Jewish Studies

Abstract

Il presente contributo vuole fornire un’analisi preliminare dei principali nuclei di reperti ceramici da cucina e da dispensa rinvenuti durante le campagne di scavo effettuate presso il Castellaccio di Lucolena (Greve in Chianti – Firenze). L’insediamento si trova citato nei documenti fin dalla fine del X secolo; l’indagine archeologica è stata condotta dal Gruppo San Michele (GEV) ed  ha messo in luce un insediamento fortificato che consta di un cassero nella zona sommitale della collina e di un borgo che si sviluppa sul terrazzamento naturale fornito dalla conformazione del rilievo.
Nel cassero sono stati individuati vari ambienti, fra cui uno sicuramente riconosciuto come forno ed uno attualmente interpretabile, sulla base dei reperti rinvenuti, come ripostiglio. Da una prima analisi dei materiali di scavo, del cui studio la scrivente è stata incaricata, emerge la presenza di un cospicuo numero di testi e tegami, al quale si affiancano, se pur in numero minore, pentole ed altri recipienti da cucina che sono stati rinvenuti nella zona prospiciente la bocca del forno. I recipienti mostrano evidenti tracce d’uso. In seguito alla perdita di funzionalità conseguente la rottura, furono riutilizzati per livellare il piano di calpestio del piccolo cortile antistante il forno medesimo. Le analisi archeometriche e lo studio dei reperti faunistici (probabili resti di pasto) rinvenuti contestualmente potranno fornire ulteriori dati.
Il “ripostiglio” è invece un piccolo ambiente che ha restituito ceramica depurata e semidepurata destinata ad essere impiegata sia sulla tavola, sia come recipiente per conservare gli alimenti.


English version

The aim of this paper is to provide a preliminary analysis of the ceramics found at the Castellaccio di Lucolena (Greve in Chianti – Firenze). The settlement is known from written sources since the X century. The archaeological excavation has been carried out by the Gruppo San Michele (GEV) and has brought to light  a fortified settlement consisting of a donjon and a village developed along the hillside. The donjon consist of several “rooms” (among which a storage place can be identified) and of an inner bailey where there is an oven.
The excavation carried out in the area in front of the oven  reveal the presence of a wide number of open forms used mostly  for baking bread; together with them, even though in smaller amount, some pots were found as well. All the finds show signs proving their use. After they got broken and could not be used anymore, they were employed in order to level the standing ground of the small courtyard in front of the oven itself. The storage room is an extremely small place were depurate pottery which could be used both on the table or for storing food was found.

Concerning pottery making, the technical innovation that should be regarded as one of the most relevant in the beginning of Renaissance is the use of blue pigments in tin glazed pottery. The same change has been recorded both in Italian and Spanish productions, but the supply of raw material followed different routes. Despite the large amount of pottery traded to Italy from the Valencian area, Italian potters did not buy blue pigments in Spain. The oldest documents concerning this trade usually refer to glass-making, but is worth mentioning the way in which the new material was named: açurro de la Mangna, cofaro, saffaro o zaffera, and cenre bleue, cendrée, ceneri azzuri, blu Hangarese as well. About 1300 Abu al-Qâsem Kâshâni mentioned different mines in his treaty: among the others he listed one in Qamsar (Iran) and one in Farangestân (Freiburg). Even though blue oxides were exported from Iran to China, the same material was imported into there from Germany: thanks to the small amount of manganese present in the German deposit it was possible to get better results.
Despite the bertino di Vinegia became wide-spread in 16th century only, the first reference to imports from the Middle East dates back to the beginning of the 15th century, when the colore damaschino and alla damaschina referred to blue decoration imitating oriental productions. Pigments are named differently in treaties, but mineral are usually mentioned when referring to Germany, while cinders are used for imports from the Middle East.  Only the first ones were used for paintings, glass and pottery making, while the latter were employed for colouring clothes. The most relevant difference present in primary sources refers to the azurro della Magnia and ultramarine blue, which was made out of lapis-lazuli, a semi-precious stone extracted in Afghanistan and Iran. Despite written sources refers both to lapis lazuri (lapis-lazuli) and to sapphirum (sapphire), the difference between the two stones was known since antiquity and in Middle Ages as well. The pigment deriving from lapis-lazuli only was generally used in paintings and for illuminated manuscripts but could be added to glazes as well. This stone was not widely employed, not only because it was highly expensive, but also because it needed a long preparing process.
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Nella transizione fra Medioevo e Rinascimento l’innovazione tecnologica di maggior rilievo che investe le classi smaltate è costituita dall’introduzione degli ossidi di cobalto nei rivestimenti. Benché si possa rilevare un significativo parallelismo con quanto avviene nelle produzioni valenzane, le fonti di approvvigionamento sembrano essere diverse. Nonostante il volume delle importazioni di maiolica, non sembra che i vasai italiani si rifornissero di cobalto in Spagna. I documenti più antichi circa l’importazione del minerale, si riferiscono spesso alla manifattura del vetro, ma rimangono significativi i termini impiegati, fra i quali si ricordano: açurro de la Mangna, cofano, saffaro o zaffera, ma anche cenre bleue, cendrée, ceneri azzuri, blu Hangarese. Già nel 1300 ca. Abu al-Qâsem Kâshâni ricorda nel suo trattato giacimenti diversi, fra i quali quello iraniano di Qamsar, nei pressi Kâshân ed uno a Farangestân, identificabile con Freiburg. Sembra tuttavia che lo stesso Iran, sebbene esportasse ossidi di cobalto in Cina, importasse la stessa materia prima dalla Germania, poiché la piccola quantità di manganese presente nel giacimento tedesco impedisce al minerale di fondere al momento della cottura: un particolare già notato da Biringuccio.
Benché il famoso bertino di Vinegia si diffonda solo dal XVI secolo, i riferimenti all’uso del blu come materia prima proveniente dall’Oriente appaiono già nei primi decenni del XV secolo, quando con colore damaschino e alla damaschina si indicano le decorazioni in blu su fondo bianco che imitano prodotti di origine orientale. Se consideriamo la varietà dei modi in cui l’azzurrite o il cobalto vengono ricordati nei trattati, emerge una netta distinzione fra i riferimenti alla Germania e all’Europa continentale, prevalenti quanto si parla del minerale, mentre si parla di ceneri per le importazioni dal levante. Questi testi non lasciano tuttavia dubbi circa il diverso impiego dei pigmenti di origine vegetale rispetto a quelli di origine minerale: i primi, venivano impiegati per la tintura dei tessuti e per le decorazioni miniate, i secondi per la pittura, il vetro e le ceramiche. Una delle distinzioni più significative riportata dalle fonti coeve riguarda l’azurro della Magnia e quello oltremarino, che si ricava dal lapislazzuli, una pietra semipreziosa estratta in Afghanistan e Iran. Sebbene spesso si parli indistintamente del lapislazzuli (lapis lazuri) e dello zaffiro (sapphirum), la differenza fra le due pietre era nota fin dall’antichità classica e conosciuta anche nel Medioevo. Soltanto il pigmento derivante dal lapislazzuli era generalmente impiegato in pittura e nella miniatura, ma poteva tuttavia essere usato nelle vetrine, sia nelle ceramiche, sia nelle tessere musive. Questo prodotto trovava però un impiego limitato, non solo per il costo molto elevato, ma anche per il lungo e complesso processo di purificazione cui deve essere sottoposto.

1) Tema e metodo
- Ricerca incentrata sulla produzione della maiolica in Toscana durante la transizione fra Medioevo e Rinascimento
- Rapporto fra centri di produzione e di consumo fra la seconda metà del XIV e la seconda metà del XVI secolo
- Incentrata su Firenze e sul bacino del medio Valdarno come area produttiva.
- Studio strettamente archeologico e non facendo riferimento alla tradizione degli studi ceramologici. Le datazioni delle classi ceramiche si basano sui materiali provenienti dai contesti di scavo e non su considerazioni di carattere stilistico-decorativo.
- Approccio multidisciplinare:  confronto dei dati derivanti dall’analisi archeologica con la ricerca svolta sulle fonti archivistiche e con i riscontri offerti dalle fonti iconografiche. Uso integrato e non giustapposto delle diverse tipologie documentarie.

2) Analisi delle fonti scritte
- Documenti di natura fiscale e libri di conto di enti pubblici e di privati. Analisi dei termini con cui le fonti coeve designano gli operatori del settore e gli oggetti che producevano. Ricostruzione dell’organizzazione del lavoro nelle botteghe e delle condizioni di lavoro. Indicazioni circa i prezzi sul mercato dei prodotti finiti.
- Emerge un quadro piuttosto articolato della divisione del lavoro, soprattutto in area urbana. Distinzione di produttori e rivenditori tramite nomi diversi e con la destinazione di spazi diversi all’interno della città.
- Sistematizzazione del materiale edito come punto di partenza per la ricerca di archivio. È emerso un costante spostamento delle maestranze all’interno di un’unica area produttiva che comprende: Firenze, Bacchereto, Montelupo, Cafaggiolo, Prato e Pistoia.
- Continuità della produzione e successo delle manifatture sono strettamente connesse alla possibilità di approvvigionamento delle materie prime.
- Terminologia impiegata per indicare gli oggetti: utile strumento per chiarire alcuni aspetti funzionali. Confronto/riscontro con le fonti iconografiche.


3) Classificazione e analisi dei dati archeologici
- Classificazione tipologica dei prodotti circolanti sul mercato basata sull’associazione fra forma e sintassi decorativa, dove la prima costituisce un elemento di lunga durata.
- Approfondimento della dimensione funzionale dei materiali analizzati. Punto di partenza per la ricostruzione della tavola apparecchiata e per la comprensione dei cambiamenti che vanno delineandosi nelle abitudini alimentari.

4)  Centri produttivi
- Particolare attenzione alle caratteristiche tecnologiche: argille impiegate per il corpo ceramico e rivestimenti. Sono stati messi in evidenza  gli elementi che contraddistinguono il riaffermarsi delle produzioni seriali.
- Uso degli ossidi di cobalto, a partire dalla produzione di maiolica ‘arcaica blu’ come il tratto maggiormente caratterizzante le produzioni ‘di transizione’ fra Medioevo e Rinascimento. L’impiego rimane costante nelle produzioni pienamente rinascimentali.
- Importazioni dall’area valenzana, anche in riferimento all’acquisizione delle competenze necessarie alla produzione del lustro in alcune manifatture dell’Italia centro-settentrionale.

5) Centri di Consumo
- Incentrata su Firenze: studio esaustivo delle classi smaltate basso medievali e rinascimentali provenienti dai recenti scavi urbani in via de’ Castellani e presso i locali della ex biblioteca Magliabechiana.
- Rapporto privilegiato con le manifatture del medio Valdarno, soprattutto con Montelupo, che a partire dalla seconda metà del Quattrocento assunse progressivamente i tratti di vero e proprio “quartiere industriale”.
- Solo con il volgere del XVI secolo, si assiste ad un’apertura del mercato fiorentino verso i prodotti liguri e faentini, con particolare riferimento ai ‘bianchi’ e ai ‘berettini’.
- Rapporto fra la Dominante e il territorio sotto il suo controllo nelle diverse fasi dell’espansione fiorentina. I dati fino a questo momento analizzati hanno mostrato come la terra nuova di Castel San Giovanni, nel Valdarno superiore, faccia riferimento, salvo alcune influenze di area aretina e senese fra il tardo XIV secolo e l’inizio del successivo, alle produzioni mediovaldernesi che circolano anche a Firenze.
- Rapporto fra Firenze e lo Stato Nuovo. Diversa è, rispetto a San Giovanni Valdarno, la condizione riscontrata per Grosseto, dove il mercato sembra rimanere legato prevalentemente ai prodotti dell’area senese.

Abstract
Non solo a Firenze ma in tutta Italia, gli statuti prestano particolare attenzione a regolare le attività produttive, in particolare quelle ritenute “inquinanti”. Per forni e fornaci si stabiliscono dimensioni e distanza dagli altri edifici, così da limitare il pericolo d’incendio. Le fonti archivistiche ci aiutano a comprendere la differenza fra l’attività di orciolai, fornaciai, stovigliai e scodellai, distinguendo non solo fra produttori e rivenditori, ma anche fra quanti producevano solo ceramica rivestita – e non – piuttosto che mattoni e calcina. Pur mancando divieti espliciti circa l’allontanamento di queste attività dalla città, esistono tuttavia delle limitazioni sul reperimento e l’accumulo delle materie prime, che portano alla loro concentrazione in aree urbane più vicine alle zone di approvvigionamento. In città la distinzione di maggior rilievo rimane quella fra produttori di mattoni (fornaciai) e di stoviglie (orciolai) rispetto ai rivenditori (stovigliai); fuori dal perimetro urbano, invece, produttori e rivenditori coincidono. Il progressivo avvicinamento delle attività manifatturiere ai luoghi di approvvigionamento delle materie prime può essere ricondotto sia a ragioni di trasporto, sia all’incremento della densità abitativa all’interno del perimetro urbano, che rendeva più difficile reperire spazi adeguati per i processi di lavorazione. Ciò che emerge dai documenti è la netta distinzione fra quanti producevano oggetti privi di rivestimento (fornaciai) e quanti realizzavano prodotti rivestiti (orciolai).
Non sempre è precisato se si tratti di fornaci per la cottura di ceramica; sulla base delle indicazioni certe e tenendo in considerazione anche le descrizioni degli ambienti di lavoro, è comunque possibile ricostruire la dislocazione delle attività lavorative all’interno dei quartieri cittadini. I 650 vasai attivi dal XIV al XV secolo a Firenze e nell’area fiorentina devono essere letti prendendo in esame il loro avvicendarsi nel tempo e distinguendo non solo fra produttori e rivenditori, ma fra quanti possiedono una bottega e i lavoratori salariati.

The Medici Archive Project is organizing a one-day conference in English and Italian at the Archivio di Stato in Florence dedicated to new research trajectories on the relations between the Medici and the wide cultural, social and geographic area that in time has come to be identified as ‘the Levant.’ The period covered will extend from 1532, when the Medici received the ducal title, until the death of the last member of the dynasty in 1743.
The House of Medici established an extensive network of mercantile, political and cultural relations connecting Florence and the Eastern Mediterranean since the time of Cosimo the Elder (1389-1464). However, the nature of that exchange evolved rapidly once the Medici became dynastic rulers of Florence and assumed an increasingly active role in Mediterranean and Eastern European politics. First as Dukes of Florence and then as Grand Dukes of Tuscany, the Medici became players in an area that extended from Safavid Persia to the Republic of Venice, passing through the era’s superpower, the Ottoman Empire. The great number of letters in the Medici epistolary collection (the “Archivio mediceo del principato”) relating to ‘Levantine’ topics bears witness to a profound and persistent vested interest that wavered between reproach and fascination, and that went beyond military, religious or diplomatic concerns.

This paper will analyse the major production centres of lustre-ware in Renaissance Italy. Focus will be on central Italy (Deruta and Cafaggiolo), considering both the development of the production technique and whether it can be proved that potters moved from one productive centre to the other carrying with them the knowledge needed for terzo fuoco. The attempts made in Montelupo and Faenza will be analysed as well.
Primary sources, such as Li tre libri dell’arte del vasaio by Piccolpasso, describe in detail all the processes of lustre-ware making; these “recipes” are known from other potters’ books written in the same period. What is not said, however, is how Renaissance potters came to understand the technique of applying metallic oxides to tin-glazed artefacts in order to obtain golden or silver reflexes. The contacts with Moresque Spain have been constant in the previous centuries and it might be possible that somehow Italian potters learned this technique from Spanish potters. While Italo-Moresque maiolica is the result of imitated models, lustre-ware production requires technological knowledge that could not have been acquired by chance.
The influence of models circulating within the Mediterranean area will be considered as well, trying to understand how, together with their products, people circulated as well.

Lo studio delle fonti documentarie e delle evidenze materiali testimonia la convivenza di recipienti in materiali eterogenei durante tutto il Medioevo: argilla, legno, metallo di pregio diverso, ma anche cuoio e pelle. Data la deperibilità del meteriale, la ricerca sulle supellettili in legno e in metallo – ancora in stato di avanzamento – si incentra sulle fonti scritte. Benché in area mediterranea la sostituzione sulle mense e in cucina di stoviglie e suppellettili in legno con la ceramica, sembri essersi avviata in un momento piuttosto precoce e coincidente con il volgere del XIV secolo, la ricerca d’archivio incentrata su alcuni inventari fiorentini mostra la continuità d’uso del legno per tutto il XV secolo, spesso affiancato dalle suppellettili in stagno. Materiale, quest’ultimo ancora largamente usato nel Seicento, nonostante la vasta diffusione dei “bianchi” faentini.

This paper discusses the production and circulation of vessels used for storing and shipping goods in the Western Mediterranean during the late Middle Ages and the Renaissance. As within this area a considerable amount of diverse storing vessels has been used for filling vaults, they can be dated with a high degree of precision. For this reason I will discuss the importance of these objects in dating archaeological records, with an eye on their functional aspects and comparing archaeological evidence and written sources. The analysis of forms, bodies and marks make possible to understand where these objects were made. These data can be used to reconstruct the circulation and trade not only of these vessels, but also of the goods that were shipped inside them.

It is well known that hard stones were imported from the Indies in Florence in different circumstances, including for the construction project of the Cappella dei Principi. This presentation wishes to discuss the idea of “exotic” related not only to hard stones imports, but also to further products such as porcelains and textiles. Different case studies present in archival documents will be discussed.