Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Culturali

Esposizione internazionale d’arte sacra cristiana moderna – allestita a Padova dal giugno del 1931 al giugno del 1932, in occasione del VII Centenario dalla morte di sant’Antonio, patrono della citta` , manifestazione che e` stata gia` oggetto di studio da parte dell’autrice – viene ricostruita a partire dalla sua organizzazione e allestimento, fino all’analisi di alcune delle opere ivi esposte. Nel presente elaborato si fa riferimento al dibattito fra Chiesa ed avanguardie nel ’900 e agli effetti che esso sortı` nell’allestimento dell’Esposizione. In seguito l’analisi si concentra sulla descrizione del padiglione espositivo, allestito ex novo in stile razionalista dagli architetti Francesco Mansutti, Gino Miozzo e Nino Gallimberti.
Data la mancanza di un catalogo illustrato, si presenta parte del repertorio iconografico della mostra, accompagnandolo con l’analisi di alcune opere rintracciate grazie allo spoglio di riviste dell’epoca e alla consultazione di archivi come quello del Mart di Rovereto, l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio Generale del Comune di Padova. Poiche´ la presenza piu` discussa fu quella dei futuristi, il testo si concentra sul dibattito tra costoro e le gerarchie ecclesiastiche che ritenevano il modernismo non conforme, talvolta addirittura capace di minare la dottrina della Chiesa. L’oblio e la svalutazione cui questa rassegna e` stata a lungo ed e` tuttora soggetta nei manuali di storia dell’arte, ha indotto l’Autrice a dimostrare che, al contrario, essa gioco` un ruolo tutt’altro che trascurabile, non solo in ambito padovano ma anche nazionale, aprendo nuove prospettive all’arte sacra italiana ed europe

Grazie al recente lavoro di schedatura, riordino e inventariazione dell’Archivio
storico della Veneranda Arca di Sant’Antonio e` emersa una notevole quantita` di materiali
inediti, fra cui alcuni bozzetti, cartoni e spolveri relativi ai cantieri antoniani
del XIX e XX secolo. Fra questi anche i disegni realizzati da Tadeusz Popiel per la
cappella polacca dedicata a san Stanislao, di cui lui stesso di si occupo` fra il 1897
e il 1899.
Il contributo descrive e illustra alcuni di questi materiali il cui studio, congiunto
all’analisi dei documenti conservati presso l’Archivio storico, come le delibere e i registri
contabili, consente di avanzare nuove considerazioni sull’operato del pittore.

Nel 1851, il renano fra Valentino Schmidt fu nominato custode e campanaro della Basilica di Sant’Antonio di Padova. Il religioso, che rivestì questa carica per oltre trentasette anni, ben presto rivelò le sue doti di ebanista ed esperto in tema di restauro. Grazie alle sue abilità, gli fu affidata, fin da subito, la gestione e il coordinamento di alcuni lavori di restauro che la Veneranda Arca si stava accingendo a compiere in Basilica. Il suo ruolo non si limitò, tuttavia, a quello di semplice supervisore. Schmidt si occupò anche della selezione degli artisti e degli artigiani; mise mano ad alcune opere di restauro, influì fortemente su alcune opere di decorazione imponendo un proprio gusto. Attivo al Santo proprio durante la dominazione asburgica, diede il via a questi lavori anche grazie alla sua capacità di mediare fra governo e Veneranda Arca.
Figura scarsamente considerata dagli studi precedenti, merita quindi di essere rivalutata non solo per la sua levatura culturale non più riducibile, alla luce dei documenti analizzati, a quella di un comune religioso o di un semplice ebanista, ma soprattutto per il suo ruolo determinante nell’introduzione di precise pratiche di cantiere, nell’inserimento di Boito al Santo e per il suo legame con la città di Padova.

I nuovi ritrovamenti grafici presso l’Archivio della Veneranda Arca di S.Antonio di Padova permettono di avanzare nuove considerazioni sull’operato degli artisti che lavorarono in basilica tra XIX e XX secolo, sul rapporto fra questi ultimi e la committenza, sulle pratiche di cantiere.

All’approssimarsi del settimo centenario dalla nascita di Sant’Antonio, che si sarebbe tenuto nel 1895, la Veneranda Arca cominciò a valutare l’eventualità di completare alcuni lavori di decorazione della Basilica. Della selezione degli artisti, che avrebbero dovuto occuparsi di questi interventi, fu incaricato l’architetto romano Camillo Boito. A lui spettava anche la scelta di tutti gli artigiani, manovali ed artieri che avrebbero dovuto affiancare gli artisti. Il contributo approfondisce le scelte operate dall’architetto romano, sia in termini stilistici che nella selezione dei collaboratori, di alcuni dei quali viene peraltro tracciato un profilo dettagliato. Si evidenzia dunque il ruolo di Boito come caput magister. in grado far dialogare, e cooperare moltissime figure diverse, con differenti specializzazioni, e provenienze fra le più disparate, per raggiungere l’obiettivo finale: definire il nuovo volto della basilica antoniana conciliando l’antico con il moderno, ispirazioni internazionali e localismi.

Fra il 1830 e il 1940 la basilica antoniana ha subìto una serie di modifiche architettoniche e decorative. Oltre cent’anni di cantieri quasi ininterrotti che costituiscono l’oggetto del presente contributo. Il ‘‘palinsesto antoniano’’ in quegli anni e` infatti al centro di una vera e propria ‘‘rilettura’’ storicistica, a opera di alcuni personaggi chiave fra i quali Pietro Selvatico, Valentino Schmidt, gli architetti Berchet e Barberi, e che trova culmine nell’intervento boitiano del 1895. Gli interventi di Boito crearono poi la necessita` di procedere alla decorazione pittorica dell’edificio. A questo
proposito la Veneranda Arca, ente deputato alla salvaguardia della basilica, si avvalse dell’opera di artisti che contribuirono a rendere emblematica l’esperienza della fabbrica antoniana. Questo studio dei cantieri antoniani si basa sull’integrazione tra documenti, disegni e progetti relativi ai cantieri, rinvenuti presso l’archivio antoniano.

This paper explores the institutional practice of censorship established by the Roman Inquisition during the Cinquecento, aiming to trace its long-term effects on contemporary Italian culture. Through a comparison between the modes of control over written and visual material, I will investigate how reading and viewing licenses (granted by religious authorities to reliable members of the intellectual elite) fragmented the notion of culture, inaugurating a system of privileges whose effects are still visible in the patterns of cultural consumption of  contemporary Italy.

The depiction of conflicts between adverse forces has long been identified as one the most persistent themes of Leonardo’s research. In his work, both nature and our experience of it seem to exist in a process of constant motion and strife. Within this antagonistic context, my paper focuses on the visual relevance of Leonardo’s notion of force: a spiritual and invisible entity that –endowing inanimate bodies with the semblance of life by transmitting them the impetus – performs painting’s most crucial task, that of apparent enlivenment and animation. Exploring how Leonardo imagined and visualized conflict between antagonistic elements in different fields of knowledge (from physics to optics, to the art of painting), this paper analyzes the visual implications of Leonardo’s thoughts on force and impetus, and their connection with the formal qualities of his pictorial and graphic works, and of his battle scenes in particular.

In the Nineteenth Century, a new political urgency was brought to bear on military painting. In Italy, the recently united nation began to call for art celebrating the battles of the Risorgimento, in order to legitimize the new state and win the public’s consent. Battle pieces --having transformed mostly into genre scenes in the previous two centuries-- had therefore to be reconstituted, and elevated once again to the higher status of history painting that the genre had enjoyed in its formative age, the Cinquecento. This contribution explores how these “battles scenes without a hero,” reacquired their protagonists, and returned from the collector’s cabinet to the state hall. In this context, I focus on how the Renaissance tradition of battle painting was negotiated, and how contemporary artists engaged with its legacy, its visual conventions and formulae, its compositional and narrative devices.