GIOVANNI TARELLO
LA DISCIPLINA
COSTITUZIONALE
DELLA PROPRIETÀ
XVII
COLLANA
LA MEMORIA DEL DIRITTO
XVII
2023
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Giurisprudenza
Nella stessa Collana
1.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (I). Problemi generali del diritto e del processo (a
cura di M. Cappelletti), 2019
2.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (II). Magistratura, Avvocatura, studio e insegnamento
del diritto (a cura di M. Cappelletti), 2019
3.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (III). Diritto e processo costituzionale (a cura di M.
Cappelletti), 2019
4.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (IV). Istituzioni di diritto processuale civile. In
Appendice: Delle buone relazioni fra i giudici e gli avvocati nel nuovo processo civile
(due dialoghi) (a cura di M. Cappelletti), 2019
5.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (V). La chiamata in garantia e altri studi sul processo
di cognizione e sulle prove (a cura di M. Cappelletti), 2019
6.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (VI). La Cassazione civile, Primo volume (a cura di
M. Cappelletti), 2019
7.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (VII). La Cassazione civile, Secondo volume (a cura
di M. Cappelletti), 2019
8.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (VIII). Altri studi sulla Cassazione civile, sui vizi
della sentenza e sulle impugnazioni (a cura di M. Cappelletti), 2019
9.
P. Calamandrei, Opere giuridiche (IX). Esecuzione forzata e procedimenti speciali. Diritto
comparato e ordinamenti storici e stranieri (a cura di M. Cappelletti), 2019
10. P. Calamandrei, Opere giuridiche (X). Problemi vari e ricordi di giuristi. Arringhe e
discorsi di politica legislativa. In Appendice: Bibliografia degli scritti giuridici, politici e
letterari di Piero Calamandrei (1906-1958) (a cura di M. Cappelletti), 2019
11. L. Caiani, La filosofia dei giuristi italiani (a cura di G. Pino), 2021
12. G. Gorla, Il contratto. Corso di diritto privato svolto secondo il metodo comparativo e
casistico (vol I) e Il contratto. Corso di diritto privato svolto secondo il metodo comparativo
e casistico (vol II) (Introduzione di M. Lupoi), 2023
13. S. Chiarloni, Introduzione allo studio del diritto processuale civile (Introduzione di
A. Proto Pisani e premessa di A. Carratta), 2023
14. G. Tarello, Il realismo giuridico americano (Presentazione di P. Chiassoni), 2023
15. A.E. Cammarata, Scritti sul formalismo giuridico (Raccolti e curati da F. Modugno
e L. Pace), 2023
16. V. Frosini, Cibernetica. Diritto e società (Introduzione di G. Sartor), 2023
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Giurisprudenza
GIOVANNI TARELLO
LA DISCIPLINA
COSTITUZIONALE
DELLA PROPRIETÀ
LEZIONI INTRODUTTIVE
CORSO DI DIRITTO CIVILE
1972 - 73
Introduzioni di
PIERLUIGI CHIASSONI
e MAURO GRONDONA
XVII
COLLANA
LA MEMORIA DEL DIRITTO
2023
Direttori della Collana La Memoria del Diritto
Luca Loschiavo, Università di Teramo
Giorgio Pino, Università Roma Tre
Vincenzo Zeno-Zencovich, Università Roma Tre
Collana pubblicata nel rispetto del Codice etico adottato dal Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi Roma Tre, in data 22 aprile 2020.
Coordinamento editoriale:
Gruppo di Lavoro
Elaborazione grafica della copertina:
mosquitoroma.it
Caratteri tipografici utilizzati:
Brandon Grotesque, Cocogoose, Courier (copertina e frontespizio)
Adobe Garamond Pro (testo)
Impaginazione e cura editoriale: Colitti-Roma
colitti.it
Edizioni:
©
Roma, settembre 2023
ISBN: 979-12-5977-241-1
http://romatrepress.uniroma3.it
La presente riedizione riproduce anastaticamente la copia donata da Giovanni
Tarello a Pietro Verrucoli, ordinario di diritto commerciale nell’Università di
Genova ed uno dei fondatori della Associazione Italiana di Diritto Comparato.
Quest’opera è assoggettata alla disciplina Creative Commons attribution 4.0 International License (CC BYNC-ND 4.0) che impone l’attribuzione della paternità dell’opera, proibisce di alterarla, trasformarla o usarla
per produrre un’altra opera, e ne esclude l’uso per ricavarne un profitto commerciale.
L’attività della Roma TrE-Press è svolta nell’ambito della
Fondazione Roma Tre-Education, piazza della Repubblica 10, 00185 Roma
Indice
Pierluigi Chiassoni, Princìpi e strumenti per una dottrina giuridica realistica
Mauro Grondona, Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
XI
XXXIX
I. Introduzione
1. “Proprietà”
7
2. Nozioni di proprietà in generale
9
3. La proprietà nel nostro ordinamento, e, in particolare, nel nostro ordinamento
costituzionale
11
II. La proprieta’ nel documento costituzionale
1. Generalità
15
2. Il dettato dell’art. 42
17
3. Il dettato dell’art. 44
42
4. Il dettato dell’art. 47
51
5. Il dettato dell’art. 43
56
Altri articoli talvolta richiamati nella costruzione della “disciplina costituzionale”
della proprietà
66
III. Adempimenti costituzionali del legislatore ordinario in tema di proprieta’. III.
III. Cenni
1. Adempimenti costituzionali
75
2. La riforma agraria
77
3. La riforma elettrica. Rinvio
85
4. La riforma urbanistica. Cenni sulla prima fase. Rinvio
86
IV. Interventi della Corte Costituzionale in tema di proprieta’
1. Gli interventi della Corte
91
2. Il primo periodo dell’attività della Corte in materia di proprietà.
2. Le sentenze n. 78 del 1958, n. 7 del 1962, n. 64 del 1963, n. 42 del 1964
95
3. Il secondo periodo dell’attività della Corte.
3. Le sentenze n. 22 del 1965, n. 6 del 1966, n. 38 del 1966, n. 50 del 1967
111
4. Il terzo e più recente periodo dell’attività della Corte.
4. Le sentenze n. 16 del 1968, n. 55 del 1968, n. 56 del 1968, n. 133 del 1971,
4. n. 155 del 1972 e n. 9 del 1973.
133
5. Brevi osservazioni finali
179
VII
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
Mauro Grondona
Chiunque abbia letto anche solo poche righe di Giovanni Tarello ne
saprà riconoscere all’istante la lingua e lo stile espositivo, spesso a cavallo tra
il disincantato, l’ironico e il sarcastico, nonché gli stilemi espressivi (tipico,
il ‘talché’: anche qui – e verosimilmente la pagina a stampa riproduce
piuttosto fedelmente il ritmo e il fraseggio della parola detta a lezione – se
ne contano in buon numero), e soprattutto quella bramosia intellettuale
(che va di pari passo con il vigore e la brillantezza del pensiero), non
tanto – e genericamente – di voler capire tutto, ma – specificamente – di
voler penetrare fino in fondo il pensiero giuspolitico e, forse ancor più, il
procedimento di costruzione del pensiero del giurista, e quindi il modo
di pensare del giurista (ma vorrei dire: penetrare il ‘pensiero’ stesso delle
strutture giuridiche, e non solo delle persone che quelle strutture hanno
progressivamente costruito; un ‘pensiero’ che è la dimensione culturale, e
in questo senso, se non come tale oggettiva, oggettivizzabile, delle strutture
sociali – qui giuridiche, rese così oggetto di studio scientifico), allo scopo
di snidare, spietatamente, e, appunto, con gioia intellettuale (non solo
di Tarello, ma anche dei suoi lettori), le ideologie dei giuristi (tra cui la
loro falsa coscienza, quando vi sia) e le operazioni culturali compiute (a
volte anche inconsapevolmente) dai giuristi (e dico ‘dai giuristi’, perché
è prevalentemente agli interpreti – teorici e pratici – che si rivolge
l’attenzione del Tarello indagatore della cultura giuridica, ma le sue ricerche
hanno considerato paritariamente tutti e tre – per usare la triade sacchiana
poi invalsa nell’uso – i formanti del diritto, come anche queste pagine
icasticamente mostrano).
Non è allora forse un caso, e comunque la circostanza assume rilevanza
retrospettiva, che, qualche anno addietro, Giuliano Amato1 (in questo
1
Mi riferisco all’intervento (assai interessante anche perché in esso si ricostruiscono le
origini di “Politica del diritto”) che Giuliano Amato svolse al convegno “In ricordo di Gino
Giugni. Gli anni dell’innovazione: 1960-1970”, e che, grazie a Radio Radicale, può essere
riascoltato al seguente link: https://www.radioradicale.it/scheda/337654/in-ricordo-di-gino-giugni-gli-anni-dellinnovazione-1960-1970. Il passaggio su Tarello è a partire dal
minuto 1:13:15, e queste sono le esatte parole di Amato: «[I]n questo ci aiutava [Tarello],
XXXIX
M. Grondona
corso tarelliano significativamente presente)2 abbia osservato che Tarello,
a sua volta un po’ prigioniero di questa stessa caccia alle ideologie di cui
era entusiasta protagonista, poteva essere magari indotto, se non proprio a
crearle ad hoc, a enfatizzarle, a esasperarle, a estremizzarle, appunto per dar
pieno sfogo al suo divertimento intellettuale preferito.
Certamente – possiamo qui brevemente glossare –, si sarà trattato anche
di un divertimento – come lo è, del resto, ogni lavoro autenticamente
intellettuale –, ma nel diritto, e ovviamente non solo nel diritto (perché,
in realtà – ammesso poi che esistano, e c’è infatti chi ne dubita –, sono
veramente pochissimi i campi – si fa l’esempio della metrica – rispetto
ai quali il peso della precomprensione dell’interprete e più in generale
dell’osservatore, e dunque le diverse concezioni del mondo, le diverse
ideologie, non si facciano sentire), la precisa individuazione delle premesse
ideologiche dell’interprete (e non è un caso, come ben noto a chiunque,
che questa sia una delle principali e durevoli lezioni di metodo consegnateci
da Tullio Ascarelli3) era e resta un indispensabile strumento euristico,
con quel fare quasi da satiro rispetto a noi, che aveva Tarello, che era una specie di grande
satiro, il quale con questa cosa delle ideologie (a volte se le inventava, perché non esistono
tante ideologie quante quelle che Giovanni andava trovando, insomma), però era [cosa]
utilissima, per dire: ma che andate cercando nelle Pandette? Questi hanno fatto questo
perché avevano questo tipo di impianto culturale nella testa, o questo insieme di interessi
nella testa. Andate a capire quello e capirete il significato effettivo delle norme. Infatti, quella sequenza di giuristi nel suo libro sulle ideologie nel diritto del lavoro era effettivamente
una sorta di ordigno terroristico che alcuni non osavano aprire per non vederselo sparato
addosso, scoppiato addosso […]».
2
Cfr. G. Tarello, La disciplina costituzionale della proprietà, p. 182 ss., testo e note 57-61.
3
Il cui insegnamento è appunto fondamentale nella direzione di uno sforzo costante
in vista della conciliazione del principio di legalità (e dunque del principio di certezza
del diritto, a tutela, in primo luogo, della libertà individuale) con la necessità di una
progressiva evoluzione dell’ordinamento giuridico, grazie appunto all’attività interpretativa
(che in questo senso è opera non solo di raffinata dogmatica giuridica ma di culturalmente
impegnata e avvertita politica del diritto). Il seguente passaggio, poco noto in Italia perché
pubblicato in una raccolta di scritti in portoghese, è chiarissimo, e rappresenta forse la
formulazione più netta che Ascarelli ci abbia lasciato circa la sua posizione (ben conosciuta,
ovviamente, ma che qui, appunto, ha modo di essere meglio precisata e circostanziata)
su questo decisivo e altamente problematico aspetto, che sta al centro della ‘politicità’
dell’essere giurista: T. Ascarelli, Experiências de viagens jurídicas – Direito civil e Direito
comercial (1948 – il titolo dello scritto è in portoghese ma il testo è in italiano), in Id.,
Ensáios e pareceres, São Paulo, Edição Saraiva, 1952, p. 401 ss., alle pp. 405-406: «Sono ben
lungi dal voler sottovalutare le ricerche dogmatiche [l’affermazione, evidentemente sulla
difensiva, si collega a quanto scritto poco prima dall’A., e cioè che il diritto comparato,
inteso in particolare come studio delle tipologie dei vari sistemi giuridici, è forse l’unico
contenuto possibile della sociologia giuridica: in questo modo, il diritto comparato e
XL
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
anche ai fini, più ampi, della comprensione del funzionamento dell’intera
struttura giuridico-ordinamentale, nonché, in sede applicativa (e infatti
non è dubbio che le soluzioni operative siano sempre funzione della cultura
giuspolitica degli interpreti, dunque anche delle loro ideologie), ai fini della
possibile previsione e dell’effettiva prevedibilità dei suoi sviluppi.
Riflettendo, in particolare oggi, sul tema delle ideologie giuridiche,
al limite (ma, anche su questo aspetto, non la penseremo tutti allo
stesso modo) si potrebbe discutere se, nei nostri attuali dipartimenti di
giurisprudenza, non si insegni ancora troppo poco (ma si tratterebbe
allora, e inevitabilmente, di adottare – il che, però, è per molti un tratto
negativo del lavoro e nel lavoro del giurista – una prospettiva sociologica
e antropologica, non solo all’interno della specifica dimensione tecnica del
diritto, ma soprattutto quale criterio finale di giudizio, e quindi di analisi,
la sociologia del diritto – e noi allora diremmo: la sistemologia giuridica – potrebbero
contribuire «a costituire quell’anello di congiunzione del quale pure sentiamo la mancanza
tra la ricerca dogmatica e l’ambiente storico e sociale di ogni sistema», p. 405] e dal volermi
associare a quelle tendenze romantiche che all’estrema destra come all’estrema sinistra
vorrebbero sostituire alla precisione dell’indagine dogmatica una pura intuizione casistica
che finirebbe per sostituire alla certezza del diritto l’arbitrio politico dell’interprete. La
dogmatica costituisce appunto lo strumento per lo sviluppo interpretativo del diritto con
l’osservanza della necessaria continuità e perciò con quella certezza giuridica nella quale
riposa la tutela della libertà individuale. Abbandonando il terreno della dogmatica si cade
inevitabilmente o nella mera discrezionarietà [sic] equitativa o nella semplice parafrasi della
legge, sacrificando nel primo caso la esigenza di certezza e il principio di legalità e giu[n]
gendo, nel secondo, a una rigidità che preclude ogni sviluppo interpretativo. La difesa della
dogmatica come metodo giuridico non deve però indurre il giurista a dimenticare quelle che
pur sono le premesse, seppure a volte implicite, dei suoi concetti e della stessa impostazione
data ai problemi. Queste premesse si ritrovano nella storia del sistema e nell’ambiente ove
è destinato ad operare ed attraverso di esse si scoprono i legami che pur necessariamente
uniscono ogni sistema giuridico a più vaste considerazioni filosofiche o politiche o a dati
economici». Ma allora, per consimile nettezza espressiva e incisività di impostazione teorica,
occorre fare riferimento altresì a Id., Concetti giuridici e interpretazione (1952 – qui corpo
e titolo dell’articolo sono entrambi in italiano), in Id., Ensáios e pareceres, cit., p. 409 ss.,
a p. 411: «La norma giuridica è invero sempre tipica e generale e non può perciò essere
applicata se non a[t]traverso una sua ricostruzione che l’adegui al caso concreto attraverso
un continuo rinnovamento di schemi, pur sempre generali e astratti e pur sempre rinnovati.
Né quest’opera si compie attraverso una discrezionarietà [sic] dell’interprete nell’ambito
segnato dalla norma, poiché ha invece per oggetto la stessa norma, insuscettibile di
applicazione senza una sua ricostruzione, che è opera dell’interprete. Da questa non potrà
mai essere assente la valutazione, la visione del mondo e dei valori propria dello stesso
interprete, perché è appunto in virtù di questa che le norme vengono ordinate e intese ai
fini di ogni nuova applicazione. Il diritto così perennemente si rinnova e trova alla fine
la sua sanzione nella concordanza collettiva che diariamente vaglia e determina la sua
applicazione e interpretazione».
XLI
M. Grondona
delle strutture e delle funzioni degli istituti giuridici e degli ordinamenti
giuridici, nonché di costruzione e di svolgimento argomentativo – cosa
certamente non facile, ma soprattutto non pacificamente accettata) perché
e come indagare le ideologie dell’interprete, così ritornando ancora una
volta al cuore della questione (invero ormai da tempo fatta oggetto di
studio, almeno nell’ambito della ricerca giuridica, se non della didattica
giuridica) del non facile rapporto tra tecnica del diritto e politica del diritto
– un rapporto e quindi un problema che naturalmente ha costituito uno
degli assi centrali lungo i quali si è svolta l’attività di ricerca di Giovanni
Tarello4.
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie, dunque.
Questo volumetto, uscito in veste grafica assai dimessa nel 19735 e che
raccoglie (diremmo fedelmente, dal tono e dallo stile espositivo) le ‘lezioni
di diritto civile’ che Tarello tenne, per incarico, nell’anno accademico
1972/1973, in ragione della coeva chiamata a Roma di Stefano Rodotà6,
è un eccellente esempio di ricerca tarelliana sul campo – e il campo è
appunto quello delle ideologie giuridiche, inscindibilmente intrecciate alla
tecnica giuridica esercitata sul diritto di proprietà: in sintesi, la politica del
diritto di proprietà come ideologia e come tecnica.
Ideologia, dunque: termine da intendersi in senso ampio e in senso
non pregiudizialmente negativo, come abitualmente si faceva e tuttora
prevalentemente si fa7.
Vediamo qual è l’aspetto positivo dell’ideologia e perché una ricerca
ideologicamente connotata e ideologicamente consapevole è apprezzabile
sotto vari aspetti.
4
Cfr. in particolare i saggi raccolti in G. Tarello, Cultura giuridica e politica del diritto,
Bologna, il Mulino, 1988. Per una recentissima ed efficace messa a punto dell’impostazione
metodologica tarelliana, v. P. Chiassoni, Il realismo americano secondo un «modesto avvocato
genovese», che è la Presentazione alla ristampa anastatica di G. Tarello, Il realismo giuridico
americano [1962], RomaTrE-Press, Roma, 2023, p. XI ss.; nonché, ora, Id., Presentazione.
Princìpi e strumenti per una dottrina giuridica realistica, in questo volume, retro, p. XI ss.
5
Lo scritto è stato successivamente raccolto in G. Tarello, Cultura giuridica e politica del
diritto, cit., p. 237 ss. (sotto il titolo «La disciplina costituzionale della proprietà»).
6
A.M. Benedetti, Antichi e moderni a confronto. Una storia del diritto civile a Genova, in
Pol. dir., 2/2017, p. 329 ss., qui p. 337, testo e nota 35. Per una puntuale ricostruzione
della vicenda dell'incarico di diritto civile a Tarello, v. ancora P. Chiassoni, Presentazione,
cit., retro, pp. XI-XIII.
7
Cfr. in particolare E. Topitsch, A che serve l’ideologia (trad.it.), Roma-Bari, Laterza, 1975,
ma ora, e con parecchie osservazioni condivisibili, C. Galli, Ideologia, Bologna, il Mulino,
2022. Andrà poi visto anche P. Burke, What is cultural history?, 3rd ed., Cambridge (UK)Medford (MA, USA), Polity Press, 2019.
XLII
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
Intanto, la parola ‘ideologia’ va intesa in senso ampio perché il Tarello
cacciatore di ideologie si interroga su quegli elementi, latamente politicoculturali, che vanno a incidere su ciò che egli abitualmente chiama (e non è
un caso) ‘organizzazione giuridica’, che, mi pare, ha una portata più ampia
rispetto all’espressione ‘ordinamento giuridico’: l’organizzazione giuridica
fa riferimento a un’entità non solo complessa, ma dinamica e mobile, la
cui descrizione richiede, in capo all’osservatore, la massima disponibilità
culturale, proprio perché ci si muove necessariamente e costantemente a
cavallo tra tecnica e politica (e, a veder bene, nessuno di questi due fattori
componenti l’organizzazione giuridica dovrebbe essere assunto come
potenzialmente escludente l’altro: altrimenti viene meno la possibilità
stessa della spiegazione e della comprensione del fenomeno organizzativo,
che è fenomeno di natura istituzionale).
In questa chiave esplicativa, anzi, il lavoro del giurista – che si fa, o che
si può fare, non solo giusantropologo ma anche giusetnologo, studiando,
in questo senso, le varietà di ‘popolazioni giuridiche’ presenti all’interno
delle plurime (e documentate) organizzazioni giuridiche di ieri e di oggi –
è sempre immerso nella dimensione ideologica, e perciò il giurista teorico
non solo diviene un osservatore consapevole della realtà istituzionale che
lo circonda, ma diviene anche attore istituzionale, così contribuendo a
determinare l’organizzazione, e cioè la struttura, di tale realtà.
Del resto, se a tutti è nota, e altresì praticata, la distinzione tra approccio
descrittivo e approccio normativo ai problemi giuridici, e se non è dubbio
che Tarello e la sua scuola abbiano molto insistito e tuttora insistano su
tale distinzione, non si può certamente dire che Tarello fosse un paladino
della neutralità ideologica dell’interprete. Al contrario: altrimenti, la caccia
alle ideologie giuridiche sarebbe risultata piuttosto sterile, quando non del
tutto vana, se si fosse limitata ad accumulare cataloghi di atteggiamenti
culturali e di sensibilità politiche. Le ideologie si stanano per operare su
di esse, e quindi per compiere un’operazione culturale – in consonanza
o in dissonanza, non rileva. Anche la caccia alle ideologie esprime come
tale e attua tanto un’opzione culturale quanto una operazione culturale,
entrambe species del genus ‘politica della cultura’8.
8
Ancora P. Chiassoni, Il realismo americano, cit., p. XI, nota 1, sulla scorta di Bobbio,
distingue tra la “politica della cultura” e la “politica culturale”: «La prima è strumento di
“alta politica”; la seconda è strumento della “politica politicante”, propagandistica, menzognera, mistificatoria […]». Il rischio che qualunque operazione culturale, e dunque anche
la caccia alle ideologie giuridiche, si trasformi in politica culturale, o addirittura già nasca,
in deterius, nel segno della politica culturale, naturalmente c’è: e qui dovrà allora reagire,
quando vi sia, la nobiltà del giurista.
XLIII
M. Grondona
In Tarello, l’analisi delle ideologie comporta in sé un impegno
ideologicamente connotato (e semmai si potrebbe criticamente riflettere
su quell’atteggiamento di buona parte della filosofia analitica di collocarsi
esclusivamente lungo la strada di un ‘descrittivismo giuridico’ che però,
poi, non può rimanere davvero tale – e qui è senza dubbio di aiuto, per
meglio comprendere i termini del problema, il richiamo alla ben nota
discussione, in ambito letterario, sulla, in realtà falsa, opposizione, come
uno studioso acuto qual è stato Francesco Orlando ha con nettezza
sottolineato, tra mimesi e convenzione nell’opera d’arte –, divenendo allora
un descrittivismo che non descrive, o che, comunque, è meno trasparente
di quanto potrebbe e dovrebbe essere, così ritornando il dualismo tra
politica della cultura e politica culturale): e sono infatti numerosi i passaggi
in cui Tarello esprime una determinata linea di politica del diritto (in
primo luogo, a difesa della proprietà privata, e contro vari tentativi più
o meno scopertamente collettivistici – e del resto, il Tarello ‘giornalista’,
o meglio brillante commentatore di fatti politici degli anni Ottanta del
secolo scorso9, è ben schierato a tutela dello stato di diritto e della liberaldemocrazia, e contro ogni ammiccamento, per usare una formula di sintesi
ma perfettamente esplicativa ancor oggi, agli ‘usi alternativi del diritto’,
anzi richiamandosi egli al canone dell’interpretazione letterale, della legge
e in queste lezioni della Costituzione, in funzione della massima stabilità
ordinamentale).
Ma dicevo del valore positivo da attribuirsi al termine ideologia.
Oltre a quanto fin qui rilevato, si può altresì precisare che la
consapevolezza ideologica dell’osservatore diviene consapevolezza critica che
si fa volontà di portare alla luce, anche contro le intenzioni dei destinatari
della ricerca, cioè contro il ‘ceto’ dei giuristi e le eventuali falsificazioni
operate da quest’ultimo, i fondamenti politici dell’ordinamento giuridico
nel suo complesso, che in questo senso è spesso la risultante di più politiche
del diritto, riferibili in primo luogo al legislatore, ma che poi entrano in
gioco, ed eventualmente anche in competizione, con gli altri formanti del
diritto10.
9
Uscirà prossimamente, per meritoria iniziativa di Giovanna Visintini e a cura di Rebecca
Tarello, una selezione di interventi pubblicati sulla stampa quotidiana.
10
C’è un passaggio (ma è veramente uno solo tra i numerosi citabili) in questo senso assai
significativo, e che dice molto anche rispetto a un certo, e diremmo opportuno, cinismo
intellettuale di Tarello, posto che la caccia alle ideologie va di pari passo con la caccia alle
mitologie (non solo giuridiche ma anche logiche: al proposito va vista la recensione che
un Tarello ventitreenne – G. Tarello, A proposito di un libro del Frank, in Riv. int. fil. dir.,
1957, p. 464 ss. – dedicò a un volume non molto noto, ieri come oggi, almeno da noi,
XLIV
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
Pertanto, il costante lavoro di ricerca delle ideologie del legislatore,
della dottrina, degli interpreti è un altro modo per sollecitare l’impegno
intellettuale del giurista (e in questa prospettiva, è ovvio, il giurista, almeno
quello accademico, non può non essere un intellettuale), che può essere
‘politico del diritto’ solo a condizione che, in primo luogo, sia un tecnico
del diritto a tutto tondo.
Di qui, ovviamente, l’insofferenza (ma si era nel 1973: esattamente 50
anni fa) di Tarello per il fatto che «[l]a nostra cultura giuridica ufficiale
male sopporta analisi politiche dei comportamenti di organi giurisdizionali
e della Corte costituzionale; talché di fatto non se ne fanno»11. Ma ciò
allora significa che una programmatica analisi ideologica della cultura
giuridica (che ha una portata più ampia e maggiormente pervasiva, rispetto
al ‘pensiero giuridico’, per richiamare così alcune differenze alla base di
quelle due celebri e pressoché coeve intraprese intellettuali: da una parte
i ‘Materiali’ di Giovanni Tarello e dall’altra parte i ‘Quaderni fiorentini’
del pur notissimo Jerome Frank – “Fate and Freedom: A Philosophy for Free Americans”,
uscito in seconda edizione nel 1953 –; forse, in altra sede, questo volume del Frank, che
compie 70 anni, potrà essere riletto in parallelo a un apprezzato volume di Jerom Hall –
“Comparative Law and Social Theory”, uscito nel 1963, e che dunque di anni ne compie
60 –, per tornare su alcuni temi della riflessione giuspolitica, e dunque di politica del diritto, che sono centrali anche oggi. Due su tutti: la dimensione giuridica nella società aperta,
cioè nelle democrazie pienamente mature, e in certa misura anche in crisi; il ruolo della
sociologia, e più in generale delle altre scienze sociali, nell’ambito della scienza giuridica),
e dunque anche alle illusioni e alle autoillusioni delle quali, spesso, non ci si vuole liberare:
v. infatti G. Tarello, La disciplina costituzionale, pp. 40-41, a proposito della difficile (anzi
impossibile) conciliazione tra le aperture ‘socialisteggianti’ della Costituzione e il lessico
inesorabilmente ‘liberalnapoleonico’, che appunto mette al centro del lavoro del giurista
la componente ideologica: il giurista è come tale chiamato, in primo luogo, a una armonizzazione, non solo in sede teorica, ma anche e soprattutto in sede applicativa (e da qui
nasce infatti l’attenzione di Tarello per la giurisprudenza della Corte costituzionale, fatta
oggetto di una lettura molto puntuale, della quale solo spiace la sinteticità), di prospettive
politiche differenti e quindi di differente impiego delle tecniche giuridiche. Ed ecco il cinismo e il sarcasmo tarelliani: «[I]l compromesso ideologico [,] l’ambiguità programmatica
e la profonda ignoranza storico [-] lessicale hanno conferito al documento costituzionale
quelle doti che assicurano e (come piace credere) assicureranno in qualsiasi temperie futura
la persistente vigenza della Costituzione» (p. 40).
11
G. Tarello, La disciplina costituzionale della proprietà, p. 94. E Tarello ivi precisa:
«Qualche considerazione sporadica si trova in note alle sentenze e in qualche articolo di
periodici specificamente dedicati all’analisi politica dell’azione di organi istituzionali: ma
uno studio globale deve essere ancora fatto» (ivi, in nota 3, Tarello richiama espressamente
l’allora giovanissima “Politica del diritto”, pubblicata a partire dal 1970, e in particolare un
contributo di Rodotà dedicato alla ‘svolta politica’ della Corte costituzionale, «di estremo
rilievo per il discorso che si va svolgendo (anche se chi scrive è lungi dal condividerne integralmente l’impostazione, e dissente su alcune valutazioni)».
XLV
M. Grondona
di Paolo Grossi) deve appunto servire non soltanto per mettere a nudo la
politica o le politiche del diritto attuate (in modo non sempre ordinato e
non sempre consapevole) dalla giurisprudenza, ma per incidere, di prima
mano, sulla progettazione e sulla costruzione di una politica del diritto
intesa quale operazione culturale di prospettiva, messa necessariamente a
punto dai giuristi in quanto interpreti-teorici, sì da guidare gli orientamenti
giurisprudenziali.
Tarello sottolinea il peso diverso che assumono le tre ‘componenti’
dell’ordinamento giuridico: legge, giurisprudenza, dottrina, in questo preciso ordine, a significare (ma si era appunto nel 1973) la primazia del legislatore (Tarello si esprime in termini di organizzazione giuridica e di cultura
politica ancora nomodirette, cioè governate dalla legge)12, cui fanno seguito
gli organi chiamati a interpretare e ad applicare le disposizioni normative.
Intorno a questo aspetto, va notato, la caccia alle ideologie si caratterizza
per una biforcazione di strade.
Da un lato, appunto, c’è la via battuta dal pionieristico lavoro tarelliano
di disvelamento del tasso di politicità insito nella soluzione giuridica
adottata, e dunque nelle decisioni giurisprudenziali. Non è pertanto
casuale l’attenzione di Tarello rivolta all’accurata ricerca della autentica ratio
decidendi, onde portare alla luce tutti gli eventuali obiter dicta, che in questa
prospettiva non sono semplicemente affermazioni estranee e comunque
esterne alla regola del caso, ma sono affermazioni che, alla luce di un
ragionamento giuridico che nella politica del diritto ha la sua premessa e il
suo compimento, possono essere ancora più importanti, rispetto alla ratio,
come in effetti Tarello in più punti sottolinea.
Dall’altro lato, poi, c’è il fenomeno, che nel corso dei decenni si è
massicciamente stratificato – ma che trovava in Tarello uno dei critici
più severi –, per cui la raggiunta consapevolezza circa la politicità della
giurisdizione produce l’effetto, automaticamente o quasi, sia di legittimare
sia di incentivare una politica del diritto affidata in misura preponderante
alla magistratura, e cioè all’autonomia dell’interprete13, anche in senso
antagonistico al legislativo: che è appunto quanto si è verificato in Italia,
12
Così, alla lettera, G. Tarello, La disciplina costituzionale della proprietà, p. 11.
Qui, il riferimento è, ovviamente, alle riflessioni svolte da Tarello a partire dalla prolusione catanese di C.M. Bianca, fatta appunto subito oggetto di acuta e partecipe analisi: G.
Tarello, L’autonomia dell’interprete, in Riv. int. fil. dir., 1965, p. 159 ss. (poi in Id., Cultura
giuridica e politica del diritto, cit., p. 431 ss.). Ma allora è indispensabile il richiamo a Id.,
Atteggiamenti culturali sulla funzione del giurista-interprete, in Id., Diritto, enunciati, usi.
Studi di teoria e metateoria del diritto, Bologna, il Mulino, 1974, p. 475 ss.
13
XLVI
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
a partire, grosso modo, dalla seconda metà degli anni Settanta14, fino al
punto, oggi, di fare intravvedere una reazione (comunque auspicabile, se
non altro per quelle ragioni tutte interne alle costanti dinamiche di politica
del diritto che connotano le democrazie contemporanee, all’insegna di un
policentrismo giuridico spinto, che sotto diversi aspetti può anche rivelarsi
problematico), per impiegare un aggettivo oltremodo netto e perspicuo,
‘anticreazionista’15.
Orbene, tutto questo insieme di convinzioni e di propensioni, di
sensibilità e di atteggiamenti, di presupposti e di svolgimenti, di programmi
e di strategie attuative, che hanno caratterizzato, fin dall’origine, l’impronta
del passo scientifico di Giovanni Tarello, trova ovviamente agio di
esprimersi (ma in maniera più o meno frammentaria) nelle pagine del
volume che qui brevemente presento, e che ha molti pregi con un unico
‘difetto’ (anzi due – come subito preciso): è troppo breve; e in questo caso
la brevità sicuramente non giova.
Certo, possiamo facilmente immaginare che, nel corso della lezione,
quella che nel libro è una frase, una mezza frase, un cenno, avranno avuto
un diverso, e magari anche inatteso, svolgimento.
Ma del resto questo volume è perfettamente fedele a sé stesso,
a partire dal titolo: esso è un vero ‘corso universitario’, e dunque
raccoglie effettivamente le lezioni introduttive al tema della proprietà (il
titolo rispecchia esattamente il contenuto), offrendone una prospettiva
costituzionalistica. E in questo senso l’‘Avvertenza’ al volume è del tutto
veritiera: ivi si chiarisce che il libro copre una parte soltanto del programma
(il corso aveva un carattere monografico: ‘la proprietà nel diritto italiano’),
e infatti il vero e proprio manuale adottato era il volume di Ugo Natoli
sulla proprietà, del 1965, cui si sarebbe dovuta affiancare la lettura di
almeno uno tra i (non pochi e non facili) volumi e saggi sempre indicati
in tale ‘Avvertenza’.
14
Tra le critiche più nette e significative (appunto perché provenienti da una personalità
quale Giovanni Tarello, non sospettabile di partito preso o, peggio, di ingenuità) vanno
sempre ricordate quelle contenute nell’intervista rilasciata ormai molti anni addietro a Mario
Bessone: Sullo stato dell’organizzazione giuridica. Intervista a Giovanni Tarello, Bologna,
Zanichelli, 1979; ma allora va altresì richiamata la severa recensione che Tarello scrisse al
volume di Mauro Cappelletti, “Giudici legislatori?”, in Quadrimestre, 1984, p. 379 ss.
15
La più recente e strutturata reazione si legge in M. Luciani, Ogni cosa al suo posto. Restaurare
l’ordine costituzionale dei poteri, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023. Per la particolare
vigoría dialettica, vanno altresì visti due altrettanto recenti e appunto combattivi contributi
di M. Barcellona: Norme e prassi giuridiche. Giurisprudenze usurpative e interpretazione funzionale, Modena, Mucchi, 2022; Giudici politica democrazia. Uso alternativo o diritto alternativo:
alle radici di uno scontro in un mondo cambiato, Roma, Castelvecchi, 2023.
XLVII
M. Grondona
Un secondo ‘difetto’ è il carattere estremamente dimesso della veste
tipografica (nonché i numerosi refusi, che la ristampa anastatica non può
purtroppo correggere; ma la confezione editoriale della ristampa, assai
elegante, corregge invece prontamente il difetto estetico, e non è poco).
Ma dicevo dei numerosi ed evidenti pregi, che sono rimasti tali, nel
corso dei decenni, e dunque la ristampa è benvenuta, anche perché consente
a un testo, se non introvabile, certo difficilmente reperibile, anche in molte
biblioteche universitarie, non solo di ‘tornare a circolare’, ma di poter
essere utilizzato, tanto in corsi del primo anno quanto in corsi ‘avanzati’,
in quell’irrinunciabile esercizio di analisi critica della giurisprudenza, che
rappresenta poi uno dei pregi dell’essere giuristi e una delle maggiori
soddisfazioni intellettuali, anche del giovane giurista in formazione, e che,
in prospettiva didattica, dovrebbe costituire uno dei principali strumenti
del lavoro collettivo in aula.
In primo luogo, la linearità e la perentorietà dell’argomentazione,
che, appunto, avrebbe beneficiato di uno svolgimento più disteso; poi,
l’incisività espressiva della stessa argomentazione, che proprio in sede
didattica (e dunque necessariamente critica) assolve a una funzione
irrinunciabile: favorire in ogni modo lo sviluppo di un atteggiamento
critico, che nel nostro ambito significa, in sostanza, non appagarsi né delle
elaborazioni dottrinali ricevute, né degli orientamenti giurisprudenziali
consolidati, appunto assumendo che l’ordinamento giuridico (ovvero,
come scrive infatti Tarello in senso ancora più ampio e istituzionalmente
connotato, l’organizzazione giuridica16) non è costruito su definizioni
ma su operazioni, delle quali è indispensabile essere il più possibile
consapevoli, appunto perché il ruolo del giurista (qualunque ne sia il punto
di osservazione, e dunque qualunque sia l’istituto giuridico fatto oggetto
di studio o il settore del diritto considerato) è quello di chiarire «i modi
di funzionare di una singola organizzazione giuridica»17. Chiarire, come si
è notato più sopra, non solo per comprendere ma anche per incidere sul
singolo ordinamento.
In secondo luogo, la profondità, l’accuratezza (attenzione è ad esempio
dedicata alla composizione della Corte e alla figura del presidente),
nonché la schiettezza (e a volte la durezza) dell’esame della giurisprudenza
costituzionale.
In altre parole, Tarello offre una non dimenticabile lezione su come
16
In senso ancora più stringente, v. G. Tarello, La disciplina costituzionale della proprietà, p.
9, il quale parla di «singole organizzazioni giuridiche positive e storicamente determinate».
17
G. Tarello, La disciplina costituzionale della proprietà, p. 11.
XLVIII
Giovanni Tarello cacciatore di ideologie
leggere una sentenza della Corte costituzionale. Non ci stupiamo,
ovviamente, di questa sua raffinata abilità di spostarsi continuativamente
e armoniosamente dal piano della politica del diritto a quello della tecnica
giuridica, e viceversa – una abilità che gli derivava dalla sua conoscenza
ben salda, in primo luogo, del diritto civile. Del resto, la circostanza che
Tarello amasse presentarsi come ‘modesto avvocato genovese’18 non andrà
ascritta alla sua innegabile, e peraltro ben nota, civetteria e al suo mai
occultato snobismo, ma alla sua radicata convinzione (che ovviamente è
anche una assunzione metodologica) circa la necessità di dover dialogare,
e anzi discutere, con i ‘giuristi positivi’, e in particolare con i civilisti –
sostanzialisti e processualisti.
In questa sua effettiva conoscenza del diritto positivo e in questa sua
capacità tecnico-giuridica (e la bibliografia tarelliana ne è sicuro indice
rivelatore) può forse ricordare Bruno Leoni, studioso di filosofia del diritto
e di filosofia politica, ma anche avvocato civilista: sono esempi rari, ieri
come oggi (si possono fare altresì i nomi, illustri, di Uberto Scarpelli e
di Luigi Ferrajoli, magistrati, prima di diventare professori), ma assai
significativi in chiave metodologica: non è possibile svolgere con efficacia,
e soprattutto con attendibilità, un’analisi incentrata sulla politica del
diritto tenendo separati l’ambito delle tecniche argomentative dall’ambito
delle ideologie dei giuristi: il punto di vista interno alla disciplina (qui, il
diritto civile) resta quindi un aspetto fondamentale, e come tale non può
essere sopravanzato, o neutralizzato, dal punto di vista esterno (qui, quello
della teoria generale del diritto), e cioè dallo sguardo di un osservatore
bensì giurista, ma non perfettamente a suo agio con quel sapere tecnicospecialistico che, se certamente non esaurisce la dimensione della giuridicità
(e di ciò Tarello fu consapevole sin da subito)19, altrettanto certamente,
quando difetti o sia debole, impedisce all’interprete, o rende enormemente
più difficile, la piena comprensione di ciò che usiamo denominare, in senso
proprio, ragionamento giuridico.
18
V. ancora P. Chiassoni, Il realismo americano, cit., pp. XIII-XIV.
Proprio la recensione a Jerome Frank, cit. supra, in nota 10, è significativa: scriveva ivi
Tarello, con evidente simpatia intellettuale, pur se con non completa adesione metodologica e ideologica, che in Frank «è ben visibile un atteggiamento, un pensiero, lineare e
costante; quell’atteggiamento che consiste in una riduzione del diritto al dato umano –
perciò politico, sociologico, psicologico – attuata attraverso una continua chiarificazione
e demolizione di mitologie giuridiche e logiche. Si tratta di quell’atteggiamento, di quella
linea di pensiero, per cui il Frank è generalmente conosciuto come una delle più importanti, forse la più importante figura di quel movimento – possiamo dire scuola anche se i
“realisti” di scuola non vogliono sentir parlare – che va sotto il nome di realismo giuridico
americano» (p. 465).
19
XLIX
M. Grondona
A distanza di 50 anni dalla loro pubblicazione, dunque, queste lezioni
introduttive al diritto di proprietà, meritano ancora attenzione, tanto
da parte dei civilisti quanto da parte dei teorici generali particolarmente
attenti alle teorie e alle tecniche dell’argomentazione giuridica. Ma ben
si può aggiungere, senza inopportune e inutili enfatizzazioni, che si tratta
di un testo dal quale ogni giurista, quando sufficientemente sensibile alla
cultura giuridica, e, più in generale, alla dimensione culturale del diritto,
saprà ricevere un qualche insegnamento.
Ciò – e così mi avvio a concludere questa mia paginetta introduttiva,
ribadendo un aspetto e affidando con fiducia questa tempestiva e
lungimirante ristampa alle lettrici e ai lettori, giuristi già formati e
in formazione –, soprattutto perché, in Tarello, il discorso teorico è
costantemente e profondamente immerso nella dimensione tecnica e in
quella politica.
È senza dubbio ben presente la distinzione tra i vari livelli (e
anzi, proprio Tarello, appunto svolgendo da par suo l’analisi logicoargomentativa di talune motivazioni, fa emergere la necessità, e anzi
l’indispensabilità, di tale distinzione, così, al contempo, insegnando
a distinguere, con un atteggiamento didattico che – mi pare –, dallo
stile espositivo conservato nel volume, è tipico più della discussione di
seminario – che poi è l’unica modalità di apprendimento critico – che
non della classica lezione universitaria), ma tale distinzione ritrova poi,
per così dire, una propria unità operativa, nel momento in cui il lettore,
dopo aver seguito passo passo Tarello in questa agguerrita e sferzante
analisi, tanto sintetica quanto densa (e – lo confesso – a me pare che, qui
e là, qualcosa convinca di meno, o sfugga, verosimilmente per eccesso di
sintesi), si ritrova dinnanzi alla dimensione funzionale della proprietà, cioè
a una proprietà che non è (o che non è più) una definizione, ma è una
funzione, è un istituto giuspolitico in movimento, in ragione delle esigenze
dell’ordinamento giuridico e del contesto politico-istituzionale, nonché
delle caratteristiche della formazione culturale degli interpreti, e più in
generale della complessiva organizzazione giuridica italiana.
Dunque, distinguere, sì, ma per comprendere; e la comprensione
richiede sempre uno sguardo unitario, che si prefigga di abbracciare tutti
gli elementi rilevanti per la comprensione del fenomeno oggetto di analisi.
Ecco, allora, la politica del diritto; ecco, allora, la tecnica giuridica –
diverse, ma saldamente unite, sì da consentire di leggere e di comprendere
le strutture giuridiche in chiave funzionale, e di ricondurre le funzioni degli
istituti giuridici alle loro strutture.
Che è poi l’autentico lavoro intellettuale del giurista.
L