Macroeconomia

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LA MACROECONOMIA

La MACROECONOMIA studia il sistema economico nel suo insieme e le relazioni fra le


grandezze economiche "aggregate" quali il PIL e il reddito nazionale, i consumi
complessivi delle famiglie e la spesa delle amministrazioni pubbliche, gli investimenti, le
importazioni e le esportazioni.
La macroeconomia si distingue dalla MICROECONOMIA, che invece studia il
comportamento dei singoli operatori economici (l'impresa, il consumatore), e la formazione
dei prezzi nei vari mercati.
Nell'introdurre gli argomenti della macroeconomia si è soliti cominciare da due concetti
fondamentali: IL PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL) O PRODOTTO NAZIONALE
LORDO (PNL), E IL REDDITO NAZIONALE (RN).

IL PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL) E IL PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL)


IL PRODOTTO INTERNO LORDO. IL PIL È IL VALORE DI TUTTI I BENI E SERVIZI
FINALI AI PREZZI DI MERCATO PRODOTTI IN UN PAESE IN UN DETERMINATO
PERIODO DI TEMPO (ANNO SOLARE). Per calcolare il valore di tutti i beni e i servizi, per
loro natura diversi, si considerano i rispettivi prezzi di mercato, evitando di contare due
volte la stessa cosa. Per esempio, farina, uova e zucchero sono calcolati singolarmente
nel PIL se vengono acquistati dai consumatori; ma se sono ingredienti di una torta
acquistata in pasticceria, il prezzo della torta comprende già quello degli ingredienti. Si
dice che si considera il solo VALORE AGGIUNTO.
Gli economisti considerano il PIL l'indicatore più significativo del BENESSERE
ECONOMICO, rappresenta «il metro dell'attività economica di un Paese», è considerato il
principale indicatore per confrontare le dimensioni economiche dei Paesi stessi.
Il valore del PIL italiano è intorno a 1.300 miliardi di euro. Confrontando il PIL dei vari
Paesi, si può stimare che i sette Paesi più industrializzati (il cosiddetto G7: Stati Uniti,
Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Canada) rappresentano più della metà
dell'economia mondiale.
Il PIL è l'indicatore più significativo del benessere. La grandezza usata per misurare le
condizioni di vita medie della popolazione è il PIL PER ABITANTE che si ottiene
dividendo il PIL per il numero degli abitanti. Altro indicatore frequentemente utilizzato è il
REDDITO PRO – CAPITE.

IL PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL). Se al PIL aggiungiamo I REDDITI NETTI


DALL'ESTERO (ossia la DIFFERENZA TRA I REDDITI DI FONTE ESTERA PERCEPITI
DAI SOGGETTI RESIDENTI E I REDDITI PRODOTTI ALL'INTERNO MA PERCEPITI DA
OPERATORI ESTERI) si ottiene il PRODOTTO NAZIONALE LORDO.

IL REDDITO NAZIONALE
IL REDDITO NAZIONALE. IL REDDITO NAZIONALE È IL VALORE COMPLESSIVO DEI
REDDITI ATTRIBUITI IN UN DATO PERIODO DI TEMPO ALL’INSIEME DEI RESIDENTI.
Il PIL, cioè il valore della produzione di un Paese nel periodo considerato, si distribuisce
tra i titolari dei fattori produttivi sotto forma di redditi (monetari e in e natura). La somma di
questi redditi fornisce il valore del reddito nazionale che quindi è costituito dalla SOMMA
DEI REDDITI DA LAVORO (salari e stipendi), delle RENDITE (percepite dai proprietari
terrieri), degli INTERESSI, (derivanti dall'impiego di capitali finanziari) e dei PROFITTI
(redditi d'impresa).

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PIL NOMINALE E PIL REALE
Il valore del PIL è espresso in moneta. Pertanto, si considerano i prezzi di mercato dei
beni e dei servizi per calcolare, il valore del PIL. Il PIL varia nel tempo: le variazioni del PIL
possono dipendere o da un aumento effettivo della produzione o semplicemente da un
aumento dei prezzi, (inflazione): quindi è necessario vedere nel corso dell’anno ci sia stata
una crescita di produzione.

PIL NOMINALE. E’ IL PIL CALCOLATO A PREZZI CORRENTI. Se il PIL viene calcolato a


prezzi correnti, UN AUMENTO DEL PIL PUO’ ESSERE DOVUTO AD UN SEMPLICE
AUMENTO DEL LIVELLO DEI PREZZI, OPPURE PUO’ ANCHE SIGNIFICARE CHE IL
SISTEMA ECONOMICO HA ACCRESCIUTO LA PROPRIA PRODUZIONE, (oppure
entrambe le cose).

PIL REALE. E’ IL PIL CALCOLATO A PREZZI COSTANTI. Per misurare correttamente se


e di quanto è aumentato effettivamente il PIL, bisogna calcolarlo a prezzi costanti,
(ricorrendo a un procedimento per DEFLAZIONARE i prezzi). Una volta calcolato il PIL
REALE, è possibile verificare quanta parte della crescita del PIL è attribuibile a variazioni
dei prezzi, invece che a incrementi di produzione. UN AUMENTO DEL PIL REALE
SIGNIFICA CHE IL SISTEMA ECONOMICO HA ACCRESCIUTO LA PROPRIA
PRODUZIONE.

LA FORMAZIONE DEL PIL


IL PIL È FORMATO DAL FLUSSO DI TUTTI I BENI E SERVIZI FINALI, CALCOLATI AI
PREZZI DI MERCATO, ESCLUSI I BENI INTERMEDI E LE MATERIE PRIME. I beni
intermedi sono quelli che ogni impresa acquista da altre imprese e che vengono impiegati
nel processo produttivo. Per evitare duplicazioni, non sono tenuti in conto presso l'impresa
che li impiega (ad esempio, i pneumatici per le imprese automobilistiche …).
LA FORMAZIONE DEL PIL VIENE CALCOLATA CON IL METODO DELLA SOMMA DEL
VALORE AGGIUNTO DEI SETTORI PRODUTTIVI. PER VALORE AGGIUNTO SI
INTENDE L’INCREMENTO DI VALORE CHE L'IMPRESA AGGIUNGE AL COSTO DELLE
MATERIE PRIME E DEL BENI INTERMEDI NEL PROCESSO PRODUTTIVO.
PER OGNI SINGOLA IMPRESA, IL VALORE AGGIUNTO È DATO DALLA DIFFERENZA
FRA IL VALORE DELLE VENDITE E IL VALORE DELLE MATERIE PRIME E DEI BENI
INTERMEDI. Se sommiamo il valore aggiunto di tutte le imprese, otteniamo il valore
aggiunto aggregato delle imprese, al quale si somma il valore aggiunto delle
amministrazioni pubbliche.

IL PIL È UGUALE ALLA SOMMA DEL VALORE AGGIUNTO DELLE IMPRESE E DELLE
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE.

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DOMANDA AGGREGATA E OFFERTA AGGREGATA

DALLA DOMANDA DEL CONSUMATORE ALLA DOMANDA AGGREGATA


Consideriamo la domanda di una bene da parte del consumatore. In un primo tempo prendiamo in
esame solo la relazione esistente fra il prezzo e la quantità domandata di un determinato bene,
senza considerare altre variabili, che si ipotizzano quindi costanti, (si dice “a parità di altre
condizioni” o “ceteris paribus”). Quanto maggiore è il prezzo di un bene tanto meno il consumatore
sarà disposto ad acquistarlo e viceversa, quanto minore è il prezzo di un bene tanto più il
consumatore sarà disposto ad acquistarlo.

LEGGE DELLA DOMANDA: A PARITÀ DI ALTRE CONDIZIONI (“CETERIS PARIBUS”), ESISTE


UNA RELAZIONE INVERSA TRA LA QUANTITÀ DOMANDATA DI UN BENE E IL SUO PREZZO.
Quando il prezzo di un bene aumenta, il consumatore o rinuncia ad acquistarlo o tende a sostituirlo
con beni SUCCEDANEI, cioè con beni diversi che possono sostituire il bene in questione e che
soddisfano lo stesso bisogno: se aumenta il prezzo della carne il consumatore tende a diminuire la
domanda di carne per aumentare quella di pesce. Se aumenta il prezzo di un bene, diminuirà la
quantità del bene stesso, ma anche quella dei beni COMPLEMENTARI, cioè dei beni che devono
essere utilizzati insieme per soddisfare lo stesso bisogno, (se aumenta il prezzo degli sci, diminuirà
la domanda di sci, ma anche quella degli scarponi).
SE AUMENTA IL PREZZO DI UN BENE, A PARITÀ DI CONDIZIONI, GENERALMENTE
DIMINUIRÀ LA QUANTITÀ DOMANDATA DI QUEL BENE E DEI BENI COMPLEMENTARI E
AUMENTERÀ LA QUANTITÀ DI DOMANDATA DI BENI SUCCEDANEI.
Nella figura seguente è rappresentata graficamente la CURVA DELLA DOMANDA del
consumatore.

Prezzo
del bene
P1 A

P2 B

Q1 Q2
Quantità

La figura indica in corrispondenza di ogni punto della curva di Domanda (ad esempio, A) sia il
prezzo sia la quantità domandata, (P1 e Q1). Si tratta di una funzione decrescente perché la
quantità domandata diminuisce (Q1 < Q2), all'aumentare del prezzo del bene (P1 > P2), (se il
prezzo del bene aumenta da P2 a P1, il consumatore acquisterà una quantità inferiore del bene,
passando da Q2 a Q1).

Finora abbiamo considerato la Domanda del singolo consumatore; per vedere, però, cosa succede
nel sistema economico, bisogna analizzare la Domanda di mercato. Per semplificare:
- prendiamo in esame solo la Domanda di mercato di un determinato bene;
- continuiamo ad occuparci unicamente della relazione fra prezzo e quantità domandata.
LA DOMANDA DI MERCATO DI UN BENE È DATA DALLA SOMMA DELLE DOMANDE
INDIVIDUALI DI TUTTI I CONSUMATORI.
Conoscendo le Domande dei singoli consumatori, basta ADDIZIONARE PER OGNI LIVELLO DI
PREZZO LE QUANTITÀ DOMANDATE DA OGNI CONSUMATORE per ottenere la Domanda di
mercato. Si dice che la CURVA DI DOMANDA DI MERCATO E’ DATA DALLA SOMMA
ORIZZONTALE DELLE CURVE INDIVIDUALI RELATIVE AI VARI CONSUMATORI.
Per semplificare, abbiamo supposto che la società sia formata solo da due consumatori. Nelle
prime due figure abbiamo riportato la curva di Domanda del consumatore 1 (d’d’) e del

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consumatore 2 (d”d”). In un primo tempo abbiamo tenuto il prezzo fissato a P1: la quantità
domandata del consumatore 1 è pari a Q1 e quella del consumatore 2 è pari a Q2. Sommando
queste quantità domandate nel terzo grafico relativo alla Domanda di mercato avremo che,
essendo P = P1 la quantità domandata è pari a (Q1 + Q2): abbiamo ottenuto il primo punto della
curva della Domanda di mercato che mette in relazione il prezzo P1 con la quantità domandata
(Q1 + Q2). Ripetiamo lo stesso procedimento per ogni livello di prezzo. Sommando le quantità
domandate per ogni prezzo otterremo la CURVA DI DOMANDA DI MERCATO: anche in questo
caso si tratta di una funzione DECRESCENTE, perché la quantità domandata di un bene da parte
di TUTTI I CONSUMATORI, diminuisce all'aumentare del prezzo del bene.
d' d’’

P1

d' d’’

Q1 Q2 Q1 + Q2
Va precisato che OGNI CONSUMATORE HA UNA SUA CURVA DI DOMANDA, perché le
persone non sono identiche; infatti, come vedremo, esistono alcune condizioni (reddito monetario,
gusti...) che, a parità di prezzo, fanno variare la Domanda del singolo.
Per ottenere la DOMANDA DI MERCATO, dobbiamo quindi calcolare la somma delle quantità che
tutti i soggetti consumano in corrispondenza di un dato prezzo e ripetere questo procedimento per
tutti gli infiniti prezzi possibili.

SEGUENDO LO STESSO PROCEDIMENTO, E’ POSSIBILE “AGGREGARE” TUTTE LE


DOMANDE DI BENI E SERVIZI DA PARTE DI TUTTI GLI OPERATORI ECONOMICI, (LE
FAMIGLIE CON I CONSUMI, “C”, LE IMPRESE CON GLI INVESTIMENTI, “I”, LO STATO CON
LA SPESA PUBBLICA, “G”): IN QUESTO MODO SI OTTIENE LA CURVA DELLA DOMANDA
AGGREGATA. LA DOMANDA AGGREGATA, CIOE’ LA DOMANDA DI BENI E SERVIZI DA
PARTE DI TUTTI GLI OPERATORI ECONOMICI, (FAMIGLIE, IMPRESE, STATO) E’ DATA
DUNQUE DALLA SEGUENTE RELAZIONE:
DA = C + I + G

DA
Prezzi

P1 A

P2 B

Q1 Q2
Quantità

DALL'OFFERTA INDIVIDUALE ALL’OFFERTA AGGREGATA


Dobbiamo ora studiare l'Offerta ed approfondire il comportamento dei VENDITORI. Iniziamo
svolgendo un'ANALISI MICROECONOMICA partendo dal comportamento del singolo venditore.

LEGGE DELL’OFFERTA: A PARITÀ DI ALTRE CONDIZIONI, ESISTE UNA RELAZIONE


DIRETTA FRA LA QUANTITÀ OFFERTA DI UN BENE ED IL SUO PREZZO.

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L’obiettivo dell’imprenditore è quello di MASSIMIZZARE IL PROFITTO. Per massimizzare il proprio
profitto, l'imprenditore è tanto più invogliato a produrre quanto maggiore è il prezzo di quel bene,
(dato un costo, più alto sarà il prezzo che l’imprenditore riuscirà ad applicare, maggiore sarà il
profitto dell’imprenditore dato che: PROFITTO = RICAVI – COSTI. Il ricavo è costituito dal prezzo).
Possiamo quindi affermare che SE AUMENTA IL PREZZO DEL BENE AUMENTA LA QUANTITÀ
OFFERTA DALL'IMPRESA E, VICEVERSA, SE DIMINUISCE IL PREZZO DEL BENE
DIMINUISCE LA QUANTITÀ OFFERTA DALL'IMPRESA.

Possiamo ottenere la CURVA DELL’OFFERTA, che rappresenta per ogni livello di prezzo, la
quantità del bene offerta dall’imprenditore. La figura seguente indica in corrispondenza di ogni
punto della curva di Offerta (ad esempio, A) sia il prezzo (nell'esempio, P1) sia la quantità offerta
(nell'esempio, Q1): si tratta di una funzione crescente perché la quantità offerta aumenta, (Q2 >
Q1) all'aumentare del prezzo del bene, (P2 > P1).
Prezzo

P2 B
A
P1

Q1 Q2 Quantità offerta

La legge dell’offerta non è sempre verificata. Ad esempio nelle “ECONOMIE DI SCALA” esiste una relazione inversa fra
la quantità offerta di un bene e il suo prezzo. A volte l'imprenditore, grazie al progresso tecnologico, riesce ad abbassare
i costi e, di conseguenza, i prezzi: nelle economie di scala il produttore spesso aumenta la quantità offerta e applica dei
prezzi più bassi (in contrasto con quanto afferma la legge dell'Offerta).

Finora abbiamo approfondito l'Offerta del singolo imprenditore, ma bisogna vedere cosa succede
nella società ed analizzare l'OFFERTA DI MERCATO. Il procedimento che seguiremo ricalca
quello utilizzato per la Domanda di mercato.
L’OFFERTA DI MERCATO DI UN BENE E’ DATA DALLA SOMMA DELLE OFFERTE
INDIVIDUALI DI TUTTI I PRODUTTORI.
BASTA CONOSCERE LE OFFERTE DEI SINGOLI PRODUTTORI E POI SOMMARLE PER
OTTENERE L'OFFERTA DI MERCATO.
Come ogni consumatore, ogni produttore ha una sua curva di Offerta. Per ottenere l'Offerta di
mercato, dobbiamo calcolare la somma delle quantità che tutti gli imprenditori producono in
corrispondenza di un dato prezzo e ripetere questo procedimento per gli infiniti prezzi possibili.

P1

Q1 Q2 Q1 + Q2

SEGUENDO LO STESSO PROCEDIMENTO, E’ POSSIBILE “AGGREGARE” TUTTE LE


OFFERTE DI BENI E SERVIZI DA PARTE DI TUTTI GLI OPERATORI ECONOMICI, (IMPRESE E
STATO): IN QUESTO MODO SI OTTIENE LA CURVA DELL’OFFERTA AGGREGATA.

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Prezzo
OA
P2 B
A
P1

Q1 Q2 Quantità offerta

L’EQUILIBRIO TRA DOMANDA E OFFERTA AGGREGATA


IL MERCATO SI DICE IN EQUILIBRIO QUANDO, AL PREZZO CORRENTE, LA DOMANDA
AGGREGATA E L'OFFERTA AGGREGATA RISULTANO UGUALI.

DA
OA

P1
E
P
P2

0 Q’1 Q2 Q Q’2 Q1 Q
Il prezzo che corrisponde al punto di intersezione E delle curve di domanda e di offerta è detto
PREZZO DI EQUILIBRIO. Solo a questo prezzo i consumatori sono in grado di acquistare tutto
quello che i produttori sono disposti a vendere. Il prezzo di equilibrio è 0P che corrisponde al punto
d'incontro E delle curve di domanda e di offerta. In questa situazione non vi può essere un prezzo
diverso, in quanto il comportamento congiunto degli acquirenti e dei venditori porta a determinare il
prezzo e la quantità scambiata. Infatti PER QUALSIASI ALTRO PREZZO PIÙ ALTO LA
QUANTITÀ OFFERTA SAREBBE MAGGIORE DELLA QUANTITÀ DOMANDATA
(SOVRAPPRODUZIONE); MENTRE PER QUALSIASI ALTRO PREZZO PIÙ BASSO LA
QUANTITÀ DOMANDATA SAREBBE SUPERIORE A QUELLA OFFERTA
(SOTTOPRODUZIONE). Un prezzo maggiore 0P1, in base alla curva dell’offerta aggregata OA,
determinerebbe un'offerta pari a 0Q1 superiore alla domanda 0Q1’ con conseguente giacenza di
merce invenduta, (sovrapproduzione). In questo caso i venditori, per poter vendere la merce
invenduta, devono abbassare il prezzo. Se il prezzo diminuisce, per la legge della domanda, la
domanda aumenta. SI RITORNA NELLA SITUAZIONE DI EQUILIBRIO. Un prezzo minore 0P2
determinerebbe, al contrario, una quantità offerta 0Q2 inferiore a quella domandata 0Q2’ con la
conseguenza che molti acquirenti rimarrebbero insoddisfatti, (sottoproduzione). Visto che la
domanda è alta, i venditori aumentano il prezzo e l’offerta e SI RITORNA NELLA SITUAZIONE DI
EQUILIBRIO.

NELLA REALTA’ ESISTONO NUMEROSE DISTORSIONI E FALLIMENTI DEL MERCATO CHE


IMPEDISCONO AL SISTEMA ECONOMICO DI RAGGIUNGERE LA SITUAZIONE DI
EQUILIBRIO TRA DOMANDA E OFFERTA AGGREGATA.

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LA POLITICA ECONOMICA

La POLITICA ECONOMICA è quella parte dell’economia che studia l’intervento dello Stato nella
vita economica e l’azione dei pubblici poteri per il governo del sistema economico. Rientrano nel
campo della politica economica sia gli OBIETTIVI che gli STRUMENTI.

I soggetti della politica economica sono soprattutto il GOVERNO e il PARLAMENTO, che sono gli
organi dello Stato a cui competono le scelte e le decisioni di POLITICA FINANZIARIA E FISCALE,
e la BANCA CENTRALE per quanto riguarda la POLITICA MONETARIA. In realtà poi vi sono tanti
altri tipi di soggetti che possono influenzare le decisioni di politica economica: partiti politici,
sindacati, organizzazioni di imprenditori, (come in Italia la Confindustria), famiglie, mass media.

Si possono distinguere DUE TIPI DI POLITICHE ECONOMICHE:


- la POLITICA FINANZIARIA E FISCALE, che consiste nell’intervenire attraversi gli strumenti
della SPESA PUBBLICA, dei TRIBUTI, dei TRASFERIMENTI AGLI OPERATORI
ECONOMICI (sussidi alle imprese e alle famiglie);
- la POLITICA MONETARIA, che consiste nell’intervenire per modificare la QUANTITA’ DI
MONETA IN CIRCOLAZIONE.
A SECONDA DEGLI EFFETTI SUL SISTEMA ECONOMICO E SULLA DOMANDA AGGREGATA,
(cioè la domanda globale di beni e servizi da parte degli operatori economici) si distinguono:
- POLITICHE ECONOMICHE ESPANSIVE, che hanno come obiettivo quello di STIMOLARE
POSITIVAMENTE LA DOMANDA AGGREGATA E DI FAVORIRE LO SVILUPPO
ECONOMICO (ad esempio una POLITICA FISCALE ESPANSIVA consiste
nell’AUMENTARE LA SPESA PUBBLICA O DIMINUIRE I TRIBUTI);
- POLITICHE ECONOMICHE RESTRITTIVE, che hanno come obiettivo quello di EVITARE
AUMENTI DELL’INFLAZIONE CONNESSI AD UN LIVELLO DELLA DOMANDA
AGGREGATA eccessiva rispetto all’offerta (una POLITICA MONETARIA RESTRITTIVA
potrebbe consistere nel DIMINUIRE LA QUANTITA’ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE);

L’economista olandese Jan Tinbergen (Nobel 1969) delineò gli elementi essenziali della TEORIA
DELLA POLITICA ECONOMICA. In primo luogo, è necessario specificare gli OBIETTIVI della
politica economica, espressi mediante una FUNZIONE DEL BENESSERE SOCIALE che l'autorità
di politica economica tenta di massimizzare. In secondo luogo, è necessario individuare gli
STRUMENTI attraverso i quali raggiungere gli obiettivi. In terzo luogo, i policy-makers devono
poter disporre di un MODELLO DELL'ECONOMIA CHE METTA IN RELAZIONE GLI STRUMENTI
E GLI OBIETTIVI, così da poter scegliere valori ottimali degli strumenti.

TEOREMA DI TINBERGEN: SE LE AUTORITÀ DI POLITICA ECONOMICA SI PROPONGONO


DI RAGGIUNGERE "N" OBIETTIVI, DEVONO DISPORRE DI ALMENO "N" STRUMENTI.

Gli OBIETTIVI si possono classificare nel modo seguente:


• STABILIZZAZIONE, (controllo dell’INFLAZIONE e della DISOCCUPAZIONE);
• SVILUPPO DEL SISTEMA ECONOMICO;
• REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO;
• EQUILIBRIO DEI CONTI CON L'ESTERO.

STABILIZZAZIONE DELL’ECONOMIA. L'obiettivo della stabilizzazione include il controllo della


congiuntura economica, del livello dell'occupazione e il mantenimento della stabilità dei prezzi. Gli
STRUMENTI classici a disposizione dello Stato impiegati per il raggiungimento di questo obiettivo
sono la POLITICA FINANZIARIA (O FISCALE) e la POLITICA MONETARIA.
SVILUPPO DEL SISTEMA ECONOMICO. Per attuare politiche di sviluppo del reddito e
dell'occupazione, l'attenzione viene soprattutto rivolta a potenziare i settori produttivi, a incentivare
le spese per ricerca e sviluppo di nuove tecnologie, ad aumentare gli investimenti nell'istruzione e
così via. Lo strumento di coordinamento dell'attività economica per il raggiungimento di questo
obiettivo è dato dalla POLITICA DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA. Nei Paesi in cui la
disuguaglianza dello sviluppo regionale è causata da squilibri nella struttura produttiva, da

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maggiori tassi di disoccupazione e da situazioni di arretratezza, è necessaria una POLITICA DI
SVILUPPO REGIONALE. Le principali forme di intervento sono le spese in infrastrutture e gli
incentivi a investire per far sorgere "in loco" imprese e attività indotte.
REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA. La REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO a favore delle
categorie meno abbienti è un obiettivo fondamentale, che si è affermato con lo Stato sociale. Lo
strumento dell'intervento pubblico è costituito da un SISTEMA DI SICUREZZA SOCIALE finanziato
in parte con contributi obbligatori e in parte con trasferimenti a carico del bilancio dello Stato.
EQUILIBRIO DEI CONTI CON L'ESTERO. Costituisce il cosiddetto "obiettivo esterno". Esso
consiste nel perseguimento del PAREGGIO DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI.
Nella realtà le autorità di politica economica devono operare in CONDIZIONI DI INCERTEZZA.
L'incertezza può riguardare sia fatti al di fuori del controllo delle stesse autorità (come negli anni
’70 con l'aumento del prezzo del petrolio) sia gli effetti derivanti dagli strumenti adoperati.

LA POLITICA FINANZIARIA
LA POLITICA FINANZIARIA E LA POLITICA MONETARIA COSTITUISCONO I DUE
STRUMENTI PIÙ IMPORTANTI PER GOVERNARE L'ECONOMIA E PER PERSEGUIRE GLI
OBIETTIVI DELLA POLITICA ECONOMICA. DAL 1999, PER I PAESI CHE HANNO
INTRODOTTO L'EURO, LA POLITICA MONETARIA È UNICA E VIENE DEFINITA E ATTUATA
TRAMITE L' EUROSISTEMA, CHE COMPRENDE LA BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE) E
LE BANCHE CENTRALI NAZIONALI (vedi dopo).

LA POLITICA FINANZIARIA SI IDENTIFICA, A PARTIRE DAGLI ANNI TRENTA, CON LA


POLITICA FISCALE DI DERIVAZIONE KEYNESIANA per quanto riguarda gli effetti dell'entrata e
della spesa pubblica sul livello dell'attività economica nel breve periodo.
Per politica finanziaria si intende generalmente la POLITICA DI BILANCIO con i relativi obiettivi e
strumenti. Pertanto comprende sia la POLITICA DELL'ENTRATA (MANOVRA DEL LIVELLO E
DELLA STRUTTURA DELLE ENTRATE TRIBUTARIE) sia la POLITICA DELLA SPESA
PUBBLICA (MANOVRA DEL LIVELLO E DELLA COMPOSIZIONE DELLA SPESA).

POLITICA
POLITICA FINANZIARIA  POLITICA DI DELL’ENTRATA (TRIBUTI)
O POLITICA FISCALE BILANCIO
POLITICA
DELLA SPESA PUBBLICA

Per PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA si intende un metodo di impostazione delle previsioni di


entrata e di spesa del bilancio dello Stato. Tale metodo si concreta, nel sistema italiano, nel
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA (DPEF), che definisce la
manovra di finanza pubblica (vedi dopo). La "LEGGE FINANZIARIA" (con le leggi collegate)
costituisce la necessaria cerniera tra il DPEF e il bilancio dello Stato, in quanto è lo strumento di
attuazione della manovra di finanza pubblica.

LA POLITICA DI BILANCIO
Il bilancio dello Stato ha una funzione rilevante nel quadro generale della politica economica
poiché rappresenta il principale DOCUMENTO DI SINTESI DELLA POLITICA FINANZIARIA.

PER POLITICA DI BILANCIO, CIOE’ LA MANOVRA CHE REGOLA LE ENTRATE E LE SPESE


PUBBLICHE, SI INTENDE L’UTILIZZAZIONE DEL BILANCIO STATALE PER PERSEGUIRE
DETERMINATI OBIETTIVI DI POLITICA ECONOMICA, .

Per la stabilizzazione dell'economia, la politica di bilancio viene usata come strumento regolatore
della domanda aggregata in SENSO ESPANSIVO, (ad esempio nel caso di RECESSIONE 
AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA O DIMINUZIONE DEI TRIBUTI) o IN SENSO
RESTRITTIVO (nel caso di una DOMANDA ECCESSIVA RISPETTO ALL’OFFERTA quindi come
una misura antinflazionistica  RIDUZIONE DELLA SPESA O AUMENTO DEI TRIBUTI).

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Quindi la politica di bilancio in senso espansivo prevede un aumento della spesa e/o una
diminuzione delle entrate fiscali. La politica di bilancio in senso restrittivo prevede azioni opposte, e
cioè un freno alla spesa e/o un aumento delle entrate fiscali.

LA TEORIA KEYNESIANA DEL REDDITO E DELL'OCCUPAZIONE


Il principio affermato dalla TEORIA CLASSICA secondo il quale il sistema economico basato sulla
libera concorrenza tende automaticamente ad un equilibrio di piena occupazione, risultò
inadeguato e cominciò a essere messo in dubbio con la grande CRISI ECONOMICA SCOPPIATA
NEL 1929 negli Stati Uniti e diffusasi su scala mondiale.
L'economista inglese John Maynard KEYNES (1883-1946), con la sua opera fondamentale
“Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta”, pubblicata nel 1936, cercò di
dimostrare che se era vero che il sistema tendeva automaticamente all'equilibrio, NULLA POTEVA
ASSICURARE A PRIORI CHE SI TRATTASSE DI UN EQUILIBRIO DI PIENA OCCUPAZIONE.
Era evidente, dunque, che ci poteva essere un equilibrio di sottoccupazione senza che la teoria
tradizionale fosse in grado di spiegarlo.

LA DOMANDA AGGREGATA È COSTITUITA DALLA CAPACITÀ DI ACQUISTO DI TUTTO IL


SISTEMA, VALE A DIRE DALLA SPESA PER CONSUMI (FAMIGLIE), PIÙ LA SPESA PER
INVESTIMENTI (IMORESE), PIÙ LA SPESA PUBBLICA (STATO).
Essendo noto il meccanismo per cui talvolta il livello effettivo del reddito nazionale rimane al di
sotto del livello potenziale con disoccupazione e crisi economica, È POSSIBILE AGIRE SU UNA
DELLE COMPONENTI DELLA DOMANDA AGGREGATA PER STIMOLARE LA PRODUZIONE E
RAGGIUNGERE IL LIVELLO DI PIENA OCCUPAZIONE.

Le componenti della domanda aggregata sono le seguenti:


- consumi delle famiglie (C);
- investimenti (I);
- spesa pubblica (G).
- esportazioni (Ex), cioè la domanda di prodotti nazionali da parte del Resto del mondo.
SECONDO LA TEORIA KEYNESIANA LA DOMANDA AGGREGATA DETERMINA IL LIVELLO
DEL REDDITO NAZIONALE E DI CONSEGUENZA IL LIVELLO DELL'OCCUPAZIONE.
Il livello del reddito nazionale (Y) è determinato dalla DOMANDA EFFETTIVA, cioè dalla spesa per
beni di consumo effettuati dalle famiglie (C), dalla spesa per investimenti effettuati dalle imprese (I)
e dalla spesa pubblica (G) determinata dallo Stato, per cui si ha la seguente formula:

Y=C+I+G
Questa è la formula che definisce IL LIVELLO DI EQUILIBRIO DEL REDDITO NAZIONALE, infatti
la condizione di equilibrio è che tutto il reddito sia impiegato, sia cioè uguale alla spesa.
Per completare il modello si deve tener conto che il sistema economico ha RAPPORTI DI
SCAMBIO CON I PAESI ESTERI (RESTO DEL MONDO). Pertanto bisogna considerare anche le
importazioni (Im) e le esportazioni (Ex). LA FORMULA CHE DEFINISCE IL LIVELLO DEL
REDDITO NAZIONALE IN UN 'ECONOMIA APERTA È LA SEGUENTE:

Y = C + I + G + Ex - Im
LA DOMANDA AGGREGATA È UGUALE ALLA SOMMA DELLA SPESA INTERNA (CONSUMI +
INVESTIMENTI + SPESA PUBBLICA), ALLA QUALE BISOGNA AGGIUNGERE ANCHE LE
ESPORTAZIONI (CIOÈ LA DOMANDA DI PRODOTTI PROVENIENTE DALL'ESTERO), E
SOTTRARRE LE IMPORTAZIONI (LA DOMANDA DI PRODOTTI RIVOLTI ALL'ESTERO), in
quanto distraggono una parte della spesa dall'acquisto di beni prodotti all'interno.
Per ora trascuriamo il settore estero e consideriamo un’economia chiusa.

IL GRAFICO SEGUENTE RAPPRESENTA IL MODELLO KEYNESIANO DI DETERMINAZIONE


DEL LIVELLO DI EQUILIBRIO DEL REDDITO CHE SI HA QUANDO DOMANDA AGGREGATA E
REDDITO NAZIONALE SONO UGUALI. La bisettrice a 45° indica il luogo dei PUNTI DI
EQUILIBRIO a cui corrispondono segmenti uguali sui due assi. La retta I indica gli investimenti,
che si ipotizzano costanti e non influenzati dal reddito. La retta G rappresenta la spesa pubblica e

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anch’essa è considerata costante, in quanto determinata direttamente dallo Stato e non è
influenzata dal reddito. La retta dei consumi C è invece crescente, in quanto si ipotizza che al
crescere del reddito, aumentino anche i consumi.

DA
DA1 E DA = C + I + G

C
G
I

0 Y
Se aggiungiamo gli investimenti e la spesa pubblica, (che sono grandezze date, cioè indipendenti
dal reddito), ai consumi, otteniamo la RETTA DELLA DOMANDA AGGREGATA DA = C + I + G.
La retta della domanda aggregata DA ha lo stesso andamento crescente (rispetto al reddito) della
retta del consumo C. QUESTA RETTA INCONTRA LA BISETTRICE NEL PUNTO DI EQUILIBRIO
“E”, AL QUALE CORRISPONDE UNA DOMANDA AGGREGATA 0DA1 UGUALE AL REDDITO
NAZIONALE 0Y. SI DIMOSTRA COSÌ, IN MODO ELEMENTARE, CHE IL REDDITO NAZIONALE
È DETERMINATO DALLA DOMANDA AGGREGATA.

DA2 F D2 = C2 + I2 + G2
D1 = C1 + I1 + G1
DA1 E1
D=C+I+G
DA E
S

0 Y Y1
Se si suppone che il reddito potenziale di piena occupazione è pari a 0Y1, la domanda aggregata
deve risultare pari a 0DA1. Ma può darsi che la domanda sia insufficiente, ossia inferiore, pari a
0DA. In questo caso determina un reddito effettivo 0Y (inferiore a quello potenziale) per cui il
sistema si trova in equilibrio (E) ma con carenza di impieghi nei consumi e/o negli investimenti e
quindi con sottoccupaziòne di risorse. La questione fondamentale è questa: è possibile adottare
una politica economica che porti il sistema dall’equilibrio di sottoccupazione Y all’equilibrio di piena
occupazione Y1? SI PUÒ INTERVENIRE SUI CONSUMI O SUGLI INVESTIMENTI O SULLA

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SPESA PUBBLICA per permettere al sistema di raggiungere l’equilibrio di piena occupazione E1,
(lo Stato potrebbe intervenire aumentando la spesa pubblica).
Nel caso di domanda eccessiva pari a 0DA2 maggiore di 0DA1 che determina il reddito effettivo di
piena occupazione 0Y1, (il reddito effettivo coincide con quello potenziale), poiché il reddito non
può aumentare (in quanto non ci sono risorse da impiegare), l'eccesso di domanda ha un effetto
puramente monetario, cioè INFLAZIONISTICO, rappresentato nel grafico dal segmento E1F.
Questa inflazione “da domanda" si traduce in un aumento del livello dei prezzi.

Vediamo infine gli effetti di una politica economica sull’OCCUPAZIONE, secondo la teoria
keynesiana. Nel grafico seguente, il punto di equilibrio iniziale E1 comporta che la domanda
effettiva è 0DA1, il reddito nazionale 0Y1 e l'occupazione 0N1, (nella parte inferiore del grafico
viene rappresentata la situazione dell’occupazione N).

DA

DA2 E2 C + I + G2

DA1 C + I + G1
E1

0 Reddito
Y1 Y2 nazionale

N1

N2
Occupazione
Non c'è nessuna ragione per ritenere che N1 indichi un livello di piena occupazione, nel senso che
il sistema può trovarsi benissimo in EQUILIBRIO DI SOTTOCCUPAZIONE. Infatti domanda e RN
coincidono, ma una parte delle forze di lavoro (N1N2) è rimasta disoccupata perché la domanda
non è a un livello sufficiente per assorbirla interamente.
AUMENTANDO LA SPESA PUBBLICA (da G1 a G2), si sposta verso l'alto la domanda globale
(da D1 a D2) e si determina nel punto E2 un nuovo equilibrio: il reddito nazionale aumenta da Y1 a
Y2, incrementando anche l'occupazione fino al livello N2.

11
La "ricetta" keynesiana, per affrontare questo problema, considera DECISIVO IL RUOLO DELLO
STATO, il quale in presenza di fattori produttivi disoccupati deve far ricorso a una spesa pubblica
"aggiuntiva" che può essere finanziata con un deficit di bilancio. Lo strumento di politica economica
keynesiana noto con il termine DEFICIT SPENDING consiste in una spesa pubblica finanziata non
aumentando i tribbuti, ma attraverso un deficit di bilancio da colmare mediante l'accensione di
prestiti pubblici (DEBITO PUBBLICO).
Altri possibili strumenti suggeriti dalla politica economica keynesiana sono i seguenti:
1) lo Stato può stimolare la domanda aggregata DIMINUENDO I TRIBUTI: le famiglie e le
imprese avrebbero più denaro a disposizione che in parte verrebbe speso sotto forma di
CONSUMI e INVESTIMENTI;
2) lo Stato può intervenire attraverso la POLITICA MONETARIA, aumentando la quantità di
moneta in circolazione (vedi dopo).

IL MOLTIPLICATORE
Un elemento importante, nel modello economico keynesiano, è il MOLTIPLICATORE. Se si
aumenta una componente della domanda aggregata, (cioè C, I o G), questo aumento si traduce in
una crescita maggiore, (“moltiplicata”), del reddito nazionale. Il moltiplicatore designa il coefficiente
per misurare l'effetto sul reddito nazionale dI una variazione di qualche componente della
domanda aggregata. Avremo quindi un moltiplicatore degli investimenti, un moltiplicatore dei
consumi e un moltiplicatore della spesa pubblica.
Il moltiplicatore può essere rappresentato graficamente. Il punto E indica la posizione di equilibrio
iniziale fra reddito e domanda aggregata. Supponiamo aumentino gli investimenti I. La retta C+I+G
si sposta verso l'alto e il punto di equilibrio si sposta in E1. Come si vede dal grafico, LA
DISTANZA FRA LE DUE RETTE C + I + G CHE RAPPRESENTA L’AUMENTO DEGLI
INVESTIMENTI È MOLTO PIÙ PICCOLA DELLA DISTANZA CHE MISURA L’AUMENTO DEL
REDDITO (Y1 – Y). QUESTO E’ L’EFFETTO DEL MOLTIPLICATORE DEGLI INVESTIMENTI. UN
SIMILE EFFETTO E’ DETERMINATO DALLA SPESA PUBBLICA: IN CONDIZIONI DI
SOTTOCCUPAZIONE, LO STATO PUO’ INTERVENIRE AUMENTANDO LA SPESA PUBBLICA
E QUINDI STIMOLANDO LA DOMANDA GLOBALE: ANCHE QUESTO INTERVENTO AVRA’
COME CONSEGUENZA DI FARE AUMENTARE IL REDDITO COMPLESSIVO E
RAGGIUNGERE PERTANTO UN EQUILIBRIO DI PIENA OCCUPAZIONE.

DA1 E1

DA E

0 Y Y1
LA SCUOLA MONETARISTA
La teoria macroeconomica di Keynes ha aperto la strada, nei decenni successivi, allo sviluppo di
costruzioni teoriche (raggruppate sotto la denominazione di macroeconomia postkeynesiana).

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E’ la SCUOLA MONETARISTA DI MILTON FRIEDMAN a operare una vera e propria
controrivoluzione nei confronti del modello e della politica economica keynesiana. Ciò grazie anche
al successo ottenuto dalle "ricette" monetaristiche negli anni Settanta e Ottanta nel combattere
l'inflazione e il fenomeno nuovo e più complesso della stagfiazione (cioè ristagno economico con
inflazione). Eventuali imperfezioni nel funzionamento del sistema economico non vanno curate con
la "ricetta" di derivazione keynesiana di un intervento dello Stato mediante l'aumento della spesa
pubblica. Secondo i monetaristi, ciò concorre ad alimentare l'inflazione che si vorrebbe
combattere. Per Friedman e i monetaristi occorre principalmente una RIDUZIONE
DELL’INTERVENTO PUBBLICO NELL’ECONOMIA (che può comportare tensioni inflazionistiche)
e una POLITICA MONETARIA COERENTE, diretta a controllare l'offerta di moneta con variazioni
adeguate alla situazione economica.

LA POLITICA DI "STOP AND GO" ANTICONGIUNTURALE


A partire dagli anni Trenta, da parte di alcuni economisti fu proposta una politica economica
alternativa. Lo Stato deve porsi come obiettivo principale quello del CONTROLLO DELLA
DOMANDA AGGREGATA A SCOPO ANTICONGIUNTURALE, CIOÈ DI STABILIZZAZIONE
DELL'ECONOMIA. Quando la DOMANDA È TROPPO SOSTENUTA per cui, in presenza di una
certa rigidità dell'offerta, si ha un surriscaldamento dei prezzi (inflazione), i pubblici poteri devono
preoccuparsi di frenare la domanda.
SE DA>OA  I PREZZI AUMENTANO

Quando, invece, il sistema economico presenta una SITUAZIONE DI RECESSIONE, con calo
della domanda e del PIL (e disoccupazione), occorre porre in essere misure che stimolino la
domanda e l'espansione dell'attività economica.
SE DA < OA  DISOCCUPAZIONE, CALO DEL PIL …

Questo tipo di politica anticongiunturale è noto con la denominazione STOP AND GO POLICY.
Essa consiste infatti nell'adozione di STRUMENTI DI ARRESTO (STOP) DEL PROCESSO DI
ESPANSIONE QUANDO ESSO ASSUME CARATTERISTICHE INFLAZIONISTICHE; E,
VICEVERSA, NELL'IMPIEGO DI STRUMENTI ESPANSIVI (GO) QUANDO È NECESSARIO
INCENTIVARE L'ATTIVITÀ ECONOMICA PER COMBATTERE LA RECESSIONE.
La politica di stop and go può presentare dei LIMITI. Un limite, ad esempio, è costituito dal TEMPO
che occorre perchè una politica di questo tipo (come tutte le politiche anticicliche) produca i suoi
effetti. Infatti, i responsabili della politica economica devono decidere il tipo e le modalità degli
interventi. Mentre essi valutano la situazione, può accadere che la congiuntura imbocchi una fase
diversa. Inoltre, occorre del tempo perché i rimedi producano i loro effetti. Quando cominciano a
produrli, possono anche manifestarsi conseguenze impreviste.

LA POLITICA DELL'OFFERTA E LA POLITICA INDUSTRIALE


La politica dell'offerta consiste in tutti quegli interventi che incidono sulla STRUTTURA E SULLE
CARATTERISTICHE DELLA PRODUZIONE DI BENI E SERVIZI. L'insieme di questi interventi
rientra nel campo della POLITICA INDUSTRIALE. L'OBIETTIVO PRINCIPALE DELLA POLITICA
INDUSTRIALE È DI CREARE LE CONDIZIONI AFFINCHÉ LA PRODUZIONE POSSA ESSERE
REALIZZATA CON COSTI COMPETITIVI, (efficienza nell'uso dei fattori produttivi). Per creare tali
condizioni, si tende a individuare le forme di intervento più appropriate:
- INTERVENTI DI TIPO SETTORIALE
- INTERVENTI SULLE FORME DEI MERCATI
- INTERVENTI SULLE RELAZIONI CON I SINDACATI
- INTERVENTI SULLE COMPONENTI DEI COSTI
- INTERVENTI SULLA RICERCA E SULLA TECNOLOGIA.
In Italia la politica industriale è stata realizzata in questi ultimi decenni in prevalenza con la
concessione di AGEVOLAZIONI CREDITIZIE DESTINATE A ORIENTARE LE PRODUZIONI IN
PARTICOLARI SETTORI industriali o in particolari aree geografiche del Paese. Accanto a questi
interventi si sono avute altre forme di sostegno della produzione, come le COMMESSE
PUBBLICHE e le AGEVOLAZIONI FISCALI.

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LA POLITICA DEI REDDITI E LA CONCERTAZIONE
Per politica dei redditi si intende L'INSIEME DI DECISIONI GOVERNATIVE, DI ACCORDI FRA LE
PARTI SOCIALI (SINDACATI E IMPRESE) E DI MISURE ECONOMICHE IL CUI OBIETTIVO
PRINCIPALE E IMMEDIATO È IL CONTROLLO DELLA CRESCITA DEI SALARI E, PIÙ IN
GENERALE, ANCHE DEGLI ALTRI REDDITI. Il fatto che tale politica riguardi molto spesso i salari
si ricollega alla necessità di PREVENIRE UN'INFLAZIONE DA COSTI: INTERVENIRE AFFINCHÈ
LE RETRIBUZIONI NON AUMENTINO IN MODO INCONTROLLATO, SIGNIFICA ANCHE
CONTENERE GLI AUMENTI DEI COSTI CHE LE IMPRESE DEVONO SOPPORTARE, CHE
INEVITABILMENTE DETERMINEREBBERO UN AUMENTO DEI PREZZI (INFLAZIONE).

+ REDDITI  + COSTI PER LE IMPRESE  + PREZZI (INFLAZIONE)

La politica dei redditi è diventata frequente a partire dagli anni Settanta in seguito al manifestarsi di
fenomeni di STAGFLAZIONE, ossia di inflazione mista a ristagno e disoccupazione. Infatti per
combattere la stagflazione non sono sembrate sufficienti le tradizionali politiche fiscali e monetarie.
Le diverse attuazioni della politica dei redditi hanno avuto come obiettivo comune quello di
contenere la crescita del costo del lavoro nei limiti della produttività.

ALLINEARE LA CRESCITA DEI SALARI ALL'AUMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ (CHE È LA


"REGOLA AUREA" DELLA POLITICA DEI REDDITI) COSTITUISCE IL PRESUPPOSTO PER IL
CONTROLLO DELL’INFLAZIONE). Aumenti salariali, SE CONTENUTI NEI LIMITI
DELL'INCREMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ, non sono considerati di per sé inflazionistici.

L’attuazione di una politica dei redditi deve essere concordata fra i sindacati, le organizzazioni dei
datori di lavoro e il governo con un negoziato trilaterale.
In Italia le misure di politica dei redditi adottate dal governo, previo negoziato con le parti sociali, riguardarono nel 1985
l'entità e la periodicità degli scatti di SCALA MOBILE, fino ad allora lasciati alla libera contrattazione delle parti; (per
scala mobile si intende un meccanismo di adeguamento automatico dei saIari al costo della vita, mediante la variazione
delle retribuzioni alle variazioni dell’indice dei prezzi). L'attuazione più importante e significativa di politica dei redditi si è
avuta con lo "storico" accordo sul costo del lavoro, raggiunto dopo anni di trattative nel luglio 1993. Tale accordo ha
ridisegnato la politica delle relazioni industriali nel nostro Paese in quanto, oltre a bloccare la scala mobile, ha introdotto
la riforma della contrattazione salariale imperniata sulla tecnica del tasso programmato di inflazione.

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LA MONETA

Tranne le società primitive che praticavano il BARATTO, storicamente tutte le organizzazioni


umane hanno fatto uso della moneta. La MONETA nacque per l'insufficienza dello scambio in
natura e precisamente quando ci si accorse delle molteplici difficoltà che il baratto comportava.

LA MONETA-MERCE. IN UN PRIMO TEMPO, LA MONETA È COSTITUITA DA UNA MERCE


che, dopo un lento processo di selezione è prescelta per rendere più agevoli gli scambi. La merce
adoperata come moneta varia secondo i tempi e i luoghi. Secondo gli storici, le prime specie di
moneta sono quegli oggetti che recano un 'utilità diretta a chi li possiede: lance, scudi, pellicce,
barre di sale (Abissinia), bestiame (il pecus dei Romani, dal quale deriva il termine pecunia),
dracma (cioè un gruppo di sei chiodi nella Grecia antica), il tabacco in Virginia e così via.

LA MONETA METTALLICA. Più tardi vengono adoperate come moneta ALTRE MERCI DOTATE
DI UN VALORE INTRINSECO SPESSO NOTEVOLE COME I METALLI PREZIOSI, E
SOPRATTUTTO L'ORO E L'ARGENTO. Questi metalli preziosi presentano caratteristiche
particolari, che li rendono preferibili rispetto alla moneta-merce:
- OMOGENEITÀ: un pezzo d'oro dovunque sia estratto è sempre uguale a un altro pezzo
d'oro dello stesso peso;
- DIVISIBILITÀ IN SENSO ECONOMICO: un lingotto d'oro può essere diviso in più parti e la
somma dei valori delle parti equivale al valore del lingotto;
- ALTO VALORE IN POCO VOLUME (TRASPORTABILITÀ);
- MALLEABILITÀ: si può unire l'oro in lega con altri metalli e così coniare monete;
- RICONOSCIBILITÀ.
È proprio in base a queste caratteristiche che l'ORO costituisce il bene che più efficacemente ha
assolto in passato le funzioni di moneta. Nei tempi primitivi, il metallo (oro o argento) usato come
moneta SI PESAVA A OGNI SCAMBIO. Per procurarsi un bene era necessario consegnare al
proprietario del bene una certa quantità d’oro. Questo veniva pesato ed esaminato e, in base al
peso e alla qualità del metallo prezioso, si consegnava una certa quantità del bene richiesto.

LA MONETA CONIATA. SUCCESSIVAMENTE INTERVENNE LA CONIAZIONE A GARANTIRE


IL PESO E IL VALORE DEL METALLO: questo cioè fu diviso in pezzi, quasi sempre in forma di
dischi, sui quali la pubblica autorità impresse dei segni distintivi, (il viso di un re, di un imperatore,
ecc.). La CONIAZIONE, garantendo il peso e il valore della moneta, rende superflua la “pesatura”,
e di conseguenza rende gli scambi commerciali più veloci e sicuri.

LA MONETA LEGALE. IL CORSO LEGALE È IL REGIME DI CIRCOLAZIONE MONETARIA IN


CUI LA MONETA DEVE ESSERE ACCETTATA PER LEGGE COME MEZZO DI PAGAMENTO.
Lo Stato impone per legge a tutti gli operatori economici l’utilizzo di una moneta, costituita da
banconote, (moneta cartacea), e da monete metalliche, (dal valore “intrinseco” molto basso, cioè
ottenute utilizzando metalli poco costosi). La moneta legale è obbligatoria per tutti e nessun
operatore economico la può rifiutare.

Ma come si arriva alla moneta legale e alla moneta cartacea? Risultava conveniente
DEPOSITARE I METALLI PREZIOSI (ORO E ARGENTO) PRESSO OREFICI E MERCANTI,
ricevendo in cambio dei CERTIFICATI O NOTE DI DEPOSITO che garantivano la riconsegna del
metallo; risultava altresì conveniente utilizzare tali certificati PER EFFETTUARE PAGAMENTI.
IN UN PRIMO PERIODO, AI CERTIFICATI DI DEPOSITO IN CIRCOLAZIONE
CORRISPONDEVA UNA EQUIVALENTE QUANTITÀ DEPOSITATA DI ORO O ARGENTO.
Successivamente gli orefici e i mercanti di banca, considerando la SCARSA PROBABILITÀ CHE
TUTTI I DEPOSITANTI RICHIEDESSERO CONTEMPORANEAMENTE LA CONVERSIONE DEI
CERTIFICATI, cominciarono a USARE I METALLI PER EFFETTUARE PRESTITI ricavandone un
guadagno. In tal modo I CERTIFICATI IN CIRCOLAZIONE NON AVEVANO PIÙ UNA
COPERTURA EQUIVALENTE IN METALLI PREZIOSI, MA UNA COPERTURA SOLTANTO
PARZIALE. GLI OREFICI E I MERCANTI SI TRASFORMARONO IN BANCHIERI E LA LORO

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ATTIVITÀ È IL PRELUDIO DELLA BANCA MODERNA. In ogni momento, comunque, i certificati e
le banconote potevano essere convertiti in oro presso la banca. Tale sistema fu denominato
SISTEMA GOLD STANDARD. ANCORA IN EPOCA ANTERIORE ALLA PRIMA GUERRA
MONDIALE, E FINCHÉ FU IN VIGORE IL SISTEMA MONETARIO AUREO (GOLD STANDARD),
IN MOLTI PAESI SI POTEVA CONVERTIRE LA MONETA A CORSO LEGALE IN ORO
PRESENTANDOLA ALLA BANCA CENTRALE (ISTITUTO DI EMISSIONE).

A causa dello smisurato aumento del volume degli scambi commerciali, l’oro non era più
sufficiente a soddisfare le esigenze di tutti gli operatori economici e si passò all’inconvertibilità della
moneta legale. CON L'ISTITUZIONE DEL CORSO FORZOSO I BIGLIETTI DI BANCA NON
SONO PIÙ CONVERTIBILI IN ORO: LA MONETA CARTACEA DIVENTA COSÌ
FORZATAMENTE, CIOÈ PER LEGGE, UN MEZZO DI PAGAMENTO CHE DEVE ESSERE
ACCETTATO (MONETA LEGALE). LA CIRCOLAZIONE DELLE BANCONOTE È INDIPENDENTE
DALLE RISERVE VALUTARIE DELLA BANCA CENTRALE, che regola l'offerta di moneta usando
appositi "canali" come le banche e mediante gli strumenti della politica monetaria.

LA MONETA BANCARIA. Insieme alle banconote emesse dalla banca centrale e alle monete
divisionali, (monete di bronzo, nichel, acciaio, che hanno un basso valore intrinseco, cioè il valore
commerciale del metallo), la teoria monetaria considera moneta anche I DEPOSITI BANCARI CHE
DANNO LA POSSIBILITÀ DI USARE COME MEZZI DI PAGAMENTO GLI ASSEGNI. I vantaggi
della moneta bancaria sono notevoli sia per la SICUREZZA, sia per la possibilità di effettuare
pagamenti per SOMME INGENTI senza trasferimento di banconote.

LE FUNZIONI DELLA MONETA


La definizione della moneta si identifica con le FUNZIONI ESSENZIALI CHE SVOLGE:
a) MEZZO GENERALE DEGLI SCAMBI. La moneta consente più agevolmente del baratto il
trasferimento delle merci tra i vari soggetti.
b) UNITÀ DI CONTO. La moneta serve da unità di conto e da misura dei valori economici. Già
sappiamo che il valore di un bene espresso in moneta dicesi "prezzo". La moneta misura i
prezzi dei beni e servizi che si scambiano in un determinato sistema economico.
c) MEZZO LEGALE DI PAGAMENTO. La moneta estingue per legge le obbligazioni di
pagamento. Tutti gli operatori economici sono obbligati ad utilizzare e ad accettare la
moneta legale negli scambi commerciali.
d) RISERVA DI VALORE. Chi possiede moneta può spenderla, cioè consumarla, ma può
anche RISPARMIARLA per utilizzarla nell'acquisto di beni e servizi in un momento futuro.
La moneta consente di costituire una riserva di valore nel tempo, il suo valore, cioè, tende a
mantenersi nel tempo, (se i prezzi dei beni non aumentano …).
e) SCOPI PRECAUZIONALI E SPECULATIVI. La moneta viene detenuta in forma liquida
anche per SCOPI PRECAUZIONALI, (cioè per far fronte a spese future imprevedibili), e
SPECULATIVI, (cioè viene prestata in cambio di un tasso di interesse).
f) POTERE D’ACQUISTO. Un ulteriore funzione della moneta è quello di potere di acquisto,
che indica la quantità di beni e di servizi che si può acquistare con l’unità monetaria. Se ad
esempio con 1 euro si possono acquistare 500 grammi di pane, una matita, un biglietto
dell’autobus, avremo il valore della moneta in termini dei singoli beni e servizi.

IL POTERE D’ACQUISTO DELLA MONETA


Esiste una relazione fra prezzi e potere d’acquisto della moneta, e precisamente IL POTERE DI
ACQUISTO “A” DELLA MONETA È IL RECIPROCO DEL LIVELLO MEDIO GENERALE DEI
PREZZI “P”. QUESTO VUOL DIRE CHE PIÙ AUMENTA IL LIVELLO MEDIO DEI PREZZI
(INFLAZIONE), PIU’ DIMINUISCE IL POTERE DI’ACQUISTO DELLA MONETA (PIU’
AUMENTANO I PREZZI, MENO BENI POTRO’ COMPRARE).

A=1/P
La diminuzione del potere d’acquisto determinata dall’inflazione causerà una corsa all’acquisto di
bei di consumo, scoraggerà il risparmio monetario, indurrà i soggetti a trovare riparo nell’acquisto
di “beni – rifugio” (case, gioielli, quadri, azioni).

16
IL CAMBIO
IL CAMBIO È IL PREZZO DI UNA MONETA IN TERMINI DI UN’ALTRA MONETA. Si definisce
SVALUTAZIONE la riduzione del valore di una moneta rispetto ad una valuta estera. Viceversa la
RIVALUTAZIONE è l’aumento del valore di una moneta rispetto ad una valuta estera.

I NUMERI INDICI DEI PREZZI


Uno strumento fondamentale per l’osservazione statistica delle variazioni dei prezzi è il NUMERO
INDICE: questo esprime il LIVELLO MEDIO DEI PREZZI, IN RELAZIONE AL LIVELLO MEDIO
DEGLI STESSI PREZZI in un determinato periodo di riferimento, DETTO ANNO – BASE.
L’ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA (ISTAT) CALCOLA QUATTRO TIPI DI NUMERI INDICI
DEI PREZZI, distinti secondo il tipo di transazione:
 INDICI DEI PREZZI DELLA PRODUZIONE;
 INDICI DEI PREZZI PRATICATI DAI GROSSISTI;
 INDICI DEI PREZZI AL CONSUMO;
 INDICI DEI PREZZI ALL’IMPORTAZIONE E ALL’ESPORTAZIONE.
L’ISTAT calcola due diversi numeri indici dei prezzi al consumo:
 per l’intera collettività nazionale;
 per famiglie di operai e di impiegati.
Per calcolare i numeri indici si utilizza un PANIERE DI BENI, ponderati in base all’importanza e
alla frequenza di acquisto. Riprenderemo il discorso quando parleremo dell’inflazione.

LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA


Il filosofo scozzese Hume (1711 – 1776) è stato il primo a sostenere che, un INCREMENTO
DELL’OFFERTA DI MONETA SI TRADUCE IN UN AUMENTO GENERALIZZATO DEI PREZZI.
LA TEORIA QUANTITATIVA È STATA IN SEGUITO FORMALIZZATA DALL’ECONOMISTA
AMERICANO FISHER NEL 1911 CON LA SUA EQUAZIONE DEGLI SCAMBI.

Secondo questa teoria, il POTERE DI ACQUISTO DELLA MONETA DIPENDE DALLA QUANTITÀ
DI MONETA IN CIRCOLAZIONE, nel senso che è in una RELAZIONE INVERSA alla sua quantità.

SE LA QUANTITÀ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE AUMENTA, ANCHE I PREZZI TENDONO AD


AUMENTARE, (si pensi al periodo natalizio, quando molti lavoratori ricevono la tredicesima,
aumenta la q di M in circolazione, AUMENTA LA DOMANDA DI BENI E SERVIZI, i negozianti
aumentano i prezzi dei beni).
Indichiamo con “M” la QUANTITÀ DI MONETA MESSA IN CIRCOLAZIONE dalla Banca Centrale.
La VELOCITÀ DI CIRCOLAZIONE DELLA MONETA “V” è data dal numero di volte che la moneta
compie la sua funzione di intermediaria passando da un soggetto all’altro in un tempo determinato.
Se in un sistema si compiono in una giornata transazioni per 100 milioni di euro, le TRANSAZIONI,
(cioè gli scambi di beni e di servizi), relative possono avvenire o con 100 milioni di moneta, (le
transazioni avvengono utilizzando solo una volta la moneta: io compro un bene e chi riceve il
denaro nell’unità di tempo presa a riferimento non lo utilizza per comprare altri beni), o con 50
milioni di moneta, (le transazioni avvengono utilizzando più volte la stessa moneta: io compro un
bene e chi riceve il denaro lo utilizza per comprare a sua volta altri beni) o con 25 milioni di
moneta, (i 25 milioni di moneta vengono utilizzati complessivamente per effettuare 100 milioni di
transazioni nell’unità di tempo) … Nel secondo caso ogni unità monetaria avrà adempiuto la sua
funzione di moneta in media due volte:

100 milioni di transazioni : 50 milioni di moneta = 2 (V)


Nel terzo caso V sarebbe uguale a 4. Nel caso in cui fossero impiegati solo 10 milioni di moneta. la
velocità di circolazione della moneta sarebbe uguale a 10.

LA VELOCITÀ DI CIRCOLAZIONE DELLA MONETA SARÀ DATA QUINDI DAL RAPPORTO FRA
IL VALORE COMPLESSIVO DELLE TRANSAZIONI E LA QUANTITÀ DI MONETA IN
CIRCOLAZIONE. IL VALORE DELLE TRANSAZIONI, CIOÈ DEI BENI SCAMBIATI, È PARI A PQ,
CIOÈ IL PREZZO DEI BENI MOLTIPLICATO PER LA QUANTITÀ DI BENI ACQUISTATA. Quindi
avremo che:

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V = PQ
M
LA TEORIA QUANTITATIVA È STATA SINTETIZZATA DA FISHER NELL’EQUAZIONE DEGLI
SCAMBI, che illustra il principio per cui IL VALORE TOTALE DELLE MERCI SCAMBIATE SUL
MERCATO DEVE NECESSARIAMENTE ESSERE UGUALE AL FLUSSO DI MONETA, (non si
considera la funzione della moneta come riserva di valore). Dall’equazione precedente si ottiene:

MV = PQ

IL LIVELLO DEI PREZZI È DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALLA QUANTITÀ DI MONETA


IN CIRCOLAZIONE.
P=MV/Q
Secondo tale teoria è dunque dimostrato che IL LIVELLO DEI PREZZI DIPENDE
DIRETTAMENTE DALLA QUANTITÀ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE. Un aumento della quantità
di moneta in circolazione provocherà un aumento del livello dei prezzi: UN AUMENTO DELLA
QUANTITÀ DI MONETA (M) IN CIRCOLAZIONE PROVOCHERÀ INFLAZIONE (P), (ipotizzando
che V e Q siano relativamente costanti).

CRITICHE ALLA TEORIA. Nei confronti della teoria furono avanzate due critiche principali:
1) I prezzi possono aumentare senza che ciò dipenda dalla quantità di moneta o dalla
velocità  aumento dei prezzi dei BENI IMPORTATI (petrolio)
2) E’ difficile calcolare la velocità di circolazione della moneta (Fisher considerava V costante,
ma in realtà non è così).
LA FORMULA DI CAMBRIDGE
La formulazione di Fisher è stata rielaborata dagli economisti della scuola di Cambridge (Marshall) nella prima metà del
Novecento. La velocità di circolazione può essere riferita più correttamente al PIL = Y (con Y = PQ):
V=Y/M
Se chiamiamo k = 1 / V avremo che:
M = kY
K rappresenta la quantità di moneta detenuta dagli operatori economici ai fini di riserva di valore, (e quindi pari al
reciproco della velocità di circolazione). Anche per questi economisti, che ipotizzano costanti sia K che V, esiste una
relazione diretta tra quantità di moneta e livello dei prezzi.

IL MERCATO MONETARIO
Il mercato della moneta o dei capitali è suddiviso in due importanti settori (distinti ma
interdipendenti):
 IL MERCATO MONETARIO
 IL MERCATO FINANZIARIO
IL MERCATO MONETARIO SI RIFERISCE ALLA DOMANDA E ALL’OFFERTA DI MONETA A
BREVE TERMINE (prestiti con scadenza a pochi mesi, impieghi di moneta a basso rischio).
LA DOMANDA DI MONETA DERIVA DAI VARI SOGGETTI ECONOMICI CHE HANNO BISOGNO
DI CAPITALI: IMPRESE E FAMIGLIE. L’OFFERTA DI MONETA È DETERMINATA DALLA
BANCA CENTRALE E DAL SISTEMA BANCARIO.
IL PREZZO CHE SI FORMA NEL MERCATO MONETARIO SI CHIAMA TASSO DI INTERESSE:
se io richiedo moneta, (ad esempio chiedo un prestito ad una banca, dovrò restituire il denaro che
mi è stato prestato più una somma aggiuntiva che rappresenta l’interesse). UN T.I. ELEVATO
SCORAGGERÀ INVESTIMENTI E RICHIESTE DI PRESTITI.
La DOMANDA DI MONETA DELL'INTERO SISTEMA si ottiene sommando la domanda di moneta
di tutti gli operatori. Come la domanda individuale di moneta è una parte del reddito personale
disponibile, così la domanda di moneta del sistema economico è una parte del reddito nazionale.

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LE FUNZIONI DELLE BANCHE NEL SISTEMA ECONOMICO

La banca rappresenta un organismo fondamentale nell'economia monetaria e il suo sviluppo si


collega storicamente a quello del sistema capitalistico. La banca moderna, come istituzione
specializzata nel prestito di moneta, si è affermata fra il XVI e il XVII secolo con l'avvento
dell’economia capitalistica, nella quale le TIPICHE FUNZIONI DELLA BANCA, QUELLA
MONETARIA E QUELLA CREDITIZIA, diventano aspetti vitali dell'attività economica. IL
BANCHIERE SI AFFIANCÒ ALLA FIGURA DEL MERCANTE NELLO SVILUPPO DEI TRAFFICI E
DEGLI AFFARI. E il banchiere si chiamò così perché conduceva i suoi affari seduto dietro un
"banco" (dal termine latino bancum), dove svolgeva le sue funzioni principali: e cioè il CAMBIO
DELLE MONETE DI DIVERSO TIPO e il PAGAMENTO A DISTANZA SENZA TRASFERIRE
MATERIALMENTE IL DENARO, MA CON SEMPLICI REGISTRAZIONI CONTABILI
(GIROCONTO SUI DEPOSITI DEI CLIENTI).
La fase ulteriore fu l'EMISSIONE DEI CERTIFICATI DI DEPOSITO DI MONETA METALLICA E LA
SUCCESSIVA CIRCOLAZIONE DI QUESTI BIGLIETTI, (MONETA CARTACEA), COME NUOVA
FORMA DI MONETA, accettabile da tutti sul presupposto di una sua convertibilità in qualsiasi
momento in moneta metallica.
Con l'istituzione della Banca di Inghilterra (1694) si ha il prototipo della banca moderna nella quale
troviamo le DUE FUNZIONI TIPICHE DELLE BANCHE:
 la FUNZIONE MONETARIA, in quanto alla BANCA CENTRALE è concesso dallo Stato il
potere di emettere banconote aventi corso legale;
 la FUNZIONE CREDITIZIA, consistente nella concessione di PRESTITI agli operatori
economici i quali possono disporre di somme ed effettuare pagamenti mediante TITOLI DI
CREDITO (ASSEGNI).
Specialmente nel corso del XIX secolo si ha un notevole sviluppo di banche che tendevano a
specializzarsi nel finanziamento di particolari settori dell'attività economica a seconda della durata
delle operazioni e del grado di rischio assunto.
Si vanno così distinguendo, da un lato, BANCHE SPECIALIZZATE IN PRESTITI DI BREVE
DURATA, come sconto di cambiali o anticipazioni su titoli (banche commerciali) e, l'altro, BANCHE
CHE SI IMPEGNANO NEL SOSTENERE INIZIATIVE ECONOMICHE CON FINANZIAMENTI DI
LUNGA DURATA (BANCHE DI AFFARI).
Storicamente, mentre le banche di tipo commerciale hanno avuto grande importanza in Gran
Bretagna, la BANCA DI AFFARI ha avuto maggiore diffusione, accanto alle BANCHE
COMMERCIALI, soprattutto in Francia e in Germania. In questi Paesi, e sul finire del XIX secolo
anche in Italia, le banche di affari hanno svolto una parte di rilievo nel FAVORIRE LA NASCITA E
L'ESPANSIONE DI IMPRESE INDUSTRIALI, ASSUMENDONE PACCHETTI AZIONARI CHE SI
RISERVAVANO DI COLLOCARE, IN TUTTO O IN PARTE, PRESSO IL PUBBLICO.
Per quanto riguarda la tipologia delle banche, occorre DISTINGUERE LA BANCA CENTRALE
DALLE ALTRE BANCHE.
LA BANCA CENTRALE SVOLGE LA FUNZIONE DI ISTITUTO DI EMISSIONE, ED È L'ORGANO
TECNICO DI VIGILANZA DELL’INTERO SISTEMA BANCARIO DI PAESE.
Alle banche è riservato per legge l'esercizio dell'attività bancaria che ha carattere di impresa ed è
costituita dalla RACCOLTA DI RISPARMIO TRA IL PUBBLICO e dall'ESERCIZIO DEL CREDITO.
Oltre all'attività bancaria, le banche esercitano OGNI ALTRA ATTIVITÀ FINANZIARIA, NONCHÉ
ATTIVITÀ CONNESSE E STRUMENTALI.

LA BANCA CENTRALE
LA BANCA CENTRALE SVOLGE LA FUNZIONE DI ISTITUTO DI EMISSIONE DELLA MONETA,
CIOÈ DELLE BANCONOTE AVENTI CORSO LEGALE.
Con la formazione degli Stati nazionali si riconosce che affidando a una sola banca la funzione
della emissione di banconote si hanno notevoli vantaggi nel CONTROLLO DELLA QUANTITÀ DI
MONETA E DEL MERCATO MONETARIO.
LA BANCA CENTRALE attua la REGOLAZIONE DELL'OFFERTA DI MONETA e delle
CONDIZIONI DI LIQUIDITÀ dell'economia con gli strumenti della POLITICA MONETARIA.

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IL CANALE DELLE BANCHE
IL PRINCIPALE CANALE DELLA MONETA È COSTITUITO DAL SISTEMA DELLE BANCHE.
L'IMMISSIONE (O IL RITIRO) DI MONETA AVVIENE ATTRAVERSO ALCUNE OPERAZIONI TRA
LA BANCA CENTRALE E LE BANCHE.

Le banche possono procurarsi liquidità mediante il risconto di cambiali e tratte commerciali con
specifici requisiti, le anticipazioni su titoli, ecc. Il RISCONTO BANCARIO è l'operazione con la
quale UNA BANCA SCONTA PRESSO LA BANCA CENTRALE I TITOLI CAMBIARI, AL FINE DI
PROCURARSI FONDI LIQUIDI. Si tratta di un'operazione simile e successiva allo SCONTO
BANCARIO o cambiario, con cui il cliente ottiene dalla banca la liquidazione del proprio credito,
(dedotta una certa somma), prima della scadenza.

IL TASSO UFFICIALE DI SCONTO (TUS) È IL TASSO DI INTERESSE APPLICATO DALLA


BANCA CENTRALE SULLE OPERAZIONI DI RISCONTO PER CONCEDERE MONETA LIQUIDA
ALLE BANCHE. Dalla data di introduzione dell'euro (1° gennaio 1999), il TUS fissato dalla Banca
d'Italia è stato sostituito da un nuovo tasso di interesse stabilito dalla BANCA CENTRALE
EUROPEA, (BCE). QUESTO TASSO RAPPRESENTA IL TASSO DI RIFERIMENTO PER IL
COSTO DEL DENARO, IN QUANTO INFLUENZA I TASSI APPLICATI DALLE BANCHE SUI
PRESTITI ALLA CLIENTELA E GLI ALTRI TASSI DEL MERCATO MONETARIO. Il TUS, infatti,
rappresenta il tasso di interesse che la banca privata deve pagare alla Banca Centrale, per
eventuali prestiti, anticipazioni, operazioni finanziarie, ecc. La banca privata, a sua volta,
applicherà alla propria clientela un tasso di interesse più alto del TUS. Ecco perché si dice che il
TUS rappresenta il COSTO DEL DENARO, cioè è un indicatore di quanto costerà ai privati
ottenere un prestito dalle banche private.

Mediante il TUS, il COEFFICIENTE DI RISERVA OBBLIGATORIA (vedi dopo), ed operazioni


finanziarie con le banche private, la BANCA CENTRALE provvede a regolare l'OFFERTA DI
MONETA, cioè riesce ad influenzare la QUANTITA’ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE.

IL CANALE ESTERO
LA BANCA CENTRALE ACQUISTA E CEDE VALUTE ESTERE IN BASE AI TASSI DI CAMBIO DI CIASCUNA
VALUTA. Queste operazioni sono collegate all'andamento della bilancia dei pagamenti, come vedremo. PER IL
MOMENTO BASTI DIRE CHE QUANDO LA BILANCIA DEI PAGAMENTI È IN ATTIVO SI VERIFICA UN AFFLUSSO DI
VALUTE ESTERE CHE I CLIENTI CEDONO ALLE BANCHE RICEVENDO MONETA, CHE QUINDI VIENE IMMESSA
NEL SISTEMA ECONOMICO. VICEVERSA, QUANDO GLI OPERATORI NAZIONALI DEVONO EFFETTUARE
PAGAMENTI ALL'ESTERO, ACQUISTANO VALUTE ESTERE. SI HA IN QUESTO CASO UN RIENTRO DELLA
MONETA IN CIRCOLAZIONE.

IL CREDITO E L'INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA DELLE BANCHE


PER CREDITO SI INTENDE UNA FORMA DI SCAMBIO TRA UNA PRESTAZIONE ATTUALE E
LA PROMESSA DI UNA PRESTAZIONE FUTURA. Si può dire che il credito è sostanzialmente la
temporanea cessione dell'uso del risparmio. Presupposto del credito è la FIDUCIA che il creditore
nutre nei confronti del debitore, fiducia che può essere rafforzata mediante la CONCESSIONE DI
GARANZIE REALI (pegno, ipoteca) O PERSONALI (fideiussione, avallo).
SuoI dirsi che il credito è veicolo e strumento dell'attività economica in quanto conferisce a chi lo
ha ricevuto la disponibilità di beni o di moneta che altrimenti non avrebbe. D'altra parte anche chi
concede credito ad altri lo fa in genere allo scopo di trarne un UTILE (INTERESSE).
L'OPERAZIONE DI CREDITO CONSENTE DI UTILIZZARE IL RISPARMIO PER SCOPI
PRODUTTIVI, FINANZIANDO LE IMPRESE E L'ATTIVITÀ ECONOMICA IN GENERALE. Si parla
di CREDITO ALLA PRODUZIONE quando chi se ne serve sono le imprese produttrici di beni e
servizi. Oltre ai produttori si servono del credito anche i consumatori (CREDITO AL CONSUMO),
mediante acquisti a rate di appartamenti e di beni durevoli come automobili, elettrodomestici e così
via. Si può dire quindi che il credito pervade la vita economica in ogni settore e che lo sviluppo
dell'economia monetaria, reso possibile attraverso l'intermediazione finanziaria delle banche, ha
costituito UNO DEI FATTORI D'IMPULSO DEL SISTEMA CAPITALISTICO.

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LE BANCHE FANNO PARTE DELLA CATEGORIA GENERALE DEGLI INTERMEDIARI
FINANZIARI, IN QUANTO AGEVOLANO IL PASSAGGIO DI FONDI MONETARI DA OPERATORI
CHE LI DETENGONO IN QUANTITÀ SUPERIORE ALLE NECESSITÀ DI SPESA, AD ALTRI
OPERATORI CHE SI TROVANO NELLA CONDIZIONE OPPOSTA. Ma, a differenza degli altri
intermediari finanziari (istituti di assicurazione, fondi comuni di investimento ecc.), LE BANCHE
ATTRAVERSO IL MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI POSSONO AUMENTARE L'OFFERTA DI
MONETA con la creazione di moneta bancaria. Questo non accade per gli altri intermediari citati.

LA RACCOLTA DEL RISPARMIO E IL CREDITO


La raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono le principali attività
bancarie. Mediante la tipica OPERAZIONE PASSIVA che è il DEPOSITO, le banche raccolgono le
disponibilità di risparmio e impiegano i fondi a disposizione in OPERAZIONI DI CREDITO, che
servono a finanziare il fabbisogno delle imprese e a concedere credito alle famiglie.
La tipica OPERAZIONE ATTIVA è costituita dallo sconto di cambiali; altre operazioni di impiego
fondi sono le anticipazioni su titoli o su merci, le aperture di credito, i prestiti, i mutui.
Le banche basando la loro attività sulla moneta ricevuta in deposito, PAGANO AI DEPOSITANTI
UN INTERESSE. TALE INTERESSE RAPPRESENTA UN COSTO: PER QUESTO SI TRATTA DI
UN INTERESSE PASSIVO. QUESTO INTERESSE SI DISTINGUE DA QUELLO CHE LE
BANCHE RICEVONO DA COLORO AI QUALI HANNO CONCESSO UN PRESTITO E CHE È UN
INTERESSE ATTIVO. Naturalmente il tasso di interesse praticato dalle banche sui prestiti, cioè
L'INTERESSE ATTIVO, È MAGGIORE DEL TASSO DI INTERESSE PASSIVO.
LA DIFFERENZA FRA INTERESSI ATTIVI E PASSIVI, previa detrazione delle spese di gestione
(amministrazione, personale), COSTITUISCE UN UTILE NETTO PER LA BANCA.

IL MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI


OLTRE ALL'ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA, LE BANCHE SVOLGONO UN
'ALTRA IMPORTANTE FUNZIONE: LA CREAZIONE DI MONETA BANCARIA ATTRAVERSO IL
PROCESSO DI MOLTIPLICAZIONE DEI DEPOSITI. La possibilità di moltiplicare la moneta
discende dal fatto che CIASCUNA BANCA TRATTIENE UNA QUANTITÀ DI CIRCOLANTE
INFERIORE ALL'AMMONTARE TOTALE DEI SUOI DEPOSITI. Questo comportamento si
giustifica considerando che UN RITIRO IMPROVVISO DI TUTTI I DEPOSITI DA PARTE DEI
LORO TITOLARI È RITENUTO, IN PRATICA, IMPROBABILE. Quando le banche hanno trattenuto
la RISERVA OBBLIGATORIA DA VINCOLARE PRESSO LA BANCA CENTRALE, (vedi dopo),
possono impiegare gli altri fondi disponibili in operazioni attive, autorizzando i clienti a disporre dei
prestiti loro concessi mediante l'EMISSIONE DI ASSEGNI BANCARI.
IL PASSAGGIO DELLA MONETA BANCARIA DI MANO IN MANO PERMETTE LA CREAZIONE
DI SEMPRE NUOVI DEPOSITI E QUINDI UN AUMENTO DELL'OFFERTA DI MONETA.
Il MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI è il numero per il quale occorre moltiplicare il circolante
depositato per ottenere il totale dei depositi bancari e quindi l'ammontare complessivo della
moneta bancaria. Il moltiplicatore è tanto maggiore, quanto minore è l'aliquota di RISERVA
OBBLIGATORIA. Se, ad esempio, la riserva obbligatoria è pari al 2% della raccolta, il
moltiplicatore è dato dal reciproco dell'aliquota di riserva obbligatoria. Si ha che 2 / 100 = 0,02 il cui
reciproco è 1 / 0,02 = 50.
SE r E’ IL COEFFICIENTE DI RISERVA OBBLIGATORIA E SE 1 / r INDICA IL
MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI, LA FORMULA CHE ESPRIME IL LIMITE TEORICO
MASSIMO DELL'ESPANSIONE DEI DEPOSITI (D) È LA SEGUENTE:
D x 1/r
Le banche, oltre alla RISERVA OBBLIGATORIA, detengono sempre una certa RISERVA LIBERA,
rappresentata da una percentuale dei depositi ricevuti. Questa riserva aggiuntiva serve per
SODDISFARE LE ESIGENZE DI LIQUIDITÀ DELLA BANCA E CIOÈ PER LE NECESSITÀ DI
CASSA. Se consideriamo anche la riserva libera e supponiamo che essa sia pari all'8% dei
depositi, il coefficiente totale di riserva sale al 10%. Questo determina che moltiplicatore dei
depositi si ridurrà in quanto 10 / 100 = 0,1 il cui reciproco è 1 / 0,1 = 10. In pratica quindi IL
MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI risulterà normalmente INFERIORE a quello massimo possibile,
E CIÒ A CAUSA DELLA MONETA DETENUTA VOLONTARIAMENTE DALLE BANCHE.

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UN ESEMPIO ELEMENTARE
Supponiamo che la banca Alfa riceva da un cliente un deposito in moneta contante di 100.000 euro. La banca, per
conseguire un guadagno, tenderà a impiegare in prestiti alla clientela questo deposito. Ma poiché deve destinare a
riserva il 20% dei depositi, cioè 20.000 euro, potrà prestare i restanti 80.000 euro a una impresa calzaturiera, che ne ha
fatto richiesta, sotto forma di un'apertura di credito in conto corrente. L'impresa può utilizzare la somma messa a
disposizione emettendo assegni per effettuare i propri pagamenti. Supponiamo a questo punto che l'impresa calzaturiera
acquisti pellame da un'altra impresa per 80.000 euro e paghi con un assegno. L'impresa fornitrice del pellame, ricevuto
l'assegno, lo depositerà nel proprio conto corrente presso la banca Beta. La banca Beta terrà a riserva il 20% della
somma, e cioè 16.000 euro, e presterà i restanti 64.000 euro. Questa somma, a sua volta, verrà depositata presso una
terza banca, Gamma, provocando un nuovo prestito e un nuovo deposito, e così via. Poiché nel sistema economico
operano diverse banche ci troviamo di fronte a un processo di espansione dei depositi e, parallelamente, dei prestiti. A
ogni passaggio si riduce l'entità dei depositi. Infatti, possiamo scrivere:
100.000 + 80.000 + 64.000 + ...
per cui se facessimo tutti i passaggi con depositi via via decrescenti, troveremmo che l'espansione totale dei depositi è
pari a 500.000 euro. A questo risultato si arriva immediatamente, senza fare tutti i passaggi. L’ammontare dei depositi
totali si ottiene applicando la formula del moltiplicatore, cioè:
Dx 1/r nell' esempio che abbiamo fatto:
100.000 x 1/0,2 = 500.000
L'espansione dei depositi derivati risulta pari a 400.000 euro, che rappresenta il limite teorico massimo.

IL SISTEMA BANCARIO EUROPEO


Nel sistema bancario italiano la BANCA D'ITALIA È LA BANCA CENTRALE NAZIONALE.
Il COMITATO INTERMINISTERIALE PER IL CREDITO E IL RISPARMIO (CICR): a questo organo
collegiale partecipa il Presidente del Consiglio e i ministri a capo di un dicastero “economico”. Al
CICR spetta «L'ALTA VIGILANZA IN MATERIA DI CREDITO E DI TUTELA DEL RISPARMIO». Il
Comitato dà l'indirizzo politico e generale al sistema creditizio e PER LA SUA ATTUAZIONE SI
AVVALE DELLA BANCA D'ITALIA.
LA BANCA D'ITALIA: ATTUA L'INDIRIZZO POLITICO DECISO DAL CICR ED È L'ORGANO
TECNICO DI VIGILANZA SULL'INTERO SISTEMA CREDITIZIO.
Dal momento che l’Italia fa parte dell’Unione europea, la BANCA D’ITALIA è attualmente inserita
nel SISTEMA EUROPEO DELLE BANCHE CENTRALI (SEBC), a cui partecipano tutte le banche
centrali dei paesi membri. LA POLITICA MONETARIA E’ ORMAI ESERCITATA DALL’UNIONE
EUROPEA ATTRAVERSO LA BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE).

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INFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE

Il problema dell'inflazione, per gli effetti molteplici che determina sulla stabilità dei prezzi e
sull'attività economica, è al centro dell'attenzione degli economisti.

L’INFLAZIONE È L’AUMENTO GENERALE DEL LIVELLO DEI PREZZI DI BENI E DI SERVIZI


OVVERO LA DIMINUZIONE DEL POTERE DI ACQUISTO DELLA MONETA.
Il TASSO DI INFLAZIONE è la variazione percentuale (1%,2% ecc.) del livello dei prezzi in un
periodo di tempo determinato, rispetto a un uguale periodo precedente (mese, anno). Se invece il
livello dei prezzi scende si parla di DEFLAZIONE.

INFLAZIONE E DEFLAZIONE SONO FENOMENI CHE IMPEDISCONO ALLA MONETA DI


SVOLGERE BENE LA SUA FUNZIONE DI RISERVA DI VALORE. Infatti chi detiene moneta è
interessato all'andamento dell'indice generale dei prezzi, a un aumento del quale corrisponde una
DIMINUZIONE DEL POTERE D'ACQUISTO DELLA MONETA.
CON L'INFLAZIONE PERDONO I DETENTORI DI MONETA O COLORO CHE PERCEPISCONO
REDDITI FISSI (STIPENDI, SALARI, PENSIONI, INTERESSI ECC.) O COLORO CHE HANNO
PRESTATO UNA SOMMA DI DENARO PREFISSATA (I CREDITORI); GUADAGNANO COLORO
CHE SONO TENUTI A RESTITUIRE UNA DETERMINATA SOMMA DI DENARO (I DEBITORI).
Per sfuggire al rischio dell'inflazione in alcuni casi LE SOMME MONETARIE VENGONO
PATTUITE IN TERMINI REALI. Questo comporta che nel giorno del pagamento il valore nominale
della somma da corrispondere debba essere AGGIORNATO IN BASE ALL’INDICE DEI PREZZI.
Se la somma pattuita è 1.000 euro, e all'atto del pagamento si deve tener conto di un tasso di
inflazione del 3%, la somma da corrispondere sarà pari a 1.030 euro. Si dice in questi casi che i
PAGAMENTI SONO INDICIZZATI.

I TIPI DI INFLAZIONE E LE CAUSE


INFLAZIONE MONETARIA. Spesso alla base dell'inflazione c'è comunque un FENOMENO DI
CARATTERE MONETARIO in quanto il processo inflazionistico viene ALIMENTATO DA UN
AUMENTO DELL'OFFERTA DI MONETA, CIOÈ DA UN TASSO DI CRESCITA ANNUO DELLA
QUANTITÀ DI MONETA SUPERIORE ALLA CRESCITA DEL PIL REALE. È questa la
spiegazione dell'inflazione data dalla TEORIA MONETARISTA che è diventata sempre più
influente negli ultimi decenni, soprattutto per merito di Friedman. I monetaristi sostengono che
L'ESPANSIONE MONETARIA SIA LA CAUSA DELL'AUMENTO DEI PREZZI secondo la nuova
formulazione della teoria quantitativa della moneta.

PRIMA CAUSA DELL’INFLAZIONE 


AUMENTO ECCESSIVO DELLA QUANTITA’ DI MONETA

INFLAZIONE DA DOMANDA. Quando aumenta eccessivamente una componente della


DOMANDA AGGREGATA, (come i consumi, gli investimenti o la spesa pubblica), rispetto
all’OFFERTA AGGREGATA, si può verificare come conseguenza un aumento dell’inflazione. Di
recente si è riconosciuta da parte dei monetaristi la RILEVANZA DELLA POLITICA FISCALE.
Secondo alcuni autori, L'ESPANSIONE DELLA SPESA PUBBLICA, finanziata con notevoli
disavanzi di bilancio, ha costituito una delle CAUSE DELL'INFLAZIONE degli anni ‘70 e ‘80.

SECONDA CAUSA DELL’INFLAZIONE 


AUMENTO ECCESSIVO DELLA SPESA PUBBLICA O DI UN’ALTRA COMPONENTE DELLA
DOMANDA AGGREGATA

INFLAZIONE DA COSTI E INFLAZIONE IMPORTATA. Quando aumentano i COSTI delle


imprese, tali aumenti sono spesso scaricati sui prezzi, provocandoquindi inflazione. Se ad esempio
le imprese sono costrette ad aumentare i salari dei propri lavoratori, questo potrebbe determinare
un aumento dei prezzi, (INFLAZIONE DA COSTI). Lo stesso meccanismo si verifica allorchè
aumentano i costi dei beni importati e o dalle imprese come fattori produttivi o direttamente dai
consumatori, (INFLAZIONE IMPORTATA). Negli anni ’50 e ‘60 l'inflazione aveva rappresentato un

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fenomeno di modesta entità per i Paesi industrializzati. Ma a partire dal 1973 (CRISI
PETROLIFERA) e fino alla prima metà degli anni Ottanta si sono registrati aumenti dei prezzi
molto elevati con un tasso medio annuo di inflazione superiore al 10%. Le punte più alte sono state
toccate in Italia e Gran Bretagna che hanno dovuto sperimentare tassi di inflazione intorno al 20%.
Questo tipo di inflazione era causato dall’AUMENTO DEI PREZZI DELLE MATERIE PRIME
(petrolio): queste erano spesso importate e quindi il loro prezzo era difficilmente controllabile.

TERZA CAUSA DELL’INFLAZIONE  AUMENTO DEI COSTI DELLE IMPRESE E DEI PREZZI
DEI BENI E SERVIZI IMPORTATI

Dalla seconda metà degli anni Ottanta le politiche economiche "di rientro" dall'inflazione si sono
rivelate efficaci. per la generalità dei Paesi industrializzati. Dopo l'ingresso nell'euro l'obiettivo è di
tenere sotto controllo il tasso di inflazione (che è uno dei "PARAMETRI" IMPOSTI DAL
TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA DEL 1992 - 1993 O TRATTATO DI MAASTRICHT).

IN RELAZIONE, INVECE, ALL'INTENSITÀ DEL FENOMENO INFLAZIONISTICO SI POSSONO


DISTINGUERE ALTRI TRE TIPI DI INFLAZIONE.
L'INFLAZIONE STRISCIANTE è quella caratterizzata dall'aumento lento dei prezzi (in misura
dell’1-3% all'anno) ed è determinata da ragioni di ordine strutturale relative all'imperfetto
funzionamento del meccanismo dei prezzi o dalla pressione dei salari.
L'INFLAZIONE GALOPPANTE (o selvaggia) è quella caratterizzata da aumenti dei prezzi molto
elevati, nell'ordine del 10-20%, e talvolta anche di più, all'anno. Questo tipo di inflazione è
determinato da EVENTI ECCEZIONALI come i perturbamenti economici dovuti alle guerre. Ma
anche in tempi di pace un'inflazione del genere può scatenarsi soprattutto nei PAESI IN VIA DI
SVILUPPO, per effetto di una pressione della domanda in eccesso rispetto alI’offerta di beni e
servizi, cioè al prodotto nazionale.
L'IPERINFLAZIONE è caratterizzata da aumenti vertiginosi dei prezzi (oltre il 100%).

TEORIE E CAUSE DELL'INFLAZIONE

L’INFLAZIONE DA MONETA
Secondo la TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, teoria rappresentata dall’equazione dello
scambio o formula di Fisher, MV = PQ, un AUMENTO DELLA QUANTITÀ DELLA MONETA
PROVOCA NECESSARIAMENTE UN AUMENTO DEL LIVELLO DEI PREZZI: secondo i
sostenitori di tale teoria l’inflazione dipendeva unicamente da fattori monetari.
Negli anni Trenta la validità di questa teoria fu criticata da Keynes, secondo il quale l’offerta di
moneta può influenzare la produzione e l’occupazione. L’inflazione, infatti, veniva spiegata come
un fenomeno connesso a un ECCESSO DELLA DOMANDA AGGREGATA: SE LA DOMANDA
RISULTA MAGGIORE DEL REDDITO NAZIONALE EFFETTIVO (CHE NON PUÒ AUMENTARE
NEL CASO DI PIENA OCCUPAZIONE) VI SARÀ UN INCREMENTO DEI PREZZI.
Se i lavoratori intendono difendere il potere d'acquisto dei salari, ottenendo un aumento, questo si
scaricherà sui costi di produzione e quindi sui prezzi, innescando una SPIRALE
INFLAZIONISTICA "PREZZI – SALARI - PREZZI". Occorre quindi distinguere ALTRE DUE
TEORIE DELL'INFLAZIONE E CIOÈ L'INFLAZIONE DA DOMANDA E L'INFLAZIONE DA COSTI.

L’INFLAZIONE DA DOMANDA
Nel modello di inflazione da eccesso di domanda si verifica uno SQUILIBRIO FRA LA DOMANDA
AGGREGATA E L'OFFERTA DI BENI E SERVIZI, DETERMINANDO UN "VUOTO"
(COSIDDETTO "VUOTO INFLAZIONISTICO") NEL SISTEMA ECONOMICO CHE VIENE
COLMATO DALL'AUMENTO DEI PREZZI.
Per combattere tensioni inflazionistiche da domanda bisogna AGIRE SULLE SUE COMPONENTI
e in particolare sui consumi delle famiglie e sulla spesa pubblica. Come freno a una spesa
eccessiva per consumi si può ricorrere, entro certi limiti, a un INASPRIMENTO DELLE IMPOSTE,
che ha come effetto di ridurre il reddito personale disponibile. Con la riduzione della domanda per
questa via si può ottenere un "raffreddamento" dei prezzi. Per il CONTENIMENTO DELLA SPESA

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PUBBLICA in presenza di disavanzi di bilancio, è necessaria una politica di bilancio rigorosa
agendo con tagli alle spese pubbliche improduttive.
L’INFLAZIONE DA DOMANDA SI DIFFERENZIA DA QUELLO "CLASSICO" (RISULTANTE DA
UN AUMENTO DELLA QUANTITÀ DI MONETA M) PERCHÉ NEL PROCESSO
INFLAZIONISTICO IL PRIMO MOTORE NON È LA POLITICA MONETARIA; IL PRIMO MOTORE
È UN ECCESSO DELLA DOMANDA PROVOCATO DA DUE SUE COMPONENTI: LA SPESA
PER CONSUMI E LA SPESA PUBBLICA.

DA
DA1=C1+I1+G1
DA1 F
DA = C + I + G
DA E

0 Y Reddito nazionale
Nel caso di domanda in eccesso pari a 0D1, maggiore di 0DA che determina il reddito di equilibrio
di piena occupazione 0Y, poiché il reddito effettivo non può aumentare (in quanto non ci sono
risorse da impiegare), L'ECCESSO DI DOMANDA HA UN EFFETTO INFLAZIONISTICO (EF).

L'INFLAZIONE DA COSTI
NELLA TEORIA CHE IDENTIFICA LA CAUSA DELL'INFLAZIONE NELLA SPINTA DEI COSTI,
L'AUMENTO DEI PREZZI VIENE DETERMINATO DA UN AUMENTO DEI COSTI DEI FATTORI
PRODUTTIVI E IN PARTICOLARE DEI SALARI.
In questo caso l'essenza del fenomeno inflazionistico è extramonetaria, perché riflette il
CONFLITTO FRA SALARI E PROFITTI.
QUESTA TEORIA SOSTIENE CHE UN AUMENTO SALARIALE (O UN AUMENTO DEL COSTO
DELLE MATERIE PRIME), COMPORTANDO UN AUMENTO DEI COSTI PER LE IMPRESE E
QUINDI UNA DIMINUZIONE DEI PROFITTI, SI TRADUCE IN UN AUMENTO DEI PREZZI.

L'INFLAZIONE IMPORTATA
Oltre all'INFLAZIONE DA COSTI determinata da un aumento dei salari superiore a quello della
produttività del lavoro, un altro caso è quello dovuto all'AUMENTO DI ALTRI COSTI DI
PRODUZIONE COME I PREZZI DEL PETROLIO (principale fonte di energia in quasi tutte le
economie industrializzate) E DELLE MATERIE PRIME IMPORTATE.
Se i Paesi produttori di petrolio e di materie prime sono in grado di controllare i mercati di questi
prodotti costituendo delle coalizioni o "cartelli", (come l'OPEC, l'organizzazione che raggruppa i
principali Paesi esportatori di petrolio), essi saranno in grado di regolare l'offerta e quindi di fissare
prezzi più alti per massimizzare i ricavi.
Ad esempio negli anni Settanta l'aumento del prezzo del petrolio ha provocato nei Paesi
industrializzati un'impennata dei costi di produzione e del costo della vita, determinando la
cosiddetta INFLAZIONE IMPORTATA, in quanto dovuta ad un aumento dei costi delle
importazioni, e quindi a CAUSE ESOGENE (CIOÈ ESTERNE AI SINGOLI PAESI).
Ciò ha richiesto misure di risparmio energetico (come le "domeniche senza auto"), ma anche lo
sviluppo di fonti energetiche alternative come le centrali nucleari.

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INFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE: LA CURUA DI PHILLIPS
L'economista neozelandese Phillips (1914-1975) in una ricerca riguardante un secolo di vicende
del mercato del lavoro in Gran Bretagna (dal 1861 al 1957) dimostrò l'esistenza di una
RELAZIONE STABILE FRA LE VARIAZIONI DEI SALARI NOMINALI E I LIVELLI DI
DISOCCUPAZIONE. SECONDO QUESTA RELAZIONE INVERSA (TRADE - OFF) I SALARI, E
QUINDI ANCHE I PREZZI, COMINCEREBBERO A CRESCERE QUANDO LA
DISOCCUPAZIONE SIA SCESA AL DI SOTTO DI UN CERTO LIVELLO.

tasso di inflazione

0 tasso di disoccupazione
SECONDO LA "CURVA DI PHILLIPS" UN TASSO DI DISOCCUPAZIONE PIÙ BASSO IMPLICA
UN TASSO DI INFLAZIONE PIÙ ALTO E VICEVERSA, PER CUI VI È UNA SCELTA PER LA
SOCIETÀ FRA UNA RAGIONEVOLE PIENA OCCUPAZIONE MA PREZZI CRESCENTI, O
RAGIONEVOLI PREZZI STABILI CON UNA CERTA DISOCCUPAZIONE.
I dati statistici proposti da Phillips hanno confermato l'ipotesi per certe economie e per certi periodi
storici. Ma dati successivi hanno smentito la relazione illustrata dalla "curva di Phillips".

LA STAGFLAZIONE
Nel corso degli anni Settanta, in seguito allo scoppio di notevoli processi inflazionistici in tutto il
mondo, IL MODELLO DI PHILLIPS NON SI È DIMOSTRATO ADEGUATO A DESCRIVERE LA
REALTÀ ECONOMICA PER LA COMPARSA DI UN FENOMENO NUOVO, DENOMINATO
STAGFLAZIONE, CIOÈ RISTAGNO (STAGNAZIONE) MISTO A INFLAZIONE. Fino agli anni
Settanta, le fasi di ristagno e di inflazione si succedevano nel tempo e i governi facevano ricorso a
una politica economica del tipo denominato STOP AND GO, vale a dire brusche frenate, in caso di
domanda globale esuberante (mediante nuove imposte e aumento dei tassi di interesse), e
successive manovre di espansione, stimolando i consumi e gli investimenti, in caso di recessione.
LA CARATTERISTICA ESSENZIALE DELLA STAGFLAZIONE È CHE SI REGISTRANO ALTI
TASSI DI INFLAZIONE E CONTEMPORANEAMENTE RECESSIONI PIÙ O MENO GRAVI CON
CONSEGUENTE DISOCCUPAZIONE.
Negli anni Settanta si sono registrati FENOMENI INTERNAZIONALI, come la crisi petrolifera e
l'aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime, che hanno alimentato in molti Paesi le
tensioni inflazionistiche. L’INFLAZIONE IMPORTATA PROVIENE DALL’ESTERNO DEL SISTEMA
ECONOMICO: SE LA SITUAZIONE È DI RECESSIONE E I PREZZI DELLE MATERIE PRIME
IMPORTATE AUMENTANO, PUÒ DETERMINARSI UNA SITUAZIONE DI STAGFLAZIONE.

IN CONCLUSIONE, UNA TEORIA GENERALE DELL'INFLAZIONE PUÒ ACCOGLIERE DIVERSI


MECCANISMI ESPLICATIVI CONCOMITANTI. Il tasso d'inflazione può essere influenzato
dall’eccesso di domanda, da elementi che influiscono sui costi (aumento dei livelli salariali superiori
a quelli della produttività, prezzi delle merci importate). Infine, l'inflazione può essere ricollegata a
politiche monetarie o di spesa pubblica responsabili di creare un eccesso di moneta o di domanda.

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EFFETTI DELL'INFLAZIONE
L'inflazione SCORAGGIA IL RISPARMIO MONETARIO dato che, con il trascorrere del tempo, i
risparmiatori vedono DIMINUITO IL POTERE DI ACQUISTO DELLA MONETA, per cui in periodi di
inflazione spesso si colloca il risparmio monetario nell'acquisto di BENI-RIFUGIO, (immobili, oro).
Anche per le imprese l'inflazione risulta dannosa, perché impedisce di compiere CALCOLI
ECONOMICI CORRETTI, a causa del mutamento dei valori monetari, (prestiti, finanziamenti …).
Le conseguenze più gravi riguardano l'EQUITÀ NELLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO, in
quanto l'inflazione, DANNEGGIA I PERCETTORI DI REDDITI FISSI (lavoratori dipendenti,
pensionati ecc.) che avvertono l'erosione dei propri redditi in termini reali. I REDDITI DI IMPRESA
E DA LAVORO AUTONOMO, INVECE, SI ADEGUANO PIÙ RAPIDAMENTE ALL'INFLAZIONE
SPECIE SE È POSSIBILE PROCEDERE AD AUMENTI DEI PREZZI.
L'inflazione ha conseguenze negative anche per quanto riguarda la COMPETITIVITÀ dei prodotti
nazionali sui mercati esteri, (in quanto i prezzi dei prodotti interni aumentano rispetto ai prezzi dei
prodotti esteri), per cui SCORAGGIA LE ESPORTAZIONI E STIMOLA LE IMPORTAZIONI.
Un altro effetto perverso dell'inflazione è il FISCAL DRAG (DRENAGGIO FISCALE) che si ha nel
campo tributario per quanto riguarda le imposte sul reddito a scaglioni, tassati con aliquote
crescenti (ad esempio, l'IRPEF). Quando il reddito cresce nominalmente per effetto dell’inflazione
(le retribuzioni sono spesso agganciate automaticamente al tasso di inflazione), RICADE IN
SCAGLIONI CHE PREVEDONO UN’ALIQUOTA PIÙ ELEVATA e aumenta la parte di reddito
"drenata" dall'imposta. Per neutralizzare il drenaggio fiscale, il rimedio consiste nell'adeguamento
degli scaglioni o delle aliquote.

LE POLITICHE ANTINFLAZIONISTICHE
Data la complessità del fenomeno, NON ESISTE UNA TERAPIA VALIDA PER TUTTI I CASI,
perché bisogna tener conto delle cause principali dell'inflazione.
Secondo la tesi dei monetaristi, è necessario programmare un adeguato "pacchetto" di misure
antinflazionistiche. La prima raccomandazione è di CONTROLLARE IL TASSO DI ESPANSIONE
DELL'OFFERTA DI MONETA. LA "STRETTA CREDITIZIA", però, causa anche effetti indesiderati
sugli investimenti e sull'occupazione.

INFLAZIONE DA MONETA?  CONTROLLO DELLA QUANTITA’ DI MONETA

IN CASO DI INFLAZIONE DA ECCESSO DI DOMANDA, SI PUÒ RICORRERE, ENTRO CERTI


LIMITI, A UN INASPRIMENTO DELLE IMPOSTE. In pratica, però, la manovra fiscale può risultare
difficile soprattutto se la pressione fiscale è già forte.

INFLAZIONE DA DOMANDA?  AUMENTARE I TRIBUTI O CONTROLLO DELLE ALTRE


COMPONENTI DELLA DOMANDA AGGREGATA (SPESA PUBBLICA)

Per combattere l'inflazione "a due cifre" degli anni ‘70 si è fatto ricorso con successo a una miscela
di politiche monetarie e fiscali e all'adozione di una POLITICA DEI REDDITI.

INFLAZIONE DA COSTI (aumento dei salari oltre la produttività)?  POLITICHE DEI REDDITI

SALARI E INFLAZIONE: DALLA SCALA MOBILE ALL'ACCORDO SUL COSTO DEL LAVORO
Un problema non facile da risolvere, per neutralizzare gli effetti dell'inflazione, è quello di creare un'adeguata
PROTEZIONE DEL POTERE D'ACQUISTO DEL SALARIO (la tutela del salario reale). Fino al 1992 in Italia ha
funzionato un meccanismo di indicizzazione automatica del salario, noto con il termine SCALA MOBILE, IN QUANTO
FACEVA AUMENTARE LE RETRIBUZIONI A OGNI VARIAZIONE DEL COSTO DELLA VITA.
Il meccanismo automatico della scala mobile è stato a lungo oggetto di critiche. Si è osservato che la scala mobile
innescherebbe un MECCANISMO "PERVERSO", nel senso che il maggior denaro corrisposto ai lavoratori
alimenterebbe la stessa inflazione (SPIRALE INLAZIONISTICA PREZZI – SALARI – PREZZI).
Il negoziato per bloccare la scala mobile è stato avviato anche per consentire all'Italia di RISPETTARE IL PARAMETRO
DEL TASSO DI INFLAZIONE PREVISTO DAL TRATTATO DI MAASTRICHT DEL 1992 per la partecipazione alla
moneta unica, (il tasso di inflazione non doveva superare dell'1,5% la media dei tre Paesi con l'inflazione più bassa).
Con l’ACCORDO SUL COSTO DEL LAVORO, siglato nel luglio 1993 da sindacati, organizzazioni dei datori di lavoro e
governo, se da un lato si è deciso di bloccare la scala mobile, dall'altro è stati stabiliti quanto segue:

27
I CONTRATTI COLLETTIVI NAZIONALI DI CATEGORIA DURANO QUATTRO ANNI PER LA MATERIA NORMATIVA E
DUE ANNI PER LA MATERIA RETRIBUTIVA (minimi contrattuali). GLI AUMENTI SALARIALI DEVONO ESSERE
COERENTI CON L'INFLAZIONE PROGRAMMATA.
L'adeguamento del salario al costo della vita si inquadra nella politica dei redditi basata sulla CONCERTAZIONE fra
governo, sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro e sulla tecnica del TASSO PROGRAMMATO DI INFLAZIONE,
(cioè il tasso di inflazione concertato annualmente quale obiettivo del governo e delle parti sociali).

DISINFLAZIONE E DEFLAZIONE
PER DISINFIAZIONE SI INTENDE LA RIDUZIONE DELL'INFLAZIONE SENZA COMPROMETTERE LO SVILUPPO
ECONOMICO. A partire dagli anni Ottanta i maggiori Paesi industrializzati hanno imboccato la via della disinflazione,
attraverso l'adozione di provvedimenti organici di politica economica.
Diversa dalla disinflazione è la DEFLAZIONE, CHE CONSISTE IN UNA DIMINUZIONE GENERALIZZATA DEI PREZZI
(CON CONSEGUENTE AUMENTO DEL POTERE D'ACQUISTO DELLA MONETA) ACCOMPAGNATA DA UNA
CONTRAZIONE DELLA PRODUZIONE E DEL REDDITO E UN AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE, (un caso di
deflazione si è registrato durante la crisi economica degli anni Trenta).

LA DISOCCUPAZIONE

PER DISOCCUPAZIONE SI INTENDE LA CONDIZIONE DI COLORO CHE NON HANNO


UN'OCCUPAZIONE, MA SONO DISPOSTI A LAVORARE. Il livello della disoccupazione è
misurato dal TASSO DI DISOCCUPAZIONE, che è dato dal RAPPORTO TRA IL NUMERO DI
DISOCCUPATI E IL TOTALE DELLE FORZE DI LAVORO.

TIPI DI DISOCCUPAZIONE E CAUSE


DISOCCUPAZIONE VOLONTARIA E DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA - Tale distinzione ha
origine nella dottrina keynesiana, secondo la quale la disoccupazione è solo quella involontaria e
può essere ELIMINATA DA UN AUMENTO DELLA DOMANDA AGGREGATA E DEL REDDITO
NAZIONALE. La DISOCCUPAZIONE VOLONTARIA non può essere eliminata allo stesso modo e
per i keynesiani non rappresenta un problema in quanto DIPENDE DALLA VOLONTÀ DEI
LAVORATORI CHE DECIDONO DI NON LAVORARE o di lasciare un lavoro per cercarne un altro.
PER I MONETARISTI (Friedman) e per gli economisti della nuova macroeconomia classica
(Lucas), la DISOCCUPAZIONE È INVECE SEMPRE VOLONTARIA, in quanto il mercato del
lavoro va considerato COME QUALSIASI MERCATO CONCORRENZIALE, nel quale il prezzo del
lavoro, cioè il salario, viene determinato dalla domanda e dall'offerta di lavoro. Pertanto se i salari
reali sono considerati bassi ci sarà una temporanea riduzione dell'occupazione, in quanto i
lavoratori sono disposti a lavorare, ma solo a un salario superiore a quello corrente.

DISOCCUPAZIONE CICLICA - Si parla di DISOCCUPAZIONE CICLICA riferendosi al calo


dell’occupazione in concomitanza di una FASE DI RECESSIONE DEL CICLO ECONOMICO.
L'economista americano Okun (1928-1980) ha formulato la relazione - nota come LEGGE DI
OKUN - tra IL TASSO DI DIMINUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE E IL TASSO DI CRESCITA
DEL PIL. Secondo la legge di Okun, NEL CASO DEGLI STATI UNITI A UN AUMENTO DELLA
DISOCCUPAZIONE CICLICA, PARI ALL'1%, CORRISPONDE UNA DIMINUZIONE DEL PIL,
COMPRESA TRA IL 2,5% E IL 3%.

DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE - Per DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE gli studiosi


intendono la disoccupazione esistente in corrispondenza del TASSO NATURALE DI
DISOCCUPAZIONE. Secondo alcuni economisti, la disoccupazione strutturale indica quel
particolare tipo di disoccupazione derivante dal fatto che I LAVORATORI ESPULSI DAI SETTORI
IN CRISI NON POSSONO ESSERE RIASSORBITI, NEL BREVE PERIODO, da altri settori perché
le loro capacità professionali sono diverse da quelle richieste dalle imprese in espansione.
Per altri economisti, la disoccupazione strutturale si identifica in particolari "SACCHE" DI
DISOCCUPATI DI LUNGO PERIODO, in genere delimitate sotto l'aspetto geografico o
demografico. La disoccupazione strutturale si verifica quando NON ESISTE UNA
CORRISPONDENZA FRA IL TIPO DI LAVORATORI DISOCCUPATI E IL TIPO DI POSTI DI
LAVORO DISPONIBILI.

28
DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA - La DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA deriva dalla
ristrutturazione operata dalle unità produttive con l'utilizzo di impianti e macchinari che tendono a
ridurre l'impiego di lavoro (robotica, automazione …).

LA CRISI OCCUPAZIONALE E LE RIFORME NEL MERCATO DEL LAVORO


La CRISI OCCUPAZIONALE ha assunto dimensioni preoccupanti in Italia e in tutta l'Unione
europea. Nelle analisi si sottolinea l'influenza esercitata, oltre che dalla CONGIUNTURA
ECONOMICA, da FATTORI STRUTTURALI.
Per quanto riguarda l’Italia ai problemi del BASSO TASSO DI ATTIVITÀ E DELL'ALTA
DISOCCUPAZIONE TRA I GIOVANI E LE DONNE, si aggiungono altre particolari
CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO, quali:
- il dualismo tra un settore "ufficiale", fortemente regolamentato e protetto, e un SETTORE
"NON UFFICIALE" O "SOMMERSO"
- il DUALISMO TERRITORIALE TRA IL NORD, caratterizzato da una situazione di quasi
piena occupazione, e IL MEZZOGIORNO, caratterizzato invece da un tasso di
disoccupazione ufficiale molto elevato;
- la SCARSA MOBILITÀ DEL LAVORO, tra aree geografiche e tra settori produttivi;
- gli ASPETTI QUALITATIVI DEL PUBBLICO IMPIEGO.
L'attività del Governo si è concentrata sulla definizione e sull'attuazione di una strategia articolata
per far fronte al problema occupazionale. Tra le RIFORME più significative, vanno ricordati GLI
INCENTIVI ALLA FORMAZIONE DELLE RISORSE UMANE, L’APPRENDISTATO, I CONTRATTI
DI FORMAZIONE LAVORO, INTERVENTI TESI AD INTRODURRE UNA MAGGIORE
FLESSIBILITÀ DEI RAPPORTI DI LAVORO (LAVORO INTERINALE, PART – TIME), la
RIFORMA DEL COLLOCAMENTO.

DISOCCUPAZIONE E POLITICHE ECONOMICHE

DA

DA2 E2 C + I + G2

DA1 C + I + G1
E1

0 Reddito
Y1 Y2 nazionale

N1

N2
Occupazione
29
Il grafico precedente, già analizzato in precedenza, illustra l’analisi keynesiana in tema di
occupazione: l’aumento di una componente della domanda aggregata, i consumi delle famiglie, C,
o gli investimenti delle imprese, I, o la spesa pubblica dello Stato, G, provoca un aumento del
reddito nazionale, da Y1 a Y2, e dell’occupazione, da N1 a N2.
In presenza di un elevato tasso di disoccupazione, si potrà dunque fare ricorso a:
- una POLITICA MONETARIA ESPANSIVA: l’AUMENTO DELLA QUANTITÀ DI MONETA in
circolazione, (attraverso una diminuzione del coefficiente di riserva obbligatoria o una
diminuzione del tasso ufficiale di sconto), comporterà un aumento della domanda di beni e
servizi da parte delle famiglie e delle imprese e questo avrà effetti positivi sull’occupazione;
un aumento dell’quantità di moneta però potrebbe comportare un aumento dell’inflazione;
- una POLITICA FISCALE ESPANSIVA: attraverso una riduzione dei TRIBUTI, un aumento
della SPESA PUBBLICA o dei TRASFERIMENTI alle famiglie e alle imprese, si raggiunge il
risultato di far aumentare la domanda aggregata, e con essa il reddito nazionale e
l’occupazione. Anche questa politica potrebbe comportare un aumento dell’inflazione;
- una POLITICA DI RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO: interventi nel mercato del
lavoro, quali la riforma del collocamento, banche dati informatiche, incentivi alle imprese
che assumono, ecc., finalizzati ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro,
potrebbero aiutare a ridurre il tasso di disoccupazione.

IL MERCATO DEL LAVORO


Il mercato del lavoro può essere rappresentato graficamente, ricorrendo ai soliti strumenti della
domanda e dell’offerta. Si potrà quindi rappresentare la RELAZIONE TRA DOMANDA E
OFFERTA DI LAVORO CON LA VARIABILE PRINCIPALE CHE LE DETERMINA: IL SALARIO. In
tale contesto, però, LA DOMANDA DI LAVORO è rappresentata dalla QUANTITÀ DI LAVORO
CHE, in corrispondenza di ogni livello di salario, VIENE RICHIESTA DALLE IMPRESE: in
corrispondenza di un salario elevato, dal momento che questo rappresenta un costo, la domanda
delle imprese sarà ridotta. A livelli salariali inferiori la domanda di lavoro tenderà ad aumentare.
L’OFFERTA DI LAVORO, INVECE È DETERMINATA DALLE PERSONE CHE OFFRONO LA
PROPRIA MANODOPERA, IN RAGIONE DEL SALARIO APPLICATO DALLE IMPRESE: l’offerta
di lavoro sarà elevata in corrispondenza di un alto salario, e viceversa. IL PUNTO DI INCONTRO
TRA DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO INDIVIDUA LA SITUAZIONE DI EQUILIBRIO DEL
MERCATO DEL LAVORO, IN CORRISPONDENZA DI UN SALARIO DI EQUILIBRIO.

Supponiamo che le funzioni di domanda e di offerta di lavoro siano rispettivamente:


Nd = 600 – 20w
No = 300 + 10.
Vediamo come si determina il salario di equilibrio e il livello di occupazione. Rappresentiamo le
due funzioni in un grafico. Per determinare il salario di equilibrio, (punto di intersezione tra la curva
di domanda e di offerta di lavoro), basterà fare un “sistema” tra le due funzioni.

W
30
A B
20
E
10
5
0 200 300 400 500 600
30
600 – 20 w = 300 + 10 w
30 w = 300
w = 10 N = 400

Cosa succede se il salario è uguale a 20? Se il salario aumenta, la domanda di lavoro da parte
delle imprese diminuisce fino a 200 e aumenta l’offerta di lavoro da parte dei lavoratori fino a 500.
Con w = 20, Nd = 200 e No = 500
Nel mercato del lavoro si registrerà pertanto DISOCCUPAZIONE, pari alla differenza tra offerta e
domanda di lavoro: 500 – 200 = 300, (segmento AB).

Cosa succede se il salario è uguale a 5? Se il salario diminuisce la domanda di lavoro da parte


delle imprese aumenta, però alcune persone non saranno disponibili a lavorare.
Con w = 5, Nd = 500 e No = 350

ESERCIZIO - Date le seguenti funzioni di domanda e di offerta di lavoro,


Nd = 300 – 15 w
No = 200 + 10 w
verificare se il mercato è in equilibrio con w = 3 e spiegare la situazione. Calcolare la
disoccupazione nel caso in cui w = 5. Illustrare graficamente il caso.

Svolgimento:

Con w = 3 si ha che:

300 – 15w = 200 + 10w 100 = 25 w w = 4 Il mercato del lavoro con w = 3 non è in equilibrio.
Infatti si ha che: Nd = 255 e No = 230 La domanda di lavoro eccede l’offerta di lavoro.

Con w = 5 si ha che:

Nd = 225 e No = 250. Quando il salario è elevato, l’offerta di lavoro supera la domanda di lavoro
da parte delle imprese. La disoccupazione è pari a: 250 – 225 = 25

31
LA FINANZA PUBBLICA

Gli operatori del sistema economico sono: le famiglie, le imprese e le banche, lo Stato e il Resto
del Mondo. I rapporti fra questi operatori sono approfonditi dall’ECONOMIA POLITICA, scienza
che studia la produzione e la distribuzione della ricchezza in funzione del benessere della
collettività (l’economia viene definita come la scienza che studia come soddisfare i bisogni
utilizzando delle risorse scarse: i beni e i servizi).

FAMIGLIE
IMPRESE
SOGGETTI ECONOMICI BANCHE
STATO
RESTO DEL MONDO

L’attività realizzata dagli operatori economici si distingue in PRIVATA (attività esercitate dalle
famiglie e imprese per il soddisfacimento di bisogni sentiti da singoli individui), e PUBBLICA,
(attività esercitate dallo Stato ed dagli enti pubblici per il soddisfacimento di bisogni collettivi). Il
SETTORE PRIVATO O DI MERCATO è caratterizzato da decisioni individuali effettuate per
soddisfare obiettivi individuali. Il SETTORE PUBBLICO O NON DI MERCATO è caratterizzato da
decisioni collettive finalizzate al raggiungimento di obiettivi di interesse generale.

SETTORE PRIVATO  SETTORE PUBBLICO


(area di mercato)  (area non di mercato)
decisioni individuali decisioni collettive

Il settore pubblico dell’economia è studiato dalla SCIENZA DELLE FINANZE o FINANZA


PUBBLICA, che si occupa dell’intervento pubblico nell’economia, cioè dell’attività svolta dallo Stato
e dagli altri enti pubblici per raggiungere i loro fini.

L’INTERVENTO DELLO STATO NELL’ECONOMIA


La TEORIA LIBERALE nega l’intervento dello Stato: secondo i sostenitori di tale visione, lo Stato
deve limitarsi a fornire i servizi pubblici essenziali (es. polizia, difesa, giustizia). Adam Smith fu
l’economista che per primo elaborò una teoria liberale completa e sistematica. Secondo tale
studioso, lo Stato deve astenersi dall’intervenire nel sistema economico e il mercato deve essere
lasciato libero di funzionare (liberismo): gli operatori economici, ciascuno perseguendo il proprio
benessere, e il mercato nel suo complesso sarebbero guidati da una “mano invisibile” che assicura
il raggiungimento del miglior risultato possibile (“Ricchezza delle Nazioni”, 1776). L’intervento dello
Stato non fa altro che allontanare il sistema economico dalla situazione ottimale di equilibrio.

Nel corso dell’800 altri economisti criticarono tale teoria, affermando che il liberismo non
assicurava il raggiungimento dell’equilibrio e anzi provocava diseconomie e ingiustizie sociali
(Marx). L’inadeguatezza della concezione liberista fu evidente però solo con la Grande
Depressione del 1929, una gravissima crisi economica che attraversò tutti i paesi occidentali,
accompagnata da elevati tassi di disoccupazione. E’ proprio in questo periodo che altri grandi
economisti, (tra cui Keynes), iniziarono ad elaborare teorie che consideravano essenziale un ruolo
attivo dello Stato (STATO INTERVENTISTA). Più avanti analizzeremo le teorie principali elaborate
dagli economisti sulla finanza pubblica e sul ruolo dello Stato nel sistema economico.
Oggi si è raggiunto un consenso generale sull’opportunità di un certo livello di intervento pubblico
per garantire un ordinato funzionamento dell’economia: nei diversi sistemi economici ormai
mercato e Stato coesistono. I diversi sistemi si differenziano solo per l’estensione di tale intervento.
Vediamo dunque i motivi che spiegano perché sia necessario l’intervento dello Stato.

PERCHE’ LO STATO INTERVIENE: GLI SQUILIBRI GENERATI DEL MERCATO


Il mercato lasciato libero di funzionare non assicura il raggiungimento di una situazione di equilibrio
e di piena occupazione. Spesso la libera attività degli operatori economici genera squilibri
nell’economia: inflazione (aumento del livello generale dei prezzi), disoccupazione, stagnazione,

32
ecc. Lo Stato, attraverso le POLITICHE ECONOMICHE (come la politica monetaria e la politica
fiscale) si pone vari obiettivi, come quelli di ridurre gli squilibri generati dal mercato, di raggiungere
un benessere diffuso nella collettività, di avvicinare la piena occupazione, di mantenere sotto
controllo l’aumento dei prezzi.

PERCHE’ LA STATO INTERVIENE: I FALLIMENTI DEL MERCATO


Capita spesso che l'attività economica di un soggetto produca vantaggi o svantaggi ad altri
soggetti, senza che sia possibile identificare i soggetti avvantaggiati o svantaggiati e quantificare in
moneta il vantaggio o il danno.
Nel caso in cui i beni e le attività possono generare effetti negativi sulle persone “esterne”,
(un’industria con le sue emissioni nocive può danneggiare l’ambiente), si parla di ESTERNALITÀ
NEGATIVE, (DISECONOMIE ESTERNE). Se il mercato è lasciato libero di funzionare e lo Stato si
astiene dall’intervenire, l’industria che inquina continuerà ad inquinare e a danneggiare l’ambiente,
senza dover risarcire eventuali danni provocati. Se invece interviene lo Stato con norme contro
l’inquinamento (obbligo di depuratori), sanzioni di vario tipo, obblighi di risarcimento, gli effetti
negativi verranno eliminati.
Quando invece il comportamento di un soggetto avvantaggia l'intera collettività si hanno
ECONOMIE ESTERNE (dette anche ESTERNALITÀ POSITIVE): ad esempio, l’illuminazione
stradale comporta utilità per tutti gli abitanti di una certa zona. In questi casi l’utilità sarebbe
difficilmente calcolabile e se un privato si mettesse ad offrire questo servizio, troverebbe difficile,
se non impossibile far pagare un utente per il servizio. Quindi, il privato non avrebbe interesse ad
offrire queste attività, lasciandole allo Stato.
Le esternalità vengono anche chiamate “FALLIMENTI DEL MERCATO”, nel senso che per quanto
riguarda le attività e i beni che producono tali effetti esterni, il mercato non assicura una
remunerazione per gli effetti positivi e un risarcimento per quelli negativi. In assenza di un
intervento da parte dello Stato, i beni con esternalità positiva verranno prodotti nel mercato in
quantità inferiore a quella desiderabile, perché i produttori non traggono tutti i benefici dalla propria
attività; i beni con esternalità negativa verranno prodotti in quantità superiore a quella desiderabile
perché i produttori non sopportano tutti i danni della propria attività. IL FATTO CHE LO STATO
FORNISCA I BENI PUBBLICI SI SPIEGA ANCHE CON I FALLIMENTI DEL MERCATO.

PERCHE’ LA STATO INTERVIENE: L’ATTIVITA’ REDISTRIBUTIVA


Vi è un'altra ragione importante che giustifica l'intervento dello Stato: il mercato da solo non è in
grado di assicurare la giustizia sociale, in quanto la distribuzione delle ricchezze sarebbe molto
disuguale in mancanza di un intervento dello Stato a fini redistributivi (ATTIVITA’
REDISTRIBUTIVA DELLO STATO PER CORREGGERE LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL
REDDITO). In questo caso l’obiettivo della Stato consiste nel correggere verso un risultato più
equilibrato la distribuzione spontanea del reddito operata dal mercato. Ad esempio potrebbero
essere applicate imposte più alte ai redditi più elevati: il gettito ottenuto potrebbe poi essere
distribuito in forma di trasferimenti o di servizi vari alle persone con i redditi più bassi e alle
categorie più bisognose: disoccupati, anziani …
Non si tratta solo di riequilibrare la distribuzione personale del reddito, ma anche la distribuzione
territoriale, (ATTIVITA’ REDISTRIBUTIVA DELLO STATO PER CORREGGERE LA
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE DEL REDDITO). La ricchezza non è distribuita in modo
omogeneo sul territorio: a causa di fattori storici, economici, geografici, vi sono zone
economicamente avanzate e zone arretrate. Ecco dunque che lo Stato interviene per ridurre questi
squilibri territoriali, con trasferimenti alle famiglie e alle imprese, incentivi per gli investimenti,
sussidi per i disoccupati.
DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO
ATTIVITA’ REDISTRIBUTIVA
DELLO STATO
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE DEL REDDITO

GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ECONOMIA PUBBLICA


Per poter funzionare il settore pubblico deve disporre di una serie di elementi, organizzati in vista
di determinati obiettivi. Lo Stato moderno si fonda sul PATTO FISCALE, che consiste nell’impegno

33
assunto dai cittadini di pagare i tributi a fronte dei servizi pubblici resi dallo Stato. Il “patto”
consisterebbe in un scambio forzoso: lo Stato offre ai cittadini una serie di servizi (sanità,
istruzione, trasporti, giustizia); i cittadini in cambio devono pagare i tributi.
Il sistema finanziario pubblico è costituito dai seguenti elementi:
- SOGGETTI ATTIVI dell’attività finanziaria: sono i soggetti dotati del potere di imporre tributi:
Stato, Regioni, Province e Comuni;
- SOGGETTI PASSIVI dell’attività finanziaria: sono i soggetti (CONTRIBUENTI) sottoposti al
potere finanziario dei soggetti attivi. Il rapporto tra soggetti attivi e soggetti passivi ha natura
obbligatoria (nel caso di mancato pagamento dei tributi sono previste sanzioni);
- BENI ECONOMICI DI PROPRIETÀ PUBBLICA.

BISOGNI PUBBLICI E SERVIZI PUBBLICI


I BISOGNI PUBBLICI (difesa, giustizia, sanità) sono quei bisogni percepiti da ungran numero di
cittadini e sono soddisfatti dallo Stato o da altri enti pubblici; i BISOGNI PRIVATI (nutrimento,
vestiario) sono soddisfatti direttamente dai singoli cittadini.

Per soddisfare i bisogni pubblici lo Stato fornisce i servizi pubblici e avremo:


- SERVIZI PUBBLICI DIVISIBILI, quando i servizi sono goduti dai singoli soggetti, i quali sono in
grado di valutare economicamente il vantaggio che a loro deriva (posta, ferrovia): il cittadino,
potendo determinare l’utilità del servizio resogli, pagherà in relazione al godimento di tale
servizio;
- SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI, quando i servizi sono prestati all’intera collettività e goduti
dai singoli in quanto partecipi di un aggregato sociale (difesa, illuminazione). Caratteristiche di
tali servizi sono:
o LA NON RIVALITA’: possono essere goduti contemporaneamente da tutti i cittadini;
o LA NON ESCLUDIBILITÀ: chi non paga non può essere escluso.
Per queste ragioni sono offerti gratuitamente dallo Stato.

LE SPESE PUBBLICHE
LA POLITICA FISCALE CONSISTE NELLA MANOVRA DEL BILANCIO PUBBLICO,
ATTRAVERSO LE SUE FONDAMENTALI COMPONENTI, SPESE ED ENTRATE, ALLO SCOPO
DI RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI CHE LO STATO SI PROPONE, (es. finanziamento dei servizi
pubblici, pieno impiego delle risorse produttive e del lavoro, equa distribuzione del reddito fra i
cittadini, sviluppo del reddito nel tempo, ecc.).

La SPESA PUBBLICA è costituita dall’insieme di erogazioni di denaro effettuate dallo Stato e dagli
enti pubblici per soddisfare i bisogni della collettività. Il problema della spesa pubblica è oggi assai
importante, per l’influenza che essa esercita sia sul LIVELLO DEL REDDITO NAZIONALE, sia
sulla sua DISTRIBUZIONE FRA LE CLASSI SOCIALI.
1) Secondo la teoria keynesiana, la manovra della spesa pubblica, che consente di effettuare
investimenti pubblici aggiuntivi rispetto agli investimenti privati, accresce la domanda e
quindi il reddito nazionale.
+ G  + domanda globale  + Y
2) In secondo luogo una politica di redistribuzione del reddito può avvalersi non solo di un
sistema di imposte progressive, ma anche basarsi sull’espansione della spesa pubblica
finalizzata al finanziamento di servizi pubblici a favore dei più poveri.
+ G  + servizi pubblici per i più poveri

LE ENTRATE PUBBLICHE
Lo Stato e gli altri enti pubblici provvedono alla copertura finanziaria delle spese mediante le
ENTRATE PUBBLICHE. Queste si possono definire come l’INSIEME DELLE RISORSE CHE
AFFLUISCONO AGLI ENTI PUBBLICI PER FAR FRONTE AL FABBISOGNO FINANZIARIO della
loro gestione. Le spese pubbliche possono essere finanziate ricorrendo a tre mezzi fondamentali:
1) L’IMPOSIZIONE DI TRIBUTI
2) IL RICORSO AL PRESTITO PUBBLICO
3) L’EMISSIONE DI MONETA

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IMPOSTE TASSE E CONTRIBUTI
Le ENTRATE TRIBUTARIE o TRIBUTI si distinguono a seconda dei loro caratteri in:
- IMPOSTE
- TASSE
- CONTRIBUTI

IMPOSTA: è un prelevamento coattivo, (cioè forzoso) di ricchezza, effettuato dallo Stato e dagli
enti pubblici allo scopo di ottenere i mezzi necessari alla produzione di servizi pubblici indivisibili,
cioè servizi pubblici che avvantaggiano la collettività nel suo insieme. il prelievo serve alla
COPERTURA FINANZIARIA DEI SERVIZI PUBBLICI, INDIPENDENTEMENTE DAI VANTAGGI
CHE IL SINGOLO RICEVE DALLE SPESE PUBBLICHE, (rapporto di soggezione alla supremazia
dell’ente impositore). IL CITTADINO PAGA NON IN RELAZIONE A CIÒ CHE RICEVE, MA IN
BASE AL PRINCIPIO DELLA SUA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA, (cioè in base alla sua capacità, in
ragione del suo reddito o del suo patrimonio, a contribuire alle spese che lo Stato deve sostenere).
I caratteri dell’imposta sono i seguenti:
- la GENERALITÀ DEL SERVIZIO INDIVISIBILE e non individualizzabile
- la COATTIVITÀ del pagamento
- la MANCANZA DI RAPPORTO TRA IMPOSTA E IL SERVIZIO GODUTO.

TASSA: è una controprestazione in denaro di un servizio speciale prestato dallo Stato e dagli altri
enti pubblici ad un privato, generalmente dietro sua richiesta. Il carattere di coattività è quindi molto
attenuato, in quanto esiste un rapporto fra ciò che il contribuente riceve e ciò che paga. I caratteri
della tassa sono quindi:
- la SPECIALITÀ DEL SERVIZIO DIVISIBILE E INDIVIDUALIZZABILE
- SPONTANEITÀ del pagamento
- l’AFFINITÀ CON IL PREZZO POLITICO, che comporta un prezzo inferiore al costo di
produzione, Di conseguenza una parte dell’onere del servizio è sopportata dal singolo, ed una
parte dalla collettività sotto forma di imposte. (es. tassa scolastica)
Le tasse vengono abitualmente raggruppate in tre categorie:
1. TASSE AMMINISTRATIVE, se riguardano SERVIZI PRESTATI DALLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE in relazione allo stato civile dei cittadini (tasse per il rilascio dei certificati
di nascita, di stato civile ecc.), alla pubblica istruzione, a concessioni amministrative (tasse per
il rilascio del porto d’armi, di brevetti ecc.)
2. TASSE GIUDIZIARIE, per servizi prestati dagli organi giurisdizionali, (giurisdizione civile
penale, amministrativa)
3. TASSE INDUSTRIALI, se riguardano gli introiti relativi all’esercizio di attività pubbliche non di
carattere amministrativo, ma economico che avvantaggiano la collettività, oltre che i
richiedenti (tasse per servizi postali, telefonici ecc.).

CONTRIBUTO FISCALE: è un prelievo coattivo di denaro a carico di determinati soggetti, in


relazione ad opere pubbliche di interesse generale, quando queste arrechino vantaggi a soggetti
privati specifici senza che questi le abbiano richieste. L’ente pubblico arreca indirettamente
vantaggio a un determinato soggetto eseguendo opere a favore dell’intera collettività. Proprio per
tale vantaggio, il soggetto può essere chiamato a contribuire alla parziale copertura dei costi
finanziari del servizio di interesse generale. Ad esempio il contributo di urbanizzazione, che il
proprietario di un immobile deve versare al Comune in relazione all’esecuzione di opere pubbliche
di interesse generale, (collegamento dell’immobile alla rete stradale, alla rete fognaria, ecc.). La
rete stradale viene ampliata e quindi ciò arreca un beneficio all’intera collettività, ma il
collegamento dell’immobile alla rete stradale comporta un vantaggio aggiuntivo e specifico al
proprietario dell’immobile.
I contributi di cui abbiamo ora parlato sono detti FISCALI per distinguerli dai contributi PARAFISCALI, (prelevamenti di
denaro a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori, effettuati da enti pubblici non territoriali, come INPS, INAIL ecc., allo
scopo di finanziare la loro attività assicurativa e previdenziale a favore dei lavoratori).

LE IMPOSTE
L'IMPOSTA può essere definita come un prelevamento coattivo di ricchezza effettuato dallo Stato
e dagli altri enti pubblici per la prestazione di servizi pubblici indivisibili.
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I suoi elementi costitutivi sono:
1. I SOGGETTI, e in particolare:
a) il SOGGETTO ATTIVO che è lo Stato, il quale è dotato di potere
impositivo. Talvolta, però, esso può riconoscere la facoltà di imporre
tributi agli enti locali (Regioni, Province, Comuni);
b) il SOGGETTO PASSIVO che è il CONTRIBUENTE, sia egli persona
fisica o giuridica, tenuto al pagamento dell'imposta;
2. il PRESUPPOSTO DELL'IMPOSTA, costituito dalla situazione di fatto (titolarità di
un reddito o di un patrimonio) che viene considerata per poter applicare l’imposta.
L'entità monetaria che viene presa come base per il pagamento dell'imposta prende
il nome di BASE IMPONIBILE;
3. l'ALIQUOTA, che è la percentuale applicata all'imponibile per calcolare l'imposta:
l'ammontare dell'imposta da pagare si ottiene MOLTIPLICANDO LA BASE
IMPONIBILE PER LA CORRISPONDENTE ALIQUOTA;
L'obbligo di pagare l'imposta nasce dalla presenza, nel soggetto passivo, di una particolare
situazione di fatto, chiamata CAPACITÀ CONTRIBUTIVA: essa è la possibilità che il contribuente
ha di pagare l'imposta. Lo Stato prima di applicare l’imposta valuta la capacità contributiva del
contribuente: un individuo con un’elevata capacità contributiva, (perché magari ha un elevato
reddito o un ingente patrimonio), potrebbe essere obbligato a pagare un’imposta più alta. La
capacità contributiva viene valutata attraverso particolari MANIFESTAZIONI, che possono essere:
- IMMEDIATE: titolarità di un reddito o di un patrimonio
- MEDIATE: atti di consumo, scambi di beni e servizi, trasferimenti.
Questa distinzione dà luogo alla classificazione delle imposte in DIRETTE e INDIRETTE.

IMPOSTE DIRETTE E IMPOSTE INDIRETTE


Un'importante classificazione, nell'ambito delle imposte, si basa sulle diverse manifestazioni della
capacità contributiva.
Le IMPOSTE DIRETTE COLPISCONO LE MANIFESTAZIONI IMMEDIATE DELLA CAPACITÀ
CONTRIBUTIVA (cioè colpiscono il reddito o il patrimonio).
Le IMPOSTE INDIRETTE COLPISCONO LE MANIFESTAZIONI MEDIATE (O INDIRETTE)
DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA, ossia quegli atti (consumi di beni e servizi, trasferimenti ecc.)
che consentono di ipotizzare l'esistenza di un certo reddito o patrimonio. Ad esempio se un
contribuente acquista una Ferrari, si può ipotizzare che abbia un reddito elevato e quindi
un’elevata capacità contributiva.

Le imposte dirette vengono periodicamente riscosse, mentre le imposte indirette sono riscosse in
occasione di atti saltuari, e quindi irregolarmente distribuite nel tempo.
Il sistema tributario italiano prevede la COESISTENZA DI IMPOSTE DIRETTE E DI IMPOSTE
INDIRETTE: sono esempi di imposte dirette l'IMPOSTA SUL REDDITO. La principale imposta
indiretta è l'IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (IVA), che colpisce gli scambi di beni; altre
imposte indirette sono i dazi doganali, le imposte di successione ...
Gli studiosi hanno lungamente dibattuto sui VANTAGGI e gli SVANTAGGI dei due tipi di imposte.
Le IMPOSTE DIRETTE, basandosi sul principio della capacità contributiva - dato che il reddito e il
patrimonio sono indici concreti di tale capacità - consentono di realizzare una maggiore GIUSTIZIA
TRIBUTARIA. Infatti, le imposte dirette:
1. consentono di ESENTARE dai tributi i soggetti titolari di redditi minimi;
2. permettono di aumentare l'aliquota con l'aumento del reddito, cioè di informare il
sistema a CRITERI DI PROGRESSIVITÀ;
3. possono essere utilizzate come STRUMENTO ANTI-INFLAZIONISTICO, dato che
le imposte dirette non si trasferiscono.

Le IMPOSTE INDIRETTE presentano i seguenti vantaggi:


1. assicurano un NOTEVOLE GETTITO tributario;
2. il contribuente le paga senza accorgersene, perché l'IMPOSTA È COMPRESA NEL
PREZZO del bene o servizio acquistato;
3. possono essere VARIATE CON RAPIDITÀ, (elevato grado di FLESSIBILITÀ);

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Come si vede, tanto le imposte dirette che quelle indirette presentano indubbi vantaggi: proprio
questo spiega la loro coesistenza in tutti i moderni sistemi tributari.

IMPOSTE REALI E IMPOSTE PERSONALI


Un'altra importante classificazione distingue le imposte in REALI e PERSONALI.
Si dicono REALI le imposte che colpiscono il reddito o il patrimonio senza prendere in
considerazione le condizioni personali, economiche e sociali del contribuente, avendo riguardo
unicamente al presupposto oggettivo (dal latino res = cose).
Le imposte PERSONALI tengono invece conto delle condizioni economiche e sociali del soggetto.
Le imposte personali colpiscono il reddito complessivo del contribuente, tenendo conto della sua
capacità contributiva; commisurano l'aliquota al reddito ed alle condizioni soggettive del
contribuente (n° dei componenti il nucleo familiare, spese mediche, ecc.).

IMPOSTE GENERALI E IMPOSTE SPECIALI


L'IMPOSTA si dice GENERALE quando colpisce tutti i redditi del contribuente (come l'IRPEF) o
tutti i settori produttivi nella stessa misura, (come l’IVA). Si dice invece SPECIALE se colpisce solo
alcuni redditi o alcuni settori produttivi (si pensi, ad esempio, ad una imposta che colpisce solo il
reddito dei terreni e dei fabbricati, come l'ICI).
Vi potranno essere quindi imposte dirette generali, (IRPEF) o speciali, (ICI), e imposte indirette
generali, (IVA) o speciali, (imposta di fabbricazione sugli oli minerali).

IMPOSTE PROPORZIONALI, PROGRESSIVE E REGRESSIVE


In base alle MODALITÀ DI APPLICAZIONE DELL'ALIQUOTA SULLA BASE IMPONIBILE, le
imposte si classificano in proporzionali, progressive e regressive.

L'imposta si dice PROPORZIONALE quando l'aliquota è costante al variare della base imponibile,
e cioè l'ammontare dell'imposta aumenta nella stessa proporzione dell'imponibile.
Base imponibile = 10.000  aliquota fissa del 10%  1.000 euro di imposta
Base imponibile = 20.000  aliquota fissa del 10%  2.000 euro di imposta

Nell'imposta PROGRESSIVA, l'aliquota è crescente all’aumentare della base imponibile e


l'ammontare dell'imposta aumenta in misura più che proporzionale all'aumentare dell'imponibile.
Base imponibile = 10.000  aliquota = 10%  1.000 euro di imposta
Base imponibile = 20.000  aliquota = 15%  3.000 euro di imposta

Nell'imposta REGRESSIVA, l'aliquota decresce, cioè l'ammontare dell'imposta aumenta in modo


meno che proporzionale al crescere dell'imponibile.
Base imponibile = 10.000  aliquota = 10%  1.000 euro di imposta
Base imponibile = 20.000  aliquota = 7,5%  1.500 euro di imposta
In un sistema tributario che si basa sul CRITERIO DELLA CAPACITA’ CONTRIBUTIVA,
l’IMPOSTA PROGRESSIVA è quello che meglio garantisce la GIUSTIZIA SOCIALE.

FORME TECNICHE DI PROGRESSIVITÀ


Il criterio della progressività può essere applicato con modalità diverse. Esaminiamo le più
importanti FORME DI PROGRESSIVITÀ:

1) PROGRESSIVITÀ PER CLASSI: i redditi sono divisi in diverse classi e per ogni classe si
applica un'aliquota crescente. I contribuenti sono suddivisi per classi e A TUTTO il loro reddito è
applicata l'aliquota corrispondente alla classe.
CLASSE FINO A EURO ALIQUOTA IMPOSTA SUL MASSIMO
DELLA CLASSE
10.000 10 % 1.000
20.000 15 % 3.000
30.000 20 % 6.000
40.000 25 % 10.000
50.000 30 % 15.000

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Ad esempio il contribuente con un reddito imponibile di 35.000 euro paga un’imposta di 8.750
euro, (aliquota del 25%).
Questo sistema presenta il grave inconveniente di colpire in misura molto elevata i redditi che
superano di poco il limite superiore della classe, dato che l'imposta cresce in misura più che
proporzionale all'aumento dell'imponibile. Questo accade perché il contribuente, passando alla
classe superiore, deve pagare la maggiore aliquota su tutto l'imponibile. Può anzi accadere che il
contribuente che ha superato di poco il limite della classe, dopo il pagamento dell'imposta, venga a
trovarsi in condizioni più svantaggiose di chi ha un reddito imponibile uguale a tale limite o di poco
inferiore. Un contribuente con imponibile di 39.000 euro, paga un’imposta di 9.750 e resterà con un
reddito netto di 29.250 euro. Il contribuente con imponibile di 41.000 euro, paga un’imposta di
12.300 e avrà un reddito netto di 28.700 euro.

2. PROGRESSIVITÀ PER SCAGLIONI. Come nel caso precedente, il reddito imponibile è


suddiviso in classi (scaglioni), e alle successive classi si applica un'aliquota crescente. Al reddito si
applicano le ALIQUOTE PREVISTE PER I DIVERSI SCAGLIONI nei quali il reddito si divide. Si
evita così l'inconveniente presentato dalla progressività per classi.

CLASSE FINO A EURO ALIQUOTA IMPOSTA SUL MAX ALIQUOTA


DELLO SCAGLIONE EFFETTIVA
Fino a 10.000 10 % 1.000 10,0 %
10.000 - 20.000 15 % 2.500 12,5 %
20.000 - 30.000 20 % 4.500 15,0 %
30.000 - 40.000 25 % 7.000 17,5 %
40.000 - 50.000 30 % 10.000 20,0 %

Il contribuente con un reddito imponibile di 48.000 euro pagherà l’imposta di 9.400 euro, (e cioè
1000 euro per i primi 10 mila; 1.500 per i successivi 10 mila; 2.000 euro per i successivi 10 mila;
2.500 per i successivi 10 mila; 2.400 per gli ulteriori 8 mila).
In pratica, il calcolo si effettua sommando l'imposta per il valore massimo dello scaglione
precedente (7.000), l'imposta per la somma eccedente (2.400). Questo tipo di progressività è
quello più diffuso, (viene applicato per l'IRPEF in Italia).

3. PROGRESSIVITÀ PER DETRAZIONE. In questo caso l'aliquota è costante, ed è applicata


all'imponibile, previa detrazione di una quota fissa. Ad esempio con un’aliquota costante del 20 %
e una quota detraibile di 10.000 euro, si avrà:

REDDITO LORDO QUOTA REDDITO IMPOSTA SUL MAX ALIQUOTA


FINO A EURO DETRAIBILE IMPONIBILE DELLO SCAGLIONE EFFETTIVA
10.000 10.000 - - 0,0 %
20.000 10.000 10.000 2.000 10,0 %
30.000 10.000 20.000 4.000 13,3 %
40.000 10.000 30.000 6.000 15,0 %
50.000 10.000 40.000 8.000 16,0 %

La progressività per detrazione è rapida all’inizio, ma diventa poco sensibile all’aumentare del
reddito: per i redditi elevati si trasforma sostanzialmente in un’imposta proporzionale.

4. PROGRESSIVITÀ CONTINUA. Con questo metodo, l'aliquota cresce gradualmente ad ogni


minimo incremento dell'imponibile. Tale tipo di progressività si attua applicando una formula
matematica che collega l'aliquota al reddito (si dice che l'aliquota è una funzione continua del
reddito). Data la complessità del calcolo, questa forma di progressività non viene applicata. Ad
esempio per la vecchia imposta complementare sul reddito, (ormai abbandonata), si applicava la
formula seguente:
y = 0,06 + 0,02652 √ x – 5 dove y = aliquota e x = reddito.

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LE IMPOSTE DIRETTE SUL REDDITO
Le IMPOSTE SUL PATRIMONIO consistono in un prelievo commisurato al valore del patrimonio
posseduto dal contribuente. Sono relativamente rare: la prevalenza delle imposte sul reddito
rispetto a quelle sul patrimonio deve ascriversi soprattutto al fatto che IL REDDITO È L'INDICE
PIÙ EFFICACE PER LA DETERMINAZIONE DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA, anche in
ragione della sua FACILE ACCERTABILITÀ.
I DIVERSI TIPI DI REDDITI che possono essere colpiti dall'imposizione diretta sono
rappresentabili secondo lo schema seguente:
DIPENDENTE
DA LAVORO
AUTONOMO
INDIVIDUALE
REDDITI DI IMPRESA
SOCIETARIA
IMMOBILIARI (es. proprietà, locazione)
PATRIMONIALI
DA CAPITALE (es. interessi, dividendi)
L’IRPEF, (imposta sul reddito delle persone fisiche), è un’imposta diretta che colpisce i diversi tipi di redditi.

LE IMPOSTE DIRETTE SUL PATRIMONIO


Le IMPOSTE DIRETTE SUL PATRIMONIO colpiscono il valore del patrimonio netto, considerato
come fonte autonoma di capacità contributiva. L'imposta patrimoniale può essere ordinaria o
straordinaria. L'IMPOSTA ORDINARIA SUL PATRIMONIO è annuale ed è commisurata al valore
del patrimonio netto del contribuente. L’IMPOSTA STRAORDINARIA, sempre così commisurata,
viene applicata occasionalmente, in momenti eccezionali, come calamità naturali o guerre.

Il PATRIMONIO è un indice della capacità contributiva distinto dal reddito: infatti, mentre il reddito
è un flusso di ricchezza nel tempo, IL PATRIMONIO È UNO STOCK DI VALORI MOBILIARI E
IMMOBILIARI, CHE GENERA FLUSSI DI REDDITO.
L'imposta ordinaria sul patrimonio è in vigore in diversi paesi europei (Germania, Francia, Olanda).
In Italia manca un'imposta generale sul patrimonio; è considerate di natura patrimoniale
l'IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI (ICI), tributo locale commisurato alle rendite catastali il
cui gettito affluisce ai Comuni.
LE IMPOSTE INDIRETTE
Le IMPOSTE INDIRETTE colpiscono le MANIFESTAZIONI INDIRETTE O MEDIATE DELLA
CAPACITÀ CONTRIBUTIVA, cioè gli atti di consumo che fanno presumere l'esistenza di un
reddito o di un patrimonio. I tipi più importanti di imposte indirette sono:
1. le IMPOSTE GENERALI SUGLI SCAMBI;
2. le IMPOSTE SPECIALI SUI CONSUMI;
3. le IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI;
4. i DAZI DOGANALI.
Le imposte indirette sono:
- ELASTICHE, perché con l'aumentare del reddito nazionale aumentano anche i consumi e lo
Stato realizza automaticamente entrate crescenti, senza la necessità di procedere a nuovi
accertamenti;
- DIVISIBILI, perché tali imposte sono effettivamente pagate dai contribuenti all’atto dell’acquisto
di beni e servizi. Tali imposte rappresentano una frazione trascurabile del prezzo totale del
bene, e spesso il contribuente non ne avverte il sacrificio economico.
Per tali motivi, le imposte indirette sono ancora largamente impiegate, anche se meno adatte delle
imposte dirette a tener conto della capacità contributiva.

IMPOSTE GENERALI SUGLI SCAMBI. Queste imposte si possono definire come quelle imposte
indirette che colpiscono gli scambi di beni e servizi tra produttori, commercianti e consumatori. Nel
nostro sistema tributario appartiene a questo tipo l'IVA (Imposta sul valore aggiunto), che assicura
un notevole gettito all'erario (oltre un quinto del totale).

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VANTAGGI: hanno una vasta base, e quindi procurano un gettito elevato; la loro incidenza è
scarsamente avvertibile dal contribuente; vengono commisurate ai prezzi dei beni e dei servizi, e
quindi seguono automaticamente ogni aumento di prezzo.
SVANTAGGI: trattamento sfavorevole riservato alle merci esportate, (una soluzione sarebbe
quella di considerare non imponibili le operazioni relative alle esportazioni, come per l’IVA), con la
conseguenza che i prodotti nazionali hanno un costo più elevato rispetto a quello dei paesi
stranieri; le imposte generali sugli scambi possono realizzare una distribuzione iniqua del carico
tributario, quando colpiscono beni di prima necessità: possibili effetti inflazionistici, in quanto
l’imposta viene inclusa nel prezzo dei beni.

IMPOSTE SPECIALI SUI CONSUMI. Colpiscono il reddito nel momento in cui viene speso per
l’ACQUISTO DI ALCUNI BENI E SERVIZI SPECIFICI. Alcune sono pagate direttamente allo Stato
dal consumatore, altre, come le IMPOSTE DI FABBRICAZIONE, o "ACCISE" sono pagate dal
produttore che le trasferisce sul consumatore includendone l'ammontare nel prezzo di vendita. Le
imposte speciali sui consumi, grazie al loro elevato grado di elasticità ed economicità di gestione,
sono ancora utilizzate dai moderni sistemi tributari per ottenere un gettito consistente e immediato.
Queste imposte indirette però sollevano gravi problemi per quanto riguarda la scelta dei beni e dei
servizi da colpire: se lo Stato colpisce beni di prima necessità, l'imposta diventa regressiva, (solo
nel 1993 è stata abolita l'imposta di fabbricazione sullo zucchero).
Esigenze di carattere equitativo richiedono perciò l'ESENZIONE DEI CONSUMI DI PRIMA
NECESSITÀ, e un AGGRAVIO DELLE ALIQUOTE SUI CONSUMI DI LUSSO O SUI BENI
CONSIDERATI DANNOSI ALLA SALUTE, (tabacco, alcoolici, ecc.) o da limitare, (imposta sui
prodotti inquinanti o sui consumi energeticio: benzina, energia elettrica …).

IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI. Colpiscono gli atti di trasmissione della proprietà o di


costituzione di diritti reali sulle cose altrui. Si propongono di colpire il patrimonio nel momento in cui
si manifesta attraverso un trasferimento. Nel nostro sistema tributario, rientrano in questa
categoria le imposte di registro e di bollo: l'IMPOSTA DI REGISTRO è riscossa all'atto della
registrazione in pubblici registri di documenti di trasferimento della proprietà o di altri diritti reali su
beni immobili o mobili; l'IMPOSTA DI BOLLO riguarda tutti i documenti destinati ad atti civili o
giudiziari (cambiali, passaporti, atti notarili …).

DAZI DOGANALI. Sono imposte indirette che vengono riscosse nel momento in cui una merce
entra nel territorio nazionale, ne esce o lo attraversa. Si hanno così DAZI DOGANALI
ALL'IMPORTAZIONE, ALL'ESPORTAZIONE O DI TRANSITO. In pratica, tuttavia, solo i DAZI
ALL'IMPORTAZIONE hanno conservato una certa importanza.
Per le finalità che si propongono, i dazi all'importazione possono distinguersi in DAZI PROTETTIVI
e in DAZI FISCALI. I primi hanno lo scopo di proteggere la produzione interna dalla concorrenza
straniera; i secondi sono invece diretti a procurare un'entrata finanziaria allo Stato.
Tecnicamente, i dazi possono classificarsi in specifici e ad valorem. I DAZI SPECIFICI sono
calcolati IN RELAZIONE ALLA QUANTITÀ DELLA MERCE IMPORTATA (misurata in peso,
lunghezza, volume). I DAZI AD VALOREM, invece, sono commisurati, in percentuale, al VALORE
DELLA MERCE IMPORTATA.
Le merci soggette ai dazi doganali sono elencate in uno speciale documento, che riporta
l'indicazione delle rispettive aliquote: tale documento costituisce la TARIFFA DOGANALE.
Vedremo che per l’Unione europea si parla di TARIFFA DOGANALE COMUNE (TDC).
La liberalizzazione del commercio internazionale ha provocato un DECLINO nell'importanza dei
dazi doganali. In sostituzione dei dazi protettivi, per sostenere la produzione interna, i governi oggi
ricorrono alle BARRIERE NON TARIFFARIE (contingentamenti all'importazione, standard di
sicurezza o ecologici dei prodotti). Vengono cioè stabiliti, (a volte pretestuosamente solo per
ostacolare le importazioni), degli adempimenti burocratici e amministrativi, dei requisiti di qualità
dei prodotti, dei limiti alle quantità di importazioni.

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CICLO, SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO

Nell’analisi dinamica del sistema economico viene anche inserito il FATTORE “TEMPO”. I sistemi
economici non presentano nel corso degli anni un andamento regolare di crescita continua ed
equilibrata, ma un ANDAMENTO FATTO DI ALTI E BASSI DELLE GRANDEZZE ECONOMICHE
PIÙ INDICATIVE, (PIL, consumi, investimenti, occupazione). Se consideriamo il PIL come la
grandezza che rappresenta l'economia nel suo complesso si riscontra che PERIODI DI
ESPANSIONE DEL PIL SI ALTERNANO CON PERIODI DI RECESSIONE. Questo andamento a
onde, registratosi in tutte le economie dei Paesi industrializzati fin dal secolo XIX, ha indotto gli
economisti a studiare il fenomeno denominato fluttuazioni cicliche o CICLO ECONOMICO.
Occorre, però, precisare che SIA L'AMPIEZZA DELLE FLUTTUAZIONI, CIOÈ L'ENTITÀ DELLE
VARIAZIONI DEL PIL DA UN ANNO ALL'ALTRO, SIA LA DURATA STESSA DEL CICLO O LA
SUA FREQUENZA NON SI MANIFESTANO IN MANIERA UNIFORME.
PER CICLO ECONOMICO SI INTENDE L'ALTERNANZA DI FASI DI AUMENTO DEL PIL E FASI
DI DIMINUZIONE E STAGNAZIONE. LA SITUAZIONE ECONOMICA IN CUI UN SISTEMA SI
TROVA IN UN DETERMINATO MOMENTO DICESI CONGIUNTURA.
In un ciclo economico si possono distinguere generalmente DUE FASI CHE SONO LA RIPRESA
E L'ESPANSIONE, LA RECESSIONE (O CRISI) E LA DEPRESSIONE.
La RIPRESA è caratterizzata da un AUMENTO DEI CONSUMI E DEGLI INVESTIMENTI che
genera l'incremento della produzione, del reddito e dell'occupazione. Nella FASE DI
ESPANSIONE, oltre all'incremento del reddito e dell'occupazione, il LIVELLO GENERALE DEI
PREZZI CRESCE perché la vivacità della domanda stimola i prezzi dei beni e l'aumento dei salari.
Il punto di svolta superiore del ciclo può aversi con il RAGGIUNGIMENTO DELLA PIENA
OCCUPAZIONE, dopo di che ogni espansione del reddito è legata a un incremento della
produttività. Ma la svolta può aversi anche quando nel sistema si palesano carenze e strozzature.
La FASE DISCENDENTE DEL CICLO inizia con la rottura di una precedente situazione, quale la
saturazione della domanda di certi beni di consumo, un aumento dell’inflazione che deprime i
consumi o cause esogene al sistema, (guerre, crisi economiche internazionali, ecc.). Questo
fenomeno tramite il meccanismo del moltiplicatore negativo si propaga a tutto il sistema
economico, dando luogo alla RECESSIONE. La DEPRESSIONE ECONOMICA è caratterizzata
dalla riduzione della domanda aggregata e quindi del reddito e dell’occupazione. Gli investimenti
tenderanno a ridursi, in quanto le imprese rinunceranno a incrementare la loro capacità produttiva.
Lo schema del ciclo che abbiamo descritto rappresenta le linee generali, in quanto nella realtà
l'andamento del ciclo economico può essere molto più articolato.
Nella storia di ogni sistema economico l'andamento del ciclo ha un proprio profilo che, in genere,
viene rappresentato attorno al TREND DEL PIL NEI VARI ANNI. IL PIL MANIFESTA UNA
TENDENZA DI LUNGO PERIODO ALL'AUMENTO. QUESTA TENDENZA VIENE RAFFIGURATA
CON UN ANDAMENTO UNIFORME CHE SI CHIAMA TREND (TENDENZA).
Se vogliamo rappresentare contemporaneamente sia il trend, sia l'andamento ciclico del PIL,
possiamo vedere nel grafico le varie fasi del ciclo. Il punto superiore di svolta indica l'inizio di una
fase di recessione; il punto di inversione (o di svolta) inferiore indica l'inizio di una fase di ripresa.

PIL trend

0 anni
41
Gli economisti hanno cercato di spiegare il fenomeno delle fluttuazioni cicliche individuando le
cause che le determinano. A questo proposito si fa una distinzione fra CAUSE ESOGENE, legate
cioè a FATTORI EXTRAECONOMICI, e CAUSE ENDOGENE, che invece si riferiscono a
FATTORI INTERNI AL SISTEMA ECONOMICO.
NELLE ECONOMIE PRECAPITALISTICHE LE CRISI ECONOMICHE PERIODICHE VENGONO
DI SOLITO RICONDOTTE A CAUSE ESOGENE: fattori di tipo naturale e climatico che
determinano l'andamento dei raccolti, fattori extraeconomici come epidemie, guerre, calamità …
Con l'avvento dell'industrializzazione e dei sistemi capitalistici gli studiosi individuano, invece, le
cause delle fluttuazioni e delle crisi in FATTORI ENDOGENI, cioè in alcune modalità di
funzionamento del sistema economico stesso, (ECCESSI O CARENZE NELLA PRODUZIONE,
NEI CONSUMI, NEGLI INVESTIMENTI …).

LO SVILUPPO ECONOMICO
PER SVILUPPO ECONOMICO SI INTENDE, IN GENERALE, LA CRESCITA DELL'ECONOMIA,
ACCOMPAGNATA DA MODIFICAZIONI SIA QUANTITATIVE SIA QUALITATIVE DEL SISTEMA
ECONOMICO. Le MODIFICAZIONI QUALITATIVE riguardano la "qualità della vita". Lo sviluppo
NON È QUINDI SOLO CRESCITA PRODUTTIVA, misurata da un incremento nel corso degli anni
del PIL, nel contesto di una realtà sempre uguale a se stessa.
Lo sviluppo è un fenomeno complesso rilevabile attraverso una MOLTEPLICITÀ DI "INDICI"; esso
comporta modificazioni della struttura produttiva, nel senso che dà luogo a un potenziamento delle
attività; comporta altresì l'AUMENTO DEL VOLUME DEGLI SCAMBI, l'AUMENTO degli
INVESTIMENTI, della PRODUTTIVITÀ e dell'OCCUPAZIONE e di altre grandezze economiche.
Tenuto conto che il PIL è il principale indicatore economico di un Paese e una grandezza che
rappresenta l'economia nel suo complesso, PER SVILUPPO ECONOMICO SPESSO SI INTENDE
LA CRESCITA DEL PIL. Secondo molti economisti, però, la grandezza che si deve considerare
non è tanto il PIL quanto il PRODOTTO PER ABITANTE, (PIL PRO-CAPITE). Quest'ultimo è dato
dal RAPPORTO FRA IL PIL E LA POPOLAZIONE DEL PAESE CONSIDERATO.

Nella definizione dello sviluppo, elaborata negli anni Ottanta, si fa una distinzione fra SVILUPPO
ESTENSIVO e SVILUPPO INTENSIVO:
- SVILUPPO ESTENSIVO: il PIL E LA POPOLAZIONE CRESCONO ALLO STESSO DELLO
RITMO E IL PRODOTTO PER ABITANTE RIMANE COSTANTE;
- SVILUPPO INTENSIVO: il TASSO DI CRESCITA DEL PRODOTTO NAZIONALE È
MAGGIORE DEL TASSO DI AUMENTO DELLA POPOLAZIONE, PER CUI SI OTTIENE
ANCHE UN AUMENTO DEL PIL PER ABITANTE.

I PRINCIPALI FATTORI DELLO SVILUPPO ECONOMICO MODERNO


L'indicatore più significativo dello sviluppo economico è costituito da una CRESCITA RILEVANTE
E PROLUNGATA DEL PIL PER ABITANTE, ACCOMPAGNATA DA TRASFORMAZIONI
STRUTTURALI, SOCIALI E CULTURALI. Secondo molti economisti la spinta data alla crescita
economica dal PROGRESSO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO rappresenta una "innovazione
epocale" che caratterizza lo sviluppo economico moderno.
Negli ultimi duecento anni ha avuto luogo, cominciando dall'Europa e propagandosi al Nord
America, all'Australia e ad altre aree, un sostenuto e rapido sviluppo economico senza paragone
rispetto ai secoli precedenti. Molti economisti hanno individuato i FATTORI PRINCIPALI DI
QUESTO STRAORDINARIO SVILUPPO ECONOMICO:
- l'ACCUMULAZIONE DI CAPITALE;
- la POPOLAZIONE, con riguardo all'incremento delle forze di lavoro, alle capacità
tecniche e professionali e alla formazione / istruzione;
- le RISORSE NATURALI;
- il PROGRESSO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO (che dipende dalle risorse destinate
alla ricerca e allo sviluppo).
Lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha dato luogo alla formazione di un SISTEMA
ECONOMICO GLOBALE, in cui alcuni Paesi più avanzati (si pensi agli Stati Uniti, al Giappone,
alla Germania) fungono da "locomotive" nel trainare lo sviluppo di altri Paesi. L'interdipendenza fra
i Paesi nel processo di sviluppo è anche dovuta al notevole aumento degli scambi internazionali.

42
L'ECONOMIA DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
Gli economisti concordano quindi nel ritenere che il grado di sviluppo di un'economia si misuri in
base al PIL ANNUO PER ABITANTE, (O PIL PRO-CAPITE). Secondo questo indicatore i Paesi
del mondo vengono solitamente divisi in due fasce:
- PAESI IN VIA DI SVILUPPO, se il PIL per abitante è inferiore ai 5.000 dollari all'anno;
- PAESI SVILUPPATI, se il PIL per abitante è superiore ai 5.000 dollari annui.
È questa una CLASSIFICAZIONE CONVENZIONALE, che serve a riassumere situazioni reali
assai complesse e differenziate. Questo criterio del PIL per abitante si presta però ad alcune
RISERVE, come raccomandano gli stessi esperti dell'ONU. Uno dei difetti di questo criterio è che
proprio i Paesi in via di sviluppo, a differenza di quelli industrializzati, NON SEMPRE
DISPONGONO DI STATISTICHE ATTENDIBILI SULLA PRODUZIONE.
INOLTRE IL PIL PER ABITANTE, COME TUTTI I DATI MEDI, NON RIFLETTE LA REALE
DISTRIBUZIONE DEL REDDITO: la maggior parte della ricchezza infatti può essere detenuta da
pochi gruppi o famiglie. Pur con queste riserve, il PIL per abitante viene considerato l'indice più
significativo soprattutto per la comparazione di Paesi diversi. Secondo le statistiche degli organismi
internazionali (ONU, Banca Mondiale, FAO), I PAESI RICCHI, CON IL 20% DELLA
POPOLAZIONE MONDIALE, DETENGONO OLTRE L’'80% DEL PIL MONDIALE E
CONSUMANO L'85% DELLE RISORSE ENERGETICHE. L'agricoltura fornisce il 40% del PIL dei
Paesi più poveri, ma nonostante ciò essa non riesce a nutrire una popolazione in continuo
aumento. Quello DEMOGRAFICO costituisce un altro difficile problema dei Paesi in via di sviluppo.

I CARATTERI TIPICI DEL SOTTOSVILUPPO E IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA POVERTÀ


Le CAUSE DEL SOTTOSVILUPPO ECONOMICO sono costituite da:
- FATTORI ECONOMICI, (carenza di materie prime, carenza di risorse produttive, ecc.);
- FATTORI STORICI (si pensi al colonialismo, …);
- POLITICI (instabilità, rapporti internazionali tra Paesi industrializzati e PVS);
- ISTITUZIONALI E SOCIALI (insufficienti tutela dei diritti umani);
- AMBIENTALI (clima sfavorevole).

IL BASSO LIVELLO DEL PIL PRO CAPITE COSTITUISCE LA PRINCIPALE CARATTERISTICA


DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO, MA LE ECONOMIE DI QUESTI PAESI PRESENTANO ANCHE
I SEGUENTI CARATTERI TIPICI:
- prevalenza dell'ATTIVITÀ AGRICOLA E ARTIGIANALE nella formazione del PIL;
- presenza di MODI DI PRODUZIONE PRECAPITALISTICI;
- BASSA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO;
- SCARSITÀ DI CAPITALI determinata dalla scarsità o mancanza del risparmio;
- INSUFFICIENZA DI INFRASTRUTTURE PUBBLICHE
- ANALFABETISMO E BASSO LIVELLO DI ISTRUZIONE

QUESTI CARATTERI COSTITUISCONO IN REALTÀ DEGLI OSTACOLI ALLO SVILUPPO CHE


SI CONDIZIONANO E SI AGGRAVANO A VICENDA. L'economista svedese Myrdal ha
denominato questo fenomeno CIRCOLO VIZIOSO DELLA POVERTÀ:
IL BASSO LIVELLO DEL REDDITO NON CONSENTE LA FORMAZIONE DEL RISPARMIO. LA
SCARSITÀ DI RISPARMIO, DI INFRASTRUTTURE E DI OPPORTUNITÀ DI INVESTIMENTO
FANNO SÌ CHE GLI INVESTIMENTI E L’ACCUMULAZIONE DI CAPITALE SIANO SCARSI. DI
CONSEGUENZA, LE CAPACITÀ PRODUTTIVE E IL REDDITO NON POSSONO AUMENTARE.

I PAESI IN VIA DI SVILUPPO E IL COMMERCIO INTERNAZIONALE


Un altro nodo che soffoca le possibilità di crescita dei Paesi in via di sviluppo è rappresentato dalle
RELAZIONI COMMERCIALI INTERNAZIONALI CON I PAESI SVILUPPATI. Per industrializzarsi i
PVS devono far ricorso alle importazioni di macchinari, impianti e tecnologie; in cambio devono
offrire i loro prodotti di esportazione.
Il commercio di esportazione dei PVS è caratterizzato non soltanto dalla PREVALENZA DEI
PRODOTTI AGRICOLI E DELLE MATERIE PRIME, MA ANCHE DALLA SUA ALTA
CONCENTRAZIONE IN UNO O AL MASSIMO DUE O TRE PRODOTTI PRIMARI. IL

43
COMMERCIO INTERNAZIONALE DI QUESTI PRODOTTI dipende dalla struttura del mercato
mondiale e presenta le seguenti caratteristiche:

- una notevole INSTABILITÀ del volume e dei prezzi dei prodotti esportati;
- una tendenza al DETERIORAMENTO DELLE RAGIONI DI SCAMBIO INTERNAZIONALI
(terms of trade) in danno dei Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda il primo punto, si deve osservare che l'instabilità delle esportazioni dei PVS
determina notevoli FLUTTUAZIONI DEI RICAVI. Le ragioni di tale instabilità risiedono, da un lato,
nell'andamento mutevole dell’offerta dei prodotti agricoli determinata dal fatto che I RACCOLTI
SONO INFLUENZATI DA VARI FATTORI NATURALI E TECNICI; dall'altro lato, gioca una certa
RIGIDITÀ DELLA DOMANDA DA PARTE DEI PAESI SVILUPPATI, i quali possono costituire delle
BARRIERE ALL'ENTRATA nei loro mercati per proteggere le loro produzioni (tariffe doganali,
contingenti …).
L'altro problema è costituito dagli SCAMBI INEGUALI fra prodotti primari (esportati dai PVS) e
prodotti industriali (importati). I PREZZI DEI PRODOTTI INDUSTRIALI AUMENTANO PIÙ
RAPIDAMENTE DI QUELLI AGRICOLI.
NE DERIVA CHE IL LORO RAPPORTO DI SCAMBIO TENDE A DETERIORARSI CAUSANDO
SQUILIBRI E FENOMENI DI SFRUTTAMENTO. I PVS si sono resi conto, a loro spese, che CON
UNA DATA QUANTITÀ DI PRODOTTI PRIMARI ACQUISTANO QUANTITÀ SEMPRE MINORI DI
PRODOTTI INDUSTRIALI.
Un’altra delle principali difficoltà per i Paesi in via di sviluppo è il PESO DEL DEBITO ESTERO.
Per assicurare il servizio del debito (pagamento degli interessi più restituzione del capitale) negli
anni Ottanta sono stati imposti ai PVS drastici tagli della spesa pubblica e pesanti sacrifici per le
popolazioni.

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IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Un aspetto importante della teoria economica è costituito dalle RELAZIONI ECONOMICHE


INTERNAZIONALI CHE RIGUARDANO I RAPPORTI FRA I DIVERSI PAESI. L'ECONOMIA
INTERNAZIONALE si occupa delle istituzioni e dei problemi relativi ai rapporti economici
internazionali. In particolare, studia i fenomeni economici connessi all'esistenza nel mondo di
diversi sistemi economici, ciascuno dotato di proprie risorse.
I campi di indagine dell'economia internazionale sono:
- il COMMERCIO INTERNAZIONALE
- il SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE;
- le ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI, tra cui l'UNIONE EUROPEA.

GLI SCAMBI INTERNAZIONALI


PER COMMERCIO INTERNAZIONALE SI INTENDE IL COMPLESSO DEGLI SCAMBI DI BENI E
SERVIZI TRA UN PAESE E I PAESI ESTERI CHE COSTITUISCONO L'OPERATORE
AGGREGATO RESTO DEL MONDO. Il commercio internazionale presenta alcune peculiarità:
- mentre la MOBILITÀ DEI FATTORI PRODUTTIVI (L e K) è alta all'interno del Paese, essa
è minore fra i diversi Paesi per ragioni etniche, politiche e sociali;
- peculiarità connesse alla DISTANZA (costi di trasporto), alla DIVERSITÀ DI MONETA
(costi connessi al cambio), alla DIVERSITÀ DI LINGUA, CULTURA …
- diversa situazione geografica, ubicazione delle risorse (petrolio), distribuzione della
popolazione e disparità di reddito e di sviluppo tecnologico tra i Paesi.

IMPORTAZIONI ED ESPORTAZIONI
I PRINCIPALI FLUSSI DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI DANNO LUOGO ALLE
IMPORTAZIONI E ALLE ESPORTAZIONI. Con il termine IMPORTAZIONI si indicano I BENI E
SERVIZI CHE ENTRANO IN UN PAESE DALL'ESTERO; con il termine ESPORTAZIONI I BENI E
SERVIZI PRODOTTI IN UN PAESE E VENDUTI ALL'ESTERO, (cioè al Resto del mondo).
Attraverso questi scambi di beni e di servizi i Paesi divengono più o meno legati e interdipendenti.
Il GRADO DI INTERDIPENDENZA è andato progressivamente aumentando. L'AUMENTO DELLE
ESPORTAZIONI DEI VARI PAESI HA CONCORSO ALLA CRESCITA DEL PIL MONDIALE.

I PROBLEMI TEORICI DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


La teoria del commercio internazionale è uno dei campi principali dell'economia internazionale. Le
analisi dei mercantilisti e soprattutto dei grandi economisti classici, come Ricardo e Mill, hanno
avuto una importanza rilevante.
Gli aspetti teorici relativi al commercio internazionale riguardano due questioni:
- l'analisi positiva delle CAUSE e dei VANTAGGI del commercio internazionale
- le implicazioni di POLITICA COMMERCIALE derivanti dal principio normativo per cui la
libertà di commercio è vantaggiosa per i Paesi interessati e favorisce lo sviluppo.

LA TEORIA DEI COSTI COMPARATI


Le DIFFERENZE DI PREZZO sono la causa fondamentale degli scambi internazionali e riflettono
differenze di costo tra un Paese e l’altro. Ma perché i costi sono diversi da un Paese all’altro? Ciò è
dovuto alla diversità delle risorse e delle capacità produttive da Paese a Paese. Ne deriva che le
basi del commercio internazionale devono essere cercate nella DIVERSA STRUTTURA DEI
COSTI E DEI PREZZI. Per alcuni beni è più conveniente la produzione interna e saranno esportati;
per altri è più conveniente la produzione estera, e saranno perciò importati.

Si deve a Ricardo la formulazione di quella che è considerata la prima esposizione teorica rigorosa
dei principi dello scambio internazionale: la TEORIA DEI COSTI COMPARATI.
La mobilità e la dotazione interna dei fattori della produzione fa sì CHE LE REMUNERAZIONI DEI
FATTORI TENDANO A UGUAGLIARSI ALL'INTERNO DI UN PAESE, MA NON FRA I PAESI.
Secondo i classici, la conseguenza è UN DIVARIO TRA I COSTI DI PRODUZIONE DELLE MERCI
CHE UN PAESE RIESCE A PRODURRE PIÙ A BUON MERCATO RISPETTO AGLI ALTRI.

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La prima situazione è la seguente. Supponiamo che per produrre un metro di stoffa occorrano in
Gran Bretagna 8 ore di lavoro e in Italia 10. La stoffa avrà dunque un prezzo inferiore in Gran
Bretagna: sarà vantaggioso per un italiano importare stoffa dalla Gran Bretagna. Questo Paese
godrà dunque di un vantaggio assoluto nella produzione della merce. LA PRIMA MOTIVAZIONE
DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE È LA PRESENZA DI UN VANTAGGIO ASSOLUTO PER
UN PAESE NELLA PRODUZIONE DELLA MERCE. Ma Ricardo non si ferma qui. Consideriamo
sempre due Paesi, la Gran Bretagna e l'Italia, e due merci, la stoffa e il vino. Supponiamo che per
produrre un metro di stoffa occorrano in Gran Bretagna 8 ore di lavoro e in Italia 10; mentre per
produrre un ettolitro di vino siano necessarie in Gran Bretagna 12 ore e in Italia 6.

Merci Gran Bretagna Italia


Stoffa 8 10
Vino 12 6

Come si vede, la Gran Bretagna può reputare conveniente specializzarsi nella produzione della
stoffa, che produce a costo minore, e procurarsi il vino importandolo dall'Italia cedendo in cambio
della stoffa. Lo stesso discorso vale per l'Italia che, producendo vino a costi più bassi, può
esportarlo per procurarsi in cambio la stoffa.
PERTANTO, NEL CASO IN CUI CIASCUNO DEI DUE PAESI PRESENTI UN VANTAGGIO
ASSOLUTO NELLA PRODUZIONE DI UNA MERCE, HA CONVENIENZA A SPECIALIZZARSI IN
QUELLA PRODUZIONE, IMPORTANDO L'ALTRO BENE.
I COSTI E I VANTAGGI COMPARATI SPIEGANO PERCHÉ LO SCAMBIO È VANTAGGIOSO,
ANCHE QUANDO UNO DEI DUE PAESI PRODUCE A COSTI PIÙ BASSI ENTRAMBI I BENI.
Supponiamo che muti un dato: l'Italia riesce a produrre la stoffa con l'impiego di 6 ore di lavoro.

Merci Gran Bretagna Italia


Stoffa 8 6
Vino 12 6

L'Italia produce sia la stoffa sia il vino a costi più bassi. Si potrebbe allora pensare che in questa situazione all'Italia
convenga produrre entrambi i beni e non avere relazioni commerciali con la Gran Bretagna. Ma in realtà non è così. In
Italia il costo comparato fra stoffa e vino è 6/6 = 1: all'interno del Paese con un ettolitro di vino si ottiene in cambio un
metro di stoffa. La stessa quantità di vino, esportata in Gran Bretagna, sarà venduta a 12 e non a 6. Un ettolitro di vino
consente di acquistare nel mercato inglese 12/8 unità di stoffa, ossia 1,5 metri di stoffa essendo tale il rapporto fra il
costo comparato dei due beni, (un italiano potrebbe anche vendere vino in GB e poi comprare stoffa in Italia, considerate
però le possibilità di profitto i produttori italiani si specializzeranno nel vino e compreranno stoffa in GB).
ANCHE NEL CASO IN CUI UN PAESE PRESENTI PER ENTRAMBI I BENI COSTI PIÙ BASSI,
CONVIENE A QUESTO PAESE SPECIALIZZARSI NELLA PRODUZIONE DI UN BENE, E
PRECISAMENTE IN QUELLO PER IL QUALE PRESENTA UN VANTAGGIO COMPARATO
MAGGIORE. Mediante lo scambio internazionale entrambi i Paesi ottengono una maggiore
quantità di ambedue i beni.
Vediamo un'applicazione pratica dei vantaggi comparati, considerando il caso di un avvocato che è anche un ottimo
dattilografo. Non per questo l'avvocato provvederà personalmente a dattilografare gli atti del suo ufficio, ma gli converrà
dedicarsi alla sua professione, dove potrà sfruttare più vantaggiosamente il suo lavoro, e lasciare a una segretaria, che è
una buona dattilografa, il compito di dattilografare gli atti.
Perché i Paesi arabi preferiscono specializzarsi nel petrolio piuttosto che nelle arachidi?
Negli scambi internazionali un Paese non si avvantaggia a spese dell'altro. I benefici del
commercio sono reciproci. Ciò è possibile perché la produzione mondiale totale viene aumentata
dalla specializzazione internazionale, basata sul principio dei costi comparati. Ciò conferma un
principio fondamentale del commercio internazionale: il libero scambio costituisce il regime
migliore per l'economia mondiale.
L'ipotesi fondamentale su cui poggia la teoria classica del commercio internazionale è la scarsa mobilità dei fattori
produttivi, e soprattutto del fattore lavoro. A questa ipotesi, però, se ne devono aggiungere altre:
- in ogni Paese vige un regime di concorrenza perfetta (no barriere all’entrata di nuove imprese) e la produzione
avviene a costi costanti;
- il costo di produzione delle merci è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per produrre le merci stesse
(teoria del valore-lavoro);
- le spese di trasporto e di assicurazione delle merci sono trascurabili e teoricamente irrilevanti.

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Le critichealla teoria classica si appuntano sul complesso di dette ipotesi, ritenute eccessivamente semplificatrici.

IL TEOREMA DI HECKSCHER E OHLIN


Un importante contributo alla teoria del commercio internazionale è quello dato dagli economisti svedesi Heckscher
(1879-1952) e Ohlin (1899-1979). Questi due studiosi hanno criticato la teoria dei costi comparati per la limitazione a un
solo fattore produttivo (il lavoro). L'ipotesi di Heckscher e Ohlin è che i costi monetari di produzione nei vari Paesi
dipendano dai prezzi dei fattori produttivi impiegati. Essi affermano che IL PREZZO DI OGNI FATTORE È INFERIORE
NEI PAESI dove il fattore stesso è relativamente ABBONDANTE. SECONDO IL TEOREMA DI HECKSCHER E OHLIN,
OGNI PAESE ESPORTA IL PRODOTTO CHE IMPIEGA INTENSIVAMENTE IL FATTORE RELATIVAMENTE PIÙ
ABBONDANTE E IMPORTA IL PRODOTTO CHE IMPIEGA INTENSIVAMENTE IL FATTORE SCARSO.
Il teorema di Heckscher-Ohlin è stato sottoposto a verifica empirica. In particolare, analizzando i dati relativi alle
importazioni e alle esportazioni statunitensi, Leontief ha mostrato un risultato sorprendente: gli Stati Uniti, ricchi di
capitale, esportano beni richiedenti un impiego intensivo del fattore lavoro e importano beni richiedenti un impiego
intensivo di capitale (paradosso di Leontief). Il che è in netto contrasto con il teorema di Heckscher-Ohlin. Alcuni hanno
affermato che i dati di Leontief non sono da considerare necessariamente in contrasto con il teorema di Heckscher-
Ohlin, dal momento che le industrie americane esportatrici impiegano prevalentemente manodopera specializzata, che
ha incorporato capitale umano. Anche al teorema di Heckscher-Ohlin sono state mosse diverse critiche.

LE MULTINAZIONALI
In coincidenza con lo sviluppo dei rapporti economici internazionali, si è accentuata a partire dagli
anni Sessanta la presenza delle SOCIETÀ MULTINAZIONALI nello scenario economico mondiale.
Sono state soprattutto le imprese americane a creare per prime una FITTA RETE DI FILIALI
ALL'ESTERO, (per sfruttare vantaggi quali un minore costo del lavoro, la disponibilità di materie
prime e risorse energetiche, normative più permissive, ecc.). A volte per scavalcare le barriere
doganali, le grandi imprese hanno puntato sull'internazionalizzazione della loro attività.
La strategia che ha accomunato le multinazionali è stata generalmente quella di allargare il loro
mercato nazionale, stabilendo all'estero unità operative. Si è trattato in sostanza di esportare una
formula di successo, aggirando nel contempo gli ostacoli principali (costi di trasporto o barriere
doganali) che sconsigliavano di impiegare un unico centro produttivo per rifornire i mercati
internazionali. DAL VENDERE OVUNQUE SI È PASSATI AL PRODURRE OVUNQUE.
La continua espansione e la presenza delle multinazionali, specialmente nei Paesi in via di
sviluppo, oltre che dettata da ragioni economiche, ha avuto indubbiamente RIFLESSI DI
CARATTERE POLITICO. Le multinazionali sono state considerate le artefici di un
NEOIMPERIALISMO ECONOMICO, con conseguenze non sempre positive: condizionamenti a
livello politico, opportunità di lavoro, flussi di informazioni e di conoscenze, aumento della
produzione, sfruttamento della manodopera.

IL COMMERCIO MONDIALE E LA GLOBALIZZAZIONE


Attualmente i Paesi industrializzati più avanzati che dispongono di notevoli risorse, di strutture
scientifiche e tecniche altamente specializzate e operano rilevanti investimenti in ricerca e sviluppo
(R&S), trovano conveniente specializzarsi nella produzione e nel commercio di prodotti nuovi. LA
DIFFUSIONE DELLE TECNICHE PRODUTTIVE CONSENTE IN UN SECONDO MOMENTO
ANCHE AGLI ALTRI PAESI INDUSTRIALIZZATI DI INTRAPRENDERE LA PRODUZIONE DI
TALI PRODOTTI. Ad esempio, i prodotti esportati dall'Italia si collocano il più delle volte nella
fascia tecnologica media. Quando i prodotti sono diventati maturi, ANCHE ALCUNI PAESI IN VIA
DI SVILUPPO POSSONO VANTAGGIOSAMENTE INTRAPRENDERNE LA PRODUZIONE,
specie se i costi di lavoro sono bassi. A questo punto i Paesi industrializzati devono temere la
concorrenza in termini di prezzi dei Paesi emergenti, come ad esempio i NIC (NEW
INDUSTRIALIZED COUNTRIES, cioè Paesi neoindustrializzati): Corea del Sud, Singapore, Cina.
Pertanto si rendono necessari l'abbandono delle produzioni tradizionali e una politica di
riconversione industriale, basata sull'introduzione delle nuove tecnologie.
Possiamo affermare, in sintesi, che nella specializzazione delle produzioni del commercio
internazionale NON INFLUISCE SOLTANTO LA MAGGIORE O MINORE DISPONIBILITÀ DI
QUESTO O QUEL FATTORE PRODUTTIVO (teorema di Heckscher-Ohlin); grande influenza
esercitano il PROGRESSO TECNOLOGICO e lo SVILUPPO ECONOMICO.

LA GLOBALIZZAZIONE È IL FENOMENO ECONOMICO RISULTANTE DALLA PORTATA DI


VARI ELEMENTI: una maggiore libertà degli scambi internazionali, il progresso tecnico e la
rivoluzione telematica. PER GLOBALIZZAZIONE SI INTENDE LA CREAZIONE DI UN MERCATO

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GLOBALE (CIOÈ MONDIALE): PRODUTTIVO, COMMERCIALE E FINANZIARIO. Da un punto di
vista economico, viviamo in una realtà assai vicina al modello di "mondo unico". La globalizzazione
è anche oggetto di contestazione per gli effetti perversi che si teme possa produrre: accentuazione
delle diseguaglianze economiche, omologazione dei comportamenti e delle culture, …

LA POLITICA COMMERCIALE: LIBERO SCAMBIO E PROTEZIONISMO


Si tende a pensare che gli scambi internazionali debbano essere liberi da restrizioni per i vantaggi
che presentano e per il fatto che consentono l'ampliamento dei mercati. In realtà la politica
commerciale dei vari Paesi si è ispirata talvolta al PRINCIPIO DEL LIBERO SCAMBIO, talvolta a
quello del PROTEZIONISMO.
Il LIBERO SCAMBIO consiste nel concedere piena libertà agli operatori economici di importare e
di esportare beni e servizi. LA POLITICA PROTEZIONISTICA NEGA LA PIENA LIBERTÀ DI
IMPORTAZIONE E PER DIFENDERE LE INDUSTRIE NAZIONALI DALLA CONCORRENZA DI
QUELLE STRANIERE adotta tutta una serie di misure (dazi doganali, barriere non tariffarie …).
PER OSTACOLARE L'IMPORTAZIONE DI MERCI STRANIERE. I fautori del protezionismo
sostengono che per un Paese questa politica commerciale è necessaria nei seguenti casi:
- quando si tratta di DIFENDERE INDUSTRIE FONDAMENTALI per l'economia;
- quando si tratta di DIFENDERE LE INDUSTRIE NAZIONALI NASCENTI che non possono
reggere la concorrenza delle industrie straniere già sviluppate;
- quando si tratta di salvaguardare alcuni settori produttivi nazionali dalla concorrenza estera,
(MANTENIMENTO DELL' OCCUPAZIONE);
- quando si tratta di STRONCARE IL DUMPING DA PARTE DI IMPRESE STRANIERE. Il
dumping consiste in particolare nel RIDURRE IL PREZZO di un bene esportato al di sotto
del prezzo praticato per lo stesso bene nel mercato interno, (o al di sotto del prezzo
normale del bene sul mercato mondiale).

I principali strumenti per attuare una politica protezionistica sono I DAZI DOGANALI, I
CONTINGENTAMENTI D'IMPORTAZIONE, I SUSSIDI ALLE INDUSTRIE ESPORTATRICI.

IL DAZIO È UN’IMPOSTA CHE VIENE PAGATA SUI PRODOTTI IMPORTATI DALL’ESTERO, nel
momento in cui la merce entra nel territorio nazionale. Il dazio può essere commisurato alla
quantità della merce (DAZIO SPECIFICO) o al valore dichiarato o accertato della merce stessa
(DAZIO AD VALOREM). Secondo lo scopo, oltre ai DAZI PROTETTIVI, si possono avere DAZI
FISCALI, se sono destinati prevalentemente a procurare un'entrata finanziaria allo Stato. Ogni
Paese fissa unilateralmente la propria TARIFFA DOGANALE, costituita dall'elenco sistematico dei
dazi doganali. Per l’UE viene applicata la TARIFFA DOGANALE COMUNE, (TDC).
Per quanto riguarda i CONTINGENTAMENTI, lo Stato stabilisce la QUANTITÀ MASSIMA DI UN
PRODOTTO ESTERO AMMESSA ALL’IMPORTAZIONE. A volte questo criterio viene applicato
insieme al sistema di licenza d'importazione, il quale subordina l'importazione al rilascio di
un'apposita autorizzazione amministrativa.
Il SISTEMA DEI SUSSIDI consiste in trasferimenti alle imprese e permette di favorire le
esportazioni, consentendo alle imprese stesse di abbassare i costi di produzione in modo da
competere con la concorrenza estera.
ALTRE BARRIERE NON TARIFFARIE. Un strumento utilizzato spesso è rappresentato da
REQUISITI QUALITATIVI che i prodotti importati devono soddisfare, (norme sanitarie o di
sicurezza). Infine spesso si introducono PRATICHE BUROCRATICHE piuttosto complesse che
devono essere espletate dagli importatori. L'applicazione di misure protezionistiche riduce
l'ammontare degli scambi internazionali tra due o più Paesi, con una reazione a catena che si
rivela dannosa per l'economia mondiale. Spesso l’introduzione di un dazio provoca una reazione
simile dei Paesi esteri colpiti dal provvedimento, che come ritorsione applicano a loro volta dazi
sulle importazioni: si innesca così una “GUERRA COMMERCIALE”.

DAL GATT ALL'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (WTO)


Nel 1947 fu siglato a Ginevra (Svizzera) dai rappresentanti di 23 Paesi il GATT, (General
Agreement on Tariffs and Trade), ossia l'ACCORDO GENERALE SULLE TARIFFE DOGANALI E
IL COMMERCIO che fissava i principi riguardanti i dazi doganali e le politiche commerciali, allo

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scopo di giungere a una progressiva riduzione delle barriere commerciali. Il principio fondamentale
del GATT era la CLAUSOLA DELLA NAZIONE PIÙ FAVORITA. Negli accordi commerciali con
detta clausola viene esteso a ogni Paese partecipante il trattamento più favorevole concesso da un
Paese a un altro in materia di scambi commerciali. Si prevedeva anche la possibilità di ricorrere
alla CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA, che consisteva nel ripristino temporaneo di MISURE
RESTRITTIVE da parte di uno Stato nei confronti delle importazioni, QUANDO L'INTRODUZIONE
DI UNA DETERMINATA MERCE PROVENIENTE DALL'ESTERO ERA IN GRADO DI
DETERMINARE GRAVI PREGIUDIZI ALL'ECONOMIA.
I Paesi aderenti sono diventati nel corso degli anni oltre un centinaio, equivalenti a oltre i quattro
quinti del commercio mondiale: periodicamente si riunivano in CONFERENZE INTERNAZIONALI
(ROUND). L'Uruguay Round (1986 – 1993) vene considerato un negoziato di importanza storica. È
valso a raggiungere l'obiettivo della più vasta liberalizzazione degli scambi.
Dal 1° gennaio 1995 il GATT da "Accordo" si è trasformato in organizzazione internazionale
denominata WTO (World Trade Organization), ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL
COMMERCIO. I Paesi membri (che sono attualmente 135) si impegnano a rispettare i principi del
libero scambio e ad applicare gli accordi dell'Uruguay Round.
I compiti della WTO sono: amministrare gli accordi sulla liberalizzazione del commercio;
promuovere i negoziati commerciali; dirimere le controversie commerciali; monitorare le politiche
nazionali sul commercio; fornire assistenza tecnica ai PVS; cooperare con il Fondo monetario
internazionale e la Banca mondiale.
L’OBIETTIVO DELLA COMPLETA LIBERALIZZAZIONE DEGLI SCAMBI È ANCORA LONTANO:
spesso i Paesi sviluppati, per proteggere le economie nazionali, ricorrono a strumenti
protezionistici, che aggravano la situazione dei Paesi in via di sviluppo.
In occasione delle conferenze, spesso esplodono in modo clamoroso le contestazione contro gli
effetti perversi della globalizzazione, il potere delle multinazionali e il ruolo della stessa WTO e
delle principali organizzazioni economiche internazionali.

IL CAMBIO E LA BILANCIA DEI PAGAMENTI


Ogni Paese ha una propria moneta avente corso legale solo all'interno, pertanto nei pagamenti
internazionali assume rilevanza il cambio tra le diverse monete.

IL CAMBIO (O TASSO DI CAMBIO) È IL PREZZO DI UNA MONETA IN TERMINI DI UN'ALTRA.

PER MERCATO DEI CAMBI S'INTENDE IL MERCATO IN CUI SI ACQUISTANO E VENDONO LE


VALUTE ESTERE. I TASSI DI CAMBIO VARIANO CONTINUAMENTE DAL MOMENTO CHE LE
QUOTAZIONI SONO DETERMINATE DALL'INCONTRO DELLA DOMANDA DI VALUTA ESTERA
CON L'OFFERTA. Si definisce SVALUTAZIONE la riduzione del valore di una moneta rispetto a
una determinata parità con una valuta estera; ovvero, l'aumento del cambio di una valuta estera
(ad es. dollaro) in termini della valuta considerata (ad es. euro). Ciò comporta che occorre una
maggiore quantità di euro per acquistare 1 dollaro. Questo fenomeno è causato, generalmente, da
un aumento della domanda di valuta estera, (per pagamento di importazioni, per investimenti
all'estero, per scopo speculativo, per spese dei turisti …). Si definisce RIVALUTAZIONE, l'aumento
del valore di una moneta rispetto a una determinata parità con una valuta estera; ovvero, la
diminuzione del cambio di una valuta estera (ad es. dollaro) in termini della valuta considerata. Ciò
comporta che occorre una minore quantità di euro per acquistare 1 dollaro.

L'insieme delle transazioni valutarie dà vita al MERCATO DEI CAMBI, che può essere definito
come il mercato in cui gli individui, le imprese e le banche comprano e vendono le valute estere. È
l'unico mercato finanziario che può essere considerato "PERFETTO", avendo un'estensione
geografica mondiale e un'operatività che copre l'intero arco della giornata. Sfruttando i fusi orari, le
contrattazioni nelle sale operative dell'Estremo Oriente proseguono infatti sulle piazze europee,
che in serata passano la mano ai mercati americani, i quali sono rimpiazzati a loro volta di nuovo
da quelli orientali, in un ciclo senza soluzione di continuità.

GLI OPERATORI DEL MERCATO


Possiamo individuare quattro livelli di operatori sul mercato valutario:

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- GLI UTENTI TRADIZIONALI - IMPORTATORI, ESPORTATORI, TURISTI E INVESTITORI
- che cambiano la propria valuta nazionale per effettuare pagamenti, cui si aggiungono
operatori indipendenti e speculatori e investitori professionali che scambiano valute alla
ricerca di profitti sul breve periodo;
- Ie BANCHE COMMERCIALI, che operano alla stregua di stanze di compensazione fra chi
utilizza e chi riceve valuta estera;
- gli INTERMEDIARI FINANZIARI (BROKERS), che operano per conto delle banche, pur
potendo anche loro operare in proprio;
- Ie BANCHE CENTRALI, che operano come venditori o acquirenti e che possono
intervenire sia direttamente sui mercati sia indirettamente con gli strumenti di politica
monetaria, per modificare il corso della propria valuta.

I DIVERSI REGIMI DEL CAMBIO: I CAMBI FISSI


In tema di regimi del cambio, nella teoria economica si fa una fondamentale distinzione tra CAMBI
FISSI e CAMBI FLUTTUANTI O FLESSIBILI.
Il regime che ha caratterizzato gran parte della storia dei rapporti monetari internazionali fin dai
tempi del sistema aureo è quello dei cambi fissi.
SI HA IL REGIME DI CAMBI FISSI QUANDO IL TASSO DI CAMBIO UFFICIALE È STABILITO
DALLE AUTORITÀ MONETANE DI CIASCUN PAESE DI MODO CHE AL TASSO UFFICIALE LE
BANCHE CENTRALI POSSONO SCAMBIARSI RECIPROCAMENTE VALUTA. TUTTAVIA NON
SI TRATTA DI UN CAMBIO ASSOLUTAMENTE INVARIABILE: anche in regime di cambi fissi i
tassi di cambio, che si determinano giornalmente nei mercati valutari in base alla domanda e
all'offerta, possono discostarsi dalla parità ufficiale entro certi limiti, superati i quali LA BANCA
CENTRALE DEVE INTERVENIRE PER DIFENDERE IL CAMBIO UFFICIALE DELLA PROPRIA
MONETA. Quindi in caso di una domanda di valuta estera superiore all'offerta, la banca centrale
deve far ricorso alle riserve valutarie che subiranno una diminuzione o deve contrarre prestiti
presso le organizzazioni monetarie internazionali o presso altri Paesi. Ma se lo squilibrio permane
ed è il riflesso di un deficit della bilancia dei pagamenti (vedi dopo), sarà NECESSARIO
PROCEDERE A UNA RIDUZIONE DELLA PARITÀ UFFICIALE, E CIOÈ ALLA SVALUTAZIONE
DELLA MONETA. Avverrà il contrario nel caso di un'offerta di valuta estera superiore alla
domanda, ad esempio in conseguenza di un attivo della bilancia dei pagamenti.
Un regime di cambi fissi presenta dei VANTAGGI ai fini degli scambi e dei pagamenti
internazionali in quanto consente agli operatori economici di fare calcoli e previsioni corrette.
Inoltre, viene scoraggiata la speculazione nei mercati dei cambi e l'insorgere di "tempeste"
monetarie che mettono a repentaglio la stabilità del cambio. Ma perché ciò sia possibile è
necessario che le banche centrali dispongano di riserve valutarie sufficienti per sostenere il cambio
delle rispettive monete.
Il regime di cambi fissi presenta degli ONERI per il Paese che l'adotta, in quanto non vi devono
essere gravi squilibri nella produttività, nei costi di produzione e nei prezzi rispetto agli altri Paesi.
L'esistenza di squilibri provocherebbe conseguenze negative sull'equilibrio dei conti con l'estero. Si
imporrebbero misure che comportano sacrifici per l'attività economica e per l'occupazione.

Fino alla prima guerra mondiale nella maggior parte dei Paesi fu in vigore il SISTEMA MONETARIO AUREO. Ogni
moneta era definita in base alla parità aurea, in quanto il suo valore corrispondeva alla quantità d'oro in essa contenuta,
mentre i biglietti di banca erano liberamente convertibili in oro. Il rapporto tra il contenuto aureo di due monete ne
determinava anche la parità di cambio. Ad esempio: se una lira conteneva un grammo di oro e un marco tedesco era
pari a due grammi di oro, il tasso di cambio risultava il seguente: 1 marco = 2 lire, 1 lira = 1 / 2 marco.
Il motivo principale che portarò al crollo del sistema aureo fu la ridotta disponibilità di oro, insufficiente ormai a finanziare
il volume degli scambi internazionali.
I CAMBI FLUTTUANTI
Un regime di CAMBI FLUTTUANTI O FLESSIBILI si ha quando il cambio viene liberamente
determinato dal mercato dei cambi e cioè dalla domanda e dall’offerta di valute estere.
TEORICAMENTE, IN REGIME DI CAMBI FLUTTUANTI NON ESISTONO LIMITI ALLE
OSCILLAZIONI DEL CAMBIO, TUTTAVIA LE BANCHE CENTRALI POSSONO INTERVENIRE sui
mercati dei cambi per modificare il corso della propria valuta. Nel caso di un aumento rilevante del
cambio del dollaro rispetto all'euro (che significa dollaro "forte" ed euro "debole"), la BCE può

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ritenere opportuno effettuare interventi a sostegno sui mercati dei cambi impiegando le proprie
riserve valutarie (e viceversa).
LE VARIAZIONI DEL CAMBIO, ATTRAVERSO I LORO EFFETTI SUI SETTORI LEGATI
ALL'IMPORTAZIONE E ALL'ESPORTAZIONE, INFLUENZANO COMUNQUE IL LIVELLO
INTERNO DEI PREZZI E DELLA PRODUZIONE. In caso di svalutazione si potrebbe generare un
processo inflazionistico attraverso l'aumento dei prezzi dei prodotti importati, (e l’aumento della
domanda delle esportazioni, che costituiscono una componente della domanda aggregata). D'altra
parte, anche in caso di rivalutazione si verificherebbero degli effetti indesiderati a causa della
perdita di competitività delle merci esportate, (l’occupazione potrebbe diminuire).
Bisogna poi considerare che lasciare il cambio libero di fluttuare induce gli operatori economici a
fare continue previsioni sull'andamento dei tassi di cambio e li lascia praticamente in balia dei
movimenti speculativi di capitali, (incertezza). La SPECULAZIONE sui cambi può causare crisi
monetarie e valutarie in un sistema generalizzato di cambi fluttuanti.
Per evitare tutti i possibili inconvenienti di un regime di cambi fluttuanti, le banche centrali spesso
intervengono nel mercato dei cambi, dando luogo a una FLUTTUAZIONE GUIDATA, Se una
moneta si sta svalutando troppo e, ciò provoca effetti negativi per l'economia, la banca centrale
interviene nel mercato dei cambi per far risalire la quotazione. Per operare questa manovra è
necessario che la banca centrale disponga di suffcienti riserve valutarie da immettere sui mercati.

LA BILANCIA DEI PAGAMENTI


LA BILANCIA DEI PAGAMENTI È IL DOCUMENTO CONTABILE NEL QUALE SONO
REGISTRATE TUTTE LE TRANSAZIONI ECONOMICHE INTERNAZIONALI EFFETTUATE IN
UN DETERMINATO PERIODO DI TEMPO (UN ANNO) TRA I RESIDENTI DI UN PAESE
(PERSONE FISICHE E GIURIDICHE) E I RESIDENTI DEL RESTO DEL MONDO.
Le registrazioni sono tenute secondo il METODO DELLA PARTITA DOPPIA: LE ENTRATE
DEVONO EGUAGLIARE LE USCITE. Il saldo, che viene aggiunto per realizzare tale eguaglianza,
rappresenta il risultato attivo o passivo delle varie voci, dei singoli conti (o bilance) e quindi del
totale della bilancia dei pagamenti. La bilancia dei pagamenti si articola nei seguenti conti:

PARTITE CORRENTI: IN QUESTO CONTO SONO REGISTRATE, ALL'ATTIVO, LE


ESPORTAZIONI DI MERCI E, AL PASSIVO, LE IMPORTAZIONI: QUESTE VOCI
COSTITUISCONO LA BILANCIA COMMERCIALE.

MOVIMENTI DI CAPITALE: IN QUESTO CONTO SONO REGISTRATE IN ATTIVO LE ENTRATE


DI CAPITALE NEL PAESE: investimenti esteri diretti (ad esempio, l'acquisto di uno stabilimento
industriale italiano da parte di un'impresa straniera), investimenti finanziari relativi all'acquisto di
titoli italiani, prestiti dell'estero all'Italia; NEL PASSIVO LE USCITE DI CAPITALE DAL PAESE.

ERRORI E OMISSIONI: questa voce ha un valore rettificativo delle inevitabili imprecisioni.

MOVIMENTI MONETARI: QUESTO CONTO HA ESSENZIALMENTE LA FUNZIONE DI SALDO


CONTABILE DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI. IN PARTICOLARE VENGONO ISCRITTI I
COSIDDETTI PRESTITI O MOVIMENTI COMPENSATIVI CHE SONO DECISI DALLE AUTORITÀ
MONETARIE, AL FINE DI COMPENSARE EVENTUALI SQUILIBRI DELLE TRANSAZIONI E DI
NEUTRALIZZARE LE CONSEGUENZE SUL TASSO DI CAMBIO DELLA MONETA. Queste
operazioni, che danno luogo al SALDO DEI REGOLAMENTI UFFICIALI, comportano un aumento
delle riserve ufficiali (se la bilancia è in attivo) oppure una diminuzione delle riserve ufficiali (se la
bilancia è in deficit).

IL SALDO RITENUTO PIÙ SIGNIFICATIVO È IL SALDO DELLA BILANCIA COMMERCIALE, IN


QUANTO I MOVIMENTI DI MERCI COSTITUISCONO SPESSO LA VOCE PIÙ IMPORTANTE
DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI.
UNO SQUILIBRIO DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI DIPENDE OVVIAMENTE DA QUALE
SALDO VIENE PRESO IN CONSIDERAZIONE. Ad esempio se si vuole colmare un disavanzo
della bilancia commerciale bisogna ricorrere a misure che limitino le importazioni e/o incrementino
le esportazioni.

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Un concetto molto importante è il SALDO GENERALE DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI, che
designa il saldo complessivo delle partite correnti e dei movimenti di capitale, e non già di tutto
l'attivo e di tutto il passivo, perché se vengono inclusi anche i movimenti monetari il saldo è zero,
(si parla in tal caso di saldo globale).
Viene considerato un obiettivo importante di politica economica il fatto che un Paese abbia un
saldo della bilancia dei pagamenti il più possibile vicino al pareggio. Le CONSEGUENZE
NEGATIVE DI UN DEFICIT NOTEVOLE E CRONICO possono consistere in un crescente
indebitamento verso l'estero o in una perdita continua di riserve valutarie (con problemi per il
sostegno del cambio). Le CONSEGUENZE DI UN AVANZO PROLUNGATO possono essere un
aumento delle riserve o dei crediti verso l'estero, una domanda aggregata eccessiva rispetto
all’offerta con effetti inflazionistici.

GLI SCAMBI CON L'ESTERO E IL REDDITO NAZIONALE


LA BILANCIA DEI PAGAMENTI È CONNESSA ALLA CONTABILITÀ ECONOMICA NAZIONALE.
IL LIVELLO DEL REDDITO NAZIONALE È INFATTI DETERMINATO ANCHE DALLE
ESPORTAZIONI E DALLE IMPORTAZIONI:

Y = C + I + G + Ex – lm

nella quale Y rappresenta il reddito nazionale, C i consumi, I gli investimenti, G la spesa pubblica,
Ex le esportazioni e Im le importazioni. Ex - Im è il saldo della bilancia commerciale.

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