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POLITICA ECONOMICA

CAPITOLO 2: I DATI DELLA MACROECONOMIA


Il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e servizi nali prodotti nell’ambito di un
sistema economico in un dato periodo di tempo. Ma può essere considerato anche come:
• il reddito totale di tutti coloro che partecipano al sistema economico;
• la spesa totale per l’acquisto dei beni e servizi nali prodotti.

L’obiettivo del PIL è riassumere in un unico numero il valore monetario dell’attività


economica in un dato periodo di tempo, e riesce a misurare simultaneamente il reddito
totale e la spesa di un sistema economico perché in realtà queste due quantità sono la
medesima cosa (es. se Giorgio dipinge l’appartamento di Giovanna per 1000 €, quei 1000 €
sono un reddito per Giorgio e una spesa per Giovanna; la transazione contribuisce per 1000 € al
Pil indipendentemente dal fatto che si sommi il reddito o la spesa).

a cuore de sistema economico c'è un flusso circolare 1un circuito

i
Hg
ii
EFITIIEI.a.io
IIFi

I I j remunerazionedeicartonidiproduzione redditi
i

Iiiiiiiiiii i

Quindi la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro


È possibile calcolare il PIL in tre modi equivalenti:
1. come valore dei beni e dei servizi nali prodotti in una economia in un dato periodo
di tempo;
2. somma del valore aggiunto in un’economia in un dato periodo di tempo;
3. somma dei redditi dell’economia in un dato periodo di tempo (imposte indirette,
redditi da lavoro, pro tto).

Questi metodi di calcolo devono produrre il medesimo risultato, perché la spesa dei
compratori di un prodotto è identica al ricavo dei venditori e ogni transazione che
in uenza il reddito deve in uenzare anche la spesa, e viceversa.

SEDIE LE SOLISettOIIIIoduttivi I acciaio 2 auto.IT0bI

Firmino
t i i
Ieti III ooe

• PRODOTTO FINALE: vendite — acquisti (per tutti i settori)

2004100 100 200

• VALORE AGGIUNTO (per un settore): valore produzione — valore beni intermedi

VENDITE
900
2 ACQUISTI
is.ie 200 isettore

• SOMMA DEI REDDITI (per i settori e per i tipi di reddito)


TUTTI I SALAM A
sé 80 5 1 7015.2 PROFITTI

IOE.TK 20 5 1 3015.2
ioi 200
Il PIL misura solo il valore dei beni nali e di produzione corrente.
• nali, perchè il valore del bene intermedio è incorporato nel prezzo di mercato del
bene nale (aggiungere il valore intermedio a quello nale comporta una doppia
contabilizzazione).
• corrente, perchè ad esempio la vendita di un’autovettura usata rappresenta il
trasferimento di un patrimonio e non un aumento del reddito del sistema economico
(dunque la vendita di beni usati non rientra nel computo del PIL).

IL TRATTAMENTO DELLE SCORTE:


Ci sono tre casi:
1. l’impresa ha pagato maggiori salari senza ottenere alcun ricavo addizionale e il suo
pro tto risulta ridotto: la spesa totale non è cambiata (dato che nessuno ha
comprato pane in più), il reddito totale non è cambiato (anche se aumenta la quota
di reddito destinata ai salari e diminuisce quella destinata ai pro tti). Ma dato che la
transazione non condiziona la spesa totale, il PIL rimane invariato;
2. nel caso l’impresa produce un bene di lunga durata, quest’ultimo costituisce una
scorta. In questo caso: il pro tto dell’impresa non viene ridotto dai salari
addizionali (perché i maggiori salari aumentano il reddito totale e la spesa per le
scorte aumenta la spesa totale) di conseguenza aumenta il PIL.
3. nel caso in cui l’impresa venda le scorte: la spesa negativa dell’impresa compensa
la spesa positiva degli individui. Dunque, la vendita di scorte non fa variare il PIL.
Questo trattamento delle scorte fa sì che il PIL comprenda sempre e solo i beni di
produzione corrente.

IL VALORE DI IMPUTAZIONE
Alcuni beni e servizi non vengono scambiati in un mercato e, perciò, non hanno un
prezzo di mercato. Per fare in modo che il PIL includa anche quest’ultimi, se ne deve
stimare il valore. La stima viene detta valore di imputazione.

Le imputazioni sono importanti per determinare il valore dei servizi abitativi.


Un individuo che prende in af tto un appartamento acquista un servizio abitativo, e il
canone d’af tto che paga al proprietario dell’immobile è parte del PIL.

Molti individui, vivono in abitazioni di proprietà e godono di un servizio abitativo simile;


in questo caso le agenzie statistiche nazionali stimano quale sarebbe il canone di
mercato dell’abitazione se venisse af ttato e lo aggiungono al computo del PIL.
Gli economisti inoltre, sono tenuti a effettuare imputazioni nonostante le imprecisioni di
calcolo per il valore dei beni e servizi scambiati nell’economia sommersa (a nero) che
viene sottratta al controllo dello Stato con la nalità di evadere le tasse o perché è
costituita da attività illegali. Ne sono un esempio i lavoratori autonomi che non emettono
fattura o il traf co di sostanze stupefacenti.

Poichè i valori di imputazione necessari per il corretto computo del Pil sono
approssimativi rendono il PIL una misura imprecisa, e questa imprecisione diventa
problematica quando si mette a confronto il tenore di vita in paesi diversi. Tuttavia
rimane una statistica ef cace per valutare l’evolversi dell’attività economica da un
anno all’altro.

PIL REALE E PIL NOMINALE


Gli economisti per misurare in maniera più ef cace il benessere economico di
consumatori ricorrono al:
• PIL REALE, cioè al valore dei beni e dei servizi calcolato a prezzi costanti, il PIL
REALE illustra cosa accadrebbe alla spesa se cambiassero le quantità, ma non i prezzi.

Consideriamo che la nostra economia produce mele e pere, e immaginiamo di voler


comparare il prodotto del 2013 con quello dei due anni successivi. Il primo passo è quello
di selezionare un insieme di prezzi, detti i prezzi dell’anno base, ad esempio i prezzi del
2013. Successivamente si sommano beni e servizi ai prezzi dell’anno base.

PIL REALE 2013: (prezzo mele 2013 x quantità mele 2013) +


(prezzo pere 2013 x quantità pere 2013)

PIL REALE 2014: (prezzo mele 2013 x quantità mele 2014) +


(prezzo pere 2013 x quantità pere 2014)

PIL REALE 2015: (prezzo mele 2013 x quantità mele 2015) +


(prezzo pere 2013 x quantità pere 2015)

Il PIL REALE rappresenta una misura migliore del benessere economico rispetto al PIL
NOMINALE che è il valore totale dei beni e dei servizi misurato ai prezzi correnti.

La crescita del PIL NOMINALE dipende da due fattori:


• crescita delle quantità prodotte nel tempo;
• aumento dei prezzi dei beni nel tempo.
LE COMPONENTI DELLA SPESA E LA CONTABILITÀ NAZIONALE
Il PIL è suddiviso in tre grandi categorie di spesa:
1. spesa per consumi nali;
2. formazione lorda di capitale;
3. esportazioni nette

1. LA SPESA PER CONSUMI FINALI


è la spesa per beni e servizi nalizzata al consumo.

È suddivisa sulla base dal soggetto che effettua la spesa:


• nuclei familiari;
• istituzioni senza scopo di lucro al servizio dei privati (ISP) (università, sindacati);
• pubblica amministrazione (includono la spesa delle amministrazioni locali).

Ed è ulteriormente divisa in quattro sottocategorie:


• beni non durevoli;
• beni durevoli;
• beni semidurevoli ( hanno un avita superiore ad un anno ma durano meno dei beni
durevoli);
• servizi (includono il lavoro solto da individui e imprese a favore dei consumatori).

In ne, la spesa per consumi nali include anche una voce relativa all’effetto netto del
turismo.
2. LA FORMAZIONE LORDA DI CAPITALE
è l’investimento totale, cioè quella parte della spesa che ha come nalità la produzione o il
consumo futuri.
Si suddivide in due sottocategorie:
• INVESTIMENTO FISSO LORDO che si suddivide ulteriormente in:
1. investimento sso delle imprese: corrisponde all’acquisto di nuove fabbriche o nuove
attrezzature da parte dell’impresa;
2. investimento sso delle amministrazioni pubbliche: comprende la costruzione di
scuole, autostrade ed alte infrastrutture;
3. investimento sso residenziale: è dato dall’acquisto di nuovi immobili.
• INVESTIMENTO IN SCORTE è pari all’aumento delle scorte delle imprese.

3. ESPORTAZIONI NETTE
Corrispondono al valore dei beni e dei servizi esportati in altri paesi, meno il valore dei
beni e dei servizi importati da altri paesi.

Il valore delle esportazioni nette è positivo se il valore delle esportazioni è maggiore del
valore delle importazioni; è negativo in caso contrario.

Ai ni dell’analisi macroeconomica la somma tra:


• Consumo (C) = spesa delle famiglie per consumi nali + spesa per consumi nali delle
ISP;
• Investimento (I) = investimento delle imprese + investimento residenziale +
investimento in scorte;
• Spesa Pubblica (G) = spesa per consumi nali delle amministrazioni pubbliche + spesa
per investimento delle amministrazioni pubbliche;
• Esportazioni nette (NX) = esportazioni — importazioni + saldo dei consumi dei ussi
turistici.

DEVE CORRISPONDERE AL PIL.


Questa equazione è detta IDENTITÀ CONTABILE DEL REDDITO NAZIONALE

Y = C + I + G + NX
ALTRE MISURE DEL REDDITO (PNL — PNN)
Il PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL) misura il reddito aggregato dei residenti nel
paese (es. se un cittadino olandese possiede un appartamento in Italia, la rendita che ne
ricava è parte del Pil italiano, perché è realizzato in Italia; ma essendo il reddito di un
non residente, non fa parte del prodotto nazionale lordo italiano ma entra invece nel
computo del piano nazionale lordo olandese).

Si calcola aggiungendo al PIL il reddito guadagnato all’estero dai residenti del paese e
sottraiamo il reddito guadagnato nel paese dai non residenti.

PNL = PIL + redditi esteri residenti — redditi interni non residenti

Per ottenere il PRODOTTO NAZIONALE NETTO (PNN) si sottraggono al PNL


l’ammortamento del capitale (cioè la stima della perdita di valore dello stock di
impianti, attrezzature e fabbricati residenziali veri catasi nel corso dell’anno):

PNN= PNL — Ammortamento del capitale


INDICI DEL LIVELLO DEI PREZZI
• L’aumento dei prezzi viene chiamato INFLAZIONE;
• Il tasso a cui il livello dei prezzi aumento nel tempo è detto TASSO DI INFLAZIONE;
• La riduzione marcata del livello dei prezzi è detto DEFLAZIONE.

Per misurare il livello dei prezzi ci sono due indicatori:


1. L’indice dei prezzi al consumo (IPC);
2. De atore del PIL.

INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO


L’indice dei prezzi al consumo, IPC, misura il livello dei prezzi medi al consumo ed
esprime i costo in valuta (es. euro), di un determinato paniere di consumo di un tipico
consumatore.

Es. Il consumatore acquista ogni mese 5 mele e 2 pere: il paniere di beni consiste in 2
pere e 5 mele e l’IPC è:

IPC = 5 x Prezzo corrente delle mele


5 x Prezzo delle mele nel 2012
+
2 x Prezzo corrente delle pere
2 x Prezzo delle pere nel 2012

L’anno base è il 2012:


L’indice descrive quanto costa acquistare 5 mele e 2 pere rispetto al costo dello stesso
parere nel 2012.

Il tasso di variazione dello IAPC (IPC armonizzato a livello europeo, confronti di


in azioni tra i paesi membri), rappresenta il tasso di in azione.
DEFLATORE DEL PIL
Il DEFLATORE DEL PIL è il rapporto tra il PIL nominale e il PIL reale:

E
1. p owe O III E II
tede

E permette di calcolare il prezzo medio dei beni nali prodotti in un economia.


Il de atore del PIL è un numero indice e il suo livello è scelto arbitrariamente.

Il tasso di variazione del de atore del PIL rappresenta il TASSO DI INFLAZIONE.

LE DUE MISURE A CONFRONTO


L’indice dei prezzi al consumo e il De atore del PIL mostrano trend piuttosto simili nel
tempo.
Le differenze fondamentali sono tre:
1. Il De atore del PIL misura il livello dei prezzi di tutti i beni e servizi prodotti nel
sistema economico, l’IPC misura il livello di beni e servizi acquistati dai consumatori
(un aumento dei del prezzo di beni e servizi acquistati dalle imprese o dalla pubblica
amministrazione viene rilevato dal de atore del PIL ma non dall’IPC);
2. L’IPC assegna un peso sso ai prezzi dei beni, mentre il De atore del PIL assegna
pesi variabili (es. la quantità di mele prodotta crolla a 0, il prezzo delle mele
importate aumenta, le mele importate non fanno parte del PIL, quindi l’aumento non
viene rilevato dal relatore del PIL, ma poichè l’IPC viene calcolato sulla base di un
paniere sso, l’aumento del prezzo delle mele comporta un amento dell’IPC;
3. Il De atore del PIL comprende solo i beni e servizi prodotti all’interno dei con ni
nazionali, i beni importati non fanno parte del PIL e perciò non vengono rilevati dal
de atore del PIL (es. l’aumento del prezzo di una Toyota prodotta in Giappone e
venduta ad un italiano provoca una variazione dell’IPC ma non del de atore);

Quando il prezzo dei beni importati aumenta rispetto al prezzo dei beni prodotti
all’interno, l’IPAC aumenta più velocemente del De atore del PIL (es. crisi petrolifere
1974, 1980 e crisi Ucraina e Russia).
Gli economisti chiamano:
• indice di Laspeyres un indice dei prezzi calcolato un un paniere sso;
• indice Paasche un indice dei prezzi calcolato su un paniere variabile.
I PROBLEMI DEI DUE INDICI:
L’IPC che è un indice di Laseyres, utilizza un paniere sso di beni e ignora la possibilità
che il consumatore possa sostituire un bene con un altro più economico;
Il De atore del PIL che è un indice di Paasche, non rileva l’aumento del prezzo del bene.

L’IPC SOVRASTIMA L’INFLAZIONE


Molti economisti ritengono che l’IPC tende a sovrastimare l’in azione.
Perchè:
1. L’IPC essendo un indice dei prezzi a paniere sso, non tiene conto della possibilità
che i consumatori possano sostituire un bene con un altro meno costoso. Per via di
questo meccanismo, quando i prezzi aumentano, il costo della vita aumenta meno
rapidamente dell’IPC;
2. Quando nel mercato vengono lanciati nuovi beni, il benessere del consumatore
aumenta perchè si ampli cano le possibilità di scelta e si accresce il valore della
moneta, ma questo aumento del potere di acquisto della moneta non è rilevato
dall’IPC;
3. Riguarda le variazioni non rilevate della qualità dei beni. Quando un impresa
migliora le qualità di un bene che vende, il corrispondente prezzo aumentato non
ri ette un aumento del costo della vita. Ciò nonostante molti cambiamenti qualitativi
sono di dif cile rilevazione.

IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE
Il TASSO DI DISOCCUPAZIONE è la statistica che rileva la percentuale degli individui
che non hanno un’occupazione.

Ci sono due modi per calcolare il tasso di disoccupazione:


• il CLAIMANT COUNT: consiste nel conteggiare in un dato momento, il numero degli
individui che ricevono un’indennità di disoccupazione dallo Stato. Aggiungendo al
numero dei lavoratori occupati il numero di coloro che percepiscono un’indennità di
disoccupazione si ottiene il totale della forza lavoro.

Questo metodo però, è soggetto alle variazioni della normativa che regola l’accesso ai
sussidi di disoccupazione (es. supponiamo che il governo voglia limitare la spesa sociale,
e stabilisce delle regole più severe per l’accesso a tali indennità, in modo che il numero
degli aventi diritto al sussidio diminuisca: a seguito di tale provvedimento, si riduce
anche il tasso di disoccupazione, anche se non è cambiato né il numero degli occupatine il
numero dei disoccupati).
Un metodo di calcolo più af dabile è la misura di disoccupazione sulla base di indagini
campionarie periodiche effettuate attraverso questionari, ed è denominata Labour Force
Survey (viene condotta trimestralmente e interessa circa 60.000 nuclei familiari).

Sulla base delle risposte, ogni adulto viene classi cato in una delle seguenti categorie:
• Occupato (è considerata occupata una persona che nella settimana precedente
l’intervista ha lavorato a tempo pieno o parziale in un’occupazione remunerata);
• Disoccupato (colui che non ha un’occupazione ma è in cerca di lavoro);
• Non partecipante alla forza lavoro (ovvero che non rientra in una delle due categorie
precedenti e quindi non lo fa parte della forza lavoro).

La FORZA LAVORO si de nisce come la somma degli occupati e dei disoccupati

Forza lavoro = Occupati + Disoccupati


L N t U

Il TASSO DI DISOCCUPAZIONE come la quota percentuale dei disoccupati sulla forza


lavoro

assodasocciparone

7001 700
Coe anche

Il TASSO DI PARTECIPAZIONE ALLA FORZA LAVORO è pari alla percentuale della


popolazione adulta che appartiene alla forza lavoro

ÈO 201000
tasso dipartecipazione
i oo.ie io
CAPITOLO 3: IL REDDITO NAZIONALE
COSA DETERMINA LA PRODUZIONE
La produzione determina:
• la domanda di beni: C + I + G + NX
• l’offerta di beni: decisioni delle imprese
ma per produrre beni e servizi occorrono fattori di produzione, che sono:
• capitale (K), costituito da tutti gli attrezzi e gli utensili che i lavoratori utilizzano;
• lavoro (L), costituito dal tempo che gli individui dedicano all’attività.

La funzione di produzione
Y= F(K,L)
stabilisce che la produzione aggregata è una funzione della quantità di capitale e di
lavoro e descrive la tecnologia disponibile per trasformare capitale e lavoro in beni e
servizi (IL PROGRESSO TECNOLOGICO INFLUENZA LA FUNZIONE DI PRODUZIONE).

Molte funzioni di produzione godono di una proprietà detta RENDIMENTI DI SCALA


COSTANTI e si ha se ad un aumento di è uguale percentuale di tutti i fattori di
produzione corrisponde un aumento di pari percentuale della produzione.
CAPITOLO 4: IL SISTEMA MONETARIO
COS’ È LA MONETA
La moneta è lo stock di attività utilizzate per le transazioni. Essa ha funzione di:
• mezzo di scambio (con cui si effettuano i pagamenti);
• unità di conto del sistema (unità di misura con cui si esprimono i prezzi);
• riserva di valore nel tempo (rappresenta un mezzo per trasferire il potere d’acquisto
dal presente al futuro).

Ci sono due tipi di moneta:


• MONETA A CORSO LEGALE o FIAT: lo stato decide quale oggetto ha il ruolo di
moneta. Nelle economie moderne è un oggetto senza valore intrinseco (es. banconote,
conti correnti, ecc.);
• MONETA MERCE: storicamente, sono le prime forme di moneta (l’esempio più diffuso
di moneta merce è l’oro) e sono dotate di valore intrinseco.

Le caratteristiche più importanti della moneta sono la LIQUIDITÀ e L’UNITÀ DI MISURA


DEL VALORE.

Infatti per comprendere il processo di evoluzione che ha portato dalla moneta merce
all’utilizzo della monta a corso legale, dobbiamo focalizzarci su queste due
caratteristiche.
Usare la moneta merce richiede più tempo ed è più costosa (veri ca del peso, della
purezza), per ridurre questi tempi lo Stato conia monete di peso e purezza garantiti. Per
questo le monete sono più facili da utilizzare (il loro valore è riconosciuto da tutti).

COME SI DETERMINA LA QUANTITÀ DI MONETA


La quantità di moneta disponibile in un sistema economico è detta OFFERTA DI
MONETA.

In un’economia che utilizza una moneta merce, l’offerta è pari alla quantità disponibile di
quella merce.
In un’economia che utilizza una moneta a corso legale, l’offerta di moneta è controllata
dallo Stato.
Il controllo esercitato sull’offerta di moneta è detta POLITICA MONETARIA.

DOMANDA DI MONETA= determinata dal pubblico (consumatori + investitori)


OFFERTA DI MONETA= Banca Centrale + pubblico + istituti di credito
Nella maggior parte delle economia avanzate, la politica monetaria (l’offerta di moneta) è
delegata ad un istituzione detta Banca Centrale (nell’eurozona è la BCE, negli USA la
Federal Réserve ecc).

Il principale strumento attraverso il quale una banca centrale controlla l’offerta di


moneta sono le OPERAZIONI DI MERCATO APERTO, cioè operazioni di acquisto o di
vendita di titoli di debito pubblico
• se una banca vuole aumentare l’offerta di moneta, stampa moneta e la usa per
acquistare titoli di Stato dal pubblico;
• se una banca centrale vuole diminuire l’offerta di moneta vende parte dei titoli di
debito pubblico, questa operazione sottrae moneta dalla disponibilità del pubblico.

COME SI MISURA LA QUANTITÀ DI MONETA


L’offerta di moneta è la quantità (stock) di moneta esistente, ed è possibile misurarla in
tra modi:
1. CIRCOLANTE + DEPOSITI IN CONTO CORRENTE;
2. CIRCOLANTE + DEPOSITI IN CONTO CORRENTE + DEPOSITI DI RISPARMIO
(lungo termine);
3. CIRCOLANTE + DEPOSITI IN CONTO CORRENTE + DEPOSITI DI RISPARMIO
(lungo termine) + STRUMENTI DI MERCATO MONETARI (quote di fondi monetari)

in ordine decrescente di liquidità.

IL RUOLO DELLE BANCHE NEL SISTEMA MONETARIO


L’offerta di moneta è determinata non soltanto dalla politica della banca centrale, ma
anche dal comportamento degli individui e delle banche.

Quindi:
UN SISTEMA BANCARIO A RISERVA TOTALE
I depositi che le banche ricevono e non impiegano sono chiamate RISERVE.

Ipotizziamo che nella nostra economia tutti i depositi siano trattenuti come riserva.
In questo caso le banche accettano i depositi, mettono il denaro a riserva e ve lo lasciano
nché il depositante lo preleva emette un assegno. Questo sistema è detto SISTEMA
BANCARIO A RISERVA TOTALE.

SE LE BANCHE TRATTENGONO IL 100% DEI DEPOSITI, IL SISTEMA BANCARIO NON


INFLUENZA L’OFFERTA DI MONETA
UN SISTEMA BANCARIO A RISERVA FRAZIONARIA
Immaginiamo ora che le banche comincino ad utilizzare il denaro ricevuto in deposito per
concedere prestiti. Il vantaggio per le banche è quello di poter chiedere un interesse sui
prestiti concessi (pur impiegando una parte dei depositi per concedere prestiti, le banche
devono comunque trattenere una parte dei depositi a riserva per far fronte a eventuali
richieste di prelievo).

Quando ciò si veri ca, ci troviamo in presenza di un SISTEMA BANCARIO A RISERVA


FRAZIONARIA: un sistema in cui le banche tengono a riserva soltanto una frazione dei
depositi.

IN UN SISTEMA CON RISERVA FRAZIONARIA IL SISTEMA BANCARIO CREA


MONETA, MA NON CREA NUOVA RICCHEZZA: ad ogni nuova creazione di depositi
infatti corrispondono nuovi debiti, a ogni euro trattenuto a riserva genera molti euro di
depositi a vista.

CAPITALE BANCARIO, LEVA FINANZIARIA E REQUISITI PATRIMONIALI


Le banche oltre a concedere prestiti, acquistano e detengono titoli.
Per effettuare tutte queste operazioni necessitano di un CAPITALE PROPRIO (degli
azionisti - proprietari) per funzionare.

Il fenomeno della LEVA FINANZIARIA (leverage) consiste nell’utilizzare denaro preso a


prestito per integrare i fondi esistenti a scopo di investimento. Il rapporto di
indebitamento è il rapporto tra l’attivo totale della banca e il capitale bancario.
COME LA BANCA CENTRALE INFLUENZA L’OFFERTA DI MONETA
L’offerta di moneta dipende da tre variabili esogene:
• BASE MONETARIA (B) : è la quantità di moneta direttamente controllata dalla Banca
Centrale;
B= C+R RISERVE
ancorante

• RAPPORTO RISERVE/DEPOSITI (rr) : è la quota dei depositi bancari che le banche


trattengono a riserva, e dipende dalle politiche interne delle banche;

rr = R/D DEPOSTA
Reserve

• RAPPORTO CIRCOLANTE/DEPOSITI (cr) : è la quantità di circolante che gli individui


detengono in misura percentuale dei loro depositi, e dipende dalle preferenze del
pubblico
cr = C/D DEPOSITI
ancorana

COME VARIA L’OFFERTA AL VARIARE DI CIASCUNA DELLE TRE VARIABILI ESOGENE?

L’offerta di moneta è proporzionale alla base monetaria, questo fattore di proporzionalità


viene identi cato dalla lettera “m” ed è chiamato moltiplicatore monetario, quindi
all’aumentare della base monetaria l’offerta di moneta aumenta in misura proporzionale;
I TRE STRUMENTI CHE MODIFICANO L’OFFERTA DI MONETA
Per modi care l’offerta di moneta, la Banca centrale ha a disposizione tre strumenti di
politica monetaria:
• OPERAZIONI DI MERCATO APERTO:
La Banca Centrale può comprare o vendere titoli obbligazionari.
• se vuole aumentare l’offerta di moneta, può creare circolante e usarlo per acquistare
titoli dal pubblico: a seguito dell’acquisto, il pubblico detiene una maggiore quantità di
circolante.
Analogamente,
• se la banca centrale vuole ridurre l’offerta di moneta, può vendere titoli obbligazionari
al pubblico: a seguito della vendita, la quantità di circolante detenuta dal pubblico
diminuisce.

• TASSO DI RIFINANZIAMENTO:
È il tasso a cui la Banca Centrale presta denaro alle altre banche, per invogliare le banche
commerciali a prendere riserve a prestito. La Banca Centrale può abbassare il tasso di
ri nanziamento o lo può alzare se desidera il contrario;
Se aumenta il tasso di ri nanziamento, l’offerta si contrae perchè le banche non vogliono
indebitarsi ulteriormente;
Se abbassa il tasso di ri nanziamento, le banche aumentano gli impieghi perchè sanno di
potersi indebitare a basso costo.

• OBBLIGHI DI RISERVA:
La Banca Centrale può imporre alle altre banche di detenere una quota minima dei propri
depositi in forma di riserva presso conti nella stessa banca centrale. Gli obblighi di
riserva determinano la quantità di moneta che il sistema bancario può creare con ogni
euro di depositi raccolto:
• se gli obblighi di riserva aumentano, le banche commerciali devono detenere una
maggiore quantità di riserve, e devono quindi ridurre gli impieghi che possono
effettuare per ogni euro di depositi (l’offerta di moneta si contrae);
analogamente,
• Una diminuzione degli obblighi di riserva riduce il rapporto riserve/depositi e provoca
un’espansione dell’offerta di moneta.

NOTA
• aumentare B (e quindi M): politica monetaria espansiva
• ridurre B (e quindi M): politica monetaria restrittiva
PERCHÉ UNA CRISI DEL SISTEMA BANCARIO PUÒ PROVOCARE UN CROLLO DELL’OFFERTA DI MONETA
In un sistema bancario a riserva frazionarie la quantità di moneta nell’economia
dipende in parte dal comportamento dei depositanti e delle banche.

Dato che la Banca centrale non può controllare o prevedere tali comportamenti non può
neppure avere un controllo assoluto sull’offerta di moneta.

Per capire in che misura questo dato di fatto possa rappresentare un problema per il
controllo dell’offerta di moneta, supponiamo che a un certo punto gli individui perdano
ducia nel sistema bancario e, di conseguenza, decidano di attingere ai propri depositi e
detenere una parte maggiore della propria ricchezza in forma liquida: se questo si
veri ca, il sistema bancario perde riserva e crea meno moneta; l’offerta di moneta
diminuisce anche se la banca centrale non interviene.

Nel caso in cui, i banchieri, diventino improvvisamente più cauti e decidono di concedere
meno prestiti e detenere maggiori riserve, il sistema bancario creerà meno moneta e, a
causa della decisione delle banche commerciali, l’offerta di moneta si contrae.
CAPITOLO 5: L’INFLAZIONE
LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA
La TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA spiega in che modo la moneta in uenzi il
sistema economico nel lungo periodo.

La quantità di moneta è strettamente correlata alle somme che vengono scambiate nel
corso delle transazioni.

Il collegamento tra le transazioni e la moneta è espressa dalla seguente equazione

MxV=PxT
moneta x velocità = prezzo x transazioni

T: è il numero di volte in cui, in un anno, un bene o un servizio viene scambiato in


corrispondenza di un pagamento in denaro;
P: è il prezzo della transazione
P x T: è uguale alla quantità di moneta scambiata in un anno ;

M: è la quantità di moneta;
V: è la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni, e ci dice quante volte
una unità di moneta (euro) cambia di mano in un dato periodo di tempo.

La velocità di circolazione della moneta è:

V = PT/M

Tale equazione è utile perché dimostra che se una delle variabili varia, una o più degli
altri devono necessariamente variare per mantenere l’eguaglianza.

LA VELOCITÀ È FISSA/COSTANTE.
MxV=PxY
moneta x velocità = prezzo x produzione aggregata

Può essere riscritta, perché il numero delle transazioni è dif cile da misurare e per
risolvere tale problema, T viene sostituito con la produzione aggregata Y.

Transazioni e produzione aggregata sono strettamente correlate, perché, quanto più


l’economia produce, tanti più beni e servizi vengono scambiati. In ogni caso, però non si
tratta della medesima variabile.

Poichè Y è anche il reddito totale, in questa equazione V è chiamata VELOCITÀ DI


CIRCOLAZIONE DELLA MONETA RISPETTO AL REDDITO, e misura il numero di volte
in cui, mediamente, ogni banconota entra nel reddito di un individuo in un dato periodo
di tempo.

L’IPOTESI DI VELOCITÀ COSTANTE


L’equazione dello scambio afferma che: MV = PY
dove V è ssa. Di conseguenza una variazione della moneta M provoca necessariamente
una variazione proporzionale del Pil nominale PY. Questo signi ca che, se V è costante,
M determina il valore monetario di Y.

MONETA, PREZZI E INFLAZIONI


La TEORIA SULLA DETERMINAZIONE GENERALE DEI PREZZI si fonda su tre
elementi fondamentali:
1. la capacità produttiva determina il PIL reale;
2. la quantità di moneta determina il PIL nominale;
3. il de atore del PIL è il rapporto tra PIL nominale e PIL reale.
La teoria quantitativa della moneta afferma che la Banca centrale, controllando l’offerta
di moneta, ha il controllo assoluto del tasso di in azione. Se la Banca centrale mantiene
stabile l’offerta di moneta, il livello dei prezzi è stabile; se la banca centrale aumenta
rapidamente l’offerta di moneta, il livello dei prezzi aumenta rapidamente.

IL SIGNORAGGIO
L’aumento dell’offerta di moneta provoca l’in azione.

Un governo può nanziare la spesa pubblica in tre modi:


1. Incrementando le entrate;
2. Tramite un aumento delle imposte;
3. Indebitandosi con il pubblico, attraverso l’emissione di titoli di Stato o battendo
moneta.

Il ricavo che si ottiene dal battere moneta è detto SIGNORAGGIO.


Se un governo batte moneta per nanziare la spesa pubblica, l’offerta di moneta aumenta
e a sua volta, genera in azione. Battere moneta per incrementare le entrate pubbliche
equivale a imporre una IMPOSTA DI INFLAZIONE, in questo senso l’in azione è come una
tassa che grava su coloro che detengono moneta.

INFLAZIONE E TASSI DI INTERESSE


I tassi di interesse sono i prezzi che mettono in relazione il passato con il futuro.
Nel linguaggio economico il tasso di interesse corrisposto dalla banca è detto TASSO DI
INTERESSE NOMINALE e l’incremento del potere d’acquisto TASSO DI INTERESSE
REALE.

Il rapporto tra il tasso di interesse reale (r), il tasso di interesse nominale (i) e il tasso di
in azione (π) può essere descritto come:

r=i—π

Riorganizzando i termini dell’equazione, possiamo dimostrare che il tasso di interesse


nominale corrisponde alla somma tra:

i=r +π
Scritta in questo modo è nota come EQUAZIONE DI FISHER.
Secondo l’equazione di Fisher, un aumento dell’1% del tasso di in azione provoca a sua
volta un aumento dell’1% del tasso di interesse nominale. Questa relazione viene
chiamata effetto di Fisher.

TASSI DI INTERESSE REALI E ASPETTATIVE


Esistono due de nizioni economicamente rilevanti di tasso di interesse reale, poichè
l’in azione è nota solo dopo che si è veri cata.
Di conseguenza distinguiamo:
• il tasso di interesse reale EX ANTE, ovvero il tasso di interesse reale che il creditore e
il debitore si aspettano al momento della stipula dell’accordo;

I n
• il tasso di interesse EX POST, ovvero il tasso di interesse reale che effettivamente si
realizza

i 117

Se l’in azione effettiva IT si discosta dall’in azione attesa17º, i due tassi sono tra loro
differenti.

L’in azione attesa e quella effettiva modi cano l’effetto di Fisher, poiché il tasso di
interesse nominale non può adeguarsi all’in azione effettiva, dato che essa non è
conosciuta. Perciò l’effetto di Fisher può essere scritto come:

i Te

LA DOMANDA DI MONETA
Il tasso di interesse nominale rappresenta il costo-opportunità di detenere moneta in
forma liquida. Dunque, è lecito aspettarsi che la domanda di moneta dipende dal tasso di
interesse nominale. In questo caso, il livello dei prezzi dipende sia dalla quantità corrente
di moneta sia dalla quantità di moneta attesa per il futuro.
I COSTI DELL’INFLAZIONE

Secondo l’analisi economia moderna, vi sono due categorie di costi di in azione:


1. COSTI DELL’INFLAZIONE ATTESA, cioè correttamente previsti;
2. COSTI DELL’INFLAZIONE INATTESA, cioè non previsti in modo corretto.

1. I costi dell’in azione ATTESA includono:


• “costo delle suole”, cioè sono dovuti alla riduzione di domanda di moneta. In questo
caso il reddito reale non cambia, ma si detiene meno moneta e si effettuano più prelievi
(si va a prelevare due volte 50€ piuttosto che una volta 100€, si chiamano così perchè
andando in banca più di frequente si consumano le suole delle scarpe);
ppe i DOMANDA DI MONETA

• “costi di listino”, scaturiscono dalla necessità che le imprese hanno di cambiare


frequentemente il listino prezzi dei propri prodotti (si chiamano cosi i costi
dell’in azione perchè queste modi che al listino richiedono spese);

• “distorsione nei prezzi relativi”: dovendo sostenere i “costi di listino”, le imprese non
modi cano i prezzi continuamente, perciò, quanto più è elevata l’in azione, tanto più
variabili sono i prezzi relativi;

• “ scal drag”: le aliquote delle imposte sul reddito sono sse per lunghi periodo di
tempo e progressive, inoltre si applicano a redditi nominali; se l’in azione è forte, il
reddito nominale aumenta e si viene tassati di più (ma il reddito reale magari non è
cambiato);

• il quinto costo dell’in azione è la scomodità di vivere in un mondo in cui il livello dei
prezzi cambia continuamente.

I COSSTI DELL’INFLAZIONE INATTESA


L’in azione INATTESA ridistribuisce arbitrariamente la ricchezza tra gli individui.

Se l’in azione non è correttamente prevista, creditori e debitori possono subire costi o
godere di vantaggi in modo squilibrato.
Infatti:
Quanto più variabile è il tasso di in azione, tanto maggiore è l’incertezza che
creditori e debitori devono affrontare.

BENEFICIO DELL’INFLAZIONE
Alcuni economisti ritengono che un in azione moderata, ovvero un tasso di in azione
annuo compreso tra il 2% e il 3% possa essere una buona cosa.

Tale argomentazione parte dall’osservazione dei salari nominali.


Gli studi infatti, confermano che i salari nominali essendo rigidi, ostacolano il
funzionamento del mercato del lavoro. In tal caso una moderata in azione inattesa può
ridurre i salari reali e facilitare il funzionamento del mercato del lavoro.

SENZA INFLAZIONE, IL SALARIO REALE RESTEREBBE BLOCCATO AL DI SOPRA


DEL LIVELLO D’EQUILIBRIO, PROVOCANDO UN AUMENTO DELLA
DISOCCUPAZIONE.

IPERINFLAZIONE
Si de nisce IPERINFLAZIONE un tasso d’in azione che superi il 50% al mese.
(Un tasso di in azione del 50% al mese fa sì che il livello dei prezzi si centuplichi in un
anno e aumenti di due milioni di volte in tre anni.)

Gli economisti concordano sul fatto che fenomeni estremi di in azione comportano per la
società un costo elevato, e da un punto di vista qualitativo, i costi diventano più evidenti
perchè sono più onerosi.

Però, se i prezzi cambiano spesso e drasticamente, per il consumatore diventa dif cile
individuare il prezzo più conveniente. Prima o poi, i costi diventeranno intollerabili e con
il passare del tempo, la moneta perderà la propria funzione; al suo posto si diffonderanno
il baratto e monete non uf ciali più stabili che sostituiranno progressivamente la moneta
uf ciale.
CAUSE DELL’IPERINFLAZIONE
I fenomeni di iperin azione sono dovuti a una crescita eccessiva dell’offerta di moneta:
1. La maggior parte di questi fenomeni si innesca nel momento in cui lo Stato non
dispone di entrate suf cienti per coprire la spesa pubblica.
2. Il governo, pur volendo nanziare l’eccesso di spesa con l’emissione di titoli di debito
pubblico, potrebbe trovarsi nella condizione di non ottenere più credito. A questo
punto, per coprire il disavanzo, al governo non rimane altra strada che stampare
moneta.
3. Il risultato è una rapida crescita dell’offerta di moneta e, di conseguenza,
dell’iperin azione.
4. Una volta che il fenomeno si è avviato, le entrate scali reali diminuiscono
all’aumentare dell’in azione, mettendo il governo nelle condizioni di potersi
nanziare unicamente con il signoraggio.
5. La ne dell’iperin azione di solito, coincide con una riforma scale.

DICOTOMIA CLASSICA
Secondo la teoria macroeconomica classica, la moneta è neutrale: questo signi ca che
l’offerta di moneta non in uenza le variabili reali.

Per questa ragione, la macroeconomia classica permette di studiare le variabili reali


senza prendere in considerazione l’offerta di moneta.

La separazione teorica tra variabili reali e variabili nominali è detta DICOTOMIA


CLASSICA.

VARIABILI REALI= tutte le variabili misurate in unità siche, come le quantità e i prezzi relativi;
VARIABILI NOMINALI= variabili espresse in termini monetari, come il livello dei prezzi, il tasso di in azione e il salario
nominale.

L’equazione dello scambio può essere così riscritta


CAPITOLO 6: L’ECONOMIA APERTA
DIFFERENZE TRA UN’ECONOMIA APERTA E UNA CHIUSA
La differenza fondamentale, tra un’economia aperta e un’economia chiusa, è che, nella
prima, la spesa del paese in ogni dato anno non è necessariamente uguale alla sua
produzione aggregata di beni: ovvero un paese può spendere più di quanto produce
indebitandosi all’estero, o può spendere meno di quanto produce offrendo la differenza in
prestito agli stranieri.

IL RUOLO DELLE ESPORTAZIONI NETTE


In un economia chiusa tutta la produzione viene venduta all’interno dei con ni nazionali
e la spesa si suddivide in:
• consumo;
• investimenti;
• spesa pubblica.

In un’economia aperta, invece, una parte della produzione viene venduta all’interno dei
con ni nazionali e una parte viene esportata all’estero. In questo caso possiamo
suddividere la spesa (Y) in:
• C , consumo di beni e servizi nazionali;
• I , investimento in beni e servizi nazionali;
• G , spesa pubblica;
• EX, esportazioni.

La soma dei primi tre termini è la spesa interna:

Y=C+I+G
Il quarto termine EX, è la spesa estera, quindi:

Y = C + I + G + EX
Ma poiché la spesa per le importazioni è compresa nella spesa interna ( C + I + G ) e
poiché i beni importati dall’estero non fanno parte della produzione di un paese, in questa
equazione dobbiamo sottrarre le importazioni.

Y = C + I + G + EX — IM
Riscriviamo l’identità contabile del reddito nazionale come:

Y = C + I + G + NX
De nendo le ESPORTAZIONI NETTE (NX), come la differenza tra esportazioni e
importazioni NX = EX — IM.

disavanzoCON eIctale

esuo È azioni

L’identità contabile del reddito nazionale può anche essere espressa in questo modo:
Esportazioni nette = produzione aggregata — spesa interna

NX = Y — C + I + G
• Se Y > SPESA INTERNA, si esporta la differenza e le esportazioni nette sono positive;
• Se Y < SPESA INTERNA, si importa la differenza e le esportazioni nette sono negative.

Un terzo modo per riscrivere l’identità contabile nazionale è il seguente:

S — I = NX
Questa forma mostra come le esportazioni nette di un economia aperta siano uguali alla
differenza tra il risparmio nazionale e l’investimento.

Il risparmio nazionale S, è dato da Y — C — G.

• NX, è detto SALDO COMMERCIALE (differenza tra importazioni ed esportazioni);


• S — I, è il DEFLUSSO NETTO DEI CAPITALI (risparmio dei cittadini che impiegano
all’estero — l’ammontare che prendono a prestito dagli investitori stranieri).

1. Se S — I > O e NX > O, siamo in presenza di un AVANZO COMMERCIALE, in questo


caso il paese è creditore nei mercati nanziari ed esporta più beni di quanti ne
importi;
2. Se S — I < O e NX < O, siamo in presenza di un DISAVANZO COMMERCIALE, in
questo caso il paese e debitore nei mercati nanziari importa più beni e servizi di
quanto riesca ad esportare;
3. Se S — I = 0 e NX = 0, siamo in presenza di un SALDO COMMERCIALE NULLO, dato
che il valore delle importazioni e delle esportazioni sono identici.
RIASSUMENDO:
I tre modi per scrivere l’identità contabile del reddito nazionale sono tre:

Y = C + I + G + NX

NX = Y — C + I + G

S — I = NX
RISPARMIO E INVESTIMENTO IN UNA PICCOLA ECONOMIA APERTA
Ipotizziamo di trovarci in una piccola economia aperta, ovvero un’economia che:
• non ha un effetto drastico sul tasso di interesse mondiale;
• che i residenti di questo paese hanno pieno e libero accesso ai mercati nanziari
internazionali;
• che il governo non pone dei vincoli all’indebitamento o alla cessione di crediti all’estero.

In questa piccola economia aperta, il tasso di interesse reale “r” deve essere uguale al
tasso di interesse mondiale, r*(ovvero al tasso di interesse reale prevalente nei mercati
nanziari internazionali):

r = r*

I residenti della piccola economia aperta non si indebitano mai a un tasso di interesse:
• superiore ad r*;
• inferiore a r*.
Dunque, il tasso di interesse mondiale determina il tasso di interesse reale nella nostra
piccola economia aperta.

IL MODELLO
Per costruire il modello di una piccola economia aperta dobbiamo adottare tre ipotesi:
1. La produzione aggregata dell’economia, Y, è ssa ed è determinata dai fattori di
produzione e dalla funzione di produzione:

Y = F(K, L)

1. Il consumo C, è direttamente correlato con il reddito disponibile:

C = C(Y- T)
1. L’investimento I, è inversamente correlato con il tasso di interesse reale, r:

I = I(r)
Dato che l’identità contabile del reddito nazionale è NX= S — I è che il tasso di interesse
sia uguale al tasso di interesse mondiale, otteniamo:

S — I(r*) = NX

Questa equazione dimostra che il saldo commerciale NX dipende dalle variabili che
determinano il risparmio S e l’investimento I.
Poiché il risparmio dipende dalla politica scale (G e T) e l’investimento dipende dal tasso
di interesse mondiale r*, anche il saldo commerciale dipende da queste due variabili.

L’INFLUENZA DELLA POLITICA ECONOMICA SUL SALDO COMMERCIALE


Supponiamo che un’economia si trovi in una situazione di saldo commerciale nullo
(ovvero S — I =0 e NX = 0). Analizziamo adesso gli effetti della politica scale nazionale
su una piccola economia aperta:

• Se il governo incrementa la spesa pubblica, l’aumento di G riduce il risparmio


nazionale, dato che S = (Y — C — G). poiché il tasso di interesse mondiale è rimasto
invariato, l’investimento I non cambia. La diminuzione di S, con I invariato implica
una riduzione di NX, perchè NX = S — I. L’economia passa così a una situazione di
disavanzo commerciale.

• Se avviene una diminuzione delle imposte, l’abbattimento della pressione scale riduce
T (imposte), e accresce il reddito disponibile, tutto ciò stimola il consumo e riduce il
risparmio nazionale. Dato che NX = S — I, la diminuzione del risparmio nazionale
implica un abbassamento di NX.

Partendo da una condizione di


saldo commerciale nullo, un
provvedimento di politica
economica che riduca il risparmio
nazionale genera un DISAVANZO
COMMERCIALE, perciò provoca
I uno spostamento della retta
verticale che rappresenta il
risparmio S, verso sinistra. di
conseguenza si riduce NX.
rivestimentoRisparmio1,5
GLI EFFETTI DELLA POLITICA FISCALE ESTERA
Consideriamo ora cosa accade a una piccola economia aperta quando i governi di altri
paesi aumentano la propria spesa pubblica.

Il cambiamento all’interno della piccola economia aperta dipende dalle dimensioni dei
paesi che decidono di aumentare la spesa pubblica;
• Se i paesi sono di modeste dimensioni, il cambiamento della loro politica scale non ha
che un effetto trascurabile sugli altri paesi;
• Ma se si tratta di paesi che rappresentano una porzione consistente dell’economia
mondiale, l’aumento della loro spesa pubblica RIDUCE IL RISPARMIO MONDIALE e
provoca un INNALZAMENTO DEL TASSO DI INTERESSE MONDIALE.

IL MONDO È UN’ECONOMIA CHIUSA.

L’aumento del tasso di interesse nei mercati nanziari mondiali accresce il costo
dell’indebitamento e perciò, riduce l’investimento nella nostra piccola economia aperta.

Dal momento che il risparmio nazionale non ha subito alcuna variazione, nella piccola
economia aperta il risparmio S è ora superiore all’investimento I(almeno una parte del
risparmio nazionale, quindi, viene impiegata all’estero).

Dato che NX = S — I, la diminuzione di I provoca un amento di NX.


Così la diminuzione del risparmio estero genera un AVANZO COMMERCIALE nella nostra
piccola economia aperta.
Partendo da una
condizione di saldo
sso.in commerciale nullo, un
s aumento del tasso di
interesse mondiale
causato da una politica
scale espansiva

I o re I all’estero provoca un
AVANZO COMMERCIALE
in una piccola economia
IIIIe pe aperta.

IN

investimentoRispa mio 1 5
GLI SPOSTAMENTI DELLA CURVA DI DOMANDA DI INVESTIMENTO
Consideriamo ora cosa accade alla nostra piccola economia aperta se la curva di domanda
di investimento aumenta.
Un tale spostamento si potrebbe veri care, per esempio, se il governo decidesse di
stimolare l’investimento concedendo sgravi scali.

Tasso
intj 5

i Unaumento
delladomanda
diinvestimento

i
Ii innaciaio

1
f
1112

rivestimentorisparmio1,5

In questo caso l’investimento I è più elevato, ma, poiché il risparmio è invariato, il


maggiore investimento deve essere nanziato attraverso l’indebitamento estero. Dato che
NX = S — I, all’aumento di I deve corrispondere una diminuzione di NX.

Pertanto, partendo da una condizione di saldo commerciale nullo, un aumento della curva
di investimento provoca un DISAVANZO COMMERCIALE.
TASSI DI CAMBIO
Il tasso di cambio tra due paesi è il prezzo al quale i residenti dei due paesi effettuano
tra loro scambi commerciali.

Esistono due tipologie di tassi di cambi:


• Il TASSO DI CAMBIO NOMINALE;
• Il TASSO DI CAMBIO REALE.

TASSO DI CAMBIO NOMINALE (prezzo estero della valuta nazionale)


Il tasso di cambio NOMINALE è il prezzo relativo delle valute di due paesi.
(Es. se il tasso di cambio tra l’euro e lo yen giapponese è di 140 yen per un euro, nel
mercato valutario internazionale è possibile scambiare 1€ per 140 yen)

Quando ci si riferisce al tasso di cambio tra due paesi, abitualmente ci si riferisce al tasso
di cambio nominale.

I tassi di cambio nominali sono riportati ogni giorno nelle pagine economiche dei maggiori
quotidiani.

• l’aumento del tasso di cambio è de nito un APPREZZAMENTO ( o RAFFORZAMENTO)


dell’euro, l’euro vale di più rispetto ad un’altra valuta. In questo caso si può acquistare
una maggiore quantità di beni;
• la diminuzione del tasso di cambio è detta DEPREZZAMENTO (o INDEBOLIMENTO)
dell’euro, l’euro vale di meno rispetto ad un’altra valuta. In questo caso si può
acquistare una minore quantità di beni.

TASSO DI CAMBIO REALE


Il tasso di cambio REALE è il prezzo relativo dei beni di due paesi; esso misura il
rapporto al quale possiamo scambiare beni prodotti in un paese con quelli prodotti
nell’altro.

Il tasso di cambio reale spesso è chiamato “ragione di scambio”.

Detti:
• “e” il tasso di cambio nominale (la quantità di yen per 1€);
• “P” il livello dei prezzi in Francia (in euro);
• “P*” il livello dei prezzi in Giappone (in yen)

Il tasso di cambio reale è: e


E
Ipx
• Se il tasso di cambio reale è elevato, i beni esteri sono più convenienti;
• Se il tasso di cambio reale è basso, i beni nazionali sono più convenienti.

IL TASSO DI CAMBIO REALE E IL SALDO COMMERCIALE


Il prezzo relativo dei beni nazionali e dei beni esteri in uenza la domanda di tali beni.

• Supponiamo che inizialmente il tasso di cambio reale sia basso. In tale circostanza i
beni nazionali sono relativamente più convenienti dei beni esteri: i residenti del nostro
paese tenderanno ad acquistare meno beni di importazione. Analogamente in altri
paesi i consumatori tenderanno ad acquistare molti beni esportati dal nostro paese.

In conseguenza di tali decisioni di acquisto, il volume delle esportazioni nette del nostro
paese tenderà essere elevato.

• l’opposto accade nel caso in cui il tasso di cambio reale sia elevato: dato che i beni
nazionali sono relativamente meno conveniente, nel nostro paese si tenderà ad
acquistare beni di importazione e, analogamente, i cittadini stranieri tenderanno ad
acquistare in meno beni prodotti nel nostro paese. Perciò le esportazioni nette del
nostro paese saranno basse.

Questa relazione tra esportazioni nette e tasso di cambio reale può essere descritta così:

NX = NX (E )

E NX
• La curva che descrive la relazione tra esportazioni nette e tasso di cambio reale ha
pendenza negativa, perché al diminuire del tasso di cambio reale le esportazioni nette
aumentano;
• La retta S — I (risparmio — investimento) è verticale, perché nel risparmio
nell’investimento dipendono dal tasso di interesse reale.

L’intersezione tra le due curve determina il tasso di cambio reale di equilibrio.

5 1
Tassoni

L
NKIEI
Esportazioninette

EFFETTO DI UNA POLITICA FISCALE ESPANSIVA NAZIONALE SUL TASSO DI CAMBIO REALE

L’effetto di una politica scale espansiva a livello nazionale sul tasso di cambio reale
provoca un DISAVANZO COMMERCIALE, perchè ha una riduzione del risparmio nazionale
con corrisponde una diminuzione di S — I e, di conseguenza, di NX.

i
ee
e
11
delle
s
eunadiminuzione
nette
esportazioni

EFFETTO DI UNA POLITICA FISCALE ESPANSIVA ESTERA SUL TASSO DI CAMBIO REALE
Una politica scale espansiva all’estero provoca un AVAZO COMMERCIALE, perché un
provvedimento di questa natura natura comporta una diminuzione del risparmio
mondiale, spingendo al rialzo il tasso di interesse mondiale. L’aumento del tasso di
interesse riduce l’investimento interno, facendo aumentare S — I e, di conseguenza, NX.

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1
CAPITOLO 7: LA DISOCCUPAZIONE
IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE NATURALE
Il TASSO DI DISOCCUPAZIONE NATURALE è il valore al quale un sistema economico
tende nel lungo periodo, date tutte le imperfezioni del mercato del lavoro che
impediscono ad alcuni lavoratori di trovare un impiego.

Se de niamo:
L: forza lavoro;
E: numeri di occupati;
U: numero dei disoccupati;

La FORZA LAVORO è uguale a:

L=U+E

Il TASSO DI DISOCCUPAZIONE è U/L

Per individuare le determinanti del tasso di disoccupazione ipotizziamo che la forza lavoro
L sia ssa.

De niamo con:
s = il TASSO DI SEPARAZIONE DEL LAVORO, cioè la frazione di individui occupati che
perdono il lavoro ogni mese;
f = il TASSO DI COLLOCAMENTO DEL LAVORO, cioè la frazione di individui disoccupati
che trova occupazione ogni mese.

“s” e “f” determinano il TASSO DI DISOCCUPAZIONE.

Se il tasso di disoccupazione non aumenta né diminuisce il numero di individui che


trovano una nuova occupazione fU è uguale a quello degli individui che perdono il lavoro
sE, per cui possiamo indicare la CONDIZIONE DI STATO STAZIONARIO come:

fU = sE
Il tasso di disoccupazione di stato stazionario, U/L, dipende dal tasso di separazione s
e dal tasso di collocamento f.
• quanto più elevato è il tasso di separazione, tanto più alto è il tasso di disoccupazione;
• quanto più elevato è il tasso di collocamento, tanto più basso è il tasso di
disoccupazione.

Quindi, tutti i provvedimenti che in uenzano il tasso di separazione il tasso di


collocamento in uiscono anche sul tasso di disoccupazione.

DUE POSSIBILI CAUSE DELLA DISOCCUPAZIONE: RICERCA DI LAVORO E RIGIDITÀ DEI SALARI
Due possibili cause della disoccupazione sono:
1. la ricerca di lavoro;
2. la rigidità dei salari.

1. LA RICERCA DI LAVORO
La ricerca di un posto di lavoro adeguato richiede tempo ed energie, e questo tende a
ridurre il tasso di collocamento.
La disoccupazione provocata dal tempo necessario per trovare una nuova occupazione è
chiamata DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE.

In gergo economico una variazione della composizione della domanda di lavoro tra settori
diversi è detta RIALLOCAZIONE SETTORIALE. Essendo la riallocazione settoriale un
processo continuo, e poiché ai lavoratori occorre tempo per passare da un settore
all’altro, c’è sempre una certa quantità di disoccupazione frizionale.

2. LA RIGIDITÀ DEI SALARI REALI


Una seconda causa di disoccupazione è la rigidità dei salari, cioè l’incapacità dei salari di
aggiustarsi istantaneamente, facendo sì che la domanda di lavoro sia uguale all’offerta.

La rigidità dei salari reali riduce il tasso di collocamento e accresce il livello di


disoccupazione.
La disoccupazione che risulta dalla rigidità dei salari e dal razionamento dei posti di
lavoro è detta DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE.
I lavoratori sono disoccupati non tanto perché cercano attivamente un posto di lavoro,
ma perché l’offerta di lavoro è maggiore della domanda, e così molti lavoratori non
possono far altro che aspettare che si liberi un posto di lavoro.

• Se il salario reale è superiore al livello di equilibrio, e l’offerta di lavoro è maggiore


della domanda, è plausibile che le imprese desiderino ridurre i salari;
• Se nonostante l’eccesso di offerta di lavoro, le imprese non riescano ad abbassare i
salari, si genera disoccupazione strutturale.

Esaminiamo adesso le tre possibili cause di rigidità salariale:


1. le leggi sul salario minimo;
2. il potere contrattuale esercitato dai sindacati;
3. il salario di ef cienza.

1. LEGGI SUL SALARIO MINIMO


Le leggi sul salario minimo , stabiliscono un minimo legale ai salari che le imprese
possono corrispondere ai propri dipendenti. Gli economisti sono convinti che il salario
minimo abbia un effetto particolarmente forte sul livello di disoccupazione giovanile. Per
questa categoria di lavoratori il salario di equilibrio tende ad essere basso per due
ragioni:
• perchè i giovani sono la componente meno quali cata e meno esperta della forza
lavoro;
• perchè una parte della retribuzione dei giovani lavoratori viene corrisposta in forma
non monetaria, come formazione sul lavoro.

Il salario minimo è una fonte inesauribile di dibattito politico, infatti:


• i suoi fautori, lo considerano uno strumento per sostenere il reddito delle fasce più
povere della popolazione;
• i detrattori invece, sostengono che questo non sia il mezzo più ef cace per aiutare i
poveri.

2. I SINDACATI E LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA


Una seconda causa di rigidità salariale è il potere esercitato dai sindacati.
I salari dei lavoratori sindacalizzati vengono determinati non dall’equilibrio di domanda e
offerta, ma dalla contrattazione tra i rappresentanti dei sindacati e delle imprese.

Spesso i contratti collettivi di lavoro riescono a ssare i salari a un livello superiore a


quello di equilibrio, lasciando alle imprese la possibilità di decidere quanti lavoratori
assumere.
I sindacati possono in uenzare anche i salari corrisposti dalle imprese i cui lavoratori
non sono sindacalizzati; la minaccia di sindacalizzazione, infatti, spinge i salari al di
sopra del livello di equilibrio. Inoltre, non si limitano a far aumentare i salari, ma
esercitano il proprio potere anche su altre questioni, come l’orario e le condizioni di
lavoro.

la disoccupazione provocata dai sindacati dalla minaccia di sindacalizzazione è causa di


un con itto tra due diversi gruppi di lavoratori: insider e outsider.
I lavoratori che sono stati già assunti desiderano tenere alti i salari; il costo dei salari
più alti ricade in parte sui lavoratori disoccupati, cioè gli outsider, i quali, se i salari
fossero più bassi, probabilmente troverebbero un’occupazione.

Il con itto tra insider e outsider trova una soluzione diversa in diversi paesi.
In alcuni paesi la contrattazione salariale avviene a livello di impresa, in altri, si svolge a
livello nazionale e vede spesso un coinvolgimento attivo del governo.

3. SALARI DI EFFICIENZA
Le teorie del salario di ef cienza individuano una terza causa della rigidità dei salari.
Secondo queste teorie, i salari elevati rendono i lavorato più produttivi, e questo
potrebbe essere uno dei motivi per cui le imprese non riducono i salari neppure a fronte
di un evidente eccesso di domanda di lavoro.

gli economisti hanno proposto diverse teorie sul rapporto tra salari e produttività del
lavoro.

• una di queste si applica esclusivamente ai paesi più poveri e mette in relazione la


retribuzione con la buona nutrizione: il lavoratore meglio pagato può permettersi una
dieta più nutriente e salutare, e un lavoratore più sano è un lavoratore più produttivo.
Ovviamente, questo genere di considerazioni non si applica ai paesi più ricchi, come gli
Stati Uniti, dal momento che in queste nazioni il salario di equilibrio di gran lunga
superiore a quello di sostentamento.

• una seconda teoria, più aderente alla realtà dei paesi industrializzati, afferma che
salari più elevati riducono il tasso di rotazione dei lavoratori. Un lavoratore può
decidere di lasciare il posto di lavoro per le ragioni più varie per accettare un incarico
meglio retribuito presso un’altra impresa.quanto più alto è il salario che un’impresa
offre ai propri dipendenti, tanto più elevato e loro incentivo ad essere fedeli
• una terza teoria afferma che la qualità media della forza lavoro di un’impresa dipende
dal livello dei salari offerti ai dipendenti: se un’impresa riduce salari, i suoi dipendenti
migliori potrebbero trovare lavoro altrove e all’impresa resterebbero soltanto i
lavoratori peggiori. Gli economisti de niscono questa circostanza sfavorevole
SELEZIONE AVVERSA.

• una quarta teoria che gli alti salari spingono i lavoratori ad impegnarsi di più.
Quest’ultimi possono decidere di lavorare duramente o di battere la acca, rischiando
di essere licenziati. Quello descritto è un esempio di rischio morale, cioè della tendenza
degli individui a non comportarsi correttamente quando il loro comportamento non
viene sorvegliato. Pagando salari più alti, l’impresa può ridurre il problema del rischio
morale.

Il problema è che a un salario superiore al livello di equilibrio corrisponde un tasso di


collocamento più basso e una più alta disoccupazione strutturale.

PROVVEDIMENTI DELLA POLITICA ECONOMICA


La politica economica, però, non è del tutto impotente nella lotta contro la
disoccupazione. Infatti, attraverso i programmi di formazione e riquali cazione dei
lavoratori, il sistema delle indennità di disoccupazione, il salario minimo e le leggi che
regolano la contrattazione collettiva si hanno effetti molto importanti sul tasso naturale
di disoccupazione.
CAPITOLO 15: LE POLITICHE DI STABILIZZAZIONE
La politica monetaria e la politica scale possono avere effetti considerevoli sulla:
• domanda aggregata;
• l’in azione;
• disoccupazione.

Quando un governo o la banca centrale valuta un cambiamento della politica monetaria,


gli elementi fondamentali ai ni della decisione sono l’effetto che il cambiamento avrà
sull’in azione e sulla disoccupazione, e se sia necessario stimolare o raffreddare la
domanda aggregata.

Molti economisti sono favorevoli ad un ruolo attivo della politica economica per un
motivo chiaro e semplice: le recessioni sono periodi di alta disoccupazione, bassi redditi e
ristrettezze economiche.

Il modello di domanda e offerta aggregata dimostra che gli shock economici possono
provocare recessioni; ma dimostra anche che la politica monetaria e la politica scale
possono prevenire reagendo opportunamente a questi shock.

Altri economisti hanno un atteggiamento più critico verso i tentativi di stabilizzare


l’economia e sostengono che il governo dovrebbe avere un approccio distaccato alla
politica macroeconomica.

I responsabili delle politiche economiche si confrontano con il problema della lunghezza


dei tempi di reazione perchè sono dif cili da prevedere.

Queste reazioni ritardate o imprevedibili complicano terribilmente la gestione della


politica monetaria e della politica scale.

Gli economisti distinguono tra due tipi di ritardo nella reazione agli interventi di
stabilizzazione:
• ritardo interno: è il tempo che intercorre tra lo shock economico e l’intervento
correttivo, insorge perchè i responsabili delle politiche economiche devono riconoscere
lo shock e individuare i giusti provvedimenti da mettere in atto;
• ritardo esterno: è il tempo che intercorre tra l’attivazione del provvedimento e il
momento in cui questo ha effetto sull’economia, insorge perchè i provvedimenti non
in uenzano immediatamente la spesa, il reddito e l’occupazione.
I ritardi prolungati e imprevedibili associati agli interventi di politica scale e monetaria
rendono più dif cile l’azione di stabilizzazione dell’economia.

I sostenitori di un ruolo passivo affermano che, a causa di questi ritardi, un’ef cace
stabilizzazione dell’economia sia impossibile; anzi i tentativi possono essere
destabilizzanti.
Gli interventi di politica monetaria di fatto spingono l’economia ancora più lontano dal
suo stato stazionario destabilizzandola ancora di più.

I sostenitori di un ruolo attivo della politica economica ammettono che l’esistenza dei
ritardi impone ai responsabili delle politiche economiche una particolare cautela, e dato
che la politica economica in uenza l’economia solo con ritardo, l’evoluzione delle
condizioni economiche è spesso imprevedibile.

Uno degli strumenti più usati per le previsioni economiche sono i modelli econometrici
sviluppati da governi, pubblica amministrazione o da imprese private per la previsione e
l’analisi economica.
Questi modelli dopo aver formulato ipotesi sull’andamento delle variabili esogene (politica
monetaria, scale e il prezzo del petrolio), realizzano previsioni sui tassi di in azione e
disoccupazione.

Il celebre economista Robert Lucas ha sottolineato come gli economisti debbano


prestare particolare attenzione al modo in cui il pubblico forma le proprie aspettative sul
futuro.
Le aspettative hanno un ruolo fondamentale, perchè in uenzano ogni genere di
comportamento economico.

Queste aspettative dipendono da molti fattori, di cui uno, è particolarmente importante:


la linea di condotta del governo.
Di conseguenza nello stimare gli effetti di un nuovo provvedimento, i responsabili delle
politiche economiche devono sapere come reagiranno le aspettative degli individui al
nuovo provvedimento.

Un altro aspetto molto importante su cui si concentra la critica di Lucas è che la


valutazione degli effetti della politica economica è un compito dif coltoso e, come tale, va
affrontato con umiltà.
Un secondo argomento di discussione tra gli economisti è se la politica economica debba
essere discrezionale o governata da regole predeterminate.
• la politica economica è governata da regole, se i responsabili delle politiche
economiche annunciano con anticipo quali saranno i provvedimenti attuati nelle
diverse situazioni e poi si attengono a queste linee di condotta;
• la politica economica è discrezionale, se il governo e la banca centrale sono liberi di
reagire agli eventi come ritengono più opportuno.

I sostenitori di una politica economica governata da regole affermano che il processo


politico sia inaf dabile: sono convinti che i politici commettono frequenti errori nella
gestione della politica economica e che, a volte, la utilizzano a ni personali e non per il
bene collettivo. Inoltre, affermano che il rispetto di una regola è l’unica possibile
soluzione al problema dell’incoerenza temporale.

I sostenitori della discrezionalità nella politica economica affermano che solo la


discrezionalità garantisca la essibilità necessaria per adattare gli interventi
all’imprevedibilità dell’evoluzione dell’economia.

LA REGOLA DI TAYLOR
La regola di Taylor descrive in che modo le Banche Centrali dovrebbero ssare il tasso
di interesse a breve termine, in funzione degli obiettivi da perseguire in termini di
crescita economica e in azione.

La parte dif cile del compito delle Banche è proprio quello di scegliere il livello del TASSO
UFFICIALE.
In generale, valgono due linee guida:
1. quando l’in azione comincia ad aumentare, anche il tasso di interesse uf ciale deve
aumentare. Un aumento del tasso di interesse uf ciale comporta una riduzione
dell’offerta di moneta e, di conseguenza, una diminuzione dell’investimento, del
reddito, dell’occupazione e del tasso di in azione;
2. quando l’attività economica rallenta, il tasso di interesse uf ciale deve diminuire.
Tale diminuzione comporta un aumento dell’offerta di moneta e, di conseguenza, un
aumento dell’investimento, del reddito e dell’occupazione.

Ma le banche centrali non possono limitarsi a seguire queste semplici regole; devono
anche decidere in quale misura reagire alle variazioni del tasso di in azione.

Per rendere più agevole questa decisione, l’economista Taylor ha proposto una regola
per determinare il tasso di interesse uf ciale:
TASSO DI INTERESSE UFFICIALE =
in azione + 2,0 + 0,5 (in azione — 2,0) — 0,5 (output gap)
L’OUTPUT GAP è pari alla differenza tra il livello naturale stimato del PIL e la misura
rilevata del PIL REALE.

La regola di Taylor stabilisce dunque che il tasso di interesse uf ciale reale debba essere

mmm
determinato in funzione dell’in azione e del differenziale del PIL.

Secondo tale regola, IL TASSO DI INTERESSE UFFICIALE REALE È PARI AL 2% SE


L’INFLAZIONE È DEL 2% E IL PIL È AL SUO LIVELLO NATURALE;

• per ogni punto percentuale di in azione al di sopra del 2%, il tasso d’interesse uf ciale
reale deve aumentare di mezzo punto;
• per ogni punto percentuale di differenza tra il livello naturale del PIL e il PIL REALE
rilevato, il tasso di interesse uf ciale reale deve diminuire di mezzo punto;
• se il PIL REALE aumenta oltre il suo livello naturale, il tasso di interesse uf ciale
reale deve aumentare di conseguenza

dato che la determinazione dei tassi di interesse si basa su delle previsioni di in azione
futura si potrebbe sostenere che una regola di Taylor coerente con una politica di
in azione mirata debba considerare l’in azione prevista, trasformandosi in una regola di
Taylor previsionale:

TASSO DI INTERESSE UFFICIALE NOMINALE =


in azione corrente + 2,0 + 0,5 (in azione prevista a medio
termine — in azione obiettivo) — 0,5 (output gap)
CAPITOLO 8: IL MODELLO DI SOLOW
Il modello della crescita di Solow permette di descrivere come la crescita dello stock di
capitale, la crescita della forza lavoro e il progresso tecnologico interagiscono nel sistema
economico, in uenzando la crescita della produzione di beni e servizi.

Nel modello della crescita di Solow, l’offerta di beni si basa sulla funzione di produzione:

Y = F(K,L)
Solow ipotizza che la funzione di produzione abbia rendimenti di scala costanti
(una funzione di produzione è caratterizzata da rendimenti di scala costanti se, per ogni
numero Z positivo);

Perciò, se moltiplichiamo capitale e lavoro per un qualunque numero positivo z, anche la


produzione aggregata viene moltiplicata per il medesimo fattore.

zY = F(zK, zL)

La funzione di produzione rendimenti di scala costanti ci permette di analizzare tutte le


variabili del sistema economico in relazione alla dimensione della forza lavoro:

basta de nire z = 1/L e sostituire nell’equazione

Y/L = F(K/L, 1)

Questa equazione ci dice che la produzione per occupato Y/L, è una funzione della
quantità di capitale per occupato K/L.

Così, il:
• prodotto per occupato è y = Y/L
• capitale per occupato è k = K/L

La FUNZIONE DI PRODUZIONE sarà:

Y = F(K,L) y = F(k)
oduzione sei
riusato y
0

PMK
1

La pendenza di questa funzione di produzione rappresenta la produzione addizionale che


un lavoratore genera con un unità aggiuntiva di capitale.
Questa quantità corrisponde al PRODOTTO MARGINALE DEL CAPITALE (PMK)

PMK = f(k + 1) — f(k)

All’aumentare della quantità di capitale, la funzione di produzione diventa sempre più


piatta, indicando che la funzione di produzione è caratterizzata da un prodotto marginale
del capitale decrescente.

• quando k è basso, il lavoratore medio dispone di poco capitale per lavorare e una unità
di capitale aggiuntiva genera una produzione aggiuntiva elevata;
• quando k è elevato, il lavoratore medio dispone già di una dotazione di capitale
adeguata e l’effetto di una unità aggiuntiva di capitale sulla produzione è più contenuto.

Nel modello di Solow la domanda di beni è generata dal consumo per occupato “c” e
dell’investimento per occupato “i”.

y=c+i
Nel modello si ipotizza che ogni individuo risparmi una frazione “s” del proprio reddito e
ne consumi una pari a (1 — s), quindi:

c = (1 — s)y

Dove “s”, il saggio di risparmio, ha un valore compreso tra 0 e 1.

Per il momento impotizzeremo che il saggio di risparmio “s” sia dato, e sostituiamo
(1 — s)y a “c” nell’identità contabile del reddito nazionale:

y=c+i y = (1 — s)y + i

Riordinando i termini, diventa:

i = sy
Questa equazione mostra che l’investimento è uguale al risparmio, dunque, il saggio di
risparmio “s” è pari anche alla quota di reddito dedicata all’investimento.

Lo stock di capitale è una determinante fondamentale della produzione aggregata, ma può


variare nel tempo, e le sue variazioni possono provocare la crescita economica.
In particolare sono due gli elementi che in uenzano lo stock di capitale: l’investimento e
l’ammortamento.

• l’investimento si riferisce alla spesa per nuovi impianti e attrezzature, e provoca un


aumento dello stock di capitale;
• l’ammortamento, si riferisce al logoramento dei beni capitali in uso, e determina una
diminuzione dello stock di capitale.

L’investimento per occupato in funzione dello stock di capitale per occupato è:

i = sf(k)
Per includere l’ammortamento, dobbiamo ipotizzare che una certa frazione dello stock di
capitale si logori ogni anno (DELTA).
Quindi DELTA indica il tasso di ammortamento.

Possiamo esprimere l’effetto dell’investimento e dell’ammortamento sullo stock di


capitale attraverso l’equazione:

Variazione dello stock di capitale = investimento — ammortamento

K i 8K
Poichè l’investimento “i” è uguale a “sf(k)” possiamo scrivere:

K SFIK 8K
• quanto più elevato è lo stock di capitale, tanto più elevati sono il prodotto e
l’investimento;
• tanto più elevato è il capitale, tanto più elevato è anche l’ammortamento

annoiiamento

investimento
i Ehi

i
yopiaeeioufo.tt
Iiiiiiiiiiiiiiiiii no i
Come dimostra la gura esiste un solo livello dello stock di capitale k* per il quale
l’investimento è uguale all’ammortamento.
In corrispondenza di tale livello lo stock di capitale rimane costante nel tempo, perchè
investimento e ammortamento si annullano a vicenda.

Per questa ragione chiamiamo k* il livello di stato stazionario. Una volta raggiunto lo
stato stazionario, un’economia tende a restarvi. Inoltre, un’economia che non si trova in
stato stazionario tende verso questa direzione.

In questo senso, lo stato stazionario rappresenta l’equilibrio di lungo periodo di ogni


sistema economico.

Secondo il modello di Solow il saggio di risparmio è una determinante fondamentale dello


stock di capitale di stato stazionario:
• se il saggio di risparmio è elevato, l’economia ha uno stock di capitale e una
produzione più elevati;
• se il saggio di risparmio è contenuto, stock di capitale e produzione sono più bassi.

Un aumento del saggio di risparmio provoca un accelerazione della crescita, che però è
solo temporanea, in quanto perdura solo no al momento in cui l’economia raggiunge
nuovamente lo stato stazionario.
Quanto più il saggio di risparmio è elevato, tanto meglio è per l’economia.

CONFRONTO TRA STATI STAZIONARI


Il valore di “k” di stato stazionario che massimizza il consumo è detto LIVELLO DI
CAPITALE DI REGOLA AUREA, e viene indicato con “k*gold”.

Per trovare il consumo per occupato in stato stazionario partiamo dall’identità contabile
del reddito nazionale:

y=c+i
Che riscriviamo come:

c=y—i
Il consumo “c”, non è altro che la differenza tra produzione e investimento.
Sostituendo all’equazione i valori di stato stazionario
• f(k*) a “y”
• Delta k* a “i”

Il CONSUMO PER OCCUPATO DI STATO STAZIONARIO è:

FIKI 8K
Secondo questa equazione, il consumo per occupato si stato stazionario è ciò che rimane
alla produzione di stato stazionario dopo aver pagato l’ammortamento di stato
stazionario.
Questa equazione mostra pure che:
• all’aumentare del capitale, la produzione aumenta;
• all’aumentare del capitale, aumenta anche l’ammortamento.

Nel confrontare diversi stati stazionari, dobbiamo tener ben presente il fatto che un
aumento dello stock di capitale ha un effetto sia sulla produzione che sull’ammortamento.

ROD E SKIMMORTAMENTO
MM Di DI
STATOSTAZIONARIO
IIInano
PRODUZIONEIII
STAZIONARIO

SOTODELFÌN
CAPITALE PER
L DI OCCUPATO DI STATO
TATO STAZIONARIO DI STAZIONARIO K
regola Aurea un Al sopra dello stato
di stazionario
umento del capitale di regola aurea un aumento del capitale
i 5.5 Provoca un di 5.5 Provoca una diminuzione del
Del Consumo Consumo Di 5.5
Di S S

Dato che la pendenza della funzione di produzione corrisponde al prodotto marginale del
capitale PMK, che la pendenza della curva di ammortamento corrisponde a DELTA, e che
le due pendenze sono uguali in corrispondenza di k*gold,
La REGOLA AUREA può essere descritta dall’equazione:

PMK 8
In corrispondenza del livello di capitale di regola aurea, il prodotto marginale del capitale
è uguale al tasso di ammortamento.

LA CRESCITA DEMOGRAFICA
La versione di base del modello di Solow dimostra come l’accumulazione di capitale, da sè,
non possa spiegare una crescita economica sostenuta e persistente: un elevato saggio di
risparmio si traduce temporaneamente in un tasso di crescita sostenuto, ma prima o poi
l’economia raggiunge uno stato stazionario in cui il capitale e la produzione sono
costanti.

Per spiegare la crescita persistente dobbiamo espandere il modello di Solow, in modo da


incorporarvi altri due elementi:
• la crescita demogra ca;
• il progresso tecnologico.

Esiste una terza forza che in uenza la quantità di capitale per occupato: L’AUMENTO
DEL NUMERO DI LAVORATORI.

Dobbiamo però, tenere a mente che il numero di lavoratori varia nel tempo.
La variazione dello stock di capitale per occupato è uguale a:

AK i Stm K
CAPITOLO 9: IL MODELLO DI SOLOW
Per introdurre il progresso tecnologico nel modello, dobbiamo partire dalla funzione di
produzione

Y = F(K, L)

Adesso, invece scriviamo la funzione di produzione come:

Y = F(K, L x E)

Dove “E” è una variabile detta EFFICIENZA DEL LAVORO; se la tecnologia disponibile
migliora, l’ef cienza del lavoro aumenta.

Il termine L x E misura il numero effettivo dei lavoratori.

In sostanza secondo questo approccio un aumento dell’ef cienza del lavoro E è


equivalente a un aumento della forza lavoro L.

• “g”, è il tasso di progresso tecnologico labour-augumenting.


Poichè
• la forza lavoro cresce a un tasso “n”;
• l’ef cienza di ogni unità di lavoro E cresce a un tasso “g”;
• il numero effettivo di lavoratori L x E cresce al tasso n + g

Il progresso tecnologico introdotto nel modello di Solow non provoca un aumento diretto
del numero dei lavoratori, ma fa si che ogni lavoratore sia in grado di produrre una
maggiore quantità di beni e servizi nell’unità di tempo, determinando di conseguenza un
aumento del numero effettivo di lavoratori.

Adesso analizzeremo l’economia in termini di quantità per occupato effettivo.


De niamo cosi:
• k = K/ L x E;
• y = Y/ L x E
y = f(k)

L’equazione che illustra la crescita di “k” nel tempo è

AK SF K ft n tg K
Una volta raggiunto lo stato azionario, il tasso di crescita della produzione per occupato
dipende esclusivamente dal progresso tecnologico.

Secondo il modello di Solow, soltanto il progresso tecnologico può spiegare una crescita
persistente del tenore di vita.

L’introduzione del progresso tecnologico modi ca anche la condizione della regola aurea.
Il livello di apicale di regola aurea si de nisce ora come il capitale di stato stazionario
che massimizza il consumo per occupato effettivo.

Il consumo di stato stazionario per occupato effettivo è

C FIKI Stent g K
Il consumo di stato stazionario è massimizzato se:

PMK S mtg
La regola aurea è il criterio di riferimento per valutare l’economia.
Per stabilire se l’economia si trovi nello stato stazionario i regola aurea, dobbiamo
confrontare il prodotto marginale del capitale al netto dell’ammortamento (PMK —
DELTA) con il tasso di crescita del prodotto aggregato (n + g).

Nello stato stazionario di regola aurea PMK — DELTA = n +g

Se l’economia dispone di uno stock di capitale inferiore a quello corrispondente allo stato
stazionario di regola aurea, la regola del prodotto marginale decrescente ci dice che
PMK — Delta > n + g, in questo caso un aumento del saggio di risparmio farebbe
convergere l’economia a uno stato stazionario con un più elevato livello di consumo.

Se al contrario, l’economia opera con un capitale superiore al livello di regola aurea,


PMK — DELTA < n + g e l’accumulazione del capital è eccessiva; una riduzione del saggio
di risparmio condurrebbe a un amento del consumo sia nell’immediato sia nel lungo
periodo.

La REGOLA AUREA CON PROGRESSOTECNOLOGICO

COMENellaSCOTS LEZIONE c y I

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quindiusandolattiptoduzione c 1kt In e 18k

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CAPITOLO 10: FLUTTUAZIONI ECONOMICHE
La teoria macroeconomica classica si applica al lungo periodo, ma non al breve.

La maggior parte degli economisti ritiene che la differenza fondamentale tra il breve e il
lungo periodo stia nel comportamento dei prezzi:
• nel lungo periodo i prezzi sono essibili e possono reagire ai cambiamenti dell’offerta
e della domanda;
• nel breve periodo molti prezzi sono vischiosi a livelli predeterminati.

La vischiosità dei prezzi modi ca il funzionamento dell’economia.


Nella teoria macroeconomica classica la essibilità dei prezzi è un’ipotesi cruciale, la
quale si fonda, sull’idea che i prezzi si aggiustino istantaneamente per garantire che la
quantità domandata sia uguale alla quantità offerta.

Se i prezzi sono vischiosi, la quantità di produzione dipende anche dalla domanda. La


domanda, a sua volta, dipende da molteplici fattori:
• la ducia dei consumatori;
• le percezioni delle imprese;
• la politica monetaria;
• la politica scale.

Poiché la politica monetaria e la politica scale possono in uenzare la produzione


aggregata nell’orizzonte temporale in cui i prezzi sono vischiosi, la vischiosità dei prezzi
spiega perché queste politiche possano contribuire a stabilizzare le economia nel breve
periodo.

il modello di domanda aggregata e offerta aggregata ci permetterà di stabilire come si


determinano il livello generale dei prezzi e la produzione aggregata; inoltre, ci
permetterà di effettuare un confronto tra il comportamento dell’economia nel breve e nel
lungo periodo.

LA DOMANDA AGGREGATA AD
La domanda aggregata (DA) è la relazione tra la quantità domandata e il livello generale
dei prezzi; in altre parole è la quantità di beni e servizi che gli individui desiderano
acquistare per ogni dato livello dei prezzi.

Secondo la teoria quantitativa della moneta M x V = P x Y


Se V è costante, M determina il valore nominale della produzione che, a sua volta, si
ottiene moltiplicano il livello della produzione aggregata per il livello generale dei prezzi.
Se ipotizziamo che V sia costante e M sia determinata dalla banca centrale, l’equazione
dello scambio identi ca una relazione inversa tra il livello dei prezzi P e la produzione
aggregata Y.

Questa curva con pendenza negativa è detta CURVA DI DOMANDA AGGREGATA.

Ha pendenza negativa perché quanto più è elevato il livello dei prezzi P, tanto più basso è
il livello dei saldi monetari M/P. Quindi all’aumentare di P, Y deve necessariamente
diminuire, e viceversa.

P Y
O VICEVERSA

Viiii

Redditoproduzione Y

L’OFFERTA AGGREGATA
AS
L’offerta aggregata (OA) è la relazione tra la quantità di beni e servizi offerti e il livello
dei prezzi.
Dato che le imprese hanno prezzi essibili nel lungo periodo e vischiosi del breve periodo,
la relazione descritta dalla curva di offerta aggregata dipende dall’orizzonte temporale
considerato.
Dobbiamo quindi ipotizzare due curve di offerta aggregata:
• la curva di offerta aggregata di lungo periodo (OALP);
• la curva di offerta aggregata di breve periodo (OABP).
IL LUNGO PERIODO: CURVA DI OFFERTA AGGREGATA VERTICALE
Il livello di produzione dipende dalla quantità di capitale e lavoro, che è ssa, e dalla
tecnologia disponibile (non dal livello generale dei prezzi).

Y = F(K, L) = Y
Se la produzione è costante, la curva di offerta aggregata è verticale.
Nel lungo periodo l’intersezione della curva di domanda aggregata con questa curva di
offerta aggregata verticale determina il livello dei prezzi.

Se la curva di offerta aggregata è verticale, le variazioni della domanda aggregata


in uenzano il livello dei prezzi, ma non la produzione aggregata.

Offertaaggregatadilungoperiodo0dL

agire
IL BREVE PERIODO: LA CURVA DI OFFERTA AGGREGATA ORIZZONTALE
A causa della vischiosità dei prezzi, la curva di offerta aggregata nel breve periodo non è
verticale.

Supponiamo che tutte le imprese abbiano pubblicato un listino prezzi e che per loro sia
troppo costoso emetterne di nuovi; di conseguenza tutti i prezzi sono bloccati ad un
livello predeterminato. Poiché il livello dei prezzi è sso, la curva di offerta aggregata
sarà orizzontale.

Le variazioni della domanda aggregata di breve periodo in uenzano la produzione


aggregata, ma non il livello dei prezzi.
É 0 e

Redditoproduzione Y
CAPITOLO 11: LA DOMANDA AGGREGATA: IL MODELLO IS-LM
Nella teoria generale Keynes ha ipotizzato che il reddito totale prodotto da un sistema
economico nel breve periodo sia determinato dai piani di spesa degli individui (imprese,
stato ecc):
• quanto più gli individui desiderano spendere, tanti più beni e servizi le imprese
riescono a vendere;
• quanto più le imprese vendono, tanto più devono aumentare la produzione e assumere
lavoratori.

Per descrivere il modello della croce keynesiana dobbiamo distinguere la spesa effettiva
da quella programmata:
• la spesa effettiva, è la somma di denaro che gli individui spendono per acquistare beni
e servizi;
• la spesa programmata, è la somma che gli individui vorrebbero spendere per
acquistare beni e servizi.

La spesa effettiva può essere diversa da quella programmata e la differenza è attribuita


all’investimento non programmato di scorte:
• se le imprese vendono meno prodotti di quanto avevano stimato, le scorte aumentano;
• se le vendite eccedono le previsioni, le scorte diminuiscono.

LE DETERMINANTI DELLA SPESA PROGRAMMATA


Se ipotizziamo che l’economia sia chiusa, possiamo descrivere la spesa programmata E
come:

E=C+I+G

Per sempli care, ipotizziamo che la spesa pubblica e le tasse siano ssi, e che
l’investimento sia dato:

G=G T=T I=I

e che C sia uguale a

C = C(Y — T)
Quindi, la spesa programmata E è:

E = C(Y —T) + I + G
La curva ha pendenza positiva perchè a un più elevato livello d reddito corrisponde un
livello più alto di spesa programmata.

La pendenza della curva è la PROPENSIONE MARGINALE AL CONSUMO (PMC), e


indica l’incremento della spesa programmata a fronte di un incremento del reddito di una
unità.

L’ECONOMIA IN EQUILIBRIO
Il secondo elemento della croce keynesiana è l’ipotesi che l’economia si trovi in
equilibrio (spesa effettiva e spesa programmata sono uguali).
Questa ipotesi si basa sull’idea che, se le loro aspettative sono soddisfatte, gli individui
non hanno alcun interesse a modi care lo stato delle cose.

Y essendo il PIL, è uguale al reddito e alla spesa totale.


Possiamo quindi scrivere la condizione di equilibrio come:

spesa effettiva = spesa programmata


Y=E

In questo modello le scorte giocano un ruolo di grande importanza nel processo di


aggiustamento: se l’economia si trova in una condizione diversa da quella di equilibrio, le
scorte subiscono variazioni non programmate, inducendo le imprese a modi care il
volume di produzione.
Le variazioni del volume della produzione in uenzano al loro volta il livello del reddito e
la spesa, facendo muovere l’economia verso il punto di equilibrio.
annoia E

pesfettettiva

io

È
Aedditoo hoioredditopoduzione
Supponiamo che l’economia abbia un PIL superiore al livello di equilibrio.
In questo caso la spesa programmata E è inferiore alla produzione Y, e le imprese vendono meno di quanto
avevano previsto; la produzione venduta va ad incrementare le scorte e l’aumento delle scorte induce le
imprese al licenziare i lavoratori e a ridurre la produzione. Queste azioni riducono il livello del PIL.

Supponiamo che il livello del PIL Sia inferiore al valore di equilibrio.


In questo caso la spesa programmata È è più elevata della produzione Y; le imprese soddisfano i volumi
imprevisti di vendite attingendo alle scorte, che si riducono. Vendendo le scorte le imprese sono spinte ad
assumere più lavoratori ed aumentare la Produzione; il PIL aumenta e l’economia si avvicina al punto di
equilibrio.

LA POLITICA FISCALE E IL MOLTIPLICATORE


La spesa pubblica è una delle componenti della spesa aggregata, una aumento della spesa
pubblica si traduce in un più elevato livello di spesa programmata.

Se la spesa pubblica aumenta di una quantità DELTA G, la curva di spesa programmata si


sposta verso l’alto in misura DELTA G, di conseguenza l’equilibrio dell’economia si
sposta.

Un aumento della spesa pubblica provoca un aumento più che proporzionale del reddito:
in altre parole, DELTA Y è maggiore di DELTA G.

Il rapporto DELTA Y / DELTA G, è detto MOLTIPLICATORE DELLA SPESA PUBBLICA


e ci rivela la misura dell’aumento del reddito a fronte di un incremento della spesa
pubblica.
PERCHÉ LA POLITICA FISCALE HA UN EFFETTO AMPLIFICATO SULL’ECONOMIA?
Secondo la funzione del consumo C = C(Y — T), l’aumento del reddito provoca un aumento
del consumo, un incremento della spesa fa aumentare il reddito, fa aumentare anche il
consumo che, a sua volta, fa aumentare ulteriormente il redito, e così via.

QUANTO È GRANDE IL MOLTIPLICATORE?


Il processo ha inizio con un aumento della spesa pubblica di DELTA G, che implica un
aumento corrispondente del reddito.
Questo aumento del reddito fa. aumentare i consumi PMC x DELTA G;
L’incremento di PMC x DELTA G fa aumentare la spesa e il reddito che, a sua volta, fa
aumentare di nuovo il consumo.

La reazione a catena consumo-reddito-consum continua all’in nito, e il moltiplicatore


della spesa pubblica è pari a:

1
G 1 PMC
IL MOLTIPLICATORE DELLE IMPOSTE
Una diminuzione delle imposte di DELTA T fa aumentare il reddito disponibile (Y — T) di
un ammontare di DELTA T e, quindi, il consumo di PMC x DELTA T.

L’effetto complessivo sul reddito di una variazione delle imposte è:

PMC
1 PMC

Questa espressione rappresenta il moltiplicatore delle imposte.


Il segno negativo sta ad indicare che il reddito si muove in senso opposto rispetto alle
imposte.
TASSO D’INTERESSE, L’INVESTIMENTO E LA CURVA IS
Per integrare nel nostro modello la relazione tra investimento e tasso di interesse,
de niamo il livello di investimento programmato come:

I = I(r)

Poichè il tasso di interesse è il costo del nanziamento di un progetto, un aumento del


tasso di interesse riduce l’investimento programmato.
Di conseguenza, la curva di investimento programmato ha pendenza negativa.

La diminuzione dell’investimento programmato, provoca uno spostamento verso il basso


della curva di spesa programmata, riducendo il reddito d’equilibrio.

Dunque, quanto più elevato è il tasso di interesse, tanto più basso è il livello del reddito,
proprio per questa la curva IS ha pendenza negativa.

LA POLITICA FISCALE E LA CURVA IS


Nel costruire la curva IS si prendono per dati i valori di G e T.
Quando cambia la politica scale, la curva IS si sposta.

La croce keynesiana ci mostra come la variazione della politica scale accresca la spesa
programmata e, quindi, il reddito.
Di conseguenza, una diminuzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte,
contraendo la spesa e il reddito, provoca uno spostamento verso sinistra della curva IS.

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CURVA LM E LA TEORIA DELLA PREFERENZA PER LA LIQUIDITA’
La curva LM descrive la relazione che intercorre tra tasso di interesse e livello di reddito
nel mercato dei saldi monetari.
Per comprendere questa relazione partiamo dall’analisi della “teoria della preferenza per
la liquidità”.

Nella “TEORIA GENERALE” Keynes ha presentato una spiegazione di come si determini il


tasso di interesse nel breve periodo. Tale teoria afferma che il tasso di interesse si
aggiusti per equilibrare la domanda e l’offerta della moneta.

Come la croce keynesiana è il fondamento della curva IS, la teoria della preferenza per la
liquidità è il fondamento della curva LM.

• M è l’offerta di moneta;
• P è il livello generale dei pezzi;
• M/P è l’offerta di saldi monetari.

La teoria della preferenza per la liquidità ipotizza che l’offerta dei saldi monetari sia ssa:

M
P
l’offerta di moneta M è una variabile esogena perchè la politica monetaria è stabilita dalla
banca centrale;
Il livello generale dei prezzi P è una variabile esogena, perchè il livello IS-LM , fa
riferimento al breve periodo, quindi i prezzi sono ssi.
QUESTE IPOTESI IMPLICANO CHE L’OFFERTA DI SALDI MONETARI REALI SIA FISSA E,
CHE NON DIPEDA DAL TASSO DI INTERESSE.
Proprio per questo l’offerta di saldi monetari reali è una retta verticale.

Secondo la teoria della preferenza per la liquidità, il tasso di interesse r è una delle
determinanti della quantità di moneta che gli individui desiderano detenere. Se il tasso di
interesse aumenta, gli individui desiderano detenere una quantità inferiore di moneta,
per cui possiamo esprimere la domanda di saldi monetari reali come:

1
I
L(r) sta ad indicare che la quantità domandata di moneta dipende dal tasso di interesse.
La curva di domanda ha pendenza negativa, perché ad un tasso di interesse più elevato
corrisponde una minore quantità di moneta domandata.

L.e.iiiiii I
Per completare l’equazione del modello LM, dobbiamo speci care che il livello di
reddito condiziona la domanda di moneta, perciò a un più elevato reddito è associata
una maggiore domanda di moneta:

L Y
7
r

LM ha pendenza positiva perché quanto più elevato è il reddito, tanto maggiore è la


domanda di saldi monetari reali e tanto più aumenta il tasso di interesse di equilibrio.
CONCLUSIONE
Le due equazioni fondamentali del modello IS-LM sono:

YELLY THINTG

L i 1
7
Il modello considera la politica scale (T e G), la politica monetaria (M) e il livello dei
prezzi (P) come esogenamente determinati.

La curva IS fornisce le combinazioni di r e Y che soddisfano l’equazione che descrive il


mercato dei beni e dei servizi;
La curva LM fornisce le combinazioni di r e Y che soddisfano le equazione che descrive il
mercato della moneta.
Le due curve sono rappresentate nel medesimo gra co.

EQUILIBRIO DI BREVEPERIODO IS LM

Dueequazioni

IN
LM MI O LIS TI

Duevariabiliendogene

Iii
iEnima.i
erivinsione i IE oa

In a equilibriosimultaneo breveperiodoneisettorireale e monetariodell'economia


CAPITOLO 12: LA DOMANDA AGGREGATA
Nell’analizzare i cambiamenti che intervengono nella politica monetaria e nella politica
scale è necessario tenere presente che i responsabili della politica economica sono
consapevoli ciascuno delle mosse dell’altro: perciò, una variazione di uno dei due
strumenti può in uenzare le scelte che intervengono sull’altro, e questa interdipendenza
può alterare l’effetto di un provvedimento.

L’effetto di un provvedimento di politica scale dipende dagli obiettivi perseguiti dalla


Banca centrale, cioè dal fatto che voglia tenere costante l’offerta di moneta, il tasso di
interesse o il reddito.
CAPITOLO 13: MUNDELL-FLEMING
La differenza fondamentale è che il modello IS-LM ipotizza che l’economia sia chiusa,
mentre il modello di Mundell-Fleming ipotizza che sia aperta.

Il modello di Mundell-Fleming si fonda su un’ipotesi, ovvero che l’economia oggetto di


analisi sia una piccola economia aperta con perfetta mobilità di capitali.

Questa ipotesi implica che il tasso di interesse di questa economia r, sia determinato dal
tasso di interesse mondiale r* (esogenamente determinato).

r = r*
IL MERATO DEI BENI E LA CURVA IS*
Il modello Mundell-Fleming descrive il mercato dei beni e dei servizi come fa il modello
IS-LM, aggiungendo però le esportazioni nette.

Y = C(Y — T) + I(r*) + G + NX(e)

Chiamiamo questa equazione curva IS*, dove l’asterisco serve a rammentarci che si
tratta di una curva IS tracciata per un livello costante r* del tasso di interesse.

La curva IS ha pendenza negativa, perchè all’aumentare del tasso di cambio le


esportazioni nette diminuiscono, provocando una contrazione del reddito aggregato.

IL MERCATO DELLA MONETA E LA CURVA LM*


Il modello Mundell-Fleming rappresenta il mercato della moneta con un’equazione che si
ispira a quella utilizzata dal modello IS-LM:

L n Y
7
Questa equazione, che chiameremo LM*, può essere rappresentata gra camente con una
retta verticale, perchè il tasso di cambio non compare nell’equazione LM*.
Secondo il modello Mundell-Fleming, una piccola economia aperta con perfetta
mobilità di capitali è descritta da queste due equazioni:

Y C Y T 1 F Gt DX e

L F Y

La prima equazione descrive l’equilibrio nel mercato dei beni;


La seconda equazione descrive l’equilibrio nel mercato della moneta.

Le variabili esogene sono:


• la politica scale G e T;
• la politica monetaria M;
• il livello generale dei prezzi P;
• il tasso di interesse mondiale r*.

Le variabili endogene sono:


• il reddito Y;
• il tasso di cambio e.

UNA PICCOLA ECONOMIA APERTA IN REGIME DI CAMBI FLUTTUANTI


Prima di analizzare gli effetti di diversi provvedimenti di politiche economica in
un’economia aperta, dobbiamo stabilire in che modo gli attori economici internazionali
convertono la valuta di un paese nelle valuta di un altro.

Il sistema più diffuso è il regime di tassi di cambio uttuanti. In tale regime, il tasso di
cambio può oscillare liberamente al variare delle condizioni economiche.

Quando un evento fa cambiare l’equilibrio nel mercato, il tasso di cambio può variare
facendo spostare l’economia verso un nuovo equilibrio.
UNA PICCOLA ECONOMIA IN REGIME DI TASSI DI CAMBIO FISSI
Il secondo sistema utilizzato è il regime di tassi di cambio ssi. In un sistema di tassi di
cambio ssi la banca centrale è disposta ad acquistare o vendere, in qualunque misura, la
valuta nazionale in cambio di valuta estera a un tasso prede nito.

Per far questo, la banca centrale deve disporre di una riserva di euro (che può sempre
stampare) e di una riserva di un’altra valuta (che deve avere accumulato in precedenza).

EFFETTI DELLE POLITICHE ECONOMICHE


Il modello modello di Mundell-Fleming Dimostra che gli effetti di qualunque intervento di
politica economica dipendono dal regime di tassi di cambio adottato:

REGIME TASSI
FLUTTUANTI FISSI
PROVVEDIMENTO Y e NX Y e NX
ESPANSIONE
FISCALE O O O

ESPANSIONE
MONETARIA
O O O

RESTRIZIONI
COMMERCIALI
O O O

L’IMPOSSIBILE TRINITÀ
L’analisi dei regimi di tassi di cambio ci porta ad una semplice conclusione: è impossibile
che una nazione abbia: perfetta mobilità di capitali, tassi di cambio ssi e una politica
monetaria indipendente.

Un paese deve scegliere un lato del triangolo, rinunciando ciò che è indicato al vertice
opposto.

La storia ha dimostrato che le nazioni possono scegliere, e scelgono, diversi lati del
triangolo.
Il trilemma della politica economica ci dice che nessun paese può sottrarsi a queste
decisioni.

IDIÉOPOPICHE

I
t.ie i
i
I
IL LIVELLO MUNDELL-FLEMING CON LIVELLO DEI PREZZI VARIABILE
Se si ammette la possibilità che il livello dei prezzi vari, il tasso di cambio reale e il tasso
di cambio nominale nelle nell’economia non si muovono più all’unisono.
Denotiamo il tasso di cambio nominale con ;
Il tasso di cambio reale con E.

f
Il tasso di cambio reale sarà: e

Possiamo così scrivere il modello di Mundell-Fleming come:

Y 4 7 1 F GINA e

L H Y
7
Poiché una diminuzione del livello dei prezzi comporta un aumento dei saldi monetari
reali, la curva LM* si sposta verso destra. Il tasso di cambio reale si deprezza e il
reddito di equilibrio aumenta.
• i provvedimenti di politiche economica spingono la curva di domanda grecata verso
destra;
• i provvedimenti e gli eventi che riducono il reddito, spostano la curva di domanda
aggregata verso sinistra.

la limodellodimundelthenine
Tassodiianoioreale

Iiiii
I
Éiana
un'disoninda tenean
LIVPIIOOPIOera p

ii
0
Y a redditosioduzione
CAPITOLO 14: OFFERTA AGGREGATA E TRADE OFF
I TRE MODELLI DELL’OFFERTA AGGREGATA
I tre modelli dell’offerta aggregata seguono un percorso teorico differente, ma il risultato
è il medesimo: una curva di offerta aggregata di breve periodo descritta dalla seguente
equazione

Y Y app P a 0
• Y è la produzione aggregata;
• Y è il livello naturale della produzione aggregata;
• P il livello dei prezzi;
• Pe il livello atteso dei prezzi.

Il parametro “a” indica la sensibilità della produzione aggregata alle variazioni inattese
del livello dei prezzi;
• 1/a è la pendenza della curva di offerta aggregata.

MODELLO DEI PREZZI VISCHIOSI


La prima spiegazione della pendenza positiva della curva di offerta aggregata di breve
periodo è il modello dei prezzi vischiosi.
Questo modello enfatizza il fatto che le imprese non adeguano istantaneamente i prezzi
dei propri prodotti a fronte di variazioni della domanda.

Per vedere come la vischiosità dei prezzi contribuisca a spiegare la pendenza positiva
della curva di offerta aggregata di breve periodo, dobbiamo implicitamente ipotizzare che
ciascuna impresa abbia un po’ di potere monopolistico in misura tale da permetterle di
determinare il prezzo dei propri prodotti.

Il prezzo desiderato dall’impresa, p, dipende da due variabili:

• dal livello generale dei prezzi P;


• dal livello del reddito aggregato Y.
Possiamo scrivere il prezzo desiderato dall’impresa come:

p = P + a(Y — Y)
Ipotizziamo ora che ci siano due tipi di imprese:
• alcune hanno prezzi essibili;
• altre hanno prezzi vischiosi.

Le imprese con prezzi vischiosi determinano i prezzi sulla base della seguente
equazione:
p = P + a(Ye— Y)P
L’esponente “e” indica il valore atteso della variabile corrispondente.
Per semplicità, queste imprese de niscono il prezzo come:

p = Pe

Di conseguenza, le imprese con prezzi vischiosi de niscono i prezzi sulla base di quelli
che si aspettano verranno praticati dalle altre imprese.

Per derivare l’equazione della curva di offerta aggregata

sP = sPP + (1 — s) P + a(Y —Y)

Sottraendo (1 —s)P, dividendo per “s” entrambi i membri dell’equazione e riorganizzando


i termini, otterremo:

Y = Y + a(P — Pe )
MODELLO DEI SALARI VISCHIOSI
Il secondo modello è quello dei salari vischiosi.
• se i salari nominali sono rigidi un aumento l livello dei prezzi abbatte il salario reale,
rendendo il lavoro più conveniente;
• la diminuzione dei salari reali induce le imprese ad utilizzare più lavoro;
• all’aumentare del lavoro impiegato, la produzione aumenta.

Questa relazione diretta tra il livello dei prezzi e la produzione aggregata implica che la
curva di offerta aggregata abbia pendenza positiva.

I lavoratori e le imprese stabiliscono il salario nominale W, moltiplicando il salario reale


obiettivo w e le aspettative sul livello dei prezzi P .

W=wxP
Salario nominale = salario reale obiettivo x livello atteso dei
prezzi

Dato che i salari nominali sono vischiosi, una variazione inattesa del livello dei
prezzi allontana il salario reale dal salari reale obiettivo.
La curva di offerta aggregata può essere scritta come:

i Y = Y + a(P — Pe)
MODELLO DELL’INFORMAZIONE IMPERFETTA
Il terzo modello è quello dell’informazione imperfetta.
Questo modello ipotizza che i mercati siano sempre in equilibrio, e che la curva di
offerta aggregata di lungo e di breve periodo si distinguono a causa di una temporanea
errata percezione dei prezzi.

il modello ipotizza che ogni impresa produca un solo bene o servizio e che ne consumi
una molteplicità.

Dato che il numero dei beni è molto grande, le imprese non possono osservare tutti i
prezzi; per questo motivo, decidono di monitorare Molto attentamente i prezzi dei pochi
beni che producono E meno attentamente i prezzi dei molti beni che consumano.
A causa di queste informazioni imperfetta, confondono le variazioni degli livello generale
dei prezzi con variazioni dei prezzi relativi.

Il modello dell’informazione imperfetta afferma che quando i prezzi effettivi sono


superiori ai prezzi attesi le imprese aumentano la produzione.

La curva di offerta aggregata può essere descritta come:


CURVA DI PHILIPS
La curva di Philips è una conseguenza della curva di offerta aggregata di breve periodo:
quando un provvedimento di politica economica fa muovere l’economia lungo la curva di
offerta aggregata di breve periodo, l’in azione e la disoccupazione si muovono in
direzione opposte.

La curva di Philips Afferma che l’in azione dipende da tre elementi:


• l’in azione attesa; 17º
• dalla disoccupazione ciclica (scostamento della disoccupazione dal suo livello livello
livello naturale); Blu
• dagli shock dell’offerta.

IT I β u u
B è un parametro che misura la sensibilità dell’in azione alla disoccupazione ciclica.

Gli individui formano le proprie aspettative di in azione sulla base dei dati osservati nei
periodi più recenti. Per esempio, supponiamo che gli individui si aspettino che quest’anno
i prezzi aumentino allo stesso tasso dell’anno scorso; l’in azione attesa µè uguale
all’in azione dell’anno scorso IT
1

Te I 1
Possiamo riscrivere la curva di Phillips come:

A 1T β u u t r
• il primo termine implica che l’in azione abbia un andamento inerziale, ovvero
l’in azione continua a muoversi n a quando qualcosa non la blocca.
• il secondo è il terzo termine illustrano le due forze che possono modi care il tasso di
in azione.

Il secondo termine ci dice che la disoccupazione ciclica esercita una pressione sul tasso
di in azione. Una diminuzione della disoccupazione spinge l’in azione verso l’alto; un
aumento della disoccupazione spinge l’in azione verso il basso.
Il terzo termine v, mostra che l’in azione può aumentare o diminuire anche a causa di
uno shock dell’offerta.

l’in azione attesa e gli shock dell’offerta possono agire soltanto sulla domanda aggregata
per in uenzare la produzione, l’occupazione e l’in azione.

nel breve periodo, la politica economica può agire sulla domanda aggregata in modo da
scegliere una combinazione di in azione e disoccupazione che si trovi sulla curva di
Philips di breve periodo. la posizione della curva di Philips di breve periodo dipende dalle
aspettative di in azione: se l’in azione attesa aumenta, la curva si sposta verso l’alto e il
Trade off tra in azione e disoccupazione diviene meno favorevole.

poiché gli individui adeguano nel tempo le proprie aspettative il Trade off tra in azione e
disoccupazione sussiste solo nel breve periodo. Presto o tardi le aspettative si adattano al
tasso di in azione determinato dalla politica economica.nel lungo periodo, quindi, la
disoccupazione tende a stabilizzarsi e non c’è alcun rade off tra in azione e
disoccupazione.

La curva di Philips mostra come in assenza di uno shock positivo dell’offerta, per
abbattere l’in azione sia necessario un periodo di elevata disoccupazione e contrazione
del prodotto.

Prima di decidere se provare a ridurre l’in azione, i responsabili delle politiche


economiche devono sapere quanto reddito andrà strutto: soltanto così costi potranno
essere confrontati con i bene ci.

Sono molte le ricerche che hanno utilizzato dati empirici per esaminare la curva di
Philips. Spesso il risultato di queste analisi viene sintetizzato in un unico numero, detto
TASSO DI SACRIFICIO: la percentuale di PIL reale annuale che si deve sacri care per
ridurre l’in azione di 1 punto percentuale.

Le stime del tasso di sacri cio variano ampiamente da un paese all’altro.

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