Quaderni
leif
Semestrale del
Centro Interdipartimentale
di Studi su Pascal e il Seicento
(CESPES)
Università di Catania
Quaderni
Semestrale del
Centro Interdipartimentale
di Studi su Pascal e il Seicento
(CESPES)
Università di Catania
leif
Direttore
Maria Vita Romeo
Coordinatore della redazione
Massimo Vittorio
Redazione
Cristiano Calì, Chiara Carchiolo, Valentina Drago,
Francesco P. Leonardi, Maria Elena A. Lombardo,
Cinzia Grazia Messina, Elisabetta Todaro,
Salvatore O. Tomaselli, Francesco Travagliante
Comitato Scientifico
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Massimo Borghesi (Università di Perugia)
Domenico Bosco (Università di Chieti-Pescara)
Hélène Bouchilloux (Université de Lorraine, Nancy)
Riccardo Caporali (Università di Bologna)
Carlo Carena (Casa editrice Einaudi)
Vincent Carraud (Université Paris-Sorbonne)
Dominique Descotes (Université de Clermont Ferrand)
Gérard Ferreyrolles (Université Paris Sorbonne-Paris IV)
Giuliano Gasparri (Università di Enna)
Denis Kambouchner (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne)
Gordon Marino (St. Olaf College, Minnesota USA)
Denis Moreau (Université de Nantes)
Michael Moriarty (University of Cambridge)
Richard Parish (University of Oxford)
Adriano Pessina (Università Cattolica di Milano)
Giuseppe Pezzino (Università di Catania)
Philippe Sellier (Université Paris Sorbonne-Paris IV)
Direttore responsabile
Giovanni Giammona
Direzione, redazione e amministrazione
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settembre 2006
Quaderni
leif
Semestrale del
Centro Interdipartimentale
di Studi su Pascal e il Seicento
(CESPES)
Università di Catania
n. , luglio-dicembre 2022
Anno XV
Maria Vita Romeo
Sull’umanesimo cristiano di Adriano Bausola
5
Francesco Pio Leonardi
Romano Guardini tra etica e antropologia cristiana 25
Giuseppe Pezzino
A proposito di speranza
53
Maria Elena A. Lombardo Il runner filosofo
Cristiano Calì
Stravolgimento come denominatore comune
del tempo pandemico
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Cristiano Calì
Stravolgimento come denominatore comune
del tempo pandemico
Il 9 marzo 2023 è per l’Italia il terzo
anniversario da quando, prima tra le nazioni occidentali, si ritrovò a vivere una
chiusura totale (o lockdown, come certa
retorica ha preferito definirlo) per fronteggiare la pandemia originatasi in Cina. Da quella fatidica data – in cui sembrò che l’Italia fosse eccessivamente allarmista – sarebbero seguite a cascata
chiusure in ogni paese tanto dell’Oriente quanto dell’Occidente, e le donne e
gli uomini del XXI secolo
avrebbero visto immagini
che, diversamente, sarebbero state relegate ai migliori
film fantascientifici: le piazze europee deserte, le grandi avenue americane desolate, aeroporti vuoti con aeromobili parcheggiati sino a data da destinarsi, fosse
comuni a New York e pire per bruciare i
corpi in alcune città dell’India.
A distanza di tre anni quelle immagini rimangono vivide nella coscienza, e se
il lasso di tempo è ancora troppo breve
per vedere con gli occhi dello storico le
conseguenze di quel fenomeno, e con
quelli del sociologo gli effetti di quell’evento, una consapevolezza ritengo sia
ormai acquisita: la pandemia da Covid19 è stato uno snodo della storia. Credo
di non essere l’unico a misurare la mia
attività lavorativa e familiare tra un pre e
post pandemia, collocando sulla retta
cronologica del tempo gli eventi, utilizzando come discrimen quello snodo fondamentale che, appunto, porta come data il marzo 2020. Ma più che inteso come uno snodo (un luogo in
cui strade o ferrovie si incrociano per poi diramarsi
in direzioni diverse) la pandemia ha costituto un vero
e proprio nodo, con tutta la
polisemanticità che questo
lemma porta con sé.
Gli eventi causati dal
Covid-19, infatti, sono stati, invero, un luogo, un
tempo e uno spazio in cui
dimensioni differenti si sono intrecciate per collegarsi tra loro (il
nodo come unione di corde diverse), si
sono aggrovigliate facendo emergere problemi prima latenti (il nodo da districare), si sono legate per creare qualcosa di
totalmente nuovo (il nodo in un ricamo), si sono sedimentate per segnare un
momento nella storia (i nodi che indicano la profondità dell’ancora). Questa dimensione nodale della pandemia credo
sia stata magistralmente sintetizzata dal
volume pubblicato nel gennaio 2022 colo titolo Vulnus. Persone nella pandemia,
Spigolature
e curato da Adriano Pessina; un testo
che – sicuramente non a caso – inaugura
la collana I nodi del tempo, diretta per i
tipi di Mimesis da Alessandra Papa, e
che vede il patrocinio e il coinvolgimento del Centro di ricerca sulla filosofia della
persona Adriano Bausola, istituito presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. Un testo contraddistinto – per
citare il curatore – da un’intuizione e
una condivisione (p. 7).
Attraverso dieci saggi, per 171 pagine
complessive, il volume si configura come una riflessione che, prendendo le
mosse dalla vita dei singoli, in primis degli autori stessi, e attingendo dalla cultura, dalla politica e dalla storia, conduce
una lettura rigorosa del presente in chiave filosofica. Una lettura al cui centro è
posta la persona sia nella sua singolarità
sia nella sua socialità.
Ho intercettato quale denominatore
comune dei saggi proposti non già la
pandemia – che, si potrebbe dire, essere
stata un factum brutum – ma la categoria di stravolgimento, una categoria che
ogni singolo contributo declina secondo
una propria sensibilità. La pandemia,
infatti, ha stravolto la vita delle persone
(dove vita si deve leggere nel senso di
Lebenswelt), e lo ha fatto – per parafrasare le parole del curatore nell’Introduzione – “rimettendo in gioco dolorosamente la questione della morte”. Ecco
allora che il volume si configura come
un eccezionale strumento di riflessione
posto nelle mani del lettore che invita
ad osservare – seguendo un ordine designato ma che potrebbe, anche secondo
Pessina, essere cambiato (e secondo me
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dovrebbe essere cambiato) – lo stravolgimento di alcuni concetti cardine della
vita, e ad assumere tutta la radicalità di
quel nodo del tempo che è stato vissuto
in persona.
Un primo stravolgimento coinvolge
il concetto stesso di scienza, alla quale,
come ricorda Roberta Corvi, nel tempo
pandemico è stata demandata una missione soteriologica. Eppure in quella
spasmodica delega soteriologica all’empiria, in cui virologi e scienziati erano la
testa dorata (e anche i dii ex machina)
della biblica statua di Nabucodonosor, è
emerso anche il basamento di argilla sul
quale si ergeva la società tecnocratica: la
pandemia, con il “discordismo ab intra”
delle scienze da laboratorio, ha ricordato
che «dati inconfutabili non sono mai disponibili» (p. 12). Nella società alle porte
del secondo decennio del XXI secolo,
ancora intrisa di positivismo, e nel momento in cui quel positivismo poteva dare il meglio di sé, è emerso invece (e non
poteva essere diversamente) un sapere
scientifico che condivide con la natura
umana una «condizione […] di precarietà e vulnerabilità» (p. 20). Lo scontrarsi e
il mancato convergere delle teorie scientifiche ha così fatto tornare alla mente la
metafora popperiana della scienza costruita su una palude e ha imposto sia
un ripensamento della categoria di scienza e del rapporto degli esseri umani con
essa, sia un recupero del ruolo epistemologico della filosofia per la scienza; ma,
soprattutto, ha fatto sorgere prepotentemente una domanda: possiamo ancora fidarci della scienza? Il primo radicale stravolgimento operato dal termine a
70
Spigolature
quo che è la pandemia attiene quindi alla scienza stessa: scientifico non è più sinonimo di vero o di certo (cfr. p. 23).
Un secondo stravolgimento si rintraccia, invece, al livello della vita. Il
Covid-19 – suggerisce Pessina nel secondo saggio della raccolta – ha imposto un
ripensamento dei rapporti di vicinanza
e, conseguentemente, di lontananza; e
tutto ciò è stato operato grazie ad un
formidabile strumento di amplificazione
riconsegnatoci dal contesto tecnologico.
Grazie a video call, web meeting o, ahinoi, video chiamate dalla terapia intensiva degli ospedali, la pandemia ci ha ricordato che solitudine non equivale a
isolamento (p. 29) e che «il concetto di
isolamento, così come è stato pensato e
descritto prima dell’avvento delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non risulta più pertinente» (p.
34). In quei momenti, soprattutto in
quella che fu definita a posteriori prima
fase, si percepiva la solitudine senza essere isolati, quanto meno in forza dei mezzi della tecnologia. Sono state proprio le
tecnologie a permettere di essere «insieme ma soli» (p. 33), ma la vicinanza resa
possibile dalle tecnologie era soltanto
una vicinanza virtuale, in un momento
in cui, invece, la corporeità era l’elemento maggiormente richiesto. Eppure
quella corporeità, se realizzata, sarebbe
stato il terreno fertile per il propagarsi
del virus. I rapporti sociali di prossimità,
invero, non sono mutati soltanto nella
loro forma ma anche nella loro intima
sostanza.
L’invito alla solitudine, infatti, è stato intimato, paradossalmente, nel mo-
mento in cui la comunità umana (non
locale ma umana) era chiamata a solidarizzare, facendo emergere tutto il paradosso di questa condizione: eravamo soli
benché ci trovassimo in una situazione
comune. La chiamata alla solitudine per
corresponsabilità, denotata da slogan come “Siamo tutti nella stessa barca” (p.
33) o quell’“Andrà tutto bene” che pendeva dai balconi, era un invito ad una
solitudine esistenziale ancora più profonda. Immagine di questo mutamento
di prospettiva sono state le nostre case,
luoghi che hanno perso «la connotazione della dimora per assumere […] la fisionomia carceraria di un ambiente da
cui evadere». (p. 33). Vicinanza e isolamento, chiusura nell’io e attenzione al
noi, sono stati i momenti cruciali di una
dialettica che non ha investito soltanto il
singolo ma la collettività: nella società
del self-made man (quella pre 2020) ci si
è richiamati ad un concetto ormai desueto per la società liberale, quello di responsabilità collettiva, suggerendo un
noi nazionale in opposizione a un io personale. È così che il fenomeno pandemico ha imposto uno stravolgimento del
vivere e delle sue forme.
La pandemia, prosegue col suo contributo Alessio Musio, ha, infatti, «agito
su di noi come un recipiente che, mentre impedisce al liquido che contiene di
fluire, contemporaneamente finisce per
dargli una forma effettiva e riconoscibile» (p. 42). Il terzo saggio pone quindi
l’attenzione non già sulle notevoli discontinuità dello stravolgimento pandemico ma sulle continuità che la pandemia ha aiutato a conservare nel fluire del
Spigolature
tempo. Le dinamiche capitalistiche hanno subito uno shock senza per questo essere superate ma semplicemente trattenute (cfr. p. 47); la libertà negativa, unica forma che sembra essere tutelata dalla
democrazia liberale – o, come può essere
oggi definita, «democrazia immunitaria»
(p. 47) – è stata amplificata. Addirittura
si potrebbe dire che la pandemia ha finito, forse, «per rendere estrema la logica
immunitaria della dottrina liberale, a
partire dall’assunto secondo cui ‘l’altro è
infezione, contaminazione, contagio’»
(p. 48). Eppure, in questi elementa continua è emersa una notevole discontinuità: la pandemia, prosegue l’autore citando Roberto Esposito, ha fatto emergere
come il diritto alla vita «sia considerato
il presupposto indiscutibile su cui si basano tutti gli altri» e questo è segno di
«una conquista di civiltà rispetto alla
quale non è possibile arretrare (p. 49).
Questo diritto alla vita, tuttavia, è emerso a fronte di drammatici problemi
bioetici che la pandemia ha posto in essere e ha tematizzato con molta più impellenza rispetto al recente passato (cfr.
pp. 53-57).
Non solo quindi gli spazi geometrici
della vita personale ma gli spazi esistenziali della communitas – argomenta Alessandra Papa – ovvero «gli spazi del vivere come del morire» (p. 61) sono stati ridisegnati. In primis l’evento pandemico
ha ridisegnato il concetto di altro che da
amicus è divenuto inimicus e, di conseguenza, sono state ridisegnate le società
e le comunità nella loro mutua relazione: la communitas, per l’appunto, è passata dall’essere il luogo per il convenire
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dei socii – comuni alleati nel fronteggiamento della crisi – al luogo dei nemici,
dove l’altro è considerato «‘sintomo’
molesto di un vivere insieme forzato» e
pertanto deve essere «scostato fisicamente perché temuto» (p. 61). È così che è
stata consumata la spersonalizzazione
della società civile in generale (cfr. p. 65)
e di alcuni rapporti sociali in particolare.
In questa trama non immediatamente evidente di ridefinizione dei rapporti,
infatti, un’ulteriore stravolgimento si è
collocato a livello del rapporto tra medici e pazienti. I primi, divenuti ormai
«samaritani senza volto» (p. 66), i secondi, ridotti da soggetti sofferenti a oggetti
delle cure, intoccabili, e, di conseguenza, relegati in casa da soli o in una struttura sanitaria «dove non c’è più alcun
puntello con il biografico, […] la cura
non è più relazionale, ma esclusivamente terapeutica» (p. 66). Durante la pandemia, sostiene in definitiva Papa, «a restare stravolto non è […] solo il concetto esteriore di ‘mondo’, ma anche quello
di ‘mondo personale’» (p. 71).
A questo mondo personale si rivolgono il quarto, il quinto e l’ultimo saggio del volume, che propongono una
sorta di focus su alcuni aspetti precipui,
mantenendo sempre al centro la categoria di stravolgimento: il dolore come organo percettivo che l’essere umano – vivente nella società palliativa – aveva
smarrito (così Roberto Diodato, cfr. p.
77); l’informazione con la sua capacità
di risemantizzare alcuni termini come
fragilità e vulnerabilità – a volte facendone un’erronea equiparazione (vd. il
saggio di Ingrid Basso, qui p. 98); i rap-
72
Spigolature
porti fondati sulla disuguaglianza (vd.
Roberto Dell’Oro dell’Università di Los
Angeles), stravolti dalla pandemia, la
quale ha reso «all equally vulnerable, all
equally exposed» (p. 159).
Il convergere di queste dimensioni si
rintraccia soprattutto nelle norme sociali, in merito alle quali, suggerisce Elena
Colombetti, il Covid-19 non ha apportato necessariamente negative: nel tentativo di difenderci dalla contaminazione
del virus «abbiamo collateralmente realizzato altri tipi di contaminazioni» (p.
105). Lo stravolgimento e/o contaminazione a livello di spazi e tempi è emerso
anzitutto nel gergo divenuto comune in
quei giorni: quarantena da un lato e
lockdown dall’altro riconsegnavano la
medesima essenza, rimandando però a
diversi contorni, rispettivamente temporali e spaziali. Questo stravolgimento si
è quindi tradotto concretamente: dalle
strade ci siamo ritrovati a occupare costantemente le case, in una situazione di
arresto domiciliare (p. 106), con un conseguente stravolgimento delle relazioni
carnali ma anche virtuali. Anche dal
punto di vista spaziale si è quindi esplicata la forma paradossale dell’evento
pandemico, il quale se per un verso ha
fatto emergere ancora di più l’interconnessione del mondo attuale grazie ai
mezzi tecnologici che hanno portato a
una «despazializzazione dell’inter-azione» (p. 113), per un altro ha fatto rammentare che «la Cina è distante anche
per l’individuo iperconnesso» (p. 107).
Questo percorso nel negativo ha condotto al positivo: «La fisicità rimossa si è imposta e ci ha riportato alla verità che la
nostra è una relazione tra persone corporee» (p. 107).
Il contributo di Alessandra Gerolin e
di Paola Muller declinano, infine, rispettivamente, lo stravolgimento sul piano
generale dell’etica e dell’antropologia.
La pandemia ha stravolto positivamente
la visione sull’essere umano segnato dalla malattia, un essere umano che è un
«plenum» (p. 145) un «tutto unico, anima e corpo» (p. 139), senza per questo
riproporre un antropocentrismo che –
nonostante certa retorica – argomenta
Muller rifacendosi alla straordinaria figura di Ildegarda di Bingen, è stato sempre estraneo anche alla christianitas.
Il volume, in definitiva, si configura
veramente come un nodo in cui convergono molteplici prospettive. Queste ultime, nondimeno, possono essere sintetizzate da un’immagine che percorre trasversalmente quasi tutto il testo, quella
che i media del mondo hanno trasmesso
il 27 marzo 2020: papa Francesco, rivestito della sola veste talare bianca, percorre a piedi, sotto la pioggia e in totale solitudine, il ventaglio del sagrato della Basilica Vaticana per presiedere un momento di preghiera straordinario in una Piazza San Pietro deserta, e impartire la Benedizione Eucaristica Urbi et Orbi a una
città desolata e silenziosa, a un mondo in
stallo e sgomento, ma davanti a diciassette milioni di telespettatori. In quell’immagine, citata più volte degli autori
del volume, si condensa tutto il portato
(s)travolgente del fenomeno pandemico.
Adriano Pessina (a cura di), Vulnus. Persone nella pandemia, Mimesis (I nodi del tempo
n. 1), Milano 2022, pp. 171.
Carlo Levi, Ritratto di Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della CGIL, 1952.
Carlo Levi, Lucania, particolare, Museo Nazionale di Matera.
Carlo Levi, Lucania, particolare, Museo Nazionale di Matera.
summum crede nefas animam præferre pudori
et propter vitam vivendi perdere causas
diavlogo"
Collana di filosofia e scienze umane
diretta da Maria Vita Romeo
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Maria Vita Romeo, Verità e bene. Saggio su Pascal.
Anna Pia Desi, Il soggetto servile. Un itinerario ermeneutico.
Giuseppe Pezzino, Scacco alla ragione. Saggio su Giuseppe Rensi.
Caterina Liberti, L’enigma insoluto. Antropologia e storia in Guglielmo
Ferrero.
Joseph F. Fletcher, Etica della situazione. La nuova morale, introduzione, traduzione e note di Massimo Vittorio.
Maria Vita Romeo, Il numero e l’infinito. L’itinerario pascaliano dalla
scienza alla filosofia, prefazione di Giuseppe Lissa.
Sara Condorelli, Hanna Arendt. Il pensiero ritrovato.
AA. VV., L’incerto potere della ragione, a cura di Giuseppe Pezzino.
Placido Bucolo, Introduzione a Sidgwick, prefazione di Giuseppe Acocella.
AA. VV., Abraham: individualità e assoluto, a cura di Maria Vita Romeo.
Massimo Vittorio, Etica e vita in Fletcher, prefazione di Giuseppe Pezzino.
AA. VV., Il moderno fra Prometeo e Narciso, a cura di Maria Vita Romeo.
Giuseppe Pezzino, La fondazione dell’etica in Benedetto Croce.
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Maria Vita Romeo, Il soggetto all’alba della modernità.
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AA. VV., Ricchezza e importanza degli opuscoli pascaliani, a cura di Maria Vita Romeo e Massimo Vittorio.
Jean Laporte, Il cuore e la ragione secondo Pascal, a cura di Maria Vita
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Salvatore Campo - Giuseppe Pezzino, Dialoghi provinciali, Presentazione di Maria Vita Romeo.
Audrey Taschini, Nature, Knowledge and Spirit: the Irregular Science of
Blaise Pascal.
Marin Mersenne, L’uso della ragione, a cura di Cinzia Grazia Messina.