura a destra: si nota in particolare che al crescere del fattore di merito la variazione della
fase diventa sempre più rapida in prossimità della frequenza caratteristica, dove peraltro ha
sempre valore costante ±π/2.
9
Si noti che per valori di Q<½ il fattore trinomio degenera nel prodotto di due fattori binomi (corrispondenti a
due poli reali distinti); per Q=½, nel quadrato di un fattore binomio con τ = 1/ωo.
L’esame preliminare di una funzione F(s) consente di stabilirne i valori asintotici del modulo
e della fase per ωÆ0 e per ωÆ∞, e di verificare che i diagrammi rispettino queste condizioni
limite. Scrivendo la funzione nella forma generale
m
N (s)
∑b s j
j
F (s) =
j =0
(5) =
D (s) n
∑a s
i =0
i
i
il limite per ωÆ∞ del modulo di F(jω) è (bm/an)ωm-n, a cui corrisponde nel diagramma di
Bode un asintoto ad alta frequenza con pendenza 20(m-n) dB/decade; il limite della fase è
costante e vale (m-n)π/2.
10
Abbiamo visto che un polo reale ritarda la fase di ≈0.1 rad ≈5.7° una decade sotto la frequenza di taglio.
11
Per esempio in Savant, Roden, Carpenter Electronic Design-Circuits and Systems Benjamin/Cummings,
Redwood City, 1991, pag. A50; G.V. Pallottino Cibernetica La Goliardica, Roma, 1969, pag. 80
Esercizio 2. Tracciare i diagrammi di Bode della funzione di trasferimento di una rete “ritardatrice di fase”:
H(s) = 0.5(1+103s)/(1+104s). Disegnare un circuito che realizza tale funzione: a) usando elementi passivi R e C,
b) usando un amplificatore operazionale ed elementi passivi R e C.
Esercizio 3. Un amplificatore con guadagno 106 viene impiegato in un circuito a controreazione con funzione di
trasferimento ad anello aperto12 L(s) = -106β/(1+s/2π10)(1+s/2π103)(1+s/2π104). Tracciare i diagrammi di Bode
della funzione per stabilire il valore del parametro β per cui l’amplificatore reazionato diventa instabile, cioè vi è
una frequenza a cui la fase di L(jω) assume il valore -2π e il modulo è unitario (0 dB).
12
vedi pag. 3 parte VIII
L’AFFIDABILITA’
1. Cenni sull’affidabilità
F(t) = 1 – R(t)
1 dN 1 dR
(2) λ (t ) = − =−
N (t ) dt R(t ) dt
Integrando la precedente e tenendo conto che R=1 per t=0, si ricava infine:
t
(3) R(t ) = exp − ∫ λ (τ )dτ
0
Se il tasso di guasto λ non dipende dal tempo, allora si trova che l’affidabilità segue la
legge di decadimento esponenziale:
13
I. Bazovsky Principi e metodi dell’affidabilità Etas Kompass, Milano, 1969
Il reciproco di λ prende il nome di tempo medio fra i guasti MTBF (mean time
beween failures): MTBF = 1/λ. Questa grandezza viene misurata in pratica come il valor
medio degli intervalli di tempo fra un guasto e l’altro di un apparato in prova.
λ(t) invecchiamento
mortalità
infantile
tempo
L’affidabilità R(t) di un sistema costituito da più componenti, ciascuno dei quali sia
essenziale per il suo funzionamento (in tal caso si dice che tali componenti sono “in serie” dal
punto di vista affidabilistico) è data dal prodotto delle affidabilità Ri(t) di ciascuno di questi:
R(t) = Π Ri(t). Nel caso di guasti casuali (λi = cost) si ha:
Theory of Reliability a cura di A.Serra e R.E.Barlow, Atti della scuola internazionale di fisica Enrico Fermi
(1986), North Holland, Amsterdam, 1986
I criteri seguiti nella progettazione dei sistemi allo scopo di ottenere elevata
affidabilità consistono in generale: a) nell’impiego di componenti di alta affidabilità (ottenuti
anche mediante tecniche di scelta o vagliatura (screening) dei componenti); b) nel prevedere
che i componenti siano impiegati a livelli di sollecitazione (elettrici, termici, meccanici, ecc.)
inferiori a quelli per cui essi sono stati progettati); c) nell’uso di tecniche di ridondanza o
tolleranza ai guasti (fault tolerance).
Il criterio della ridondanza consiste nel far sì che il funzionamento di un sistema non
dipenda criticamente dal funzionamento di tutti i suoi componenti. Si dice, in tal caso, che i
componenti dal punto di vista affidabilistico non sono disposti “in serie” (in tal caso il guasto
di uno di essi produrrebbe il guasto dell’intero sistema), ma “in parallelo” (e allora il sistema
è soggetto a guasto solo quando si sono guastati tutti i componenti disposti “in parallelo”).
Questo criterio consente di migliorare notevolmente l’affidabilità. Per esempio, ponendo “in
parallelo” due elementi con probabilità di guasto F1 = 1 - R1 ed F2 = 1 - R2, la probabilità di
guasto del loro insieme diventa F = F1 F2, sicchè l’affidabilità complessiva è R = 1 - F = 1 -
F1 F2 = R1+R2 - R1R2, cioè assai maggiore di quella dell’uno o dell’altro dei due componenti.
Questa soluzione può essere adottata anche a livello del singolo componente
impiegando la configurazione denominata quad. Cioè sostituendo il componente (per
esempio un condensatore di filtraggio di un alimentatore) con quattro identici collegati
circuitalmente in serie-parallelo come indicato sotto.
Per disporre di componenti di elevata affidabilità si seguono varie strade, in ogni caso,
ovviamente, utilizzando oggetti già rodati, cioè che abbiano già “vissuto” a sufficienza,
superando la fase della mortalità infantile. Una di queste consiste nell’utilizzare dispositivi
(evidentemente assai più costosi del normale) costruiti in condizioni controllate, in linee di
produzione speciali per le esigenze del mercato militare e spaziale. Un’altra consiste nel
“qualificare”14 i componenti, eseguendo su di essi varie prove (cicli termici ripetuti,
vibrazioni meccaniche, prove radiografiche, prove di rumore, ecc.). Queste prove sono mirate
sia a scoprire difetti (contaminazioni superficiali, difetti strutturali, ecc.) che si sarebbero
potuti manifestare in tempi successivi, sia a verificare il comportamento dei dispositivi in
condizioni di elevate sollecitazioni.
Un altro criterio consiste nel prevedere che i componenti siano impiegati in condizioni
di sollecitazione (elettrica, termica, meccanica, ecc.) decisamente inferiori a quelle per cui
essi sono stati progettati. Il motivo è che, in generale, l’affidabilità dipende dal livello di
sollecitazione in condizioni di esercizio. Essa, in particolare, diminuisce all’aumentare della
temperatura (del resto è ben noto che un resistore che “scalda troppo” finisce male presto!)
sicchè conviene “deratare”, cioè, tutte le volte che è possibile, scegliere componenti più
“robusti” rispetto a quanto strettamente necessario. Per esempio, scegliere un resistore da 1
W e non da 250 mW quando la dissipazione prevista è di 100 mW; usare un transistore con
tensione limite inversa di almeno 100 V quando si prevede che esso sarà soggetto a non più
di 30 V; ecc.
14
In realtà quello che si qualifica è il lotto o la linea di produzione, non il singolo componente maltrattato dalle
prove.
Notiamo infine che i calcoli di affidabilità sono spesso poco affidabili in assoluto e
dunque solamente indicativi (in pratica sono verificati sperimentalmente entro mezzo ordine
di grandezza), sopratutto per la difficoltà di procurare dati di affidabilità sui componenti, che
siano a loro volta sufficientemente affidabili. Ma questi calcoli sono certamente utili nel
confronto fra diverse soluzioni di progetto.
Nei calcoli di affidabilità si usa impiegare opportuni fattori, per esempio relativi alla
effettiva temperatura di lavoro dei componenti e al livello delle sollecitazioni ambientali, che
vanno a moltiplicare i valori di λ. Valori approssimati di questi coefficienti sono i seguenti.