Gli Inizi Della Polifonia

Scarica in formato docx, pdf o txt
Scarica in formato docx, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 17

GLI INIZI DELLA POLIFONIA

IL CONTRAPPUNTO MEDIOEVALE
COMPOSITORI E TEORICI

DEFINIZIONE DI POLIFONIA
Con il termine polifonia si indica qualsiasi stile compositivo che prevede l’insieme simultaneo di
più voci (umane e/o strumentali) indipendenti su diverse altezze sonore.
La polifonia è omoritmica se le melodie simultanee presentano decorso ritmico identico.
La tecnica compositiva basata sulla coesistenza di più voci che procedono polifonicamente è
detta contrappunto (punctum contra punctum = nota contro nota).

GLI INIZI DELLA POLIFONIA


Dalle testimonianze bibliche dell'orchestra del tempio di Gerusalemme (Salmi, Cronache)
sembra che la polifonia non fosse un concetto ignoto nella Giudea del III secolo a. C., ma non si
conosce l’origine del canto gregoriano simultaneo a più voci, benché alcuni studiosi ipotizzino
l’influsso di musiche popolari.
I primi passi polifonici pervenutici, in notazione adiastematica (in campo aperto, cioè senza
indicazione dell’altezza attraverso l’uso di righi), sono gregoriani e risalgono alla fine del IX secolo.
La tradizione orale e, quindi, l’apprendimento mnemonico dei canti, infatti, era divenuta sempre
più ardua, in seguito alla più prolifica e più complessa produzione di canti, per cui nasce l’esigenza
della codificazione, in modi che vedremo sempre più precisi e rigorosi.
Quel particolare tipo di tropatura che è la polifonia, inoltre, richiede la notazione anche per la
maggiore difficoltà esecutiva.
L’esigenza della codificazione e della trasmissione certa del patrimonio gregoriano, anche in
termini esecutivi, va messa pure in relazione con l’adozione di un unico repertorio liturgico-
musicale nell’Occidente cristiano del Sacro Romano Impero.
Naturalmente, tutto questo porterà a una graduale perdita del carattere spontaneo e
improvvisativo dei canti.
La tecnica polifonica è coltivata in un primo tempo nei monasteri dell’Impero Franco, che sono
anche i centri propulsori della creazione dei tropi e delle sequenze: la polifonia, nelle sue prime fasi,
è anzi da considerare niente più che una forma di tropatura musicale.
1. I più antichi esempi di polifonia scritta pervenutici sono contenuti nel trattato del IX secolo,
redatto nella Francia settentrionale, dal titolo Musica enchiriadis (Manuale di musica). L’autore
anonimo del manuale descrive un tipo di polifonia che denomina organum, indicando anche le
consonanze ammesse: l’ottava, la quarta e la quinta. Tali sono, infatti, i primi intervalli (ritenuti
perfettamente consonanti o naturali) della serie armonica che i fonologi medievali possono
individuare dagli esperimenti sul monocordo ereditati dalle speculazioni musicali dei teorici della
scuola pitagorica.
Nel trattato si descrivono le regole di questa pratica polifonica improvvisata, chiamata organum
o diafonia: consiste nel raddoppiare il canto gregoriano, detto vox principalis, con una seconda voce
inferiore, detta vox organalis, posta alla costante distanza dei suddetti intervalli. L’una e/o l’altra
voce possono essere raddoppiate all’ottava superiore o inferiore.

Nello stesso trattato viene descritto un altro tipo di organum, per moto obliquo, in cui le due
voci, per evitare gli incontri intervallari di quarta eccedente o di quinta diminuita (diabolus in
musica), partono dall’unisono, quindi la sola vox principalis si muove verso l’acuto fino a
raggiungere l’intervallo di quarta rispetto alla vox organalis (che ribatte la stessa nota), con la quale
procede poi a quarte parallele; nella cadenza finale le due voci ritornano all’unisono.

In questi termini, la primitiva polifonia non è altro che una forma di tropatura musicale che
amplifica il discorso rispettando la lezione originale del canto liturgico, ossia una forma di tropatura
in cui la nuova melodia è concepita simultaneamente alla vecchia. Tuttavia, questa pratica condurrà
gradatamente alla perdita della tradizione ritmica del canto gregoriano. Infatti, nel passare dalla
monodia alla polifonia si dovrà rinunciare al ritmo articolato della monodia e adottare un ritmo più
uniforme e maestoso, per poter controllare così il procedere contemporaneo delle due voci, nota
contro nota.
Nel X secolo, l’esigenza di una sempre più rigorosa codificazione dei suoni porta, anche per la
crescente complessità dei canti polifonici, alla nascita dei righi musicali, ossia alla notazione
diastematica (come meglio si vedrà nel prosieguo).
2. All’inizio dell’XI secolo, anche Guido d’Arezzo parla della polifonia nel suo trattato intitolato
Micrologus (Piccola trattazione). Egli propone una serie di primitive cadenze armoniche in cui le
due voci che procedono a distanza di quarta, prima di concludere raggiungendo l’unisono, si
incontrano sull’intervallo di terza e poi di seconda.
A Guido d’Arezzo sono attribuiti il perfezionamento del tetragramma, ossia della notazione
musicale basata su quattro righi, nonché la solmisazione, ossia un metodo avente lo scopo di
facilitare l’apprendimento e l’intonazione dei canti, e, sia pure erroneamente, la c. d. mano
guidoniana, ossia un metodo mnemotecnico di lettura.
Come meglio si vedrà nel prosieguo, l’esigenza di perfezionare la notazione, come tali nuovi
metodi pratico-esecutivi, adottati non per i teorici, bensì per i cantores, attestano della crescente
complessità della musica nell’XI secolo, cioè in un periodo in cui pure gli uffici drammatici,
funzionali alla messa, si trasformano nelle più elaborate rappresentazioni dei drammi liturgici, non
più funzionali alla messa, benché sempre attinenti alla liturgia.
Per dare un quadro del tempo, non è superfluo ricordare che l’XI è anche il secolo dei canti
goliardici in Germania, Francia e Inghilterra, e di altri canti profani in latino volgare, di cui si dirà.
3. Tornando alla polifonia, la più antica e importante raccolta di vere e proprie fonti musicali
riguardanti la pratica polifonica, e non solo la teoria, è contenuta in due manoscritti dell’XI secolo
noti sotto il nome di “Tropario di Winchester”, consistenti in un repertorio di più di 150 tropi in
forma di organum a due voci.
4. Procedendo nell’evoluzione della polifonia, bisogna citare alla fine dell’XI secolo altri due
importanti trattati: Ad organum faciendum, anonimo, e De arte musica, attribuito a Johannes
Afflighemensis, che codificano il moto contrario tra le due voci, in cui la vox principalis,
diversamente che nelle forme più antiche di polifonia, è posta nella parte inferiore, la vox organalis
nella parte superiore (dunque in maggiore evidenza): così le voci resteranno disposte per tutto il
Medioevo (evidente segno di subordinazione dell’originario canto gregoriano alla crescente
importanza della sperimentazione musicale, in un processo creativo di rinnovamento che ha inizio
nel IX secolo con la tropatura). Accanto agli intervalli permessi (unisono, quarta, quinta e ottava)
compaiono anche intervalli imperfetti (terza e sesta) e addirittura intervalli dissonanti come la
seconda1.
1
Nell’XI secolo, la struttura polifonica non si applica a tutta la liturgia, ma soprattutto alle sezioni tropate dell’Ordinario della messa (Kyrie,
Gloria e Benedicamus Domino) e del Proprio (in particolare Graduale, Alleluia, Tratto e Sequenza), oltre che nei responsori dell’ufficio. In queste
parti della liturgia vengono però rese polifoniche solo le sezioni che nell’originario repertorio monodico sono cantate dai solisti. Nell’esecuzione si
alternano quindi sezioni polifoniche a sezioni monodiche: solo queste ultime vengono cantate da tutto il coro all’unisono e si contrappongono a quelle
polifoniche, affidate a solisti perché di più difficile esecuzione.
5. All’inizio del XII secolo, si sviluppa un nuovo tipo di organum, detto melismatico, in cui le
due voci non procedono nota contro nota, ma ad ogni nota del basso ne corrispondono diverse nella
voce superiore. Questo stile pone la melodia gregoriana preesistente al basso come sostegno della
voce superiore, che intona intere frasi melodiche di lunghezze diverse, dette melismi o fioriture.
La melodia gregoriana, in questa sua funzione di sostegno dei melismi della voce superiore,
viene chiamata tenor (dal latino tenere), termine che rimarrà a designare la voce più grave di una
composizione polifonica fino alla metà del XV secolo.

PRIME FONTI MUSICALI DI ORGANUM E CONDUCTUM


Prima dell’organum melismatico è praticata, entro certi margini, l’improvvisazione anche
nell’esecuzione del canto polifonico.
Con la pratica dell’organum melismatico viene superata la fase dell’improvvisazione polifonica
e si rende indispensabile registrare graficamente le composizioni, data la loro complessità, per cui
aumenta il numero delle fonti musicali pervenute. Le più importanti provengono dai tre principali
centri di diffusione del nuovo tipo di organum: il Monastero di Santiago de Compostela nella
Galizia (regione situata a nord-ovest della Spagna), l’Abbazia di S. Marziale di Limoges, nella
Francia centro- meridionale, e l’Abbazia di Winchester, nel Sud dell’Inghilterra.
Oltre all’organum melismatico, nel repertorio di Santiago de Compostela troviamo anche la
forma del conductus.
I conductus non sono basati su un tenor preesistente appartenente al repertorio gregoriano, ma di
nuova invenzione; entrambe le voci che formano il conductus sono dunque originali (di libera
invenzione) e procedono con un andamento omoritmico e sillabico (v. pagg. 31-32).

LA SCUOLA DI NOTRE DAME 2


Si vedrà come nel XII secolo nasca la lirica trovadorica (lingua d’oc o provenzale), trovierica
(lingua d’oil) e dei Minnesanger (alto-medio-tedesco), mentre i goliardi continuano a comporre i
propri versi, spesso irriverenti, e si continuano a tenere le rappresentazioni, via via più elaborate, dei
drammi liturgici.
Tornando alla polifonia, va considerato che, fino all’XI secolo, essa è un fatto abbastanza
sporadico, limitato geograficamente e sperimentale, tant’è che la produzione di canti gregoriani,
tropi e sequenze continuerà fino agli inizi del XIV (ossia fino alla fine dell’Ars antiqua).
Si assiste a un’accelerazione dello sviluppo della polifonia a partire dalla prima metà del XII

Così detta dalla Cattedrale di Notre Dame, a Parigi, nella quale nasce e si sviluppa, benché la Cattedrale di Notre Dame, nel periodo della
fioritura della scuola, fosse ancora chiamata Cattedrale della Beata Vergine.
secolo, in primis con l’affermazione in Inghilterra di una scuola che adotta procedimenti
contrappuntistici autonomi da quelli continentali, caratterizzati dall'impiego di terze parallele e di
seste parallele, come nell’“Inno a San Magno”.
A parte sparse testimonianze di teorici, ancora scarsa resta, tuttavia, la documentazione della
polifonia, mentre le musiche stesse generalmente non escono dall’anonimato.
Questa situazione cambia notevolmente nella seconda metà del XII secolo, con l’avvento a
Parigi di una fiorente scuola polifonica, nella cappella della cattedrale di Notre-Dame, in seno alla
quale cresce l’importanza del musicista-creatore e nasce l’esigenza, ancora oggi sentita,
dell’attribuzione della paternità dell’opera al suo autore.
Il clima politico e culturale nella Parigi dell’epoca è favorevole alla coltivazione delle arti
musicali. Con i re Luigi VI (Parigi, 1081 – Béthisy-Saint-Pierre, 1137) e Luigi VII (?, forse 1119 –
Parigi, 1180), la Francia raggiunge un’invidiabile stabilità stabilità politica e la capitale Parigi una
grande floridezza economica. Alcune tra le principali chiese gotiche della capitale, tra cui la
cattedrale di Notre Dame, sono costruite in quest’epoca. Con re Filippo Augusto (Gonesse, 1165 –
Mantes-la-Jolie, 1223), Parigi diviene il centro culturale più importante d’Europa, in virtù
soprattutto dell’Università (fondata nel 1170, dopo le Università di Bologna e di Oxford, fondate
rispettivamente nel 1088 e nel 1096), che attrae e accoglie studenti da tutto il continente.
Con l’inclusione dell’insegnamento della musica, in quanto disciplina speculativa,
nell’ordinamento accademico universitario a partire dalla metà del secolo XII, la didattica si
arricchisce di un filone di trattati di tipo speculativo e matematico che attingono dalle dottrine di
Severino Boezio (Roma, 475/477 – Pavia, 524/526), il primo e principale teorico romano, tramite
fra il pensiero musicale dell’antica Grecia e il Cristianesimo, ideatore della distinzione filosofica
della musica nelle tre categorie di 1) mundana, 2) humana, 3) instrumentalis. E’ nei cinque libri
dell’opera intitolata De institutione musica che Boezio riassume la filosofia degli antichi: in
quest’opera egli colloca al livello inferiore la categoria teorica della musica pratica, la musica
instrumentalis, udibile da tutti; metafisicamente superiore è la musica humana, generata dalla natura
umana, udibile solo da “chiunque scenda in se stesso”; il genere più perfetto di “armonia” è, infine,
la musica mundana, quella generata dal movimento delle sfere celesti, inudibile (eredità pitagorica).
Negli studia (università) medievali l’ars musica (“scienza musicale”) è insegnata, in quanto
disciplina speculativa, accanto all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia (scienze del quadrivio)
e si pone a un livello superiore rispetto all’insegnamento pratico fondato sul canto liturgico. Agli
esecutori (strumentisti e cantores) non è nemmeno riconosciuta la qualifica di musicus, ossia colui
che mantiene un rapporto intellettuale con la musica, perché ne conosce le premesse matematiche e
le ragioni teoriche. Tale rigida concezione intellettualistica della musica trova terreno fertile nelle
università europee, piuttosto che nelle istituzioni monastiche ed ecclesiastiche, e soprattutto nello
studium parigino. Qui l’insegnamento della musica è affidato a docenti che in genere hanno anche
vasta familiarità con le discipline matematiche e filosofiche e che stendono in forma scritta i
risultati delle loro lezioni. La maggior parte dei trattati di tipo speculativo elaborati nei secoli XII-
XIV sono infatti concepiti e formulati ad uso dei corsi universitari di discipline musicali.
Parigi è a cavallo tra l’XI e il XII secolo il centro musicale per eccellenza: l’aspetto teorico e
speculativo della musica è coltivato nell’Università; l’aspetto pratico ed esecutivo nelle istituzioni
religiose e in particolare nella Cattedrale di Notre-Dame.
I trattati di teoria musicale elaborati nell’ambiente universitario medievale, conservati in
numerosi codici manoscritti oggi appartenenti a diverse biblioteche, hanno uno sviluppo crescente
dopo l’XI secolo: essi sono in gran parte intesi a trasmettere e interpretare razionalmente le dottrine
degli autori canonici del passato oppure illustrano vari argomenti allora di attualità, soprattutto il
contrappunto e la notazione ritmica.
In De mensuris et discantus, il trattatista anonimo inglese Anonimus IV (così chiamato per
essere distinto da altri trattatisti anonimi) descrive in modo analitico le composizioni polifoniche
introdotte nei servizi liturgici della Cattedrale di Notre Dame e contenute nel Magnus liber organi
de gradali et antiphonario (Grande libro dell’organum estratto dal graduale e dall’antifonario).
Léonin (o Leoninus) (c.1135 – Parigi, c. 1201) è il principale compositore del Magnus liber, poi
ampliato con sezioni sostitutive (clausulae) da Pérotin (o Perotinus) (c. 1190 – c. 1230).
Secondo l’anonimo trattatista inglese, Léonin è optimus organista; Pérotin optimus discantor
(bravissimo autore di brani in stile di discantus).
Il repertorio del “Grande libro” di Léonin e i rifacimenti di Pérotin non ci sono pervenuti nella
forma originale, ma solo attraverso fonti tardive della metà del XIII secolo. Le tre fonti principali
sopravvissute di questo repertorio comprendono numerose composizioni polifoniche da due a
quattro voci composte da tre generazioni di compositori per i canti responsoriali della Messa e
dell’ufficio. Nella sua forma più antica (c. 1150-1190), ricostruita dalle tre fonti principali, il
“Libro” è costituito da 13 brani per l’ufficio e da 33 per la messa, tutti a due voci.
La maniera di esecuzione prevede l’alternanza fra l’intero coro, per le sezioni eseguite in canto
piano gregoriano, e i solisti per le sezioni polifoniche.
Effetto di contrasto, oltre all’alternanza di sezioni di canto piano e sezioni polifoniche, risulta
l’utilizzazione, nell’ambito delle sezioni polifoniche, di stili diversi di scrittura.
Lo stile dell’organum melismatico delle sezioni organali dell’organum duplum, per cui sulle note
lunghe del tenor il duplum intona melismi di varia ampiezza costituiti da note di valore più breve e
indefinito, rappresenta il repertorio più antico della Scuola di Notre-Dame.
Tale stile è sviluppato in particolare da Magister Leoninus.

Magister Leoninus

Nella elaborazione polifonica, le sillabe che nel canto originale gregoriano sono in stile sillabico
vengono trattate nello stile dell’organum melismatico con lunghe note sostenute al tenor; le sezioni
dove invece la melodia originale gregoriana è melismatica vengono elaborate nello stile del
discanto, perché il tenor si muova su valori più rapidi e la composizione non si allunghi
eccessivamente: le sezioni costruite sulle parti più melismatiche del canto e realizzate nello stile del
discanto sono dette clausulae.
Nella clausula, dunque, la voce superiore resta melismatica, ma si contrappone a un tenore dai
valori più brevi.
La clausula è di norma fondata su una sola parola (ad esempio Dominus) o persino su una
singola sillaba (do di Dominus, go di Virgo, etc) del testo liturgico.
L’esempio seguente, tratta da un’opera di Leoninus, presenta la clausula costruita sulla parola
Domino.
Ogni clausula è in sé autonoma, con una cadenza finale definita.
Sfruttando il contrasto tra organum melismatico e discanto, Léonin ottiene, sia pure con un
tessuto di due sole voci, una grande varietà.
Nelle sezioni in note lunghe, la voce di duplum richiede grande virtuosismo nell’esecuzione:
Leonino fa alternare frasi melodiche piane a passaggi in svolgimento rapido detti currentes,
caratteristici della sua scrittura.
Cattedrale di Notre-Dame

L’altro grande compositore della scuola di Notre Dame è Magister Perotinus, che appartiene
alla generazione successiva a quella di Magister Léoninus e che opera, quindi, tra il XII e il XIII
secolo.
Perotino prosegue l’opera di Leonino; rimane nell’organum l’alternanza di sezioni in canto
monodico e sezioni polifoniche, ma in queste ultime si va sempre più precisando l’andamento
ritmico. Spesso le sezioni nello stile dell’organum sono sostituite dalle clausulae in discanto.
Numerose sono le clausulae nuovamente composte (e dette appunto “sostitute”) dai musicisti
della cerchia di Pérotin sul medesimo melisma oppure riscritte per sostituire i più estesi organa di
Léonin. Si presenta così al compositore la possibilità di elaborare la costruzione contrappuntistica
su una stessa matrice (il melisma gregoriano preesistente o parte di esso, presentato in
configurazioni ritmiche sempre diverse), procedimento questo rimasto alla base dell’esercizio del
comporre fino al Cinquecento e anche oltre. Si vedano negli esempi seguenti le due clausulae
costruite sul medesimo melisma Domino di Benedicamus Domino.
Perotino e i suoi contemporanei ampliano la struttura dell’organum portandolo dalle due alle tre
o quattro voci, così al duplum (la seconda voce) è aggiunto il triplum (terza voce) e, a volte, il
quadruplum (quarta voce): questi stessi termini stanno a designare anche le intere composizioni, per
cui un organum a tre voci è detto organum triplum o anche solo triplum, e quello a quattro voci
quadruplum.
Come nelle composizioni di Leonino, anche in quelle di Perotino, benché a tre e a quattro voci,
possiamo però identificare solo due strati sonori: quello costruito dal tenor al basso, a valori
generalmente larghi, e quello costruito dalle voci superiori, che generalmente procedono più
velocemente, cantando brevi frasi.
Si consideri che – come si vedrà nel prosieguo – la più complessa polifonia del periodo in cui
operano Leoninus e Perotinus è possibile solo grazie alla messa a punto di una tecnica più precisa di
notazione, c. d. modale.
Pérotin è anche autore di conductus a una, due e tre voci, composti talvolta su testi profani.

Magister Perotinus

IL CONDUCTUS
A differenza degli organa tripla e quadrupla, che costituiscono l’espressione più elevata e
complessa della polifonia liturgica dell’inizio del XIII secolo e che si basano su tenores (cantus
firmi) gregoriani preesistenti, i conductus – i cui primi esempi appaiono all’inizio del XII nel
Monastero di Santiago di Compostela – si sviluppano su tenores originali, trattando in latino
argomenti sacri, ma non liturgici, o addirittura profani, in tal caso di contenuto morale o storico.
Il conductus è scritto a due, tre o anche quattro parti che si muovono in un ambito ristretto, per
cui tendono a incrociarsi, ma anche a scambiarsi i ruoli; cadenzano sugli intervalli, allora ritenuti
perfetti, quali la quarta, la quinta e l’ottava, ma si incontrano spesso anche su intervalli di terza, che
all’epoca sono ritenuti consonanze imperfette. La struttura del conductus è in genere strofica, cioè
con la stessa intonazione musicale per tutte le strofe: lo stile musicale è semplice, perché le parti,
tenore compreso, tendono a seguire ritmi identici, dando luogo a un procedere omoritmico e
accordale. Il testo è disposto sillabicamente sotto le rispettive note, ma alcuni conductus iniziano o
terminano con estese sezioni in stile melismatico (senza testo), denominate caudae, che a volte
presentano un certa varietà ritmica tra le voci.

Parte di conductus di autore anonimo (XIII sec.)

IL MOTTETTO
Il mottetto nasce, alla fine del XII secolo, nell’alveo dell’ancora fiorente Scuola di Notre-Dame,
dall’applicazione alla voce superiore della clausula di testi latini di approfondimento
dell’argomento del testo del tenor.
A differenza del conductus, dunque, presenta testi differenti.
La creazione di nuovi testi alla voce superiore è pure un accorgimento per meglio memorizzare i
melismi che caratterizzano la clausola, anche se su un tenor dai valori più brevi.
Nell’esempio seguente, il testo della voce superiore proferisce una deliberata espressione di lode
al Signore Creatore (il Domino del tenor).
Il duplum viene denominato motetus, termine probabilmente derivato dal francese mot (parola),
che più tardi sarà attribuito alla composizione nel suo complesso.
Allorché, a partire dal 1220 circa, prevale l’organico a tre voci, la parte vocale che si trova
immediatamente sopra il motetus prende il nome di triplum, che di norma, con un diverso testo,
sviluppa ulteriormente il contenuto del testo del tenor.
Il tenor, data la brevità del frammento di canto liturgico da cui è di norma ricavato (in alcuni
esempi solo una sillaba), viene ripetuto più volte in brevi sezioni, talvolta separate da pause in cui la
voce è probabilmente sostituita da uno strumento.
Nelle fonti dell’epoca, le voci non sono disposte a mo’ di partitura, ma scritte per esteso su due
colonne (il motetus sulla colonna di destra, il triplum su quella di sinistra), mentre il tenor è
collocato in calce.

Con tale disposizione delle voci si può economizzare sullo spazio nell’impaginazione dei codici
manoscritti e così utilizzare completamente la loro preziosa pergamena. Dal momento che gran
parte dei tripla comprendono il maggior numero di note (almeno tre-quattro volte quelle del tenor),
allineare le voci l’una sopra l’altra richiederebbe molto più spazio che non scriverle in successione.
I testi di duplum e triplum (più tardi pure del quadruplum e del tenor) possono preesistere ed
essere adattati alla musica o anche essere frutto di creazione originale.
Non è prevista alcuna norma organizzativa o di durata dei versi.
Anche se il suo fondamento rimane pur sempre un tenor tratto dal repertorio liturgico, il mottetto
sarà sempre più concepito come una composizione autonoma, in cui le due voci superiori sono
spesso costruite su testi differenti, anche di carattere profano, benché attinenti l’uno con l’altro in
base al contenuto.
Tra i testi latini prevalgono quelli composti in lode alla Vergine: dei 117 contenuti nel Codice di
Montpellier (una tra le più importanti fonti del secolo, comprendente circa 300 mottetti di vario
tipo) ben 86 si riferiscono a Maria.
Dopo l’era di Pérotin, il mottetto si affranca sempre più dal contesto liturgico e i testi profani
(amorosi, conviviali, satirici, celebrativi) in lingua volgare (francese, per lo più, tale forma
compositiva essendo nata in Francia) sostituiscono sempre più quelli sacri latini, rivolgendosi a una
stretta cerchia di musicisti e di conoscitori preparati.
Data l’ampiezza dei temi trattati, il genere del mottetto, benché ancora tipica espressione del
Clero (compositori e poeti appartengono perlopiù al ceto ecclesiastico), diviene nella seconda metà
del secolo dominio degli ambienti cortesi e borghesi cittadini.
Nell’evoluzione del mottetto, dalla fine del XII alla fine del XIII secolo, si possono individuare
quattro fasi:
I fase: dalla fine del XII secolo all’inizio del XIII, tenor gregoriano e duplum in latino di
approfondimento del testo del tenor.
II fase: dal 1220 c., tenor gregoriano, in latino, raramente in volgare una delle voci superiori e
tutte e tre le voci in reciproca analogia e a carattere sacro.
III fase: durante la parte centrale del XIII secolo, tenor gregoriano, in latino, una delle voci
superiori più spesso in volgare e voci superiori dal contenuto testuale spesso non in analogia, non
sempre sacro.
IV fase: alla fine del XIII secolo, tenor strumentale o gregoriano in latino o profano in volgare,
voci superiori in francese e tutte e tre le voci dal contenuto testuale non in analogia, sacro o più
spesso profano.
In quest’ultima fase si contrappongono due tipi di mottetto: uno, detto petroniano, perché
caratteristico della produzione del teorico e compositore Petrus de Cruce, presenta le voci tutte
ritmicamente in contrasto, con il tenor gregoriano basato su un rigido schema metrico a valori
larghi, il duplum a valori meno larghi e il triplum a valori brevi, più vivace; l’altro, caratterizzato da
un tenor (se non strumentale) profano in volgare, presenta una maggiore omogeneità ritmica delle
voci, benché pur sempre con il tenor a valori più larghi rispetto alle voci superiori.
Sia pur di rado, nell’ultima fase si incontrano esempi di motetti quadrupli, ossia scritti a quattro
voci o parti.
Nel corso del XIV secolo – e, dunque, nell’Ars Nova –, il mottetto rientrerà nell’ambito della
musica sacra.

L’HOCHETUS
Il teorico Johannes de Grocheo intorno al 1300 descrive le varie forme musicali del tempo.
Tra le composizioni polifoniche, oltre all’organum, al conductus e al mottetto, viene inserito il
cactus truncatus, detto hochetus, ma in realtà questo termine, più che a una forma, si riferisce a una
tecnica compositiva applicata al mottetto: in esso alcune note che mancano in una voce sono fornite
da un’altra voce, in modo tale che la melodia si divide tra le parti. Questa tecnica diviene più
frequente tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo e, quando predominerà nel contesto di un
brano, il termine si estenderà a definire l’intera composizione.

Potrebbero piacerti anche