Cristiano Cali
I obtained my PhD in philosophy at the Università della Svizzera Italiana and the Università Vita-Salute San Raffaele (Milan). I am currently a post-doctoral fellow at the Pontifical University of St Thomas Aquinas in Rome and at the Università degli Studi di Torino, where I work on philosophy of mind, moral philosophy and AI ethics in collaboration with Institute for Ethics and Emerging Technologies (IEET) in Boston. Alongside my research activity, I teach the course "Methodology and Ethics of Academic Research".
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Books by Cristiano Cali
tra le diverse discipline, ruolo della cultura per l’Europa.
Visti i notevoli progressi della scienza, deve essere sancito un divorzio e così rinchiudere la fede nella superstizione, o è possibile ancora ricercare Dio con la propria ragione? A queste e altre domande risponde papa Benedetto XVI.
Da questa magistrale opera emerge con chiarezza il carattere del Papa quale educatore impegnato nell'arricchire il patrimonio intellettuale dell'umanità.
Sarebbe riduttivo definire gli Écrits come un mero trattato teologico, dal momento che in essi Pascal riversa tutta la sua comprensione dell’essere umano – ovviamente colto alla luce del rapporto col divino – oltre a far emergere la profonda conoscenza (benché in un primo tempo sottostimata) che egli aveva della letteratura patristica e delle controversie teologiche del suo tempo. Questo insieme di fattori fa sì che gli Écrits siano il luogo privilegiato in cui è possibile cogliere il pensiero e il profilo di Pascal nella sua complessità e unitarietà; e a corroborare questo giudizio basterebbe quanto Jean Menard disse in merito a questi tre testi, i quali sarebbero come “un’introduzione naturale all’opera ai Pensieri” e una “chiave di lettura di tutta l’opera pascaliana”.
Con gli Écrits, inoltre, Pascal assume un posto di rilievo – sebbene, anche qui, troppo spesso sottovalutato – nell’atavica querelle sul libero arbitrio che, proprio nei primi anni del Seicento, assistette ad un notevole cambio di passo: transitando da quella che potrebbe essere definita come l’“era teologica” del libero arbitrio a quella che si stava inaugurando quale “era filosofica”, nella quale autori come Renè Descartes e Nicolas de Malebranche avrebbero proceduto per via razionale – seppur ancora legati ad alcune questioni teologiche – a indagare la tematica della libertà.
In quel contesto Pascal, in modo sicuramente diverso da suoi “colleghi”, ha portato alcuni elementi che reputo essere particolarmente notevoli soprattutto per il dibattito contemporaneo.
Partendo quindi da questi dati e, in particolare, dall’interpretazione non sempre “ortodossa” che negli Écrits il Clermontese fa di Agostino, il contributo cercherà di analizzare la nozione pascaliana di libertà, formulata in aperta opposizione sia al luteranesimo/calvinismo sia al molinismo gesuitico, per individuare a quale specifica teoria del rapporto tra grazia e libero arbitrio Pascal sia pervenuto.
Nello specifico, recuperando la teoria novecentesca dell’interpretazione condizionale delle alternative possibilities, l’articolo mirerà a rileggere la teoria pascaliana in quella che potrebbe essere definita, attraverso termini moderni, come compatibilista, e azzarderà alcune assonanze tra il filosofo di Port-Royal e la dottrina di Luis de Molina.
Il testo mette in luce la problematica riguardante il riconoscimento di un valore sacramentale all’ordinazione episcopale, e lo fa prendendo le mosse dal tempo apostolico e patristico, per passare al Concilio di Trento e al Vaticano I, sino a giungere al Concilio Vaticano II, che in riferimento all’episcopato ha messo in campo l’affermazione più solenne del suo magistero. Tutto questo viene svolto grazie all’analisi dei nodi principali del progressivo dibattito sorto intorno a questo tema e nella complementarietà delle sue più significative influenze: teologiche – e più propriamente ecclesiologiche e liturgiche – canonistiche ed ecumeniche; senza con questo tacere i punti nevralgici che hanno spesso osteggiato la chiara definizione dell’episcopato come sacramento e che ancora richiedono uno studio per un’attuazione pratica nella vita della Chiesa.
Oggi dopo le affermazioni del Vaticano II, le discussioni sono tutt’altro che concluse, e il libro – che si avvale della preziosa prefazione di mons. Marcello Semeraro – prova a darne ragione.
Talks by Cristiano Cali
Benché non condivida affatto certi scenari, il presente contributo vuole prospettare un futuro (im)possibile in cui gli umani saranno uguali alle macchine (o superiori ad esse), non già per indicare dei “limiti” da porre a ingegneri o programmatori (compito precipuo delle etiche applicate), quanto, piuttosto, per sviluppare una riflessione teoretica che definisca se certi futuri contingenti abbiano almeno una certa condizione di possibilità (Kurzweil, 2009). Nel far ciò non vi è nessuna volontà demonizzante nei confronti dell’AI ma la necessità – come suggerisce Susan Schneider, filosofa e fondatrice del Center for the Future Mind in Florida – di assumere tali scenari (in cui la cosiddetta AI forte sarà stata raggiunta), quale strumento metodologico, poiché «dal punto di vista etico è meglio presumere a priori che un’intelligenza artificiale sofisticata possa essere cosciente» (2019, p. 176), almeno sintantoché non vi sarà un test capace di mostrare il contrario.
A partire da tali presupposti, il contributo intercetterà quell’elemento che sembra essere, sia in via pratica sia in via teorica, l’unico fattore che in quanto limitante dell’essere umano lo costituisce in quanto tale (Cabitza, 2021; Chiariatti, 2021). Tale elemento sarà rintracciato nella capacità cognitiva di prendere decisioni libere. Nel far ciò il contributo avrà come suo scopo ultimo quello di mostrare come siano proprio il programma postumanista da un lato e la famosa analogia mente-software/cervello-hardware dall’altro, a consentire – attraverso la loro pars destruens – di pervenire a certe conclusioni che impongono un ripensamento delle categorie antropologiche in vista di una nuova pars costruens (Baker, 2000; Calì, 2022).
Se, infatti, il paradigma collezionista, ha resistito all’avvento del digitale, ha però perso il proprio smalto con l’introduzione delle piattaforme di streaming e di sharing. Per un amatore di film, ad esempio, si è passati dal desiderio e/o bisogno di avere un oggetto (un DVD, un blue-ray, ecc.) al semplice accesso a determinati contenuti. Lo stesso fenomeno si sta verificando anche nei contesti scientifici: alle biblioteche – scrigni millenari di cultura – si vanno sostituendo piattaforme online open access dove l’imperativo da ossequiare è l’accesso ai dati più che il loro possesso in senso stretto.
Senza voler fornire un giudizio di valore su questo ri-orientamento, ma a partire da questo dato, il contributo vuole indagare come il digitale abbia riontologizzato l’oggetto del desiderio ma soprattutto la relazione tra ens desiderans et ens desideratum.
Nello specifico si cercherà di analizzare questo cambio di passo realizzando un focus su uno degli elementi desiderabili per antonomasia: il desiderio sessuale. Attraverso un breve excursus sulla nascita e l’affermazione della piattaforma online OnlyFans e una riflessione etica sugli assunti che si pongono alla base di essa, si cercherà di comprendere l’impatto trasformante della potenza digitale in riferimento all’oggetto del piacere sessuale, il quale oggi – a differenza d’un tempo – non vuole più essere né posseduto né fisicamente, ma semplicemente goduto come accesso.
Alla base di questi e di molti altri problemi, tuttavia, si può rintracciare un minimo comune denominatore, costituito dal fatto che si dà per assodato che le AI possano “agire” proprio come gli esseri umani. A tal proposito Luciano Floridi ha invitato a ripensare la sigla di AI (artificial intelligence), modificandola in AA (agere sine agency). Da questo ripensamento di categoria il presente contributo vuole prendere le mosse.
Si cercherà, anzitutto, di definire i termini esatti con i quali è possibile predicare l’agency anche delle AI. In particolare si proverà ad applicare la nozione di agency al processo decisionale da parte delle AI, mostrando analogie e differenze tra il processo deliberativo dell’essere umano e quello demandato ad un’AI.
A partire da questa analogia si declineranno due paradigmi che possono essere due matrici per il rapporto che intercorre tra esseri umani e macchine all’interno dello “spazio” del processo decisionale. In particolare si mostrerà quello che può essere chiamato come paradigma sostituivista da un lato, e quello che può definirsi come paradigma complementarista.
Dall’impasse al quale conducono entrambi gli approcci, infine, si cercherà di mostrare come il coinvolgimento di determinati algoritmi di intelligenza artificiale nel processo decisionale se da un lato risulta indispensabile per padroneggiare l’innumerevole mole di dati oggi a nostra disposizione, dall’altro conduce ad una profonda trasformazione in ciò che è più proprio dell’essere umano: la capacità cognitiva di deliberare e di prendere decisioni libere che possano definirsi “del soggetto”.
L’epoca moderna in particolare, grazie all’affermazione della fisica con Isaac Newton e del metodo sperimentale ad opera di Galileo Galilei, è stato il momento storico in cui, sia da parte filosofica sia da parte scientifica, sono giunti gli attacchi più serrati alla nozione di libertà. Il rigido determinismo del macrocosmo sembrava infatti incompatibile con l’intuizione della libertà (Hobbes, 1646, 1656; Laplace 1814; Mill, 1843, 1859).
Più di recente, nella contemporaneità, sono state invece le neuroscienze e la neurofisiologia a suggerire che il nostro cervello si attivi ancor prima che noi ne diventiamo coscienti (Libet et al, 1983; Soon et al., 2008, 2013). Quei dati, tuttavia, sono stati smentiti dalle medesime discipline (Haggard, 2005; Maoz et al., 2019) le quali, in un altalenarsi continuo, hanno fornito prove a favore o contro la libertà.
Anche l’avvento della meccanica quantistica, con la reintroduzione dell’indeterminismo a livello microscopico, sembrò portare nuove prove in difesa della libertà, se non fosse che anche l’indeterminismo non sembri affatto garantire la libertà di cui noi ci sentiamo portatori.
In questo intricato contesto, un dato rimane incontrovertibile: dopo millenni di riflessioni non si è giunti a compiere passi avanti, tant’è che Max Planck poteva dire: «Dopo tutto quanto è stato pensato e scritto nei secoli sul nostro problema ci si potrebbe attendere di essere oggi più prossimi alla sua soluzione, […] ma in realtà è successo precisamente il contrario» (Planck, 1923, p. 28).
Questa stasi alla quale il dibattito sembra esser giunto è stata interpretata da alcuni come una dimensione costitutiva della libertà stessa, la quale si configurerebbe come un avere propria incognita situata nell’essere umano.
Il presente articolo vuole prendere le mosse proprio dalla scuola di pensiero che si esprime in termini scettici nei confronti della libertà e, in particolare, vuole delineare i due orientamenti maggioritari: gli scettici epistemici o misteriani (van Inwagen, 1998) e gli scettici ontologici, o illusionisti (Wegner, 2002; Ferber 2003).
Dall’analisi critica dei due orientamenti si conseguirà quindi lo scopo ultimo del contributo: far emergere come proprio questa dimensione di enigma che si colloca non all’esterno della natura umana ma al suo interno sia uno degli elementi contraddistintivi della libertà in particolare e dell’essere umano in generale, il quale proprio nel non poter aver pieno accesso a questa dimensione cognitiva – che rimane sempre a lui in parte ignota – si costituisce quale soggetto agente e responsabile.
mind and, in particular, in that of the philosophy of free will. The
question of free will, in fact, has always been at the center of
philosophical debates and is still an open question today. The aim
of this paper is to use the discipline of artificial intelligence as a
magnifying glass for the free will problem in order to identify,
through it, how this cognitive capacity is an androrithm: an
element specific to the human being and irreproducible. Through
an analysis of the similarities and dissimilarities that the question
of artificial intelligence and that of free will share, and a brief
review of the various types of freedom that - in the face of
contemporary debate - could be present in both human beings and
machines, we will come to the conclusion that the so-called
ambitious free will, if it exists at all, can never be reproduced and
is therefore characterized as a constitutive element of the human
being.
Essendo impossibile fare una rassegna dei molteplici casi cinematografici, il contributo vuole focalizzarsi su un tema specifico della filosofia della mente che a partire dagli anni ’80 del Novecento ha ricevuto un notevole contributo da parte delle neuroscienze: il tema della libertà dell’essere umano o, per utilizzare un termine specifico della riflessione metafisica, del libero arbitrio.
A tal fine il contributo mostrerà quale tipo di riflessione filosofica sul libero arbitro dell’essere umano è stato portata sul grande schermo in tre prodotti d’animazione: due film, rispettivamente, Inside Out della Pixar, e Princess Mononoke, scritto e diretto da Hayao Miyazakla; e alcuni episodi della serie animata Futurama di Matt Groening.
Nello specifico il contributo vuole mostrare come da un tipico assunto della filosofia della mente, definito dalla famosa espressione di Gilbert Ryle “fantasma nella macchina”, si sia cercato di argomentare con gli strumenti propri del cinema una specifica teoria del libero arbitrio che va sotto il nome di compatibilismo. Scopo ultimo, tuttavia, sarà quello di difendere come la questione della libertà umana – nonostante i vari approcci empirici e teoretici – si costituisca quale mistero, nel senso filosofico del termine, mistero che neanche il linguaggio estetico del cinema è ancora riuscito a penetrare.
The problem of the causal role of mental events is, in fact, part of the broader problem of causality tout court, since – as Galileo asserted: «Cause is that which, when posed, follows effect, and when removed, the effect is removed» . It was precisely the principle of empirical causality, whereby every effect has its own cause and vice versa, that constituted the theoretical foundation of Galileo’s inductive method, and it is precisely following the affirmation of that method, according to which for every phenomenon there are necessary and sufficient conditions that we must seek, that the question of mental causality finds its foundation. Indeed, it intersects the sphere of human action because – ultimately – it refers to the possibility for mental states «to be considered as genuine causes of the behaviour of cognitive agents and human subjects in particular» .
The reference to causal relations is therefore unavoidable and it seems that cannot be shared the judgement that Max Planck gave in 1923: «We can completely leave aside the difficult problem of the reciprocal influence of physical and psychical phenomena. It is enough to recognise the principle that every psychic process is linked to a corresponding physical process according to precise laws» . This solution, which is far too approximate, is neither ontologically nor explanatorily satisfactory.
It should be emphasized, however, that when mental causality is mentioned, we are referring to a problem that, before being empirical, is purely philosophical. It is in this perspective that this contribution seeks to place itself, pursuing a threefold aim: to offer a brief historical overview of how mental causality has been approached by philosophers; to investigate which are the main nuclei of mental causality that require a comparison with cognitive sciences today; and to suggest a possible way of understanding the causal relationship.
The historical-philosophical section of the contribution is intended to give a brief retrospective review of a vast literature of recent production that draws on very old discussions. With reference to this historical-philosophical sphere, the contribution seeks to point out an error that is still perpetrated today by many philosophers of the mind and neuroscientists, namely that according to which the father of the problem of mental causality is René Descartes with his theory of the duality of substances. Through the analysis of some recent studies on Descartes, it will be shown how the theses that have become famous through certain popularized neuroscientific non-fiction cannot be attributed to the French author .
The second aim of the paper is to conduct a brief analysis of the problem itself of mental causality. If it is now beyond doubt that mental states are linked to the brain substrate – since they emerge from underlying neuronal interactions (those between individual cells) – It is equally necessary to grasp how «they cannot be defined or understood by knowing only the cellular interactions» . Proof of this is the evidence that a severe lesion located in the brain can impair the possibility of having certain mental states. The problem then lies in understanding whether this relationship is only bottom-up, in the sense that «the brain sustains mental states» or whether higher-level states can act on lower-level states. Moreover, such a problem involves not only the causal relationship by which certain mental events can produce physical changes in the world, but also the causal interaction between purely mental events . Thus, by referring to the Principle of Causal Closure of the Physical World, the problem of overdetermination, and the Argument of causal exclusion developed by Jaegwon Kim, the paper will show the impasse at which the debate on downward causation has reached .
The ultimate aim of the paper will be to hint at a new way of understanding causation especially with reference to the free actions of the human subject. To this end, some avenues of research offered by agent causation theory will be indicated .
tra le diverse discipline, ruolo della cultura per l’Europa.
Visti i notevoli progressi della scienza, deve essere sancito un divorzio e così rinchiudere la fede nella superstizione, o è possibile ancora ricercare Dio con la propria ragione? A queste e altre domande risponde papa Benedetto XVI.
Da questa magistrale opera emerge con chiarezza il carattere del Papa quale educatore impegnato nell'arricchire il patrimonio intellettuale dell'umanità.
Sarebbe riduttivo definire gli Écrits come un mero trattato teologico, dal momento che in essi Pascal riversa tutta la sua comprensione dell’essere umano – ovviamente colto alla luce del rapporto col divino – oltre a far emergere la profonda conoscenza (benché in un primo tempo sottostimata) che egli aveva della letteratura patristica e delle controversie teologiche del suo tempo. Questo insieme di fattori fa sì che gli Écrits siano il luogo privilegiato in cui è possibile cogliere il pensiero e il profilo di Pascal nella sua complessità e unitarietà; e a corroborare questo giudizio basterebbe quanto Jean Menard disse in merito a questi tre testi, i quali sarebbero come “un’introduzione naturale all’opera ai Pensieri” e una “chiave di lettura di tutta l’opera pascaliana”.
Con gli Écrits, inoltre, Pascal assume un posto di rilievo – sebbene, anche qui, troppo spesso sottovalutato – nell’atavica querelle sul libero arbitrio che, proprio nei primi anni del Seicento, assistette ad un notevole cambio di passo: transitando da quella che potrebbe essere definita come l’“era teologica” del libero arbitrio a quella che si stava inaugurando quale “era filosofica”, nella quale autori come Renè Descartes e Nicolas de Malebranche avrebbero proceduto per via razionale – seppur ancora legati ad alcune questioni teologiche – a indagare la tematica della libertà.
In quel contesto Pascal, in modo sicuramente diverso da suoi “colleghi”, ha portato alcuni elementi che reputo essere particolarmente notevoli soprattutto per il dibattito contemporaneo.
Partendo quindi da questi dati e, in particolare, dall’interpretazione non sempre “ortodossa” che negli Écrits il Clermontese fa di Agostino, il contributo cercherà di analizzare la nozione pascaliana di libertà, formulata in aperta opposizione sia al luteranesimo/calvinismo sia al molinismo gesuitico, per individuare a quale specifica teoria del rapporto tra grazia e libero arbitrio Pascal sia pervenuto.
Nello specifico, recuperando la teoria novecentesca dell’interpretazione condizionale delle alternative possibilities, l’articolo mirerà a rileggere la teoria pascaliana in quella che potrebbe essere definita, attraverso termini moderni, come compatibilista, e azzarderà alcune assonanze tra il filosofo di Port-Royal e la dottrina di Luis de Molina.
Il testo mette in luce la problematica riguardante il riconoscimento di un valore sacramentale all’ordinazione episcopale, e lo fa prendendo le mosse dal tempo apostolico e patristico, per passare al Concilio di Trento e al Vaticano I, sino a giungere al Concilio Vaticano II, che in riferimento all’episcopato ha messo in campo l’affermazione più solenne del suo magistero. Tutto questo viene svolto grazie all’analisi dei nodi principali del progressivo dibattito sorto intorno a questo tema e nella complementarietà delle sue più significative influenze: teologiche – e più propriamente ecclesiologiche e liturgiche – canonistiche ed ecumeniche; senza con questo tacere i punti nevralgici che hanno spesso osteggiato la chiara definizione dell’episcopato come sacramento e che ancora richiedono uno studio per un’attuazione pratica nella vita della Chiesa.
Oggi dopo le affermazioni del Vaticano II, le discussioni sono tutt’altro che concluse, e il libro – che si avvale della preziosa prefazione di mons. Marcello Semeraro – prova a darne ragione.
Benché non condivida affatto certi scenari, il presente contributo vuole prospettare un futuro (im)possibile in cui gli umani saranno uguali alle macchine (o superiori ad esse), non già per indicare dei “limiti” da porre a ingegneri o programmatori (compito precipuo delle etiche applicate), quanto, piuttosto, per sviluppare una riflessione teoretica che definisca se certi futuri contingenti abbiano almeno una certa condizione di possibilità (Kurzweil, 2009). Nel far ciò non vi è nessuna volontà demonizzante nei confronti dell’AI ma la necessità – come suggerisce Susan Schneider, filosofa e fondatrice del Center for the Future Mind in Florida – di assumere tali scenari (in cui la cosiddetta AI forte sarà stata raggiunta), quale strumento metodologico, poiché «dal punto di vista etico è meglio presumere a priori che un’intelligenza artificiale sofisticata possa essere cosciente» (2019, p. 176), almeno sintantoché non vi sarà un test capace di mostrare il contrario.
A partire da tali presupposti, il contributo intercetterà quell’elemento che sembra essere, sia in via pratica sia in via teorica, l’unico fattore che in quanto limitante dell’essere umano lo costituisce in quanto tale (Cabitza, 2021; Chiariatti, 2021). Tale elemento sarà rintracciato nella capacità cognitiva di prendere decisioni libere. Nel far ciò il contributo avrà come suo scopo ultimo quello di mostrare come siano proprio il programma postumanista da un lato e la famosa analogia mente-software/cervello-hardware dall’altro, a consentire – attraverso la loro pars destruens – di pervenire a certe conclusioni che impongono un ripensamento delle categorie antropologiche in vista di una nuova pars costruens (Baker, 2000; Calì, 2022).
Se, infatti, il paradigma collezionista, ha resistito all’avvento del digitale, ha però perso il proprio smalto con l’introduzione delle piattaforme di streaming e di sharing. Per un amatore di film, ad esempio, si è passati dal desiderio e/o bisogno di avere un oggetto (un DVD, un blue-ray, ecc.) al semplice accesso a determinati contenuti. Lo stesso fenomeno si sta verificando anche nei contesti scientifici: alle biblioteche – scrigni millenari di cultura – si vanno sostituendo piattaforme online open access dove l’imperativo da ossequiare è l’accesso ai dati più che il loro possesso in senso stretto.
Senza voler fornire un giudizio di valore su questo ri-orientamento, ma a partire da questo dato, il contributo vuole indagare come il digitale abbia riontologizzato l’oggetto del desiderio ma soprattutto la relazione tra ens desiderans et ens desideratum.
Nello specifico si cercherà di analizzare questo cambio di passo realizzando un focus su uno degli elementi desiderabili per antonomasia: il desiderio sessuale. Attraverso un breve excursus sulla nascita e l’affermazione della piattaforma online OnlyFans e una riflessione etica sugli assunti che si pongono alla base di essa, si cercherà di comprendere l’impatto trasformante della potenza digitale in riferimento all’oggetto del piacere sessuale, il quale oggi – a differenza d’un tempo – non vuole più essere né posseduto né fisicamente, ma semplicemente goduto come accesso.
Alla base di questi e di molti altri problemi, tuttavia, si può rintracciare un minimo comune denominatore, costituito dal fatto che si dà per assodato che le AI possano “agire” proprio come gli esseri umani. A tal proposito Luciano Floridi ha invitato a ripensare la sigla di AI (artificial intelligence), modificandola in AA (agere sine agency). Da questo ripensamento di categoria il presente contributo vuole prendere le mosse.
Si cercherà, anzitutto, di definire i termini esatti con i quali è possibile predicare l’agency anche delle AI. In particolare si proverà ad applicare la nozione di agency al processo decisionale da parte delle AI, mostrando analogie e differenze tra il processo deliberativo dell’essere umano e quello demandato ad un’AI.
A partire da questa analogia si declineranno due paradigmi che possono essere due matrici per il rapporto che intercorre tra esseri umani e macchine all’interno dello “spazio” del processo decisionale. In particolare si mostrerà quello che può essere chiamato come paradigma sostituivista da un lato, e quello che può definirsi come paradigma complementarista.
Dall’impasse al quale conducono entrambi gli approcci, infine, si cercherà di mostrare come il coinvolgimento di determinati algoritmi di intelligenza artificiale nel processo decisionale se da un lato risulta indispensabile per padroneggiare l’innumerevole mole di dati oggi a nostra disposizione, dall’altro conduce ad una profonda trasformazione in ciò che è più proprio dell’essere umano: la capacità cognitiva di deliberare e di prendere decisioni libere che possano definirsi “del soggetto”.
L’epoca moderna in particolare, grazie all’affermazione della fisica con Isaac Newton e del metodo sperimentale ad opera di Galileo Galilei, è stato il momento storico in cui, sia da parte filosofica sia da parte scientifica, sono giunti gli attacchi più serrati alla nozione di libertà. Il rigido determinismo del macrocosmo sembrava infatti incompatibile con l’intuizione della libertà (Hobbes, 1646, 1656; Laplace 1814; Mill, 1843, 1859).
Più di recente, nella contemporaneità, sono state invece le neuroscienze e la neurofisiologia a suggerire che il nostro cervello si attivi ancor prima che noi ne diventiamo coscienti (Libet et al, 1983; Soon et al., 2008, 2013). Quei dati, tuttavia, sono stati smentiti dalle medesime discipline (Haggard, 2005; Maoz et al., 2019) le quali, in un altalenarsi continuo, hanno fornito prove a favore o contro la libertà.
Anche l’avvento della meccanica quantistica, con la reintroduzione dell’indeterminismo a livello microscopico, sembrò portare nuove prove in difesa della libertà, se non fosse che anche l’indeterminismo non sembri affatto garantire la libertà di cui noi ci sentiamo portatori.
In questo intricato contesto, un dato rimane incontrovertibile: dopo millenni di riflessioni non si è giunti a compiere passi avanti, tant’è che Max Planck poteva dire: «Dopo tutto quanto è stato pensato e scritto nei secoli sul nostro problema ci si potrebbe attendere di essere oggi più prossimi alla sua soluzione, […] ma in realtà è successo precisamente il contrario» (Planck, 1923, p. 28).
Questa stasi alla quale il dibattito sembra esser giunto è stata interpretata da alcuni come una dimensione costitutiva della libertà stessa, la quale si configurerebbe come un avere propria incognita situata nell’essere umano.
Il presente articolo vuole prendere le mosse proprio dalla scuola di pensiero che si esprime in termini scettici nei confronti della libertà e, in particolare, vuole delineare i due orientamenti maggioritari: gli scettici epistemici o misteriani (van Inwagen, 1998) e gli scettici ontologici, o illusionisti (Wegner, 2002; Ferber 2003).
Dall’analisi critica dei due orientamenti si conseguirà quindi lo scopo ultimo del contributo: far emergere come proprio questa dimensione di enigma che si colloca non all’esterno della natura umana ma al suo interno sia uno degli elementi contraddistintivi della libertà in particolare e dell’essere umano in generale, il quale proprio nel non poter aver pieno accesso a questa dimensione cognitiva – che rimane sempre a lui in parte ignota – si costituisce quale soggetto agente e responsabile.
mind and, in particular, in that of the philosophy of free will. The
question of free will, in fact, has always been at the center of
philosophical debates and is still an open question today. The aim
of this paper is to use the discipline of artificial intelligence as a
magnifying glass for the free will problem in order to identify,
through it, how this cognitive capacity is an androrithm: an
element specific to the human being and irreproducible. Through
an analysis of the similarities and dissimilarities that the question
of artificial intelligence and that of free will share, and a brief
review of the various types of freedom that - in the face of
contemporary debate - could be present in both human beings and
machines, we will come to the conclusion that the so-called
ambitious free will, if it exists at all, can never be reproduced and
is therefore characterized as a constitutive element of the human
being.
Essendo impossibile fare una rassegna dei molteplici casi cinematografici, il contributo vuole focalizzarsi su un tema specifico della filosofia della mente che a partire dagli anni ’80 del Novecento ha ricevuto un notevole contributo da parte delle neuroscienze: il tema della libertà dell’essere umano o, per utilizzare un termine specifico della riflessione metafisica, del libero arbitrio.
A tal fine il contributo mostrerà quale tipo di riflessione filosofica sul libero arbitro dell’essere umano è stato portata sul grande schermo in tre prodotti d’animazione: due film, rispettivamente, Inside Out della Pixar, e Princess Mononoke, scritto e diretto da Hayao Miyazakla; e alcuni episodi della serie animata Futurama di Matt Groening.
Nello specifico il contributo vuole mostrare come da un tipico assunto della filosofia della mente, definito dalla famosa espressione di Gilbert Ryle “fantasma nella macchina”, si sia cercato di argomentare con gli strumenti propri del cinema una specifica teoria del libero arbitrio che va sotto il nome di compatibilismo. Scopo ultimo, tuttavia, sarà quello di difendere come la questione della libertà umana – nonostante i vari approcci empirici e teoretici – si costituisca quale mistero, nel senso filosofico del termine, mistero che neanche il linguaggio estetico del cinema è ancora riuscito a penetrare.
The problem of the causal role of mental events is, in fact, part of the broader problem of causality tout court, since – as Galileo asserted: «Cause is that which, when posed, follows effect, and when removed, the effect is removed» . It was precisely the principle of empirical causality, whereby every effect has its own cause and vice versa, that constituted the theoretical foundation of Galileo’s inductive method, and it is precisely following the affirmation of that method, according to which for every phenomenon there are necessary and sufficient conditions that we must seek, that the question of mental causality finds its foundation. Indeed, it intersects the sphere of human action because – ultimately – it refers to the possibility for mental states «to be considered as genuine causes of the behaviour of cognitive agents and human subjects in particular» .
The reference to causal relations is therefore unavoidable and it seems that cannot be shared the judgement that Max Planck gave in 1923: «We can completely leave aside the difficult problem of the reciprocal influence of physical and psychical phenomena. It is enough to recognise the principle that every psychic process is linked to a corresponding physical process according to precise laws» . This solution, which is far too approximate, is neither ontologically nor explanatorily satisfactory.
It should be emphasized, however, that when mental causality is mentioned, we are referring to a problem that, before being empirical, is purely philosophical. It is in this perspective that this contribution seeks to place itself, pursuing a threefold aim: to offer a brief historical overview of how mental causality has been approached by philosophers; to investigate which are the main nuclei of mental causality that require a comparison with cognitive sciences today; and to suggest a possible way of understanding the causal relationship.
The historical-philosophical section of the contribution is intended to give a brief retrospective review of a vast literature of recent production that draws on very old discussions. With reference to this historical-philosophical sphere, the contribution seeks to point out an error that is still perpetrated today by many philosophers of the mind and neuroscientists, namely that according to which the father of the problem of mental causality is René Descartes with his theory of the duality of substances. Through the analysis of some recent studies on Descartes, it will be shown how the theses that have become famous through certain popularized neuroscientific non-fiction cannot be attributed to the French author .
The second aim of the paper is to conduct a brief analysis of the problem itself of mental causality. If it is now beyond doubt that mental states are linked to the brain substrate – since they emerge from underlying neuronal interactions (those between individual cells) – It is equally necessary to grasp how «they cannot be defined or understood by knowing only the cellular interactions» . Proof of this is the evidence that a severe lesion located in the brain can impair the possibility of having certain mental states. The problem then lies in understanding whether this relationship is only bottom-up, in the sense that «the brain sustains mental states» or whether higher-level states can act on lower-level states. Moreover, such a problem involves not only the causal relationship by which certain mental events can produce physical changes in the world, but also the causal interaction between purely mental events . Thus, by referring to the Principle of Causal Closure of the Physical World, the problem of overdetermination, and the Argument of causal exclusion developed by Jaegwon Kim, the paper will show the impasse at which the debate on downward causation has reached .
The ultimate aim of the paper will be to hint at a new way of understanding causation especially with reference to the free actions of the human subject. To this end, some avenues of research offered by agent causation theory will be indicated .
In questa lavoro di smantellamento dell’idea di libertà, peraltro, le neuroscienze non sono state poi così originali. Già in epoca antica, infatti, era statala scuola atomista a sostenere l’impossibilità della libertà in un mondo governato esclusivamente dal movimento degli atomi; nell’epoca tardoantica e medievale, poi, fu la teologia a dover affrontare la conciliazione tra un Dio provvidente, onnisciente e buono, e la libertà del soggetto agente; nel periodo moderna, infine, l’affermazione del determinismo della fisica sembrò spazzare via l’intuizione di un soggetto che potesse definirsi responsabile in quanto libero. In tempi più recenti, invece, sembrò che la nuova meccanica dei quanti riuscisse a dar conto della libertà, pena poi il rendersi conto che quel tipo di indeterminismo non garantiva alcun controllo da parte del soggetto agente (List, 2019).
La libertà, pertanto, si configura ancora oggi come un problema aperto che richiede non tanto di essere risolto ma, semmai, attraversato (Bausola, 1980).
Muovendo dall’assunto riduzionista circa la capacità cognitiva del libero arbitrio – che è preponderante in filosofia della mente – il contributo vuole suggerire una lettura opposta, dimostrando come il problema della libertà sia caratterizzato da una costitutiva irriducibilità. Adottando quindi un approccio transfilosofico e transdisciplinare si delineeranno diversi aspetti irriducibili del libero arbitrio umano. Scopo ultimo del contributo sarà, infine, quello di mostrare come, muovendo da questa irriducibilità, sia possibile predicare del libero arbitrio anche il suo ruolo fondante nella costituzione della persona umana.
Il contributo si muove nel contesto specifico della filosofia della mente, intersecando, però, i dati neuroscientifici e le riflessioni prettamente empiriche sulla questione della libertà da un lato (Planck, 1923), e alcune delle più alte vette della riflessione filosofica, come Immanuel Kant (1781), e di quella teologica, come Romano Guardini (2000), dall’altro.
Per affrontare questo problema, è necessario avere un sistema di citazione unico. Questo sistema aiuta gli autori a identificare facilmente le fonti di riferimento utilizzate e a garantire che il credito venga dato correttamente. Inoltre, consente ai lettori di trovare facilmente le fonti citate e di valutare la validità dei risultati presentati nell’articolo.
Un sistema di citazione unico è particolarmente importante per lo sviluppo delle politiche di gold OA perché i finanziamenti per la ricerca spesso dipendono dalla quantità e dalla qualità delle citazioni ricevute. Senza un sistema di citazione unico, l’attribuzione corretta del credito potrebbe essere compromessa e gli autori potrebbero perdere l’opportunità di ricevere finanziamenti per la ricerca futura. Ciò potrebbe anche impedire loro di raggiungere un pubblico più ampio e di avere un impatto maggiore nella loro area di ricerca.
Inoltre, un sistema di citazione unico aiuta a prevenire il plagio e a garantire l’integrità accademica. Il plagio è un problema comune nella pubblicazione accademica, ma un sistema di citazione unico facilita l’individuazione delle fonti copiate e la prevenzione del plagio.
In sintesi, un sistema di citazione unico è un elemento essenziale per lo sviluppo delle politiche di gold OA. Garantire un’attribuzione corretta del credito è fondamentale per il finanziamento della ricerca futura, l’espansione dell’accesso aperto e la promozione dell’integrità accademica. I ricercatori, gli editori e le organizzazioni che promuovono l’accesso aperto devono lavorare insieme per sviluppare un sistema di citazione unico e sostenibile che promuova il gold OA e l’accesso aperto alla conoscenza scientifica.
Attraverso una selezione ragionata di norme editoriali proposte da alcune riviste catalogate di fascia A per l’Italia nel settore scientifico disciplinare M-FIL03, e facendo un raffronto con i maggiori sistemi citazionali in uso in area anglofona, si cercherà di mostrare la necessità di un sistema citazionale unico. Il contributo mira inoltre a fornire un orizzonte prospettico in vista di una più ampia ricerca che – mediante il coinvolgimento di psicologi visivi, filosofi, psicologi cognitivi e specialisti delle varie aree del sapere umanistico – possa individuare la miglior forma citazione anale, spendibile a livello editoriale ma soprattutto in termini di immediata condivisione pubblica dei dati.
Alla base di questi e di molti altri problemi, tuttavia, si può rintracciare un minimo comune denominatore, costituito dal fatto che si dà per assodato che le AI possano “agire” proprio come gli esseri umani. A tal proposito Luciano Floridi ha invitato a ripensare la sigla di AI (artificial intelligence), modificandola in AA (agere sine agency). Da questo ripensamento di categoria il presente contributo vuole prendere le mosse.
Si cercherà, anzitutto, di definire i termini esatti con i quali è possibile predicare l’agency anche delle AI. In particolare si proverà ad applicare la nozione di agency al processo decisionale da parte delle AI, mostrando analogie e differenze tra il processo deliberativo dell’essere umano e quello demandato ad un’AI.
Per conseguire tale scopo si cercherà, quindi, di “entrar dentro” alla black box degli algoritmi, realizzando un particolare focus sul tema dell’algorithm fairness – quella recente branca dell’ingegneria che prova a dar conto di come gli algoritmi pervengano a determinate decisioni.
Scopo ultimo del contributo sarà quello di provare a delineare un nuovo modo di interazione tra essere umano e AI, approccio che – nel momento in cui si chiama in causa la deliberazione – non può limitarsi alla mera complementarietà tra mezzi umani e mezzi tecnologici, come sinora è stato fatto.
Si analizzeranno in particolare le ricadute che hanno avuto sulla riflessione del libero agire le scoperte della fisica classica prima, il notevole cambio di prospettiva fornito dalla meccanica quantistica dopo, sino a giungere ai dati che provengono dalle più recenti scienze cognitive, che – ancora oggi – sembrano espropriare il campo della libertà umana ai filosofi, che da sempre ne hanno avuto appannaggio quasi esclusivo.
Fine ultimo della relazione sarà quello di individuare un approccio sintetico alla questione del libero arbitrio.
Methods: In accordance with the BIBLIO checklist for reporting the bibliometric reviews of the biomedical literature, pertinent articles were retrieved from the Web of Science (WOS) database. The search string included “spiritual care,” “end of life,” and their synonyms. The VOSviewer (version 1.6.17) software was used to conduct comprehensive analyses. Semantic and research networks, bibliographic coupling, and journal analysis were examined.
Results: A total of 924 articles were identified in WOS, and 842 were retrieved. An increasing trend in the number of publications is observed from 1981 to date, with a peak in the 2019–2021 timeframe. Most articles focused on palliative care, spirituality, spiritual care, religion, end of life, and cancer. The Journal of Pain and Symptom Management contributed the highest number of published documents, while the Journal of Palliative Medicine was the top-cited journal. The highest number of publications originated from collaborations of authors from the United Kingdom, the United States, and Australia.
Conclusion: The remarkable increase in the number of publications on spiritual care observed in the years of the COVID-19 pandemic likely reflected global concerns, reasserting the importance of prioritizing spiritual care for whole-person palliation. Spiritual care is integrated with palliative care, in line with the latter’s holistic nature and the recognition of spirituality as a fundamental aspect of end-of-life care. Nurses and chaplains exhibited more involvement in palliative–spiritual care than physicians reflecting the belief that chaplains are perceived as specialized providers, and nurses, owing to their direct exposure to spiritual suffering and ethos, are deemed suitable for providing spiritual care.
mind and body are often approached without prior analysis of the underlying ontology. Instead
of being argued based on philosophical and scientific data, the ontology is taken for granted,
thus inevitably influencing subsequent theoretical analysis. Such an approach, whether employed
by dualists or materialists, fails to grasp the complexity of the mental entails. The purpose
of this contribution is to suggest a new ontological perspective that is both naturalistic and nonreductionistic.
To this end, the article first examines the theory of property dualism and the
concept of emergence and then formulates, using elements provided by these two theories, the
so-called expanded minimal naturalism, which proves to be a fruitful perspective that relates empirical
sciences and philosophy without falling into naturalized epistemology.
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Questo contributo prende il via dallo spinoso e intricato problema del libero arbitrio. Partendo dal carattere costitutivamente interdisciplinare della questione, che abbraccia dalla fisica alla neurobiologia e dalle neuroscienze a numerose branche del sapere filosofico, l’articolo suggerisce una rinnovata prospettiva, che potrebbe essere utilizzata scientificamente per acquisire una diversa visione del pensiero sulla vita in generale e sulla capacità dell’essere umano di agire liberamente in particolare. Nello specifico, il contributo argomenta a favore di una prospettiva in cui l’olismo e la filosofia del processo possano essere degli strumenti per comprendere la natura umana da un punto di vista scientifico e legato all’esperienza stessa della natura.
The article therefore aims to investigate the anthropological effects that the pandemic has brought into the lives and societies of the women and men of our time through a critical analysis of the editorial and scientific contributions produced during the pandemic. The aim of the work will be to bring out how scientific and humanistic culture, through the cathartic dimension that is constitutive of culture, has taken on a soteriological value and mission in our times.