Elettronica LC
Elettronica LC
Elettronica LC
Richiami e BJT
• elettronica discreta: si prendono componenti già fabbricati e li si mette insieme con sistemi di
Process Control Block).
interconnessione PCB (Process Block
Ci occuperemo ora dell’elettronica integrata.
Se mettiamo a contatto due semiconduttori drogati (uno di tipo n,, avente cariche mobili negative,
e uno di tipo p,, avente cariche mobili positive) formiamo una giunzione.
Quel che dovremmo osservare (ma che in realtà non avviene) è il fenomeno di diffusione,
consistente
ente nel fatto che le particelle aventi dei gradi di libertà (che in questo caso sono le cariche
presenti all’interno dei semiconduttori) tendono ad andare da zone di maggiore a zone di minore
concentrazione.
Cosa impedisce che tutto si mescoli?
Ebbene, see una carica positiva si sposta, si
ha che al suo posto rimane una carica
negativa (fissa): viceversa, se a spostarsi è
una carica negativa, quel che rimane è
una carica positiva. Allo stretto ridosso
della giunzione, presso le cosiddette
regioni di carica spaziale,
spaziale vengono dunque
a posizionarsi degli ioni di segno
opposto:: a tal proposito si dice che si ha
interfacciamento fra le cariche fisse positive
e le cariche fisse negative (v. figura).
Detto questo, è facile convincersi del fatto che esiste una una densità di carica nei pressi della
drogati: da un lato (drogaggio p) troveremo degli
superficie di contatto fra i due semiconduttori drogati:
ioni negativi; dall’altro (drogaggio n) troveremo degli ioni positivi.
Applicando le equazioni dell’elettrostatica, possiamo
possiamo immediatamente trovare il campo elettrico
nei pressi nella giunzione e quindi il potenziale.
1È da abbandonarsi la convinzione secondo la quale l’elettronica digitale riguarda unicamente i transistori MOS e
quella analogica si faccia soltanto coi BJT. Le cose sono molto più sfumate: esistono infatti molti circuiti analogici
costruiti con i MOS-transistors.
Il potenziale, chiaramente, dev’essere
definito a meno di una costante:
costante
scegliamo quindi di prendere il
semiconduttore p come riferimento e
tracciamo il grafico
gra (v. figura a
sinistra).. Si nota immediatamente che
il potenziale aumenta fino al valore
massimo costante ψ 0 (potenziale di
built-in2): tale variazione crea quindi
una barriera di potenziale, la quale è la
vera artefice della condizione
co di
equilibrio che si instaura senza dare
adito alla diffusione di cui parlavamo
poco fa.
Chiamiamo ora:
• N A cm -3 la concentrazione di ioni droganti accettori;
2 Built-in sta letteralmente per “costruito dentro”. Il motivo di questa denominazione risiede nel fatto che tale
potenziale è intrinseco (“in”) nella struttura stessa della giuntura.
3 In altre parole, in un qualunque semiconduttore la concentrazione
concentrazione di cariche libere (positive e negative) è costante, in
quanto la “competizione” fra le particelle fa sì che il prodotto np sia costante.
4
Il verso della corrente e della tensione è puramente convenzionale.
N A ND
ψ 0 = VT ln
ni2
dove VT è la tensione termica, pari a:
KT
VT =
q
(K costante di Boltzmann5, T temperatura in gradi Kelvin, q carica dell’elettrone6)
A 300 K (temperatura che considereremo come ambiente), la tensione termica è di 25 mV. Ora
siamo in grado di calcolarci un valore plausibile per il potenziale ψ 0 , fissati N A ( 1018 ) e N D ( 1015 ):
10 33
ψ 0 = 25 ⋅ 10 ln
−3
≃ 0,73 V
( )
2
1, 5 ⋅ 1010
Ed in genere, infatti, tale potenziale vale 0,6 ∼ 0,8 V (7).
sottostante in cui è
Esaminiamo infine l’entità delle regioni a ridosso della giunzione (v. figura sottostante,
indicato anche un grafico di massima sul livello del drogaggio).
drogaggio
La profondità delle regioni di carica spaziale ( xp = profondità della regione di carica spaziale nel
semiconduttore P; xn = profondità della regione di carica spaziale nel semiconduttore N) è pari a:
2ε s (ψ 0 + VR ) N A ≫ ND
2ε s (ψ 0 + VR )
xn = =
N qN D
qN D 1 + D
NA
2ε s (ψ 0 + VR ) N A ≫ND
2ε s (ψ 0 + VR ) N D
xp = =
N qN A2
qN A 1 + A
ND
(NOTA: VR = −VD (8), ε s è la permettività elettrica del silicio)
silicio
Se calcoliamo il rapporto fra le zone di carica spaziale si ha:
2ε s (ψ 0 + VR )
N 2ε s (ψ 0 + VR )
qN D 1 + D
xn N A qN D NA
= = =
xp 2ε s (ψ 0 + VR ) 2ε s (ψ 0 + VR ) N D ND
N qN A2
qN A 1 + A
N D
7 La cosa interessante è che tale potenziale non si può misurare con strumenti convenzionali, in quanto la sola azione
di collegare (alle due zone diversamente drogate) le punte dello strumento utilizzato per le misurazioni determina
un’ulteriore giunzione!
8 Si noti che viene utilizzata una polarizzazione inversa a quella indicata in figura.
Dunque la profondità delle regioni in questione è tanto più
grande quanto minore è il drogaggio.
Possiamo anche calcolare la carica presente all’interno di
tali regioni, la quale cresce con VR :
C
Q + = qN D xn = 2ε s qN D (ψ 0 + VR )
m2
Tale carica, localizzata presso il semiconduttore di tipo n, è,
per la conservazione della carica elettrica, la stessa presente
anche al di là della giunzione (sul semiconduttore di tipo
p):
Q+ = Q−
Volendo noi lavorare ai piccoli segnali, cioè con perturbazioni di lieve entità, poniamoci
p in un
intorno di un particolare punto della funzione I(V):
punto di riposo (bias) ξ ≡ ( V0 , I 0 )
L’ipotesi che facciamo è che tale componente lavori in tale intorno, senza cioè mai scostarsi più di
tanto da ξ . Immaginiamo ora di perturbare la tensione ai capi del dipolo di un piccolo valore v,
facendo passare il valore complessivo
comples da V0 a V0 + v; se tale perturbazione induce una variazione
di corrente i tale da scostare il valore complessivo da I 0 a I 0 + i allora possiamo scrivere che
I 0 + i = I ( V0 + v ) I è una funzione di V
Siccome ci siamo posti in un intorno, possiamo utilizzare lo sviluppo di Taylor per approssimare il
nuovo valore della corrente:
derivata n -esima della
funzione f calcolata in ξ lo scostamento
alla n
f (ξ )
( n)
∞
T (ξ + ∆ξ ) = ∑ ( ∆ξ )
n
Serie di Taylor
n=0 n!
1 d2 I
I 0 + i = I ( V0 + v ) = I ( V0 ) + i = ≃ I ( V0 ) +
dI
v+ 2
v 2 + ...
Taylor dV ξ 2 dV ξ
Accontentiamoci di troncare lo sviluppo al prim’ordine:
I ( V 0 ) + i = ≃ I ( V0 ) + v + o ( v)
dI
Taylor dV ξ
A questo punto dividiamo ambo i membri per v…
= g (ξ )
i dI
≃
v dV ξ
… per ottenere la cosiddetta conduttanza differenziale,
differenziale, della quale si esplicita chiaramente la
dipendenza in ξ . Tale parametro mette in rapporto l’effetto (la perturbazione di corrente i) con la
causa (la perturbazione di tensione v)) del leggero scostamento dal punto di riposo9.
Volendo, possiamo definire anche
una resistenza differenziale (sempre
definita rispetto al punto di riposo
ξ ):
= r (ξ )
v dV 1
=
g (ξ )
≃
i dI ξ
9 Chiaramente le cose potevano essere viste in maniera speculare senza che il principio di fondo venisse intaccato: la
tensione poteva essere l’effetto e la corrente la causa.
Q0 + q = Q ( V0 ) + q = Q ( V0 + v )
Agendo in maniera esattamente
nte identica a prima…
derivata n -esima della
funzione f calcolata in ξ lo scostamento
alla n
f (ξ )
( n)
∞
T (ξ + ∆ξ ) = ∑ ( ∆ξ )
n
Serie di Taylor
n=0 n!
1 d 2Q 2
Q0 + q = Q ( V0 + v ) = Q ( V0 ) + q = ≃ Q ( V0 ) +
dQ
v+ v + ...
Taylor dV ξ 2 dV 2 ξ
Q ( V0 ) + q = ≃ Q ( V0 ) + v + o (v)
dQ
Taylor dV ξ
= c (ξ )
q dQ
≃
v dV ξ
… ecco l’espressione della capacità differenziale
differenziale,, la quale può essere ulteriormente elaborata se
ricordiamo che:
dQ dQ dv dv
i= = =c (10)
dt dv dt dt
L’aver definito una capacità e una resistenza differenziali ci permette, a fronte della presenza di
una perturbazione, di scindere l’analisi di un unico e complicato circuito in altri due, più semplici:
Un circuito
o con un componente non Due circuiti: uno con il componente lineare
lineare, in cui si manifesta una (ma senza perturbazione) e l’altro con un
perturbazione componente differenziale e la sola perturbazione
incersi che una giunzione (ad esempio quella del BJT) è sede di una capacità:
Basta poco a convincersi
10 Si noti che tutte le quantità illustrate sono scritte in corsivo, il che le caratterizza come differenziali.
cj =
dQ
dV V = VR
(V R
= −VD ← tensione orientata in senso convenzionale )
2ε s qN D ε s qN D
2ε s qN D (ψ 0 + VR ) = 2ε s qN D (ψ + VR ) =
d d 1
cj = =
dV R dV R 0
2 (ψ 0 + VR ) 2 (ψ 0 + VR )
Possiamo riarrangiare questa relazione mettendo in evidenza il parametro
qε s N D cj0
c j 0 = c j ( VR = 0 ) = ⇒ cj =
2ψ 0 VR
nessuna tensione 1 +
ai capi del componente
ψ0
il quale compare molto di frequente nei data sheet.
Il modello appena esposto, in realtà, va bene nelle giunzioni cosiddette brusche (cioè perfettamente
nette e delimitate, come quella che disegniamo sempre quando tiriamo in causa il BJT), nella realtà
non esistenti. Per una stima un po’ più realistica dobbiamo quindi operare una piccola correzione
all’espressione della capacità della giunzione:
cj0
cj = , con m ≤ 1
m 2
VR
1+
ψ0
Questa capacità può tornare utile in alcune applicazioni pratiche: supponiamo infatti di voler
costruire un oscillatore, circuitino LC costituito dal parallelo fra un’induttanza e un condensatore
di capacità variabile. Variando quest’ultima è possibile modulare la pulsazione di risonanza (e
quindi di funzionamento) del circuito, pari a
1
ω0 =
LC
Risulta tuttavia difficile costruire una capacità variabile così si preferisce inserire, al posto del
condensatore, un diodo polarizzato in inversa, il quale avrà una certa capacità differenziale
dipendente dalla tensione che gli applichiamo (come è illustrato nelle formule precedenti). Un
dispositivo di questo tipo si dice varactor.
È infine possibile, nel caso la tensione responsabile della capacità formantesi nella giunzione possa
variare da un valore massimo Vmax a un valore minimo Vmin , definire una capacità media
Q ( Vmax ) − Q ( Vmin )
c jAV =
Vmax − Vmin
la quale diventa, nel caso Vmin = 0 ,
cj0
c jAV =
2
11
Un foto-diodo,, invece, si sarebbe comportato in maniera diversa (v. figura a sinistra):
essendo un componente attivo, infatti, sarebbe stato in grado di cedere potenza anche a VD = 0 .
12 Parametro che misura il tempo di risposta del circuito: è pari il tempo richiesto per caricare
il condensatore, attraverso il resistore, al 63,2 % della sua capacità di carica totale (oppure
per scaricarlo al 36,8 % della sua differenza di potenziale).
potenziale
τD ID0
cD = =τD
rD VT
Utilizzando i seguenti parametri
• tensione termica VT = 25 mV
• corrente (in diretta) al punto di riposo I D 0 = 1 mA
• costante di tempo τ D = 100 ps
otteniamo una capacità (sempre in diretta) di 3,8 pF13.
13 Notiamo immediatamente che la c D , ovvero la capacità in polarizzazione diretta, è in genere decisamente più
piccola della c j .
CAPITOLO 2
I MOS transistors e il loro funzionamento ai piccoli segnali
Si notano,, oltre al canale centrale di forma triangolare, le due diffusioni n presso il source e il drain
e lo strato di ossido (isolante) presso il gate. Anche in questo caso, come evidenziato, si forma una
giunzione: essa si instaura fra la diffusione e il substrato, ed è polarizzata in inversa onde evitare
che dal source fluisca corrente verso la regione di tipo p.
Sempre riferendoci alla sezione trasversale
trasversale del MOS, possiamo graficare la funzione quantità di
carica Q(x) presente lungo il transistor: essa è calcolabile mediante la seguente relazione
Q ( x ) = Cox VG − V ( x ) − VT
( C ox capacità dell’ossido, VG tensione di gate,
VT tensione di soglia2, V ( x ) tensione in funzione dell’ascissa x)
tratta dalla definizione
Q = CV
Graficamente si ha:
Per un N-MOS
MOS esistono tre stati di funzionamento: sottosoglia, linearità, saturazione.
Si è sottosoglia (e il transistore si dice quindi “spento”) quando la VGS è inferiore alla tensione di
soglia VGS < VT . In tale situazione la corrente tra drain e source dovrebbe idealmente essere nulla;
esiste tuttavia
tavia una debole corrente di inversione, detta corrente di sottosoglia, la quale è una delle
cause del consumo di potenza nei circuiti integrati.
Per trovare la condizione sulle tensioni che determina quale si instaura fra i due rimanenti stati del
transistore ricorriamo a un semplice ragionamento: di seguito vediamo come varia la forma del
canale al crescere della tensione VDS :
Fatta l’ipotesi
potesi preventiva di lavorare soprasoglia, finché
finché la tensione fra drain e source non è
sufficientemente elevata il canale si estende per intero tra tali due terminali: se sussiste tale regime
il MOS si dice in regione lineare e la corrente che scorrerà dipenderà dalla tensione VDS (3) secondo
la relazione:
µnC ox W
ID =
2 L
(2 (VGS
− Vtn ) VDS − VDS
2
)
Quando la VDS è sufficientemente alta, invece, il canale non raggiunge più il drain e la corrente
smette di dipendere da VDS (4) essendo pari a
µnCox W
(V − VT )
2
ID = GS
2 L
A questo punto è facile dedurre che il valore di tensione discriminante le due situazioni è quello
per cui la carica è nulla presso l’ascissa x = L (cioè presso il drain, v. figura soprastante) ed è invece
diversa da zero in x = L− . Per cui è sufficiente porre a zero l’espressione che abbiamo visto poco fa
Q ( D ) = Cox ( VG − VD − VT ) = 0
3 E in tal caso si dice, infatti, che il transistore lavora come una resistenza.
4 In questo contesto il MOS si comporta come un amplificatore: d’ora in poi daremo quindi per
p scontata l’ipotesi di
trovarci in regione di saturazione.
Se aggiungiamo e sottraiamo il termine VS ha:
Cox ( VG + VS − VD − VS − VT ) = 0
VG − VS −VD + VS − VT = 0
VGS − VDS
VGS − VDS − VT = 0
VDS = VGS − VT = VDSAT
Possiamo finalmente concludere che:
• se VDS ≥ VDSAT ci troviamo in saturazione;
• viceversa, se VDS < VDSAT , siamo in regione lineare (o di triodo).
5 Come si potrà notare dalla formula, la nostra curva è una parabola passante per l’origine.
6 Detta, in inglese, depleted region.. Al suo interno sono presenti soltanto cariche libere (e non cariche
cari fisse)
Abbiamo dunque bisogno di una nuova relazione per esprimere la dipendenza fra la VDS e la I D
(sempre quando ci troviamo in saturazione); per arrivare ad essa ci serve anzitutto esprimere lo
spessore xD della regione svuotata7:
ND ≫ N A
2ε s (ψ 0 + VDG + VT ) 2ε s
xD = = ψ 0 + VDG + VT = α ψ 0 + VDG + VT (8)
qN A qN A
α
dL dxd d 1 α
2) =− =− α ψ 0 + VDG + VT = − (per una intuitiva ragione di
dVDS dVDS dVDS 2 ψ 0 + VDG + VT
complementarietà:: infatti, tanto maggiore è la regione svuotata, allora tanto più piccola è la
lunghezza del canale9)
possiamo infine esprimere l’andamento della corrente in regione di saturazione:
dI D dI dL
I D ≅ I DSAT + ( VDS − VDSAT ) = I DSAT + D
dVDS ξ
( VDS−
dL dVDS ξ
VDSAT ) =
scostamento scostamento
α ( VDS − VDSAT ) α
= I DSAT 1 +
= I DSAT 1 +
( VDS − VDSAT ) =
2 L ψ 0 + VDS − VDSAT 2 L ψ 0 + VDS − VDSAT
=λ
= I DSAT 1 + λ ( VDS − VDSAT )
λ = parametro di modulazione della lunghezza
lunghezza di canale
In questo paragrafo vogliamo brevemente trattare del layout di un transistore, intendendo con
questo termine distribuzione topologica degli elementi del nostro MOS.
2.3 – Il P-MOS
Il P-MOS
MOS transistor è il componente duale dell’N-MOS;
dell’N MOS; in questo caso, infatti, il canale è fatto da
cariche minoritarie di tipo p (lacune) e il substrato è invece di tipo n.
Come si vede, non si utilizza un substrato completamente di tipo n preferendo altresì la scelta di
“riciclare” il substrato di tipo p instillandovi una diffusione n (detta well) che contenga l’intero
transistor10. La well non può essere floating (cioè non contattata),
ontattata), dunque la si collega al potenziale
più alto ( VDD ) : in tal modo creiamo la polarizzazione inversa presente presso la giunzione fra le
zone p (del drain e del source) e la parte n corrispondente alla well,, in maniera esattamente
esattame duale a
ciò che avveniva nel MOS di tipo N. N
Inoltre la rappresentazione logica del transistor P prevede che, come da convenzione, il drain (che
in questo caso è il terminale a potenziale inferiore) sia raffigurato in basso.
Di conseguenza si ha:
• VDSAT = VSG − VTP ;
1 W
( )
2
• espressione della corrente in saturazione ( VDSAT ≥ VSG − VTP ): I D = µ pCox VSG − VTP (11);
2 L
W
2
( )
VSD
• espressione della corrente in lineare ( VDSAT < VSG − VTP ): I D = µ pCox SG
V − VTP
V SD
− .
L 2
Qui di seguito illustreremo come sia possibile, alla luce di quanto abbiamo detto fin’ora, porre un
N e un P-MOS
MOS sicuramente in regione di saturazione.
10 Le proporzioni del disegno non sono corrette: la well è molto poco profonda rispetto al substrato p.
11 Si noti che è stata inserita la mobilità delle lacune µ p : in genere, essa è inferiore alla µ n .
2.4 – Invertitore C-MOS
La tecnologia
ecnologia C-MOS
C (Complementary MOS)) è utilizzata in elettronica
per la progettazione di componenti digitali utilizzando transistor. Essa
sii fonda su una struttura circuitale costituita
costituita dalla serie di una rete di
Up ed una di Pull-Down. La
Pull-Up
prima s'incarica di replicare
correttamente il livello logico alto
mentre alla seconda è destinata la
gestione del livello logico basso. La
rete di pull-up è costituita di soli P-
MOS,, mentre la rete di pull-down è
costituita di soli N-MOS.
La complementarietà degli invertitori costruiti con questa
tecnologia sta nel fatto che la rete di pull-up e la rete di pull-
down non sono mai contemporaneamente
emporaneamente accese, cosa che
rende nominalmente nullo il consumo di potenza statica.
Per una trattazione più completa ed esauriente della
tecnologia C-MOS
MOS si rimanda al riassunto di Elettronica L-A:L
concentriamoci invece in questa sede, seppur brevemente,
brevemen sul
layout di tale transistore, illustrato nell’immagine a destra.
Come si vede, sono presenti parecchi gradi di libertà:
dobbiamo infatti dimensionare ben due transistori (ognuno
dei quali è caratterizzato da una certa W e una certa L) e
ari contatti, con degli strati metallici, come indicato. Ci limitiamo infine a notare che il
collegare i vari
transistore P, caratterizzato una mobilità delle lacune µ p minore di µn (quella degli elettroni
MOS), deve compensare la sua bassa velocità con un maggiore dimensionamento.
nell’N-MOS),
L’effetto Body è una delle conseguenze della non idealità del canale dei
nostri transistors: tale effetto fa sì che la tensione
tensio di soglia venga a
dipendere dal potenziale VSB (di bulk rispetto a quello di source)12. Tale
dipendenza è espressa dalla seguente relazione:
Si noti come anche questo parametro, come tutti i parametri differenziali che abbiamo visto e che
vedremo, sia definito ad un certo punto di riposo (o lavoro) ξ .
Elaborando la definizione:
dI D d µnCox W 2 ID
gm = = ( VGS − VT ) = µnCox
W
( VGS − VT ) = 2
dVGS ξ
dVGS 2 L
L
( VGS
− VT )
ID in funzione di I D
12Quel che avviene, in altre parole, è che se il bulk si trova a tensione inferiore al source allora si ha un aumento della
tensione di soglia.
18 16
13 Tecnologia con drogaggio: N A = 10 , N D = 10 .
14 Dualmente definiamo la trans resistenza, che suggerisce quant’è la variazione di tensione in uscita rispetto alla
variazione di corrente in ingresso.
15 È questo uno dei tanti e ingegneristici esempi di trade-off.
µnCox W
( VGS − VT )
2
ID =
2 L
otteniamo:
2ID 2ID
= ( VGS − VT )
2
+ VT = VGS
W W
µnCox µnCox
L L
Il termine sotto radice è chiamato tensione di overdrive e indica (a fronte della presenza di una certa
corrente di drain I D ) quanto la tensione tra gate e source è maggiore rispetto alla tensione di
soglia16.
Dunque, visto che all’aumentare di VSB cala I D , la gs avrà sicuramente segno negativo17.
L’espressione della conduttanza di source può essere adeguatamente elaborata:
dI D dI D dVTN dI D dVTN
gs = = =
dVSB dVSB dVTN dVTN dVSB
Prendendo singolarmente i termini…
dI D d µnC ox W 2 µC W
• =
dVTN dVTN 2 L
( VGS − VTN ) = − n ox ( V − VTN ) = − gm
2 L GS
•
dVTN
=
d
dVSB dVSB
V + γ
T 0 ( VSB + 2φF − )
2φF =
γ
2 V + 2φ
SB F
… otteniamo:
γ
gs = − gm ≅ − kg m
2 VSB + 2φF
Dunque la conduttanza di source è direttamente proporzionale rispetto alla transconduttanza18.
16 Ricordiamo che tutte queste considerazioni sono valide quando il transistore è in saturazione.
17 Chiaramente una conduttanza non può avere realmente segno negativo: è necessario specificare che tutti nostri
ragionamenti sono basati su un nostro modello teorico.
18 La costante di proporzionalità k vale, in genere, 0,1 ∼ 0,2.
dI D iD
g DS = ≅
dVDS ξ
vDS
Questo parametro, meglio di qualunque altro, ci permette di
descrivere l’effetto sortito dalla modulazione del canale e visto
in precedenza (e che ricordiamo per mezzo della figura a
destra). Il fatto che esista una g DS (sempre positiva) ci fa infatti
capire che, in regime di saturazione, non abbiamo la retta orizzontale tipica dei generatori ideali di
corrente bensì una retta con coefficiente angolare positivo.
Come è facile intuire, possiamo definire una resistenza d’uscita:
1
rDS =
g DS
Risulta che:
1 1
g DS = λ I DSAT ≅ λ I D ⇒ rDS = ≅
λ I DSAT λID
Inoltre, a sua volta:
1
λ∝
L
Per cui, tenendo conto delle approssimazioni:
I L
g DS ∝ D rDS ∝
L ID
Risulta possibile disegnare per un transistor MOS (ma anche per un diodo) un circuito equivalente
ai piccoli segnali19, molto utile in sede d’analisi, con qualche accorgimento: in tale tipo di circuito
vanno inclusi soltanto le perturbazioni (sotto forma di generatori di corrente o di tensione) e i
parametri differenziali (resistenze, capacità, conduttanze, etc…). Tutto ciò
ciò che, ai grandi segnali, è
costante (ad esempio la tensione VDD ) non va indicato in quanto non si tratta di una perturbazione
e dunque, nel caso di tensione costante, si contatta a massa.
Ecco come appare il circuito equivalente di un N-MOS:
DS DS
Osservazioni:
• il gate e il bulk non sono contattati
contattat a nulla;
• esiste un generatore di corrente dal drain al source; esso rappresenta la iD , cioè la
perturbazione di corrente
ente che attraversa il canale del transistor, che si
s esprime mediante la
transconduttanza g m , moltiplicata per la perturbazione di tensione fra gate e source.
19 Questi piccoli segnali, ricordiamo, si pongono tutti in un intorno del punto di riposo del transistor.
Scrivendo tale relazione ci si accorge immediatamente che ci troviamo di fronte
fronte, a tutti gli
effetti, alla legge di Ohm:
dI D v
iD = vGS = gm vGS = GS
dVGS rm
• esiste l’effetto Body:: siccome quando sale la tensione di source cala la I DS , possiamo
schematizzare tale calo con una corrente che “risale” il transistor e procede dunque nel
senso opposto a quello voluto. Per far questo, introduciamo un altro generatore ed
esprimiamone la corrente tramite la conduttanza di source
dI D
gs =
dVSB
Otteniamo:
dI D
ieffetto Body = v = gs vSB
dVSB SB
• infine, visualizziamo la resistenza (conduttanza) di source.
utte queste quantità sono “figlie” dello sviluppo di Taylor al prim’ordine
È da notare che tutte prim’ordine; infatti,
esse hanno una forma comune. Si veda: veda
dI dI D
ieffetto Body = D vSB iD = v
dVSB dVGS GS
f ′(x)
SERIE DI TAYLOR: f x + ∆ x = f ( x) + ∆x
1!
perturbazione
Questa è la quantità che descrive le
grandezze regolate dai componenti
del circuito equivalente: una derivata
moltiplicata per la perturbazione
Possiamo semplificare il tutto contattando il bulk a massa, in modo da neutralizzare l’effetto Body;
Body
in tal modo, scompare uno dei due generatori e il circuito equivalente diventa semplicissimo:
DS
Si noti che entrambi i circuiti equivalenti sono del tutto simili all’analogo model
modello per il BJT, che
riportiamo qui di seguito per facilitare il confronto
confronto:
LOV
• effetto fringing-field: si manifesta nell’instaurarsi di un campo di fra due spigoli
spi (v. figura) i
quali si comportano come punte
La presenza di questo effetto provoca l’insorgere di una capacità di overlap anche in assenza
di sovrapposizione;
• capacità intrinseche fra i terminali:
Sono presenti:
o una capacità gate-source
source, così approssimabile (si assume che il canale sia lungo circa
2L/3):
CGS ≅ ( WLC ox ) + COV
2
3
o una capacità gate-drain
drain:
CGD ≅ COV
o una capacità source-bulk:
bulk:
CSB ≅ ( AS + ACH ) c j + ps c jSW
parte correlata all'area parte correlata
al perimetro
20 Ricordiamo che tale capacità (misurata per unità d’area) si valuta in:
cj0
cj = m
ψ0 j
1+
VR
21 La sua forma è ancora analoga a quella della capacità citata nella nota 20, con – unica differenza – c jSW 0 invece di
cj0 .
Fatte tali doverose premesse, è giunto il momento di inserire le nostre capacità all’interno del
circuito equivalente.
GD
Si noti che, sia qui che in precedenza, abbiamo trascurato la capacità tra il gate e il bulk; siccome il
transistor è saturo, infatti, diamo per scontata la presenza di un canale di cariche sotto il gate: tale
canale funge da “schermo” e impedisce perciò la la formazione della capacità CGB . Infatti,
ricordando il seguente procedimento per la misurazione della capacità mediante la sua definizione
Se ora inseriamo uno schermo fra i due piatti, la capacità crolla istantaneamente perché la
schermatura intercetta il campo elettrico e sul secondo piatto (quello non investito dal gradino)
smette di esserci carica:
Appendice – Valori tipici della tecnologia C-MOS 0,8 micrometri
TRANSISTORE N-MOS
TRANSISTORE P-MOS
Uno specchio di corrente (in inglese current mirror)) è una particolare configurazione di dispositivi
elettronici realizzata per riprodurre fedelmente in un ramo di un circuito elettronico
elettro la corrente
circolante in un altro ramo dello stesso circuito. La corrente da riprodurre può essere costante o
variabile a seconda dell'utilizzo. Teoricamente uno specchio di corrente non è altro che un
amplificatore di corrente a guadagno unitario; in n pratica diversi fattori impediscono di ottenere
nei due rami del circuito correnti
nti perfettamente identiche.
Ecco la struttura del nostro specchio:
In tale schema:
• sono presenti due transistors,
transistors aventi in comune il gate,, che chiameremo 1 e 2.
2 Supporremo
entrambi questi MOS saturi;
saturi
• I I è la corrente d’ingresso, cioè quella che circola nel ramo del circuito in cui è presente il
transistor 1;
• VO è la tensione d’uscita, presente al drain del transistore al ramo 2;
• IO è la corrente che scorre nel ramo 2.
Lo scopo di questo
esto circuitino è quello di fare in modo che si abbia:
I I = IO
Ma è evidente che ciò accade, visto che
VGS1 = VGS 2
e, di conseguenza,
I D1 = I D 2
Dunque, supponendo di trovarci in condizioni ideali, abbiamo emulato un generatore di corrente
agente sul ramo 2. L’unico requisito richiesto perché si abbia tale regime di funzionamento è,
è
come già enunciato, che sussista la saturazione
1 W
( VGS − VTN )
2
VDS ≥ VDSAT corrente I D = µC ox
2 L
perturbazioni (cioè ai
È giunto ora il momento di capire come si comporti il circuito alle piccole perturba
piccoli segnali): per farlo, possiamo ricavare un circuito equivalente in grado di aiutarci in sede
d’analisi. Analizziamo anzitutto la parte sinistra del circuito (ramo 1):
Non dobbiamo faticare più di tanto, visto che ci troviamo in un caso caso identico a quello visto nel
capitolo 2. In più, non avendo effetto Body, il circuito equivalente ai piccoli segnali è più semplice
perché risulta avere un solo generatore.
Sfruttiamo la legge di Ohm per trovare l’espressione della corrente i1 :
1 1
i1 = gm v1 +
v1 = v1 gm +
rDS rDS
Dopodiché possiamo in un batter d’occhio quantificare l’impedenza vista “tagliando” il circuito
presso v1 :
g m ≫ g DS
i1 = v1 ( gm + g DS )
v1 1 1
⇒ = ≈
i1 g m + g DS gm
Per cui, utilizzando Thévenin, possiamo sostituire il ramo 1 con la sola rm = gm−1 :
A questo punto passiamo al ramo 2 e disegniamo un uguale circuito equivalente (anche il secondo
Body), annettendo anche il circuito equivalente di Thévenin:
transistor non soffre di effetto Body),
Come indicato in n figura, scompare il generatore del circuito equivalente associato al ramo 2: sul
ramo 1, infatti, non scorre corrente perché è presente un aperto. Per tal motivo il generatore
comandato non produce corrente e può essere eliminato.
Così agendo abbiamo ottenuto
tenuto immediatamente il valore della resistenza d’uscita del nostro
specchio di corrente: difatti, applicando ancora una volta la legge di Ohm presso il circuito del
ramo 2, abbiamo che
v
i0 rDS 2 = v0 ⇒ rDS 2 = 0 = R0
i0
Siccome la resistenza d’uscita R0 coincide con la resistenza rDS 2
ci troviamo di fronte all’effetto di modulazione del canale
provocato dal parametro λ (v. capitolo 2 e fig.
fig a destra). Se tale
effetto non sussistesse, avremmo davvero ottenuto un
generatore di corrente ideale.
2I0
−VO ≥ −VDD + VDSAT VO ≤ VDD − VSDSAT 2 = VDD −
µC W
L ox
Infine, la resistenza d’uscita di tale circuito è uguale a quella calcolata nel paragrafo precedente.
3.3 – Amplificatori MOS: introduzione
I MOS saturi si rivelano molto utili per realizzare degli amplificatori: qui di seguito1 ne vediamo
uno realizzato con un transistore di tipo N.
N
m I ( DS D)
vO = − gm vI + = − g v g + G ≈ − g m v I GD
r
DS R D
Calcolando il guadagno ai piccoli segnali come rapporto fra la perturbazione di tensione in uscita
e la perturbazione di tensione in ingresso si ha:
vO
= − g m GD
vI
Si noti come questa espressione,
così come lo schema del circuito
equivalente (quest’ultimo a meno
di un’impedenza d’ingresso non
nulla rBE ), sia analoga a quella di
un dispositivo simile ma
realizzato con un BJT (v. figg. a
destra).
1 In figura si è messo in evidenza l’effetto di controfase, dovuto al fatto che una VI alta provoca l’abbassamento di VO .
Per questo, con i MOS, possiamo fare anche degli amplificatori di carica: una carica
posta presso la base di un BJT (v. figura, riferita al circuito ai piccoli segnali) non vi
rimane, bensì viene “convogliata” lungo lla resistenza. Il gate di un MOS è invece
isolato e può mantenere la carica, la quale provoca un innalzamento di VG e – di
conseguenza – di VO .
W
• il fattore di forma del transistor 3
L 3
VI − VK = VO
Ecco dimostrato quello che dicevamo poco fa: la tensione d’uscita VO
differisce da quella di ingresso VI soltanto di VK (che è costante).
4Domanda lecita: perché 2/8 e non 1/4? Il motivo risiede nel fatto che è difficile fare una W troppo piccola (cioè è difficile
di progettare
un transistor con un canale largo 1 piuttosto che 2): per mantenere il fattore di forma, dunque, ci tocca aumentare anche la
lunghezza del canale e portarci infine sui 2/8.
Notiamo anche che tale inseguitore non prevede un guadagno di tensione ma, essendo a tutti gli
effetti un amplificatore, produce un cospicuo guadagno in potenza: per questo la
l corrente d’uscita
è molto maggiore della corrente d’ingresso.
Esaminando meglio la struttura del nostro circuito notiamo bene che esso soffre di effetto Body: la
conseguente dipendenza di VTN da VSB fa sì che il termine VK non sia più costante e che bensì
diventi funzione della tensione d’ingresso VI . L’effetto Body, dunque, incide molto negativamente
sul corretto funzionamento di quello che noi vorremmo (fin’ora senza successo) essere un
traslatore;; per risolvere questo problema potremmo pensare di collegare il bulk al source, ma
purtroppo tale eventualità è resa impossibile dal fatto che il bulk è comune a tutto il chip.
L’unico modo per ovviare a questo problema
problema è quello di utilizzare un P-
P
MOS (v. figura) e di realizzare un source follower duale a quello precedente:
il funzionamento è analogo, ma questa volta non si ha effetto Body. Body
Ancora una volta si ha
VO = VI + costante
ma in tale secondo caso, come già espresso nella formula soprascritta, VK
è davvero una costante.
Il rovescio della medaglia sta nel fatto che il P-MOS
P MOS giace sopra una well,
la quale ha una capacità che ci ostacola fungendo da “zavorra” per il
nostro segnale.
Passiamo ora all’analisi del circuito equivalente (caso N-MOS):
N
rDS1
rDS 2
In figura vediamo il circuito equivalente a un source follower a N-MOS, MOS, in cui il generatore di
corrente è stato realizzato con uno specchio (current
( mirror, par. 3.1). Esaminandone i componenti:
• le resistenze rDS1 e rDS 2 sono due resistenze differenziali d’uscita:: la prima è quella associata
al transistor con indice 1;; la seconda, invece, è la resistenza d’uscita dello specchio di
corrente (collegato
collegato al transistor 2);
• il generatore di corrente comandato gm vGS = gm1 ( vI − vO ) , rappresenta la corrente fluente in
virtù della transconduttanza del transistor 1 e verso l’uscita;
• ( )
il generatore di corrente comandato gS vSB = gS vS − vB = gS vS = gS vO simboleggia l’apporto
dell’effetto Body.
Quest’ultimo componente è, a tutti gli effetti, un generatore di corrente comandato in tensione e
posto a cavallo della tensione che lo comanda ( vO ). Si può tuttavia dimostrare che un generatore
generator
di corrente, posto in tale configurazione, è equivalente a una conduttanza pari al rapporto fra la
corrente prodotta dal generatore e la tensione ai suoi capi. Si veda infatti la figura seguente:
Operando la sostituzione del generatore con la sua
ttanza equivalente (che in figura è chiamata
conduttanza
g X ), compaiono – nel circuito equivalente
complessivo – tre conduttanze in parallelo:
sfruttando le ben note regole di composizione,
Calcoliamo
iamo ora la resistenza d’ingresso5 ai piccoli segnali, definita come6:
v
Ri = I
iI
Siccome presso il gate si ha impedenza infinita, non c’è bisogno di fare alcun calcolo:
Ri → ∞
Per la resistenza d’uscita dobbiamo essere un po’ più precisi, specificando che essa è calcolata con
ingresso vI = 0 (il che siamo in assenza di perturbazioni sull’ingresso). Tale resistenza RO è
definita come:
vO 1
RO = =
iO vI = 0
gS + g DS1 + g DS 2 + gm1
Passiamo alla resistenza d’uscita,, la quale può essere “liquidata” in un unico passaggio:
passaggio
vO 1
RO = = rDS1 // rDS 2 =
iO vI = 0
gS 1 + gS 2
Si noti infine che, modificando la VI , non si hanno variazioni in corrente (la quale è fissata dal
generatore): siamo dunque vincolati alla resistenza dello specchio,
specchio, il quale dev’essere pertanto il
più ideale possibile.
Si ha:
• il solito generatore di corrente comandato g m1v1 associato al transistor 1;
• la resistenza d’uscita rDS1 che opera sul transistor 1;
• la resistenza dello d’uscita rDS 2 dello specchio di corrente (dove è presente il transistor 2),
che forma
rma il nostro generatore di corrente.
Forti della manualità acquisita nei paragrafi 3.7 e 3.8, diamo immediatamente:
• la resistenza d’ingresso RI = +∞ , visto che siamo sul gate del transistor;
transistor
• la resistenza d’uscita RO = rDS1 // rDS 2 ;
gm1
• il guadagno: AV ≅ − gm1 RO = − = − gm1 ( rDS1 // rDS 2 ) .
G0
Come si vede, il guadagno dipende:
• dalla transconduttanza gm1 , la quale è a sua volta pari a
W
g m1 = 2 I D µC ox
L
(valori tipici: I D = 100 μA , W = 100 )
L 1, 8
• dalla resistenze rDS1 e rDS 2 , la cui generica espressione è la seguente
L
rDS = K
I
(valori tipici: Kn = 8 ⋅ 10 , K p = 12 ⋅ 106 , rDS = 128 kΩ nel caso n)
6
Dobbiamo quindi scegliere un’altra strada per aumentare il guadagno e l’efficienza di questo
amplificatore. Vediamo, dal prossimo paragrafo in poi, come sia possibile farlo aumentando
l’efficienza dello specchio
io di corrente.
Facciamo una piccola modifica allo specchio di corrente, aggiungendovi due resistenze, una per
ramo:
RS
RS
In tale schema, in cui sono presenti entrambi i rami del circuito equivalente, sono contemplate:
• (ramo 1) la transconduttanza del transistore 1;
• (ramo 2) le perturbazioni di tensione d’uscita vO e di corrente d’uscita iO ;
• (ramo 2) l’azione della transconduttanza del transistore 2 e la resistenza d’uscita di
quest’ultimo;
• (rami 1 e 2) le resistenze RS che abbiamo introdotto per effettuare questa modifica dello
specchio.
Troviamo ora un’espressione per la corrente iO :
vGS = iO RS
iO = g m 2 ( v K − vS ) + g DS 2 vO − vS
iO = −iO RS ( gm 2 + gDS 2 ) + gDS 2 vO
Ora possiamo calcolare la resistenza
resistenz d’uscita RO attraverso la definizione:
iO = −iO RS ( gm 2 + gDS 2 ) + gDS 2 vO iO 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 ) = gDS 2 vO
vO 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 )
RO ≜ = = rDS 2 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 )
iO gDS 2
Si poteva immaginare che la resistenza d’uscita fosse semplicemente rDS 2 + RS (un’ordinaria serie
di due resistenze) e, invece, scopriamo che è molto di più!
più
In virtù del fatto che gm 2 ≫ gS possiamo infine scrivere:
RO = rDS 2 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 ) ≈ rDS 2 1 + RS gm 2 = rDS 2 + rDS 2 gm 2 RS ≈ rDS 2 gm 2 RS
Il motivo di questo aumento di resistenza sta in una retroazione che il sistema compie
com sul
tentativo esterno di aumentare corrente e tensione d’uscita. Infatti:
• aumentando la tensione d’uscita vO …
• … aumentiamo anche la corrente iO (legge di Ohm)…
• … aumentiamo la caduta di potenziale ai capi della resistenza RS …
• … e cioè andiamo a incidere sulla VK , la quale, a sua volta…
• … incide sulla VGS 2 , la quale cala…
• … e porta il transistor a far passare meno corrente.
Possiamo considerare
derare l’effetto finale (e complessivo) di calo di corrente come fondamentalmente
analogo ad un aumento di resistenza.
Dunque abbiamo a tutti gli effetti migliorato lo specchio di corrente8. Ricordando infine che è
difficoltoso costruire delle resistenze nel mondo dell’elettronica integrata, sostituiamo queste
ultime con dei transistor. Siamo così giunti al cascode current mirror:
Se ora,, sulla falsariga dei risultati ottenuti precedentemente (ovvero sostituendo la RS che si
trovava nell’espressione di RO con la nuova rS 2 ), andiamo a vedere a quanto è pari la resistenza
d’uscita otteniamo:
RO ≅ gm 4 rDS 4 rDS 2
Il valore di RO è piuttosto elevato e, più precisamente,
pre si pone sull’ordine di grandezza di 107 Ω .
L’aumento notevole della resistenza d’uscita diventa ancor più chiaro se teniamo presente che la
resistenza rDS 4 (cioè quella che avremmo avuto nel caso non-cascode)
non è pari a circa 10 5 Ω , ed è
quindi 100 volte inferiore.
Dove sta la fregatura? Gli inconvenienti sono principalmente 3:
1. c’è l’effetto Body, in quanto i transistor 3 e 4 hanno il source non a massa;
2. ci servono due transistor in più
più e dunque il circuito diventa più costoso e ingombrante;
8Nel paragrafo scorso si diceva che, per un maggiore guadagno degli amplificatori
amplificatori visti, è necessario aumentare la resistenza
d’uscita dello specchio di corrente che li alimenta.
3. viene ridotto lo swing logico: mentre nel normale specchio di corrente la tensione d’uscita
d’
poteva variare da VDD a VDSAT = VGS − VT , nel cascode il limite inferiore di tensione d’uscita
passa da VDSAT all ben più consistente 2 VDSAT + VT . Infatti, per fare in modo che i transistor
2 e 1 siano in saturazione, si deve avere che9
VDS1 ≅ VDS 2 = VGS 2 > VT + VOV 2
Inoltre, affinché anche il transistore 4 si trovi in tale regione di lavoro, è necessario che
VDS 4 > VOV 4
Dunque, mettendo insieme i requisiti necessari ai due transistor per essere in saturazione,
otteniamo:
VO min = VT + VOV 2 + VOV 4
quel che "chiede" quel che "chiede"
il transistor 2 il transistor 4
Facendo
endo l’ipotesi che tutte le tensioni di overdrive siano uguali, e pari a VOV , si ha infine:
VSAT = VGS − VT
VO min = VT + 2VOV = VT + 2 (
VGS − VT )
= VT + 2VSAT
VGS = VT + VOV ⇒ VOV = VGS − VT
9 Ricordiamo che si ha
2ID
VGS = VT + = VT + VOV
µC Wox
L
vO vO vX
Av = =
vI vX v I
Come si vede, abbiamo astutamente moltiplicato e diviso per vX ; questa operazione, innocua ma
astuta, ci permette di separare il problema in due sottoproblemi:
sot
v
• calcoliamo O utilizzando la formula del guadagno di un common gate: la
vX
configurazione del transistore 2 inserito nell’amplificatore cascode non è
infatti dissimile a quella della figura affianco, la quale si riferisce al
a
paragrafo 3.8.. Il guadagno è dunque
vO gm 2 gm 2 2
g mp ≫ g DSp g
= = → m 2
v X g DS 2 + G L 2
g DSp g DS 2
g DS 2 +
g mp
vX
• calcoliamo utilizzando la formula del guadagno di un common
vI
source: il transistore 1 del nostro amplificatore cascode è infatti in una
configurazione non dissimile da quella osservabile nella figura
affianco (v. par. 3.9). Per accorgersene, è sufficiente sostituire la VO in
figura a destra con la VX del cascode e porre la VK a massa (del
generatore di corrente invece non ci preoccupiamo, visto che esso
rappresenta per noi tutto ciò che c’è al di sopra del drain del
transistore 1). Detto questo si ha:
vX gm
=− (guadagno common source)
vI gDS + GL
In virtù della struttura in stack dei nostri due transistor10, GL , che nella definizione
soprascritta dovrebbe essere la conduttanza che si vede al drain del transistore 1, diventa
automaticamente GS 2 , la quale è la conduttanza d’ingresso localizzata presso
pre il source del
transistore 2. Le quantità g m e g DS in formula, invece, rimangono associate al transistor 1:
vX gm gm1
=− =−
vI gDS + GL g DS1 + GS 2
Si ha quindi
APPROSSIMAZIONI
gDS 2
1+ g DS1 ≃ g DS 2 ≃ g DSp
G L1
sarebbe la conduttanza d'uscita gDS 2 gmp gm1 ≃ gm 2 ≃ gmp
del generatore che alimenta il
transitor 1, quindi è la
1+ 2
GL = RL−1 dell'intero cascode gDSp gm 2
RS 2 = = per cui GS 2 = ≈ g DSp
gm 2 gm 2 g DS 2 g mp
1+ 2
g DSp
Sostituendo:
vX gm1 gm
=− ≈−
vI gDS1 + GS 2 gDS1 + gDSp
ima considerazione sui guadagni dei vari stadi di amplificazione,, che riassumiamo qui di
Un’ultima
seguito.
3.10 – T-model
Facendo l’ipotesi di trascurare la gS , i seguenti tre schemi, relativi a un transistore MOS, sono
perfettamente equivalenti:
Consideriamo l’ultimo dei precedenti schemi: possiamo connetteree i due generatori di corrente
(“chiudendo” la maglia) e imporre sul terminale che ne risulta una tensione qualsiasi, visto che la
presenza dei generatori fa sì che tale tensione non abbia effetti sulla corrente che scorre. Potendo
applicare una tensione qualsiasi,
ualsiasi, applichiamo quella di gate;; lo schema diventa così:
vGS
A questo punto, visto che si è creato un ramo (quello di sinistra) a tensione vGS , possiamo sfruttare
resistenza pari a 1
la legge di Ohm e sostituire il generatore ivi presente con una resistenza .
gm
V0 OUT
Un amplificatore operazionale
azionale è un amplificatore differenziale,, accoppiato in continua e ad
elevato guadagno (idealmente infinito). Il nome è dovuto al fatto che con esso è possibile
realizzare circuiti elettronici in grado di effettuare numerose
numerose operazioni matematiche: la somma,
la sottrazione, la derivata, l'integrale
integrale, il calcolo di logaritmi e di antilogaritmi.
antilogaritmi Essendo tale
componente un amplificatore differenziale,
differenziale, l’effetto sarà quello di moltiplicare, in uscita, la
differenza tra due ingressi per un fattore costante, il guadagno differenziale A0 . Si avrà dunque:
VO = A0 ( V+ − V− )
Risulta perciòevidente che l’uscita dipende solo dalla differenza fra il valore di V+ e V−
Questo componente può essere
sere realizzato…
Concentriamoci sul circuito costruito con i MOS e prestiamo attenzione alle correnti: se sul ramo
del transistore 1 scorre, per ipotesi, la corrente I D1 , tale corrente verrà specchiata sulla parte del
ramo 1 che si trova al di sopra del nodo VO . Siccome nel circuito è presente il generatore di
corrente IO = I D1 + I D 2 (v. figura), affinché siano soddisfatte le leggi di Kirchhoff, si dovrà avere,
presso il nodo di uscita:
• una corrente entrante (da “sopra”) pari a I D1 , ovvero quella specchiata;
• una corrente uscente (verso il basso) pari a I D 2 , la cui presenza è forzata dal generatore di
corrente;
• una corrente uscente (verso il carico RX ) pari a I D1 − I D 2 .
Per cui, ai grandi segnali, si avrà
VO = I D 1 − I D 2 R X VO ∝ ( V + − V − ) VO = A0 ( V+ − V− )
∝ V+ ∝ V−
e tutto funziona come dovrebbe.
Che accade se caviamo il carico resistivo, lasciando al suo posto la sola VO e, cioè,
un’uscita
uscita che non drena corrente?
corrente La logica (v. figura a sinistra, considerando la
solita legge di Kirchhoff) ci suggerisce che si
dovrebbe avere
I D1 = I D 2
e, tuttavia, così non accade: lo specchio,
insomma, non funziona bene! E perché mai?
La causa del problema è da riscontrarsi nella presenza del
transistore 1: se, infatti
atti (v. figura a destra), prendiamo in
considerazione la resistenza d’uscita che viene vista dal nodo
di VO verso l’interno del circuito,
circuito ci accorgiamo della
dell’esistenz della corrente I D10 ≠ I D1 .
resistenza rDS del P-MOS, la quale è il motivo dell’esistenza
Ai piccoli segnali v1 − v2
Applichiamo la legge di Ohm fra i due nodi di v1 e v2 e troviamo iS , generica corrente che scorre
da sinistra a destra:
v1 − v2
→ gm ( v1 − v2 )
gm 1 ≈ gm 2 1
iS =
1 1 2
+
gm1 gm 2
Chiaramente, visto che la corrente non può uscire dal circuito e non vi sono altre correnti afferenti
ai nodi, si ha
iS = iD1 = −iD 2
Per cui
iD = iD1 + ( −iD 2 ) = 2 ⋅ g m ( v1 − v2 ) = gm ( v1 − v2 ) = gm vD
1
2
vD
model
3.12 – Coppia differenziale e T-model
iS1 ≈ iS 2 → = iS (11)
11Questo risultato non ci deve stupire, visto che è presente uno specchio di corrente, il cui scopo è proprio quello di
forzare l’identità iS1 = iS 2 .
Vogliamo ora calcolare la resistenza d’uscita; essa è definita come
v
RO ≜ X
iX
Possiamo calcolare iX applicando la
l legge di Kirchhoff al nodo di vX (verde
verde):
g m 4 v A − iS 2 − iX 1 − iX 2 + iX = 0
gm 4 vA − iS 2 − iX 1 − iX 2 + iX = 0
gm 4 v A = iS 2
iX = iX 1 + iX 2
Dunque possiamo concludere che:
v vX vX 1 1
RO ≜ X = = = = = r // rDS 4
i X i X 1 + iX 2 vX vX 1 1 gDS 4 + gDS 2 DS 2
+ +
rDS 4 rDS 2 rDS 4 rDS 2
Quindi,
uindi, se manteniamo costante i potenziali d’ingresso dei
transistori 1 e 2 (cioè la V+ e la V− ) e consideriamo le resistenze
d’ingresso abbastanza basse:
• vC si mantiene ad un potenziale praticamente costante;
costante
• il transistore 1 sii comporta come un gate comune;
• il transistore 2 si comporta come un source comune.
Fin’ora abbiamo ragionato a basse frequenze, senza cioè pienamente considerare l’apporto delle
capacità, le quali intervengono a frequenze più elevate di quelle corrispondenti a ω = τ −1 . Di per
sé, un carico capacitivo C non consuma potenza, ma dobbiamo comunque spendere energia per
caricarlo e scaricarlo:: perciò è importante esaminare che accade quando gli effetti capacitivi si
fanno sentire. Per arrivare al nocciolo della questione è tuttavia necessario introdurre alcuni punti
essenziali.
Nel primo modo abbiamo messo in risalto le frequenze, mentre nel secondo viene evidenziata la
costante di tempo τ 0 del sistema.
Come possiamo aumentare la selettività del filtro? Una scelta è certamente quella quel di mettere due
poli uno di seguito all’altro
13
altro come si ha, ad esempio, collegando in
cascata due circuiti RC (v. figura a sinistra).
Così
osì agendo otteniamo una
funzione di trasferimento del
second’ordine, del tipo
K ′K ′′
H ( s) =
s s
1 + 1 +
ω1 ω2
per la quale viene mostrato in figura a destra un esempio di
raffigurazione. Elaboriamo ora il denominatore, che
chiameremo per comodità ∆s e le cui radici sono in
maniera evidente reali e disgiunte:
disgiunte
s s
∆s = 1 + 1 + = ( 1 + sτ 1 )( 1 + sτ 2 ) = s (τ 1τ 2 ) + s (τ 1 + τ 2 ) + 1
2
ω1 ω2
Ebbene, molto spesso,
sso, trattando di amplificatori, è possibile fare la cosiddetta approssimazione a
polo dominante, la quale consiste nel considerare
ω2 ≫ ω1 che implica τ1 ≫ τ2
e quindi nell’ipotizzare che il secondo polo sia talmente “in avanti” da poterlo tranquillamente
polinomio denominatore ∆s si semplifica
ignorare. Fatta questa approssimazione, la forma del polinomio-denominatore
notevolmente:
∆s = s 2 (τ 1τ 2 ) + s (τ 1 + τ 2 ) + 1
τ 1 ≫τ 2 , ω2 ≫ω1
→ s (τ 1 + τ 2 ) + 1
12 Una funzione di trasferimento è una rappresentazione matematica della relazione tra l'ingresso di un sistema LTI (lineare
( tempo
invariante)) e la risposta del sistema stesso. È necessario che il sistema sia lineare tempo invariante o lineare invariante alla
traslazione affinché la trattazione teorica sia valida: in altre parole, tutti gli elementi
elementi facenti parte del sistema devono avere
un'equazione caratteristica lineare (in sistema elettrico, ad esempio, un diodo non è accettabile) ed i valori dei parametri che
costituiscono il sistema (come le capacità dei condensatori eventualmente presenti in un circuito) devono essere costanti
c nel tempo.
(Da Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_di_trasferimento).
http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_di_trasferimento
13 Sono detti poli i valori di s che annullano il denominatore della funzione di trasferimento; parallelamente vengono definiti zeri i
tavia, non è facile riuscire a porre un’equazione di secondo grado nella comoda forma
Talvolta, tuttavia,
di cui sopra; risulta altresì più facile far assumere ad ∆s la seguente struttura:
ω0
∆s = s2 + s + ω02
Q
fattor di qualità, mentre ω0 è la pulsazione di risonanza.
In questa relazione Q è detto fattore
Se Q:
• è minore di 1/2 allora abbiamo due poli (radici reali);
• è compreso fra 1/2 e 1 2 allora abbiamo, per ∆s , due radici complesse e coniugate; di
seguito vediamo il grafico della funzione di trasferimento:
Si può dimostrare che una rete costituita da sole resistenze e condensatori non sarà mai
caratterizzata da un Q maggiore di 1/2; dunque:
• non si avrà sicuramente overshoot;
overshoot
• avremo due poli e non avremo mai radici complesse coniugate.
Per poter avere queste ultime (dato che le radici complesse e coniugate consentono ad un filtro di
essere piuttosto selettivo) dobbiamo in qualche modo introdurre nel circuito il componente
“antagonista” della capacità, ovvero l’induttanza.
l
Ks 2
H ( s) =
∆s
• filtro passa-banda:
ω0
Ks
H ( s) =
Q
∆s
Q Q = b
a
Se facciamo l’analisi di Q scopriamo facilmente che è adimensionale
adimensionale e che è spesso inferiore ad 1/2
perché il denominatore a è sostenuto dal guadagno g m RL . Le radici di uno stadio common source
sono dunque reali e disgiunte: come corollario, non abbiamo né problemi di overshoot, né picchi di
risonanza. Inoltre, previo calcolo delle costanti di tempo, possiamo effettuare l’approssimazione a
polo dominante per la quale, se le radici sono reali e disgiunte, la pulsazione di taglio (cioè quella
a -3 dB) è la seguente:
H ( jω ) =
1 K
ω−3dB ≅ approssimazione della f.d.t.
∑i τ i 1+ j
ω
ω−3dB
Dobbiamo, insomma, concentrarci sulle costanti di tempo; abbiamo detto che
sono tre:
• una prima costante di tempo, τ 1 = C L RL , è quella che agisce sull’uscita del
common source (v. figura a sinistra) e “butta giù” tutto il segnale;
• una seconda costante di tempo è
quella che scarica il segnale a massa
usando come zavorra la CGS . Essa è pari a
τ 2 = RiCGS ;
• la terza costante di tempo, τ 3 , è quella che bypassa il
segnale verso l’uscita ed è anche la meno immediata
da determinare: per riuscire in tal intento è infatti
necessario disegnare un secondo circuito equivalente ai piccoli segnali, dove compaiono
randezze che ci interessano (resistenze e generatori, senza capacità)
esclusivamente le grandezze capacità).
v1
gm v1
Infine, una domanda: quale fra le tre costanti di tempo è quella più dannosa? Dove mettiamo le
mani? In realtà non è possibile rispondere univocamente a questaquesta domanda;
do occorre bensì
effettuare l’approssimazione a polo dominante e, solo allora, capire quale τ è più influente per
potervi intervenire. Una cosa è tuttavia sicura: bisogna assolutamente evitare la soluzione
analitica!
Non abbiamo però ancora sciolto un ultimo nodo, relativo a un passo del paragrafo scorso:
“[…] due configurazioni con un solo piatto toccato dal segnale = 2 costanti di tempo + 1 polo (non 2,
come sarebbe logico pensare, a causa dell’effetto Miller, v. più avanti)”
L’effetto Miller si ha quando due condensatori condividono lo stesso piatto; questo era proprio ciò
che si verificava nel modello a piccoli segnali che avevamo disegnato:
Quando trattiamo delle capacità, ad esempio per misurarle, utilizziamo sempre il seguente
metodo operativo: prendiamo un condensatore, modifichiamo la tensione ai suoi estremi ( V1 da
una parte e V2 dall’altra, facciamo variare ∆V2 − ∆V1 = ∆V ), valutiamo il flusso di
carica ∆Q e poi calcoliamo il rapporto
∆Q
∆Q = C ∆V1 − ∆V2 ⇒ C =
∆V1 − ∆V2
Che accade ad applicare questo metodo in un circuito in cui è presente un
amplificatore invertente (v. figura a
destra)? Nel caso generale
general (ovvero con A
qualsiasi) si ha:
∆Q = C ∆V1 − C ∆V2 = C ∆V1 − C ( − A∆V1 ) = C ( 1 + A ) ∆V1
∆ V2
τ ′ = RI CGS + ( 1 + A ) CGD
Come conseguenza di ciò, si può dimostrare che abbiamo un solo polo invece che due15.
14
Riporto le testuali parole del prof, per chi fosse in grado di capirle: “Il piatto comune, in pratica, fa sì che la capacità si suddivida in
due: una parte va a finire su un polo, l’altra
’altra confluisce in uno zero. Dunque i poli sono soltanto 2”.
15 Cfr. Gray-Meyer, pag. 491.
Si noti che CGD 2 è la fastidiosissima capacità che fa scavalcare il transistor al segnale.
Se andiamo a fare
re il circuito ai piccoli segnali otteniamo il seguente schema:
gm rDS
• la resistenza che si vede al nodo presente fra il transistore 2
(che, come sappiamo, è a tutti gli effetti un common gate, v.
figura a destra) e il transistore 1: senza rifare calcoli già visti,
scriviamo che
g DS( 2 )
1+ 1 + g DS( 2 ) gm rDS
2
GL (2)
RI = = = 1 + rDS( 2 ) ≅ rDS( 2 )
gm gm
Tale resistenza rDS è stata anche evidenziata nel circuito ai piccoli segnali disegnato poco
sopra.
Neanche un folle penserebbe seriamente di risolvere questo circuito, per cui lanciamoci
nell’approssimazione a polo dominante:
ominante: questa volta, visto il numero di capacità presenti nello
schema, le costanti di tempo saranno
quattro:
• τ 1 = RI CGS1 (verde);
• τ 2 = ROC D 2 (rossa);
1
• τ3 = r CS 2 (blu);
2 DS
parallelo delle due
rDS viste da CS 2
• τ 4 = rX CGD1 .
Dobbiamo
mo ora capire a quanto sia pari rX , ovvero la resistenza che vede la CGD1 ; essa equivale a
RI ≈ rDS
1 1
rDS + g m RI rDS ≅ rDS ( 1 + g m RI ) ≅
1 1
rX = RI + 2
g m rDS = RO
2 2 2 2
Possiamo perciò calcolare la frequenza (o, meglio, la pulsazione) di taglio sommando tutte le
costanti di tempo:
1 1 1
ω−3dB ≅ = =
∑τ
i
i
τ1 +τ 2 +τ 3 +τ 4 τT
Quale fra le costanti di tempo ci dà più fastidio? Sicuramente si ha che CGS ≫ CGD , tuttavia CGD è
moltiplicata per rX e quindi è molto probabile
probabile che sia proprio lei la costante di tempo dominante.
Osserviamo infine che ci troviamo davanti ad un ennesimo trade-off; essendo consistente la
quantità al denominatore, la pulsazione di taglio (e quindi la banda) del cascode risulta essere
relativamente bassa: dunque il cascode ci permette sì di avere un maggior guadagno, il tutto però a
spese di una banda operativa inferiore. Questo aspetto verrà ulteriormente precisato nel prossimo
paragrafo.
Andiamo ora a delineare la forma della funzione di trasferimento del nostro circuito:
v0 A0 ( gm + sCGS ) ω0
2
=
vI ω
s2 + 0 s + ω02
Q
Da questa espressione possiamo ricavare la pulsazione di ttaglio
aglio e il termine Q:
GI ( gm + GS ) GI ( gm + GS ) CGSCS + C ′I ( CGS + C L )
ω0 = Q=
CGSC L + C ′L ( CGS + C L ) GI C L + C I′ ( gm + GS ) + CGSCS
Discutiamo il termine Q: inserendo i dati nella nostra formulina (si fa per dire) siamo certamente
in grado di sapere se tale termine è maggiore o minore di 1/2 (e possiamo perciò fare tutte le
nostre considerazioni sulla presenza o meno di un picco di risonanza, etc…). In genere, ahimè,
saremo sfortunati in quanto, grazie all’effetto della CGS , sarà probabile avere radici complesse e
coniugate. Come possiamo fare ad evitare il fastidioso picco di risonanza? Beh, è senz’altro
16
Chiaramente una capacità negativa non può esistere come componente passivo, così come non poteva esistere la
resistenza negativa di cui abbiamo trattato tempo fa: non si tratta infatti di effetti riscontrabili nella realtà dei fatti, ma
solo di conseguenze imputabili al modello che abbiamo scelto. In tale modello, i conti tornano se consideriamo
l’apporto dell’energia interna dei componenti.
necessario agire sulle altre variabili, in particolare su C L : il problema è che, aumentando troppo la
capacità d’uscita
• il circuito diventa più lento visto l’aumento della costante di tempo τ T ≅ ROC L
1
• diventiamo più selettivi in frequenza. ω-3dB ≅
ROC L
Siamo dunque di fronte all’ennesimo trade-off da valutare in sede di progetto.
1Immaginando infatti di far variare istantaneamente, con un gradino, la tensione di un generico terminale del nostro
chip, posto a tensione Vi , avremo che un elemento
elemento locato nelle vicinanze recepirà tale tensione solo dopo un certo
lasso di tempo, dovuto ad un processo di “carica” non dissimile da quello che si ha in un circuito RC.
conduttore lungo L, alto H, largo W, e disti t dal piano di massa cui lo riferiamo; allora, la
resistenza complessiva di questo conduttore sarà pari a
L
(seconda legge di Ohm) R=ρ
WH
( ρ Ωm è la resistività , il prodotto WH è
2 ,3
La tendenza attuale è quella di realizzare, a parità di tensione, dispositivi sempre più piccoli:
questo porta inevitabilmente ad un aumento della densità di corrente, aumento che può risultare
pericoloso se pensiamo al fatto che, superato
superato un certo limite di densità di corrente, sussistono
indesiderati fenomeni fisici (elettroevaporazione).. Ricordando, infatti, che la densità di corrente è per
definizione pari a
I
J=
A
I 1 V V HW V EL E
J= = = = = =
A A R
WH
ρL ρL ρL ρ
= I (1° legge =A = R (2° legge
di Ohm) di Ohm)
Abbiamo ottenuto nientemeno che la legge di Ohm puntuale detta anche applicata ai continui:
E 1
J= ⇒ J = Eσ σ =
ρ ρ
L’effetto che lo scaling ha su questa grandezza è quindi ben visibile nella seguente relazione:
V V V
J′ = = =S = SJ
ρ L′ L ρL
ρ
S J
Continuando a fare riferimento alla figura del paragrafo precedente, lo scaling globale consiste:
• nel ridurre di un fattore S le quantità H, W, WS e t;
• nell’aumentare di un fattore SG la distanza L fra i componenti.
In tal caso si ha:
R
→ S 2SG R
C
→ SGC
τ
→ S2SG2τ
Come si nota, tale tipo di scaling ci limita moltissimo: è però importante sottolineare che tali
problematiche si manifestano soltanto nella
nella comunicazione fra i sottoblocchi e non localmente.
• … e l’effetto complessivo dovuto a due conduttori: uno cilindrico (diametro H), che da solo
rappresenta il campo di bordo, e un altro simile a quello del punto precedente, largo
H
W − , ugualmente spesso,
spesso ma senza effetto di fringing.
2
H
W−
2
Così agendo, abbiamo per il nostro conduttore la seguente espressione (comoda e analiticamente
sviluppabile) della capacità per unità di lunghezza:
lunghezza
ε H 2πε H
c = W − + (valida per W ≥ )
t 2 t 2
ln
H
W
H
A titolo informativo, accenniamo al fatto chee la tendenza attuale è quella di fare piste più strette
che alte6: questo comporta un calo del rapporto W e, purtroppo, un peggioramento
H
complessivo della situazione per quanto riguarda la capacità C.
Concentriamoci ora sul modello distribuito ed iniziamone l’analisi sfruttando una delle più note
relazioni differenziali:
dV
I =C
dt
Tale relazione ci suggerisce la seguente forma per la corrente Ii :
dV i
I i = c ∆x
dt
Possiamo trovare la stessa grandezza Ii anche utilizzando la legge di Kirchhoff:
Kirchhoff
Ii =
(V i +1
− Vi ) + ( Vi −1 − Vi )
=
∆Vi +1 − ∆Vi
r ∆x r ∆x
Possiamo quindi scrivere:
dVi ∆Vi +1 − ∆Vi
c ∆x =
dt r ∆x
dV ∆Vi +1 − ∆Vi
rc i =
( ∆x )
2
dt
Se ora facciamo tendere ∆x a zero otteniamo la seguente equazione differenziale del secondo
second
ordine (non risolvibile in forma chiusa):
dVi d 2 Vi
rc =
dt dx 2
Questa equazione è detta della diffusione.
diffusione
Anche qui risulta evidente che la rete distributed è più veloce rispetto alla corrispettiva lumped.
In pratica, tale quantità rappresenta quella parte di resistenza condivisa dai percorsi del nodo
sorgente s ai nodi k ed i.
ESEMPI:
• Ri 4 = resistenza condivisa tra il ramo i e il ramo 4, per il percorso avente come nodo
sorgente quello che abbiamo chiamato s Ri 4 = R1 + R3 .
Infatti, se tracciamo i percorsi s → i ed s → 4 , ci accorgiamo di oltrepassare in entrambi i
casi le resistenze R1 ed R3 ;
• Ri 2 = R1 ;
• Ri 3 = R1 + R3 .
A questo punto utilizziamo il teorema di Elmore per valutare il ritardo della nostra linea
distribuita, schematicamente illustrata in figura
figura.
Calcoliamo τ per:
• il nodo 1: RElmore = r ∆x τ 1 = c∆x ( r ∆x )
1 X 2 N ( N + 1 ) N →∞ 1 1 RC
τN = rc 2 → rcX 2 = rX =
cX
2 N 2 2 2 R C 2
1
Si noti dall’espressione τ N = rcX 2 che il ritardo cresce quadraticamente con la lunghezza X della
2
tratta. Notiamo inoltre che il ritardo di una rete distribuita è la metà di quello che avremmo
ottenuto facendo il calcolo analogo ma nel caso lumped (=RC):: ancora una volta abbiamo la
azione che, facendo i calcoli con il modello a costanti concentrate, stiamo “dalla parte del
dimostrazione
sicuro”, prendendoci un margine decisamente maggiore rispetto al caso distributed.
5.3 – Linea LC
Come viene fatto notare in figura, una linea di tipo LC (fatta l’ipotesi visibilmente
visi irrealistica che
non vi sia alcun contributo resistivo) non perturba il segnale2.
Questo fatto è spiegabile attraverso la stretta relazione che vi è
fra l’induttanza e la capacità, entrambe fortemente relazionate
coi campi elettrico E e magnetico H(3) (
. L’induttanza, infatti,
provoca (fig. a destra) la generazione di campo magnetico a
partire da spire, fili et similia, mentre la capacità (fig.
sottostante) è legata
alla presenza di un
campo elettrico fra
due conduttori (che, nel nostro caso, sono i due fili
della linea di trasmissione ordinaria).
ordinaria) Questi legami
sono tra l’altro ben visibili all’interno delle definizioni
Q ∫∫ φ ∫∫
D dS B dS
C= = S
L= = S
V V I I
dove φ è il flusso magnetico, D = ε E l’induzione
elettrica e B = µ H l’induzione magnetica.
lc εµ ε r ε 0 µr µ0
Generalmente i materiali con cui abbiamo a che fare hanno tutti, più o meno,
2 Per questo motivo la linea lc divenne un ottimo modello per le linee telegrafiche.
3 Chiaramente, affinché vi sia questo stretto legame, i campi devono essere generati dalle stesse sorgenti.
4 Si ha lc = µε per via delle equazioni di Helmholtz.
µr ∼ 1 ⇒ µ r µ 0 ∼ µ 0
mentre la costante dielettrica varia fortemente da materiale a materiale5. A questo punto possiamo
trovare una versione approssimata per la velocità di propagazione u:
1 1 c
u= ≅ =
ε r ε 0 µ r µ0 ε r ε 0 µ0 εr
1
(c = velocità della luce = )
ε 0 µ0
Usando, per i parametri di cui sopra, i valori tipici del vuoto e dei materiali tipicamente usati
nell’elettronica, si ottengono le seguenti velocità per la radiazione:
• nel vuoto 30 cm/ns;
• nell’ossido di silicio 15 cm/ns;
• nel teflon 20 cm/ns.
Alle frequenze di clock oggi adottate, è facile
capire che questi valori non siano poi così
alti come sembrano.. Dobbiamo perciò stare
molto attenti al ritardo di propagazione dei
segnali e al dimensionamento dei circuiti
(vedremo più avanti le problematiche
relative alla quasi-stazionarietà
stazionarietà).
5 Ad esempio:
• teflon ε r = 2,3
∆q ⋅ cv dx dx
i=
→ = cv = cvu
∆t dt dt
Facendo il rapporto fra v ed i otteniamo la cosiddetta impedenza caratteristica della linea6:
v 1 l
= = ≜ Z0 Ω
i cu c
L’impedenza caratteristica della linea ha l’importante proprietà di
dipendere unicamente dalla geometria della linea stessa.
Prendiamo, ad esempio, un cavo coassiale (v. figura): tale linea di
trasmissione, formata da un conduttore
conduttore interno ((core) e da uno
esterno (ground), ha, come tipici valori di Z0 , 50 o 75 Ω (7). La
capacità per unità di lunghezza risulta invece essere
2πε
c=
D
ln
d
E qui appare evidente che, se viene alterata la geometria della
struttura (ovvero i parametri D e d),), si hanno ripercussioni anche
sull’impedenza caratteristica (che a sua volta dipende da c).
Facendo sempre riferimento allo scenario illustrato nel paragrafo precedente, si dice che si ha
disadattamento di impedenza quando Z2 ≠ Z1 . Vediamo cosa accade in questa situazione:
immaginiamo lo scenario mostrato in figura.
8 Chiaramente il coefficiente di riflessione dev’essere inferiore (o al limite uguale) ad 1, visto che l’onda riflessa non può essere
VS + VS + ρS ( 1 ⋅ VS ) ←
VS
ρ V
S S
→ 2VS + ρS VS + 1 ⋅ ρS VS
lato GENERATORE 1⋅ ρS VS lato CIRC. APERTO
2VS + 2 ρS VS + ρS2 VS ←
ρS VS
2
→ 2VS + 2 ρS VS + ρS2 VS + ρ ρS2 VS
ρ ρS2 VS
2VS + 2 ρS VS + 2 ρS2 VS + ... ←
Si vede bene che la forma matematica della tensione è la seguente:
∞
1 Z0 1
VL = 2∑ VS ρSi
serie geometrica
→ 2VS = 2 VI =
i =0 1 − ρS RS + Z0 RS − Z0
1−
RS + Z0
Z0 1 Z0 RS + Z0
= 2 VI = 2 VI = VI
RS + Z0 RS + Z0 − RS + Z0 RS + Z0 2Z0
RS + Z0
Si noti che questo risultato si verifica indipendentemente dall’entità di ρS .
Un caso simile a quello descritto può essere quello in figura a fianco, in cui
la linea di trasmissione è collegata ai gate dei transistor facenti parte
invertitore.. A rigore, dunque, tale linea è chiusa su una capacità, che
dell’invertitore
dal punto di vista stazionario è considerabile come un circuito aperto.
Generalmente l’induttanza l, che fin’ora non abbiamo preso più di tanto in considerazione, si
“accoppia” con g, che spesso è un parametro d’entità trascurabile. Questo ha significativi effetti
sulla nostra formula, che perde due dei suoi termini:
d2v
dx 2
= rgv + rc(+ lg
dv
dt
)
+ lc
d2 v
dt 2
= rc
dv
dt
+ lc
d2 v
t2
d
componente RC componente LC
(diffusione) (trasporto)
In virtù di come abbiamo caratterizzato questo spezzone di linea (che a colpo d’occhio e per la sua
configurazione ricorda un partitore resistivo) possiamo scrivere:
2Z0
Vi′ = Vi (per un tratto infinitesimo)
2Z0 + R
N
Se ora consideriamo l’intera linea (lunga x), ricordando che N è il numero di tratti infinitesimi in
cui l’abbiamo divisa, la relazione soprascritta diventa:
N
2Z0
V ( x) = V (0) (per tutta la linea)
2Z + R
tensione al termine
della linea
0 N tensione all'imbocco
della linea
Facendo il rapporto fra la tensione V ( x ) e la V ( 0 ) , cioè fra la tensione “in uscita” e quella “in
ingresso”, otteniamo una vera e propria funzione di trasferimento,
trasferimento, la quale risulta essere pari al
prodotto delle f.d.t. di ciascuno spezzone:
spezzone
N
V ( x)
2Z0
= lim
V ( 0 ) N →∞ 2Z0 + R
N
Si può dimostrare che, elaborando un po’ quest’ultima equazione, compare un limite notevole:
n
k
lim 1 + = e − k
n→∞
n
Si ha dunque:
V ( x)
R
−
= ... = e 2 Z0
V (0)
Il decadimento è quindi di tipo esponenziale, tanto più accentuato quanto maggiore è il termine R.
Elaborando un po’ la nostra relazione otteniamo:
V (x)
R rX ru
− − − t
=e 2 Z0
=e 2 Z0
=e 2 Z0
V (0)
(r = resistenza per unità di lunghezza, u = velocità di propagazione del segnale nella linea)
Per cui possiamo anche scrivere:
ru
−
V ( x) = V (0) e
t
2 Z0
V ( x)
Il termine , in particolare, è quello che discrimina il comportamento di una linea. La regola
V (0)
empirica recita che:
che
• finché si trova fra 1 e 0,8 (e
quindi la linea è abbastanza corta) a
prevalere è il comportamento di tipo
LC;
• finché
hé si trova fra 0,8 e 0,08 il
comportamento della linea è da
considerarsi intermedio fra quello LC
e quello RC (quindi vi è sia trasporto
che diffusione comportamento
RLC);
• se è inferiore a 0,08 la linea risulta RC a tutti gli effetti.
Come abbiamo già fatto intuire nei paragrafi precedenti, non è detto che, se ci troviamo a lavorare
ad alte frequenze, due punti qualsiasi di uno spezzone uniforme di linea di trasmissione abbiano
??
lo stesso valore di tensione (v. figura a sinistra).
V1 = V2
La radiazione viaggia infatti a velocità relativamente
elevatissima, ma comunqueunque finita e, se la lunghezza
d’onda assegnata alla massima frequenza di funzionamento del circuito è comparabile con le
dimensioni del nostro sistema (v. figura a
destra), si cominciano a intravedere gravi
problemi riguardo ai tempi di trasmissione.
Risulta dunque intuitivo il fatto che la frequenza
massima di funzionamento (che d’ora in poi
chiameremo f MAX , corrispondente alla
lunghezza d’onda λMIN = u f MAX ) fissi un limite
inferiore alle
le dimensioni del nostro sistema.
si
Si ha infatti la cosiddetta quasi-stazionarietà,
condizione che ci permette di aggirare le
problematiche relative ai sopracitati tempi di propagazione (e di sostenere che, nell’esempio fatto
poco fa, V1 è approssimativamente uguale a V2 ), se risulta verificata la seguente condizione:
u u
X≪ f MAX ≪
f MAX X
distanza percorsa
dalla radiazione in un
periodo d'onda
Tale requisito è più stringente di quanto possa sembrare: se prendiamo ad esempio un bus
funzionante a 600 MHz, abbiamo che:
u
X≪ ≃ 0, 25 m
f MAX
E quindi il bus, per soddisfare il requisito di quasi-stazionarietà,
quasi stazionarietà, deve essere parecchio più corto di
25 cm!
16 Come era importante il periodo T della forma d’onda sinusoidale nell’esempio analogico.
−1
logico 1, convenzionalmente posta al 90% dello swing del segnale. Essendo tr ≅ f MAX , come
indicato in figura, risulta facile trovare una nuova condizione formulata ad hoc per i sistemi
digitali:
u X
X≪ ≅ utr ⇒ tr ≫ = t f
f MAX u
Il tempo t f è detto time of flight e quantifica quanto impiega il segnale per arrivare da un estremo
all’altro del circuito.
17“Equivalente” solo nel ristretto ambito del nostro obiettivo, che è quello di ricavare il tempo di salita in modo da ricondurci alla
condizione di quasi-stazionarietàà per il nostro circuito. Nel nostro esempio, infatti, il tempo di salita si riferisce al tempo di carica di
una certa capacità (ad esempio una cella di memoria, oppure il gate di un transistor, l’ingresso di un componente logico, etc…)
all’interno di un circuito digitale ma nel
el caso generale nulla ci autorizza a sostituire linee di trasmissione con capacità!
5.8 – Schema riassuntivo
NOTE:
• utilizzando la formula
1 1
Z0 = c=
uc uZ0
è possibile calcolare in maniera semplice la capacità per unità di lunghezza;
• a partire da
Z0 = l
c
possiamo scrivere che
l = cZ02
Tramite tale relazione risulta agevole il calcolo dell’induttanza per unità di lunghezza.
lunghezza
immediatamente la carica.
∆Q
C≜
∆V
Si noti che questo ragionamento è valido unicamente in virtù delle caratteristiche di linearità del
nostro componente. Definita in questi termini, la capacità dipende dalla geometria del
condensatore21.
Si noti che ∆Qh ≠ ∆Qk perché sono presenti tante altre masse conduttrici,
conduttrici, anche loro “scaricanti”
verso massa una certa quantità di carica ∆Qi i ≠h ,k
. La relazione corretta è invece la seguente (la
quale deriva direttamente dal principio di conservazione della quantità di carica):
∆Qh = ∑ ∆Qk = ∑ C hk ∆Vh = C hh ∆Vh Importante relazione: ∑ C hk = C hh
k≠h k≠h k ≠h
Dunque, ad esempio, se abbiamo 4 conduttori (che indicheremo con gli indici da 1 a 4), questa è
l’espressione della capacità intrinseca del conduttore 4 (o C44 ):
C44 = C 41 + C42 + C 43
tutti i conduttori. La capacità intrinseca di questo conduttore, parametro che quantifica come l’universo percepisce
perce le variazioni di
carica su tale componente, è pari al rapporto fra carica e potenziale al suo interno.
Per le proprietà poco fa illustrate questa matrice ha alcune caratteristiche notevoli:
• è quadrata;
• è simmetrica (per la reciprocità dei termini capacitivi);
• ciascun elemento sulla diagonale è dato dalla somma degli elementi sulla stessa colonna o
sulla stessa riga24.
∆Vk
Lhk =
dI h
dt dIi dt = 0 ∀i ≠ h
In pratica, tale termine è calcolabile facendo variare la corrente sul solenoide h-esimo e andando a
misurare la variazione di tensione su quello k-esimo, con la condizione che la corrente sia costante
in tutti gli altri elementi induttivi.
Anche questa volta è possibile definire un parametro di natura intrinseca detto autoinduttanza, da
riferirsi per un conduttore rispetto a sé stesso:
∆Vh
Lhh =
dI h
dt dIi dt =0 ∀i ≠ h
Andando a porre tutte le mutue induttanze e le autoinduttanze in una matrice, otteniamo una
matrice induttanza di struttura e proprietà simili a quella capacità:
L11 L12 ⋯ L1n
L21 ⋱ ⋮
L=
⋮ ⋱ ⋮
Ln1 ⋯ ⋯ Lnn
Anche questa volta, infatti, si ha:
• reciprocità Lhk = Lkh ;
• la seguente proprietà per l’autoinduttanza Lhh = ∑ Lhk .
h≠ k
Andando a mettere insieme ciò che abbiamo detto in questi ultimi due paragrafi, otteniamo le
induttanza
seguenti relazioni per la matrice capacità e induttanza:
Come si nota, abbiamo tre conduttori25 (due caldi e uno di massa) e una configurazione
simmetrica26. Se ci troviamo in questa configurazione, il segnale risulta essere la composizione di
due segnali (tanti quanti sono i conduttori caldi), fra loro completamente indipendenti:
indipendent il modo
pari (even) e il modo dispari (odd).
Il campo totale generato dalle due linee è la sovrapposizione del modo pari e del modo dispari: i
due campi, presi singolarmente, sono tuttavia completamente slegati e per questo tirano in ballo
parametri capacitivi completamente disgiunti.
disgiunt
Forti di questo teorema e tornando al caso n = 3, possiamo calcolare la capacità C E ( c E per unità
di lunghezza) che si instaura fra i conduttori nel modo pari: il risultato della rimozione del piano
di massa e della creazione della parte immagine è visibile nella seguente figura.
figura.
Un risultato simile è ottenibile anche per il modo dispari (capacità CO c0 per unità di
lunghezza):
I modi pari e dispari hanno anche diverse velocità di propagazione (esse sono uguali soltanto se ci
troviamo in un mezzo omogeneo, in virtù della relazione u = c con c = velocità della luce:
εr
questo è un problema non da poco perché,
perché, in un mezzo non omogeneo, risulta che uno stesso
segnale ha delle componenti che vanno più
più velocemente ed altre che vanno più lentamente)…
lentamente
1 1
uE = uO =
c E lE cO lO
… e diverse
iverse impedenze caratteristiche:
lE lO
Z0 E = Z0 O =
cE cO
28L’immagine è dispari perché le cariche che usiamo sono di tipo elettrico (sarebbe stata pari se queste ultime erano quelle -
teoriche - di tipo magnetico).
Si può infine dimostrare che si hanno le seguenti relazioni per l’impedenza caratteristica dei modi
e della linea intera:
Z0O < ZO < Z0 E Z0 ≃ ± Z0 O + Z0 E (media geometrica)
29Anche qui tralasciamo la dimostrazione; per maggiori delucidazioni si veda il paragrafo 7.2 (“Linee simmetriche a due fili”) del
riassunto di campi elettromagnetici.
Nella nostra linea a due conduttori, il coefficiente di cross-talk è definibile anche così:
Z − Z0O
KV = 0 E
Z0 E + Z0 O
Esistono infine dei coefficienti di cross-talk riferiti alle capacità e alle induttanze; la cosa
interessante è che, a partire da questi ultimi (facilmente misurabili), si può giungere ai coefficienti
co
di worst case cross-talk:
C C12
• per le capacità (rispetto alla linea 1) si ha KVC 1 = 12 =
C11 C12 + C1G
L12 L12
• mentre, per le induttanze (sempre rispetto alla linea 1) KVL1 = =
L11 L12 + L1G
Ecco la relazione che, nel caso generale (sia che il dielettrico sia omogeneo che in caso contrario),
contrario) ci
permette di passare da questi due ultimi coefficienti a quello del caso peggiore:
K V 1 = ( KVC 1 + K VL1 ) (media aritmetica)
1
2
Se il dielettrico è omogeneo si ha:
KVC 1 = KVL1 = KV 1
Se, invece, abbiamo più conduttori:
∑C
j ≠ i ,G
ij ∑L
j ≠ i ,G
ij
KVCi = KVLi =
Cii Lii
5.11 – Effetto del modo pari e del modo dispari in una configurazione classica
Ogni volta che commutiamo lo stato, all’interno di un circuito elettronico, consumiamo energia: il
procedimento che la macchina effettua per compiere un calcolo si basa infatti su una
trasformazione energetica, che fa capo ai principi della Fisica
isica (e, in particolare, ai principi della
Termodinamica). È quindi comprensibile che un sistema complesso come un chip generi
costantemente calore1.
Un corpo caldo, verso un corpo di temperatura inferiore, conduce calore: ciò significa che una
parte di energia fluirà dal corpo caldo al corpo freddo2. Tale calore fluente può essere quantificato
tramite l’equazione
equazione di conduzione del calore:
JQ = − K ⋅∇T
( ∇T è il gradiente della temperatura, K la conduttività termica del materiale)
Questa espressione ha anche un’altra forma, più utile operativamente;
operativamente; supponendo di avere due d
corpi a temperatura diversa, separati da un certo materiale di spessore d e superficie A, si ha
infatti:
∆Q KA ∆T d
=− ∆T = − ⇐ ϑ=
∆t d ϑ KA
( ∆T = differenza di temperatura fra i corpi, d = distanza fra i corpi, ∆t = intervallo temporale in
cui avviene loo scambio di calore,
calore A = superficie del materiale che mette a contatto i due corpi)
Si noti che ∆Q si misura in J e quindi è, a tutti gli effetti, una potenza (= P) ; il parametro ϑ
∆t s
d
= è invece chiamato resistenza termica (v. figura a destra), in analogia con la a noi
KA
più familiare resistenza elettrica.. Possiamo quindi riscrivere così la nostra equazione:
∆T T −T T −T
P=− = − 2 1 = 1 2 ⇒ T1 = T2 + ϑ P
ϑ ϑ ϑ
(indice 1 = corpo più caldo,
cald indice 2 = corpo più freddo)
Il rappresentare con delle resistenze i materiali attraverso i quali si propaga il calore porta il
notevole vantaggio di poter utilizzare le arcinote formule di composizione in serie e in parallelo.
Immaginiamo ad esempio che,, come viene mostrato in figura a
sinistra, tra il corpo caldo (un chip
temperatura TJ appena sopra la giunzione J)J e il
corpo freddo (l’ambiente circostante A
temperatura TA ) vi sia il resto della giunzione
nzione J
(resistenza termica ϑJC ) e un package C (resistenza termica ϑCA ). Questa situazione
è schematizzabile mettendo in serie due resistenze termiche (fig. a destra).
Applicando le formule viste in precedenza
precedenz si ha:
1 Ricordiamo brevemente la differenza fra calore e temperatura:: il calore è energia (sprigionabile attraverso una
trasformazione o un processo fisico di quale tipo) mentre la temperatura è l’energia cinetica media delle molecole di
un certo materiale.
2 Si ricorda, anche se è ovvio, che il calore può trasmettersi spontaneamente solo da un corpo a temperatura maggiore
Inoltre, l’efficacia che la ventola ha nella dissipazione del calore è sempre meno evidente tanto più
la facciamo girare velocemente: infatti, comecome si vede nel grafico sottostante, oltre ad una certa
velocità del flusso d’aria non conviene spingersi, visto il calo praticamente trascurabile della
resistenza termica che possiamo associare al dispositivo ventola.
Da queste ultime due considerazioni capiamo che non possiamo “spremere” più di tanto e fino
alle estreme conseguente le soluzioni che abbiamo escogitato per dissipare il calore: tale questione
è dunque molto delicata e richiede la massima attenzione da parte del progettista.
Fin’ora abbiamo trascurato gli effetti induttivi: quando tuttavia i dispositivi sono fra loro
disomogenei, può subentrare un effetto dovuto proprio al termine L. Ogni componente elettrico è
infatti collegato col resto del mondo tramite
tr dei pin (piedini) ed è presso di loro che,
che a causa della
variazione della topologia di collegamento tra l’interno e l’esterno, gli effetti induttivi si fanno più
Per disaccoppiare il circuito dalle interferenze prodotte dal clock spesso si introduce in parallelo al
dispositivo una capacità, la quale fornisce,
fornisc nell’immediato e nei
momenti di crisi, la carica richiesta dal dispositivo
all’alimentazione. Come è noto, infatti, la capacità è il
componente duale dell’induttanza; inoltre, essa contrasta anche la
caduta di potenziale dovuta alla resistenza della linea
lin che collega
l’alimentazione al circuito.
Alle capacità si richiede una dimensione ridotta e, allo stesso
tempo, valori di C abbastanza grandi (e cioè dell’ordine dei nF): purtroppo, queste due
caratteristiche contrastano l’una con l’altra7 e si è costretti a dover far fronte ad un trade-off. Esiste
tuttavia un compromesso accettabile che consiste nell’utilizzo di condensatori elettrolitici8: nei
condensatori elettrolitici non è presente un materiale dielettrico, ma l'isolamento è dovuto alla
formazione e mantenimento di uno sottilissimo strato di ossido metallico sulla superficie di una
armatura. A differenza dei condensatori comuni, la sottigliezza dello strato di ossido consente di
ottenere molta più capacità in poco spazio, ma per contro occorre adottare particolari accorgimenti
per conservare l'ossido stesso9.
Un condensatore elettrolitico può essere modellato con la serie di:
• una resistenza R (dovuta alla soluzione elettrolitica): valore tipico ∼ 0, 2 Ω ;
• un’induttanza L (il condensatore, essendo arrotolato, genera un percorso spiroidale): valore
tipico ∼ 20 nH ;
• una capacità C, che sarebbe il condensatore vero e proprio.
Un ultimo appunto: ad alte frequenze questi condensatori funzionano un po’ peggio visto che a
condurre sono gli ioni (più lenti degli elettroni). Questo difetto viene però compensato se
inseriamo un condensatore ceramico (che invece funziona benissimo ad alte frequenze)
parallelamente al condensatore elettrolitico.
poliestere consistono in fili arrotolati. Dei condensatori elettrolitici parliamo appena di seguito.
9 Da Wikipedia.
CAPITOLO 7
Progettazione su scheda:
scheda alcune tecniche
Nel connettere i componenti su scheda, possiamo trovarci di fronte a una gran serie di
problematiche:
• Ricerca di adattamento in potenza:
potenza in questo caso si inserisce
serisce un partitore resistivo: dissipa
potenza, ma stabilisce adattamento evita problemi di rimbalzo “spuri”.
“spuri”
• portare un segnale in più rami: in questo caso si può instaurare in collegamento come in
figura seguente:
(r e c sono la resistenza e capacità per unità di lunghezza, t è l’altezza della linea dal piano
di massa, W e H sono le dimensioni dell’area della sezione trasversale della linea)
Sulla base della formula appena scritta risulta facile comprendere che, per la distribuzione
del clock, conviene utilizzare le linee più alte (t alto τ basso). Si noti anche che la
costante di tempo decresce con l’aumentare dell’area WH della sezione trasversale;
• effetto pelle (skin effect): quando scorre corrente in un conduttore (reale), gli elettroni
tendono a generare una corrente in prossimità della superficie2. Questi elettroni vanno a
porsi tutti “sottopelle”, cioè in prossimità della superficie, in quanto tale configurazione
permette loro di allontanarsi il più possibile l’uno dall’altro3. Si può dimostrare che lo
spessore di penetrazione, ovvero la regione all’interno del conduttore entro la quale il
campo risulta essere diverso da zero, è pari a
ρ
δ=
πµ f
( ρ = resistività, µ = permettività magnetica, f = frequenza)
Si noti che, all’aumentare della frequenza, cala l’entità dello spessore di penetrazione.
Esiste inoltre un legame fra la resistenza per unità di lunghezza e le quantità che troviamo
all’interno dell’ultima relazione scritta:
ρπµ f
r=
2(H + W )
Questa volta, all’aumentare della frequenza, cresce la resistenza r.
L’effetto pelle va considerato solo oltre una certa frequenza: questa frequenza “limite” può
essere determinata empiricamente tramite la seguente formula
4ρ
fS =
πµ max {WH}( )
2
2 In un conduttore ideale questo sarebbe stato impossibile, visto che avremmo avuto E = 0 entro tutta la superficie
interna del conduttore.
3 Sono cariche di stesso segno e, di conseguenza, si respingono.
CAPITOLO 8
Campionamento e rumore di quantizzazione
Ad essere rigorosi, esiste un’infinita varietà di relazioni che possono mettere in corrispondenza il
segnale d’ingresso (segnale analogico) con i bit d’uscita (segnale digitale);; una di quelle possibili (e
probabilmente la più ovvia) è la seguente2:
VO codifica ideale
VR
codifica reale
VI
VR
Sugli assi troviamo le tensioni d’uscita (ordinate) e d’ingresso (ascisse) normalizzate rispetto a VR :
notiamo immediatamente che le uscite possono assumere solo determinati valori, corrispondenti,
corrispo
in ordine crescente, alle stringhe di bit 00, 01, 10 e 11. La codifica del segnale in uscita è infatti la
seguente (caso N generico):
(
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 + ... + bN 2 − N )
Per cui, ad esempio, la stringa 01 corrisponde a una tensione:
( ) (
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 = VR 0 ⋅ 2 −1 + 1 ⋅ 2 −2 = ) 1
V
4 R
Mentre la stringa 10 è rappresentata dal seguente valore in uscita:
( ) (
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 = VR 1 ⋅ 2 −1 + 0 ⋅ 2 −2 = ) 1
V
2 R
V LSB
VLSB
VLSB
VLSB
t
Funzione5: VLSB − = VQ ( t )
T
Svolgiamo ora il calcolo per trovare il valor quadratico
medio (temporale) dell’errore di quantizzazione:
T T 2
1 2 2 1 2 2 t
V 2
Q
=
T −T∫ Q
V ( t ) d t =
T −T∫ LSB T
V dt =
2 2
T
2
VLSB t3
2 2
VLSB
= 3 =
T 3 −T 12
2
1
VLSB
Tale risultato è analogo a quello elaborato poco fa tramite il valore quadratico medio!
Come
ome si valuta il rapporto SNR ((dove il rumore, in questo caso, è quello dovuto all’errore di
quantizzazione7 e non a fenomeni di tipo “fisico”)
“fisico”) di un convertitore A/D?
Supponiamo di dare in pasto al nostro convertitore una banalissima sinusoide:
A sin (ωt + ϕ )
VR
0 2
VR
−A
Calcoliamone la potenza:
T
1 2 A 2 VR2
( )
2 A
ω ϕ
T −T∫
PS = A sin t + d t = = root mean square =
2 8 2
2
8.4 - Sovracampionamento
7 E quindi è deterministico.
8 È intuitivo il fatto che usare 1024 valori - invece di, ad esempio, 128 - porti ad una descrizione più accurata della
forma d’onda.
9 Per come abbiamo inteso la conversione A/D, possiamo dire che essa è qualitativamente analoga al campionamento
2 2
VLSB VLSB
Il rettangolo in figura ha base fS e altezza , nonché area costante e pari a : aumentando
12 fS 12
fS schiacciamo questo rettangolo spalmandolo su una quantità maggiore di frequenze e
decrementandone conseguentemente l’altezza. “Decrementare l’altezza” signifi
significa però abbatterne
i valori di densità, cosa senz’altro positiva visto che riusciamo in questo modo a “diluire” la
potenza del rumore su più componenti frequenzali.
lo spettro si spalma
fS fS
Operando ora un filtraggio per frequenze superiori a e inferiori a −
quel che otteniamo è
2 2
una sensibile diminuzione del rumore di quantizzazione: parte dello spettro, infatti, viene
letteralmente spazzata via!
lo spettro che si salva
fS fS
−
2 2
10Quindi possiamo dire che il nostro convertitore a sovracampionamento campiona ad OSR volte “più velocemente”
rispetto alla frequenza di Nyquist.
Per trovare la potenza del rumore è ora necessario trovare l’area del rettangolo verde, che è pari a:
2 2
VLSB f VLSB VR2
PN = 2⋅ S = = (11))
12 ⋅ OSR ⋅ fS 2 12 ⋅ OSR 12 ⋅ 2 2 N ⋅ OSR
base
altezza
integratore: funge da
filtro passa-basso
retroazione negativa
In questa retroazione, di tipo digitale, ciò che viene riportato in ingresso soffre di rumore di
quantizzazione; se ora ci poniamo nel caso estremo in cui N = 1, otteniamo il cosiddetto modulatore
Σ∆ (sigma-delta).
VI
2
VLSB
11 L’altezza ha quel valore in quanto dobbiamo dividere
d la potenza (area del rettangolone originario) per il
12
valore della base del rettangolo spalmato ( = OSR⋅ fS ), quando ancora non è stato filtrato.
16
12Esempio: disponendo di un convertitore a 8 bit, dovremmo campionare ad una frequenza 2 volte superiore a
quella di Nyquist per ottenere le stesse prestazioni di un convertitore a 24 bit.
A quanto è pari VX , cioè ciò che esce dall’integratore? VX è appunto il risultato dell’integrazione
del segnale Vε , perciò è uguale a
T
VX = ∫ Vε dt
0
(T = periodo di clock)
Il “segnale d’errore” Vε dentro all’integrale è pari a:
VR α +1
• Vε = VI + VR = + VR = ... = VR > 0 se al clock precedente si aveva VX < 0 (se VX < 0 ,
α α
infatti, il deviatore sottrae all’ingresso −VR , ovvero somma + VR visto che siamo in
condizioni di retroazione negativa).
negativa Integrando questo valore di Vε (costante e positivo),
otterremo in uscita una rampa crescente13;
V 1−α
• Vε = VI − VR = R − VR = ... = VR < 0 se al clock precedente si aveva VX > 0 (se VX > 0 ,
α α
infatti, il deviatore sottrae all’ingresso + VR ). Integrando questo valore di Vε (costante e
negativo), otterremo in uscita
scita una rampa decrescente13.
periodo
Facendo l’ipotesi che VI sia costante14
otteniamo un andamento periodico di VX
caratterizzato da rampe crescenti e
decrescenti
nti cicliche15.
In figura a sinistra vediamo proprio
l’andamento della tensione VX e, sotto,
ciò che il comparatore restituisce in uscita
(0 quando VX è negativo, 1 quando VX è
positivo).
13Domanda: perché la rampa crescente è più pendente di quella decrescente (e quindi servono più rampe decrescenti
per riportarci sotto lo zero e provocare il conseguente avvento di una nuova rampa crescente)? Basta vedere quale
valore dobbiamo integrare. Facciamo un esempio numerico con α = 1 ,2 5 :
1−α 0,25
• caso rampa decrescente:: si integra V =− V = −0, 2 VR ;
α R 1,25 R
1+α 2,25
• caso rampa crescente: si integra VR = V = 1, 8 VR .
α 1,25 R
0,2 è 9 volte inferiore rispetto a quello di 1,8: integrando il valore costante −0, 2 VR
Risulta evidente che il modulo di -0,2
avremo una rampa molto meno pendente rispetto a quella ottenuta integrando 1, 8 VR .
14Questo significa che, all’uscita dell’integratore, vi sarà una rampa.
15 Perché cicliche? Nella nota 13 abbiamo spiegato la “fisionomia” delle rampe crescenti e decrescenti: possiamo
immaginare che l’andamento ciclico (cioè periodico) inizi con una (o più) rampa(/e) crescente(/i) e termini quando
finiamo sotto lo zero in seguito to a una serie di rampe decrescenti. Tuttavia, siccome alla fin fine sommiamo e
sottraiamo sempre le stesse quantità, ogni ciclo sarà uguale a quello precedente (e successivo).
ridosso dello 0 (v. figura a fianco). Chiamiamo
quindi VT il valore massimo toccato dalla nuova
configurazione della curva della tensione VX .
A quant’è pari VT ? Per scoprirlo basta integrare il
1−α
valore che generava la rampa decrescente (ovvero VR ) su un periodo più lungo rispetto a
α
agire per n1 − 1 periodi
quello di clock:: in pratica vogliamo “prolungare” questa rampa facendola agir
di clock aggiuntivi (per un totale di n1 periodi di clock totali) finché non tocca lo zero
zero.
∫ 0
α
VR dt = n1T
α
VR = −VT ⇒ n1T
α
VR = +VT
Si noti che la scelta del pedice “1”” in n1 non è casuale: abbiamo infatti una rampa decrescente per
ogni 1 in uscita dal comparatore.
elementare” fino a n0 periodi di
Facciamo lo stesso con la rampa crescente16, prolungando quella “elementare
clock:
VT
∫
0
α
VR dt = n0T
α
VR = VT
Anche questa volta la scelta del pedice “0” in n0 non è casuale: ricordiamo infatti che si ha una
rampa crescente per ogni 0 in uscita dal comparatore.
n1 − n0
Possiamo a questo punto trovare il termine :
n1 + n0
1+α α VT α VT α VT
n0T α VR = VT ⇒ n0 = −
α + 1 TVR n1 − n0 α − 1 TVR α + 1 TVR 1
= = ... =
n T α − 1 V = + V α VT n1 + n0 α VT α VT α
⇒ n1 = +
1 α R T
α − 1 TVR α − 1 TVR α + 1 TVR
16Come si nota, in questo esempio facciamo finta che la rampe crescenti necessarie
necessarie a raggiungere il massimo siano più
d’una.
Tale valore rappresenta una particolare media dia calcolata sui bit in uscita: precisamente, trattasi
della quantità calcolata coinvolgendo una certa finestra ed effettuando, appunto, una media fra il
valore centrale e quelli che vi stanno intorno.
Fatto questo, si sostituisce al valore centrale la media appena calcolata e si fa scorrere la finestra.
PRIMA DOPO
Convertitore Σ∆
Nell’esempio sovrastante N = 8 e quindi il decimatore sputa fuori dei byte. Si noti che la frequenza
d’uscita di ogni byte (stream “lento”) è quella del vero e proprio convertitore
convertito e, in quanto tale,
dev’essere almeno pari a 2 fS , cioè alla frequenza di Nyquist:
Nyquist: per ogni byte escono però 8 bit dal
modulatore sigma-delta
delta e ciò ci fa capire che quest’ultimo componente abbia una ben più elevata
frequenza di funzionamento (stream
stream “veloce”). Per questo motivo il sigma-delta
sigma entra di diritto
nella categoria dei convertitori a sovracampionamento.
y ( s ) x ( s ) − y ( s ) s
k
k
= = ... = (funz. di tipo passa-basso
basso del I ordine)
x ( s) x ( s) k+s
Volendo valutare il rapporto fra y(s) ed n(s), annullando x(s)17, otteniamo:
y ( s) y ( s) s + n ( s)
k
s
= = ... = (funz. di tipo passa-alto
alto del I ordine)
n ( s) n ( s) s+k
Dunque il convertitore:
• si comporta come un passa-basso rispetto al segnale;
• si comporta come un passa-alto rispetto al rumore.
Questo fatto è senz’altro
o positivo visto che, oltre all’abbattimento (cioè alla “spalmazione”
“spalma 18
) dello
spettro da parte dal sovracampionamento, otteniamo l’eliminazione di alcune componenti di
rumore (noise-shaping) grazie al sopraccitato filtraggio.
Quello appena disegnato è un integrating A/D converter: il suo compito è quello di calcolare la
seguente quantità
T
−V T
V
VX = − ∫ i dt = ∫ i dt
0 RC 0 RC
che, come si vede, è stata elaborata integrando il segnale d’ingresso Vi . Una volta trascorso un
certo tempo T, misurato tramite un contatore a N bit, l’interruttore presso l’integratore si chiude e
quest’ultimo componente inizia ad integrare la tensione VR , di segno contrario a Vi . Possiamo
quindi distinguere due fasi:
• durante una prima fase
l’integratore opera su una
quantità costante che dipende
dal segnale d’ingresso (rampe
rampe
crescenti,, e di pendenza
dipendente da Vi , v.
disegno). In questa prima fase
VX cresce;
• quando scatta il contatore
viene integrata la quantità VR
(di segno opposto alla Vi ,
cosicché abbiamo una rampa
decrescente nel disegno) fino
a quando VX , a forza di calare,
calare avrà raggiunto lo zero.
Si tenga presente che la rampa crescente può avere una pendenza qualsiasi, visto che dipende da
Vi , mentre la rampa decrescente ha sempre la stessa derivata (imposta da VR ).
Una volta che VX è tornata a zero (il momento esatto ce lo dice il comparatore a valle
dell’integratore) scatta la logica di controllo, la quale ci informa su quanto tempo ci ha messo il
segnale a tornare a zero. Da tale
ale informazione, infatti, è possibile risalire al valore di tensione Vi .
Chiamiamo infatti T1 il tempo che impiega il contatore per arrivare alla fine del conteggio (hp:
contatore a 2 N bit, conteggio che parte dalla stringa 000000… 0 e termina al valore 111111…..1);
tale tempo sarà pari a:
T1 = 2 N TCK
Il tempo T2 , ovvero quello che impiega il segnale per tornare a zero,
zero, è invece pari a
T2 = 2 N B0TCK
dove B0 è una certa codifica che si trova tra 000000… 0 e 111111…..1 (20):
B0 = b1 2 −1 + b2 2 −2 + ... + bN 2 − N
Abbiamo quindi che:
T2 2 N B0TCK
= N = B0
T1 2 TCK
T2 Vi
Il rapporto coincide però col rapporto per le tensioni in quanto
T1 VR
T1 T
Vi 2
V ViT1 VRT2 T V
∫0 RC dt − ∫0 RCR dt = RC −
RC
= 0 ⇒ ViT1 = VRT2 ⇒ 2 = i
T1
VR
salita discesa
quindi abbiamo ottenuto, in colpo solo, la codifica binaria del segnale, il rapporto fra i tempi di
salita e di discesa, il rapporto fra la tensione di riferimento (conosciuta) e la tensione d’ingresso
(nota pure lei, a questo punto).
Tale convertitore è molto preciso ma deve necessariamente attendere una quantità di tempo prima
di emettere i suoi valori, per cui è anche molto lento.
sample&hold
20 VR è, per definizione, maggiore in modulo rispetto a qualsiasi valore che VI possa assumere. Di conseguenza, la
rampa decrescente è più pendente di qualsiasi controparte crescente: perciò si ha che T2 < T1 .
Campiona Vi
È la tensione d’ingresso
d’
B0 = 0 maggiore di un certo
i=1 valore di riferimento V A ?
Aumenta la
risoluzione:
bi = 1 bi = 0 nuovo valore di
riferimento
Aumenta la
risoluzione: VR VR
nuovo valore di VA ← VA + VA ← VA −
2 i+1 2 i+1
riferimento
Possiamo
Scaliamo di un bit
aumentare
verso quelli meno i ← i +1 ulteriormente
significativi
la risoluzione?
Sì No
i<N STOP
Il principio di funzionamento di questo convertitore è basato sul metodo delle bisezioni, che
permette di determinare la parola digitale a n bit che rappresenta il segnale di ingresso in soli n
periodi di clock (contro i 2n periodi di clock dei convertitori
convertitori a rampa lineare o incrementali).
All’inizio di ogni ciclo di conversione il segnale di ingresso Vi viene campionato dal sample&hold;
successivamente, il segnale di ingresso viene confrontato con la tensione analogica fornita dal
DAC, che corrisponde al bit più significativo21. Se il segnale di ingresso è di ampiezza inferiore
rispetto al segnale fornito dal DAC significa che il bit più significativo della parola digitale di
uscita deve essere posto a “0”, altrimenti significa che essoesso deve essere posto a “1”. Una volta
stabilito il valore del bit più significativo, esso viene memorizzato dal registro ad approssimazioni
successive e mantenuto. Si passa quindi al bit successivo, confrontando la tensione fornita dal
DAC con il segnale d’ingresso. In base alla decisione del comparatore si stabilisce se il bit in
questione deve essere “0” o “1”, memorizzando poi il risultato nel registro ad approssimazioni
successive. Si procede in questo modo per n periodi di clock fino a che non vengono determinati
tutti i bit22.
21VR
ESEMPIO (N = 5):: arriva in ingresso una tensione pari a . Il sample&hold campiona e il
32
circuito inizia ad elaborare.
21 Quindi, in un esempio N = 4, viene generato un valore di tensione pari alla parola 1000. Si noti che, al primo passo,
la tensione VA viene posta esattamente a VR 2 .
22 Tratto da http://ims.unipv.it/~piero/Misure/Misure09.pdf.
http://ims.unipv.it/~piero/Misure/Misure09.pdf
21 1 ?? ?? ?? ?? V
Primo confronto: VR ≥ VR 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = R ??
32 2 2
2 2 2 2
VA
moltiplicatore x16
A/D
Vi A/D D/A + 4 bit
4 bit 4 bit
VR
2
Una volta giunti qui abbiamo a
disposizione i quattro bit più
significativi, corrispondenti al
valore indicato dalla freccia
verde e cioè 1010
verde,
0
• il secondo livello agisce sulla differenza di cui abbiamo parlato nel punto precedente e
difica i bit meno significativi in quanto la moltiplicazione x 2 N “aumenta la risoluzione” e
codifica
permette di essere più precisi.
V2 B V2 A
V2
V2
V2 A
V2 B V2 C
V2C
8.12 – Folding A/D converter
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
V1 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0
V2 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0
V3 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0
V4 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0
gruppo 1 gruppo 2
Per sciogliere l’ambiguità fra la permanenza del segnale nel gruppo 1 o nel gruppo 2 (o,
comunque, per capire in che zona della tabella binaria ci troviamo) è necessario l’apporto del
convertitore A/D a 2 bit mostrato nello schema in alto. Notiamo inoltre che, anche in questo caso,
la logica di controllo dovrà tradurre una codifica termometrica per trarne una binaria.
binaria
Nella figura sottostante vediamo lo schema dei dispositivi comandati dalle quattro tensioni.