BOULANGER E IL TEMPO DELLE ORIGINI
MATTEO MARCHESCHI
Abstract: In mid-eighteenth-century France, a series of debates revolved around reflections on origins and their epistemological status, elaborating models of historical temporality to frame the present. The origins of the arts, sciences, human inequality, human
knowledge, fables or religions reveal a certain relationship between man (individuals and
civilisations) and time, articulating forms of past permanence and future anticipation in
the present. Within this framework, this article seeks to shed light on the peculiar temporal
status of Nicolas-Antoine Boulanger’s reflection on origins. In a close comparison with
Rousseau’s ‘atrabilious philosophy’ (philosophie atrabilaire), Boulanger identifies catastrophe as a temporal model for conceptualising the origin of a human history that has always already begun: origin appears not as that which stands at the beginning of time, but
rather as a historical form of the relationship between humanity and time – an emotional
and cognitive tone – that constitutes the background and precondition of human action.
Keywords: origin; history; catastrophe; Nicolas-Antoine Boulanger; Jean-Jacques
Rousseau; temporality.
English title: Boulanger and the Time of Origins
1. L’articolo Origine dell’Encyclopédie
ORIGINE, s. f. (Gramm.) commencement, naissance, germe, principe de quelque
chose. L’origine des plus grandes maisons a d’abord été fort obscure. Les pratiques religieuses de nos jours ont presque toutes leur origine dans le paganisme. Une mauvaise plaisanterie a été l’origine d’un traité fatal à la nation, &
d’une guerre sanglante où plusieurs milliers d’hommes ont perdu la vie. Menage a écrit des origines de notre langue1.
L’articolo Origine dell’Encyclopédie, che Marie Leca-Tsiomis ha recentemente
1 DIDEROT, ORIGINE, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 9, 648b.
321
Noctua, anno XI, n. 2, 2024, ISSN 2284-1180
DOI: 10.14640/NoctuaXI8 – CC BY
attribuito a Diderot2, è costruito a partire da una riscrittura selettiva in senso
sottrattivo della voce Origine del Dictionnaire universel françois et latin del 1752
– il Dictionnaire de Trévoux: l’enciclopedista, semplificando l’argomentazione,
imprime alla riflessione sull’origine e sul suo statuto una torsione ironica e
dissacrante3. Se per i Gesuiti «il y a de grandes Monarchies, & de grandes
Maisons, qui sont venues d’une obscure & médiocre origine», così come ve ne
sono altre – la casata di Bourbon, ad esempio – che hanno «une très-illustre &
ancienne origine»4, per l’enciclopedista non vi è potere che non scopra nella
sua origine il fondamento occulto e, dunque, potenzialmente instabile della
propria pretesa legittimità: tornare all’origine è svelare come ogni potere nasca dalla polvere e come alla polvere sia destinato a tornare.
Ancora più esemplare è la torsione che l’articolo Origine imprime all’argomentazione che fa derivare i riti cristiani da quelli propri al paganesimo:
mentre i Gesuiti riportano tale affermazione per contestarne la veridicità e
scardinarne l’efficacia polemica, riducendo le somiglianze cerimoniali a una
vaga aria di famiglia derivata dalla necessità per ogni religione di dotarsi di
un culto esteriore che, in qualche misura, finisce per assomigliare agli altri,
l’enciclopedista adotta assertivamente, quasi inducendo il lettore a ritenere
che sul tema vi sia un consenso ormai unanime tra gli studiosi, l’opinione insidiosa e libertina, più volte ripetuta in quegli anni, tra gli altri, da NicolasAntoine Boulanger che rileva la dipendenza delle pratiche e delle credenze
del cristianesimo da quelle delle religioni antiche5. L’enciclopedista trasforma
poi l’innocua e quasi autoevidente affermazione dei Gesuiti secondo la quale
«la guerre civile est l’origine d’une infinité de maux» in una accusa contro la
2 Sui criteri e sulle ragioni di attribuzione dell’articolo a Diderot, cfr. LECA-TSIOMIS 2020;
LECA-TSIOMIS 2021.
3 Sul Dictionnaire de Trévoux come fonte di Diderot, cfr. LECA-TSIOMIS 1999, 149-183.
4 TRÉVOUX 1752, 235.
5 Cfr., ad esempio, BOULANGER 1766; BOULANGER 1762.
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guerra tout court e le sue ragioni quali esse siano: non vi è guerra giusta né legittima, poiché i moventi dei conflitti che determinano la morte di migliaia di
uomini sono spesso radicati nelle petites causes, vale a dire nelle ragioni temperamentali, idiosincratiche e private dei potenti6.
Se l’ultimo esempio scelto dall’enciclopedista appare, poi, discontinuo
ed eccentrico rispetto alle righe che lo precedono, ciò accade poiché l’affermazione secondo la quale «Menage a écrit des origines de notre langue» è una
sorta di rovina sopravvissuta a un ben più esteso paragrafo della voce Origine
del Dictionnaire de Trévoux, dedicato specificamente al valore etimologico dell’origine. Che l’Encyclopédie scelga di salvare, a fianco delle considerazioni
sulle origini delle grandi casate e del cristianesimo, un passo dedicato all’autore delle Origines de la langue française (1650) non è senza valore: se gli enciclopedisti giustificano, in alcuni casi, i loro riferimenti etimologici richiamandosi all’opera di Gilles Menage7, più spesso ne sottolineano con ironia le incoerenze. È così che Mallet ridicolizza l’etimologia di chapelet (rosario) fornita
da Menage, sottolineandone lo spirito sistematico che arriva anche a forzare
l’evidenza empirica: «Ménage fait venir ce mot chapelet de chapeau, à cause
de la ressemblance qu’il trouve entre le chapelet & un chapeau de roses; ressemblance qui ne frappera certainement pas tout le monde comme elle avoit
frappé Ménage»8. Allo stesso modo, così come ricorda Jaucourt, il termine ‘si6 Sulle petites causes come moventi della storia si veda l’Essai sur les grands evénemens par
les petites causes di Adrien Richer, RICHER 1758.
7 È il caso, ad esempio, di Mahon, termine del francese antico che indica una moneta
(LOUIS DE JAUCOURT, Mahon, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 9, 868b), o di Orfroy (JAUCOURT, Orfroy, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 11, 629a), di Omelette
(s.a., Omelette, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 11, 467a), di Pate (Boulanger)
(JAUCOURT, Pate (Boulanger), in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 12, 162b) o di
Jetton (JAUCOURT, Jetton, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 8, 531a). Beauzée
considera, invece, Menage una autorità datata (cfr. NICOLAS BEAUZÉE, Participe, in
DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 12, 93a).
8 EDME-FRANÇOIS MALLET, Chapelet (Hist. Ecclés.), in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 3, 175b.
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nople’, il verde araldico, appare a Menage provenire dalla terra di Sinope,
che, sebbene sia di un colore rosso-bruno, egli sostiene di vedere verde9: è la
realtà, per l’etimologista, a doversi piegare alla teoria. In altri casi, la pochezza del sapere di Menage è sottolineata affiancando ipotesi etimologiche differenti e, a volte, contraddittorie e lasciando al lettore il gusto e l’arbitrio di scegliere tra teorie altrettanto poco fondate: chiudendo la voce Lambris, termine
di architettura che indica un’opera di pannellatura, Jaucourt permette che il
lettore si appropri di quella tra le tre etimologie del termine proposte che più
gli piace10.
La critica a Menage diviene, poi, sistematica nell’articolo Etymologie di
Turgot, vero e proprio manifesto del sapere etimologico e della sua funzione
metodologica11. Elencando alcuni principi essenziali che devono guidare un
critico, Turgot scopre in Menage un esempio di sistematica disattenzione degli stessi: a differenza di ciò che fa un buon etimologista, egli moltiplica infatti le «suppositions gratuites», immaginando ad libitum la serie di alterazioni
intermedie che consentono di passare dal termine originario a quello attuale12
o scambiando, a volte, il corrotto latino medievale con quello classico e ciceroniano13. Menage trasforma così l’etimologia in un sapere dell’arbitrio: del
resto, egli, come aveva sostenuto la regina Cristina di Svezia in un gioco di
spirito ricordato da Jaucourt, «savoit non-seulement d’où les mots venoient,
mais encore où ils alloient»14.
9 JAUCOURT, Sinople. Terme de blason, in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 15, 213a.
10 «Le mot lambris, vient, selon les uns, de ambrices, qui dans Festus signifie des lattes; selon Ménage, de imbrex, une tuile, en y ajoutant l’article; & selon le P. Pezron, du celtique
lambrusq, qui désigne un panneau de menuiserie, fait pour revêtir les murs d’un appartement. Le lecteur peut choisir entre ces trois étymologies», JAUCOURT, Lambris (Archit.), in
DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 9, 226b-227a.
11 Cfr. LECA-TSIOMIS 1999, 352-355.
12 Cfr. ANNE ROBERT JACQUES TURGOT, Etymologie (Lit.), in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772,
volume 6, 103a.
13 Ivi, 105a.
14 JAUCOURT, Seigle, secale (Hist. nat. Bot.), in DIDEROT, D’ALEMBERT 1751-1772, volume 14,
324
In definitiva, l’articolo Origine dell’Encyclopédie, letto in filigrana rispetto alla sua fonte, si mostra come una sorta di barometro capace di esprimere
le tensioni che attraversano la riflessione illuministica sull’origine, rendendone visibili le linee di forza e la posta in gioco15: se l’origine è, da un lato, la
prospettiva dalla quale è possibile svelare ciò che è occulto nei rapporti sociali, introducendo il basso e l’umile laddove l’impostura mostra solo la legittimità e la potenza, dall’altro lato, essa si rivela una pratica dell’arbitrio che
maschera e giustifica le distorsioni della storia. L’origine costituisce, cioè, il
luogo di un vero e proprio combat philosophique: declinata ora nel senso dello
svelamento ora in quello del mascheramento, essa esibisce i tentativi settecenteschi, spesso contraddittori o concorrenziali, di ridefinire le strutture della
temporalità storica16. Appropriarsi dell’origine significa, infatti, appropriarsi
del presente attraverso la forma del tempo: nell’origine si concentra la logica
che regola le traiettorie e il verso della storia e della sua articolazione. Sono
queste le ragioni che spingono i Philosophes a tentare di definire i criteri di legittimità di un fondamento – l’origine – del quale ogni esperienza diretta è
preclusa, moltiplicando i modelli finzionali e congetturali, le storie naturali e
ipotetiche17. Ogni discorso sull’origine – delle arti e delle scienze, della diseguaglianza tra gli uomini, delle conoscenze umane, delle fables o delle religioni – presuppone, infatti, una riflessione implicita sullo statuto dell’origine18:
l’origine dell’origine è il punto cieco – idea-limite e condizione di possibilità –
893a.
15 Che l’Encyclopédie e gli articoli di Diderot in particolare costituiscano uno specchio delle
vibrazioni intellettuali del contesto francese dei Lumi di metà Settecento è stato sostenuto, tra gli altri, da Jacques Proust: Diderot fu una «épeire au centre de sa toile, attentif à
toutes les vibrations des fils immatériels tendus à travers le pays, sensible à chaque
souffle de vent, pressentant la moindre capture», PROUST 1962, 504.
16 Cfr. MARTIN, 2012, 9-31.
17 Sui modelli di storicità settecenteschi, cfr., ad esempio, BORGHERO 1983; BINOCHE 1994;
GRELL 1995; BINOCHE 2007; BINOCHE 2018.
18 Su questo punto si vedano i classici e importanti contributi di DERRIDA 1967, 344-350 e di
FOUCAULT 1966, 339-346.
325
verso il quale si dirige la riflessione settecentesca sulla temporalità storica e i
suoi presupposti19. È sullo sfondo di tutto ciò che si situa l’indagine di NicolasAntoine Boulanger (1722-1759)20: enciclopedista e ingegnere dei ponti e delle
strade, le sue opere costituiscono un vero e proprio laboratorio, capace di rimette in discussione la comprensione settecentesca dell’origine e i suoi rapporti con la storia e il divenire, interrogandone i fondamenti e le pretese di legittimità.
2. Origine e storia
Nelle Recherches sur l’origine du Despotisme oriental. Ouvrage posthume de Mr. B.
I. D. P. E. C., edite, probabilmente a Ginevra, nel 176121, Boulanger non si limita a indagare l’origine di uno specifico fenomeno politico, ma si interroga
anche sullo statuto epistemologico dell’origine stessa, opponendo il proprio
procedere a quello di altri autori a lui contemporanei:
Ce sera donc l’homme échapé de la ruine du Monde, que nous allons considérer
& étudier; nous résoudrons par là une infinité de problèmes qui concernent
l’homme actuel & le Genre humain depuis le tems connus. Ce ne sera point un
Sauvage, un être métaphysique, ou cette créature créée parfaite & qui s’est corrompue, chimère dont tant de Docteurs & de Savans se sont vainement occupés;
ce sera un être réel, que nous examinerons dans un état réel: en le suivant pas à
pas à mesure qu’il s’écartera de cette époque, il ne nous mènera point à des conjectures solitaires, & qui ne tiendront à rien, mais à une route immense, où toutes les parties de la fable & de l’histoire viendront aboutir, s’éclaireront les unes
par les autres, & se rangeant d’elles-mêmes dans l’ordre convenable, exposeront
à nos yeux la véritable chaîne des annales du Monde morale et politique22.
19 Il Settecento, come ha mostrato Catherine Labio, conosce una vera e propria ossessione
per le origini. Cfr. LABIO 2004, 1. Per una panoramica sulle ricerche settecentesche sulle
origini si vedano GRELL, MICHEL 1989; POULOUIN 1998.
20 Per una ricostruzione del profilo intellettuale di Nicolas-Antoine Boulanger si rimanda
a SANDRIN 1986. Si veda anche HAMPTON 1995.
21 Sulle modalità di circolazione manoscritta e poi di pubblicazione postuma, ad opera di
D’Holbach, delle Recherches, si vedano SANDRIN 1986, 43-51; SANDRIER 2004, 351-355.
22 BOULANGER 1761, 36-37.
326
Attraverso la riflessione sull’umanità dei primi tempi, Boulanger tenta, come
mostra il passo appena richiamato, di ridefinire un modello di origine in un
senso né finzionale né ipotetico, le cui caratteristiche emergono, almeno in un
primo momento, in negativo e per contrasto: cosa sia l’origine si rivela, innanzitutto, nell’attività critica che mostra cosa essa non è. È questa la ragione che
ci impone di prendere puntualmente in analisi la pars destruens dell’argomentazione di Boulanger, tentando di far emergere i presupposti che la regolano.
A tal fine, occorre sottolineare come egli individui due principali modelli di teorie settecentesche sull’origine, riconducendoli all’attività di due
soggetti intellettuali principali ai quali corrispondono tre concezioni – non alternative tra loro, ma ciascuna capace di portare in primo piano, sottolineandolo, un aspetto della questione – dell’umanità primordiale: teologi (a) – i
dottori – e filosofi (b) – i savants – hanno immaginato che il primo uomo dovesse essere (1) un selvaggio, (2) un essere metafisico o (3) una creatura creata
perfetta e poi degenerata. Boulanger non delinea un rapporto univoco tra gli
elementi del primo gruppo (a,b) e quelli del secondo (1, 2, 3) – l’essere umano
perfetto delle origini non è l’oggetto solo delle speculazioni dei teologi, ma
anche di quelle dei filosofi –, ma sembra suggerire che, pur in misura variabile, i tre modelli di umanità originaria si sovrappongano e si contaminino tanto nella riflessione filosofica quanto in quella teologica – un selvaggio può essere tanto un essere metafisico quanto, al contrario, nient’altro che un individuo storico; egli può, in alcuni casi, essere creato perfetto o configurarsi, invece, come un individuo fin da subito mancante e debole. Detto altrimenti, l’indagine sulle origini appare come un campo conteso, nel quale argomentazioni e convinzioni non sono proprietà unica di uno dei due soggetti intellettuali in conflitto, ma passano dagli uni agli altri, venendo risemantizzati all’interno di un, sempre differente, orizzonte di senso, che attribuisce loro va327
lori e significati specifici.
In primo luogo, dunque, a essere contestata da Boulanger è la posizione
dei dottori: la riflessione teologica si attribuisce una sorta di monopolio sul
discorso sulle origini, radicando il dibattito all’interno della cornice delineata
dal libro biblico della Genesi. In questo senso, tanto la storia della Terra quanto quella dell’uomo sono vincolate al modello temporale che va dalla creazione perfetta alla degenerazione nel peccato per arrivare al riscatto finale: la
teologia assume così il monopolio non tanto della storia quanto delle strutture temporali della storia. Ciò accade, in maniera emblematica, in quel testo
fondamentale per tutto il Settecento francese e per Boulanger stesso che è la
Telluris theoria sacra del teologo anglicano Thomas Burnet: qui, i ritmi della
geologia corrispondono a quelli della salvezza23.
In secondo luogo, a essere contestata da Boulanger è la posizione dei savants, che costituisce già di per sé, tuttavia, un modello alternativo a quello
biblico. Il discorso dei filosofi sulle origini è riassunto, nel passo delle Recherches sopra richiamato, nelle figure tipiche del buon selvaggio – Boulanger pensa, come mostreremo, al Discours sur les sciences et les arts e al Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes di Jean-Jacques Rousseau
– e dell’uomo metafisico, soggetto astorico che attiva, in una prospettiva sensualistica una storia naturale delle facoltà e del loro sviluppo già dà sempre
iscritta nella conformazione gnoseologica e intellettuale dell’essere umano – è
il caso, ad esempio, di ciò che avviene nell’Essai sur l’origine des connaissances
humaines di Condillac, che pone il suo testo, fin dalla prima riga dell’introduzione, sotto l’egida della metafisica24. Tanto il buon selvaggio quanto l’uomo
23 Cfr. BURNET 1688-1689. Sulla teoria geologica di Burnet e sulle sue sovrapposizioni con
la temporalità biblica, cfr. GOULD 1989, 32-71; MAGRUDER 2000, 431-628.
24 «La science qui contribue le plus à rendre l’esprit lumineux, précis et étendu, et qui, par
conséquent, doit le préparer à l’étude de toutes les autres, c’est la métaphysique»,
CONDILLAC 2014, 59: pertanto, è dall’ottica della metafisica che Condillac si propone di
328
ridotto alla sua necessità metafisica si sovrappongono, almeno in parte, all’idea di perfezione originaria.
Le ragioni della critica al modello filosofico delle origini emergono, con
più chiarezza, in un passo de L’Antiquité dévoilée par ses usages, opera postuma
di Boulanger, edita nel 1766. In questo contesto, il filosofo prende in considerazione «deux erreurs capitales» che derivano da una considerazione immaginaria della condizione degli esseri umani nella prima età del mondo25. Il
primo di questi errori, che è quello che è maggiormente significativo ai fini
della nostra argomentazione, riconosce nelle origini un «état de nature» o «un
âge d’or» che si configura nelle forme di una perfetta armonia tra gli esseri
umani e la natura26. Al contrario, l’età delle origini appare a Boulanger come
il momento di maggiore conflittualità tra l’uomo e l’ambiente: è disconoscere
come sia solo l’arte più raffinata a consentire alla specie umana di restare
dentro i confini della propria natura a costituire il secondo errore capitale nella considerazione delle origini27.
Ora, il primo di questi errori viene attribuito esplicitamente a «les sophismes d’une philosophie atrabilaire»28 che in nota è riconosciuta come quella difesa dal «discours sur l’origine de l’inégalité des conditions parmi les
hommes» di Rousseau29. Definendo ‘atrabiliare’ l’indagine di Rousseau, Boulanger permette di cogliere il piano della critica sul quale egli stesso si pone: è
indagare l’origine delle «opérations» «de l’esprit humain», ivi, 62.
25 BOULANGER 1766, 133.
26 Ibidem.
27 «La second erreur a été de croire qu’il n’est rien de plus facile à l’homme que de suivre
la nature, tandis que c’est au contraire le chef-d’œuvre de l’art que de le contenir dans
les bornes que la nature lui prescrit; c’est où peuvent à peine parvenir les législations le
plus sages. Que de préjugés à éteindre! que d’erreurs à combattre! que d’habitudes à
vaincre! toutes choses qui dans tous les temps commandent impérieusement au genre
humain», ibidem.
28 Ibidem.
29 Ivi, 133n.
329
l’impianto temporale che sta alla base delle opere dei savants a produrre una
filosofia congetturale e ipotetica dell’origine. Del resto, la bile nera e la malinconia come prodotto del suo eccesso non concorrono solo ad avanzare un argomento ad personam contro Rousseau, ma delineano uno specifico modello
dei rapporti tra origine e storia – tra origine e tempo. Se l’indagine di Rousseau è, per Boulanger, malinconica, ciò accade perché essa intrattiene con l’origine un rapporto nostalgico: l’origine è un equilibrio ormai impossibile tra
la perfettibilità e la natura30. Essa è, infatti, non il fondamento della storia, ma
il punto cieco che la precede, quasi negandola: nell’origine la storia è un possibile che si ottiene solo a condizione di rendere impossibile quel rapporto di
equilibrio immediato e non problematico tra la contingenza della scelta umana di fronte al molteplice e l’univocità di quella stessa scelta che è la condizione di esistenza dello stato di natura31. L’origine è, dunque, l’unico stato di
univocità prodotto dalle plurime conformazioni di quella facoltà del molteplice che è la perfettibilità: inibire i molti modi nei quali la perfettibilità può
articolarsi significa disinnescare la durata temporale come problema – cioè,
come possibile: nello stato originario a non esistere è, pertanto, il futuro32. L’inesistenza del futuro non è, tuttavia, qui l’esito di un processo, ma uno stato
immediato e semplice – né conflittuale né dialettico – che la perfettibilità produce senza metariflessione: una volta venuto meno, esso è catastroficamente e
30 Sulla perfettibilità in Rousseau, cfr. TOTO 2019, 333-363 (in particolare); LOTTERIE 2006,
26-62.
31 Nella stato di natura, la perfettibilità umana si configura come una facoltà vicaria dell’istinto animale, capace di riprodurne liberamente il funzionamento necessario. Cfr.
ROUSSEAU 1992, 184.
32 La perfettibilità, assumendo il ruolo dell’istinto animale, non produce il futuro come
problema, annullando i possibili e agendo, liberamente, in maniera univoca. Rousseau
lo sostiene esplicitamente evocando il caso degli abitanti dei Caraibi che, pur non essendo uomini delle origini, riproducono nella storia un condizione umana liminare capace
di rimandare, almeno parzialmente, a ciò che non è storico: «Tel est encore aujourd’hui
le degré de prévoyance du Caraïbe: il vend le matin son lit de coton, et vient pleurer le
soir pour le racheter, faute d’avoir prévu qu’il en aurait besoin pour la nuit prochaine»,
ivi, 197.
330
irreversibilmente superato, divenendo una condizione impossibile della
quale si può avere solo nostalgia.
In questo senso, l’origine è per Rousseau quell’alterità assoluta rispetto al
presente (alla storia) che agisce performativamente nel presente stesso33 come
mancanza: è la condizione non storica dell’origine a poter divenire il motore di
una storia che contrasti la direzione degenerativa impressale dallo sviluppo
delle scienze e delle arti. Tra l’origine e la storia agisce infatti la catastrofe –
quei «concours singuliers et fortuits des circonstances» che «pouvaient fort
bien ne jamais arriver», come scrive Rousseau34 – che le separa irreversibilmente: è la catastrofe, ovvero il venire per sempre meno dell’unico stato di
equilibrio immediato tra perfettibilità e natura, a produrre quella che agli occhi di Boulanger appare come una filosofia atrabiliare. Del resto, per quest’ultimo il punto è sensibile poiché anch’egli fa della catastrofe un architrave della propria riflessione storica, pur in un senso del tutto contrario a quello di
Rousseau. Per Boulanger, la catastrofe è infatti il fondamento e il tono della
storia e delle sue strutture temporali: essa non è ciò che separa l’origine dalla
storia, ma ciò che le fa coincidere, intrecciandone le vicende. L’umanità storica non si è distinta dall’origine per via di una catastrofe, trovando invece nella catastrofe stessa la sua origine. Ogni storia, mostra l’autore de L’Antiquité
dévoilée par ses usages, è quella di un essere umano sopravvissuto a una catastrofe, al punto che la posizione (position) dell’uomo che riemerge dalle rivoluzioni del globo «est la vraie porte de notre histoire, & la clef de toutes les
énigmes que les usages & les traditions nous proposent»35. In questa prospettiva, a differenza di ciò che ritiene Rousseau, l’umanità del presente non può
provare malinconia per la sua origine: non solo essa non ne è separata una
33 Sull’origine come finzione capace di riformare attivamente la società del presente si veda
MONNIN 2009, 970-985.
34 ROUSSEAU 1992, 181.
35 BOULANGER 1766, 5.
331
volta per tutte, ma, come mostreremo, è ricondotta in ogni istante di fronte al
tempo – di fronte all’origine del tempo – dalla persistenza della catastrofe che
ne tesse le strutture temporali.
3. Il tempo della catastrofe
Nel ritratto dell’amico che Diderot traccia nell’Extrait d’une Lettre écrite à l’Editeur sur la vie & les Ouvrages de Mr. Boulanger che è premessa all’Antiquité dévoilée, Boulanger appare impegnato, lungo tutto il corso della sua breve vita,
ad applicare il suo occhio sperimentato di antiquario agli oggetti più disparati, ricostruendo così i fili che conducono dal mondo antico a quello contemporaneo36. Osservando le tradizioni mitologiche greche, latine ed egizie; interrogando i libri sacri degli Ebrei, degli Arabi e dei Caldei; esplorando i riti delle
popolazioni amerinde, cinesi e siriane, Boulanger trova, persistenti e costanti,
le tracce di diluvi, inondazioni e incendi passati. Allo stesso modo, gli scavi
che egli compie nella sua funzione di ingegnere dei ponti e delle strade, gli rivelano la diversità degli strati del sottosuolo e l’accumularsi in essi di testimonianze fossili di epoche e climi differenti. All’occhio dell’antiquario, gli
aneddoti della natura e quelli delle civiltà37 sembrano così convergere, rivelando una medesima verità: all’origine delle vicende della storia umana sta una
rivoluzione del globo che ha distrutto una possibile conformazione del mondo,
rinnovando l’ordine della natura e, con esso, quello delle società umane38. L’inizio della storia attuale è dunque nella catastrofe che ne ha distrutta una
passata:
36 Ivi, 4.
37 Sulla funzione dell’aneddoto nella ricerca di Boulanger, autore di un’opera, rimasta manoscritta fino al 2006, intitolata Anecdotes physiques de l’histoire de la nature, cfr.
MARCHESCHI 2023, 172-176.
38 «[…] presque toutes les nations de la terre ont eu & ont encore des traditions qui leur
ont transmis des changemens arrivés autrefois dans la nature», BOULANGER 1766, 1.
332
S’il est arrivé des révolutions générales dans la nature, s’il s’est fait dans un certain tems un renouvellement des sociétés, c’est jusques-là sans doute que doit
remonter l’étude de l’Antiquité. En effet les sociétés présentes ne peuvent dater
que de ces instans; & cet ouvrage devant servir d’introduction à l’histoire de
l’homme en société, il convient de commencer par examiner les faits à la suite
desquels on dit que le genre humain détruit s’est renouvellé, & repeuplé une
terre nouvelle39.
L’origine è, in questo senso, nient’altro che una rinascita (renaissance)40, vale a
dire l’esito produttivo di una distruzione: una catastrofe è sempre, in qualche
misura, una catastrofe trattenuta che non si muta mai in apocalisse41. Boulanger, tuttavia, nel passo appena richiamato, non parla di una rivoluzione del
globo in astratto – egli non vuole sostituire all’uomo dei teologi e dei filosofi
un uomo genericamente post-catastrofico –, ma riconosce in una determinata
catastrofe l’origine di una specifica storia umana e di un altrettanto specifico
soggetto storico. Se non ogni catastrofe dà vita alla medesima storia è perché la
forma della tessitura temporale – dei nessi tra dimensioni temporali – dipende dal soggetto storico e dal suo rapporto originario con la memoria e con l’anticipazione del futuro. Le strutture del tempo sono la forma che un soggetto
impone a sé attraverso il tempo stesso.
È in questa chiave che Boulanger rivaluta la storicità del Diluvio universale biblico: mentre in un «certain monde», quello dei filosofi e dei beauxesprits, si ironizza sullo statuto del Diluvio, riconoscendolo come l’oggetto di
una fede acritica e grossolana, lo storico della natura vi vede l’immagine deformata di un evento passato42. A un rapporto univoco con la Bibbia che si determina nelle forme della credenza o della miscredenza, ma mai in quelle della comprensione razionale43 – come sottolineerà anche Voltaire nel Diction39 Ibidem.
40 Ibidem.
41 Sull’idea di “catastrofe trattenuta” si rimanda a MARCHESCHI 2023, 193-239.
42 BOULANGER 1766, 2.
43 Sul ruolo del Diluvio nella filosofia di Boulanger, cfr. CRISTANI 2003, 205-206. Si vedano
333
naire philosophique, reagendo all’articolo Déluge dell’Encyclopédie firmato da
Boulanger, l’unica ragione per credere al Diluvio è che esso «est rapporté
dans les saintes Écritures hébraïques transmises aux chrétiens»44 –, Boulanger
sostituisce un rapporto a più dimensioni: come aveva mostrato Fontenelle45,
anche ciò che è falso nelle sue affermazioni esplicite non può evitare di intrattenere un rapporto veritiero con l’epoca e il contesto che l’ha prodotto. La
Bibbia mantiene, cioè, la memoria implicita delle intenzioni, delle paure e degli orizzonti di senso di coloro che l’hanno scritta: essa non ha un valore unicamente apologetico, ma è anche un oggetto sopravvissuto al divenire e carico di memorie.
Agli occhi di Boulanger, la Bibbia è dunque un documento che si lega ad
altri documenti coevi e a molteplici monumenti naturali che rivelano, tutti assieme e spesso involontariamente, una stessa verità: in un medesimo periodo
storico tutta la Terra è stata sconvolta da cataclismi locali di natura e intensità
diversa – diluvi, terremoti, eruzioni vulcaniche – che hanno distrutto la maggior parte dell’umanità46. Ciascuna tradizione mitologica o religiosa ha poi
deformato gli eventi specifici ai quali si riferisce rendendoli universali in ragione della paura radicale e generale che essi hanno provocato.
Il soggetto della storia attuale delle civiltà è dunque l’uomo, non ipotetico, sopravvissuto alle vicende di cui la catastrofe biblica è testimonianza: la
storia dell’Arca di Noè, che si posa, nella traduzione della Vulgata, sul mons
Armeniae rivela come gli uomini tentarono, di fronte alla catastrofe incipiente
– come nota Boulanger, «rien est subit dans la nature»47 –, di sopravvivere rianche POULOUIN 1998; SEGUIN 2001.
44 VOLTAIRE 2013, 1136. Sulle ragioni che conducono Voltaire a non appropriarsi in chiave
anticristiana del Diluvio si veda CAMPI 2001.
45 Cfr. il De l’origine des fables di Fontenelle (FONTENELLE 2015).
46 Sull’interpretazione dei cataclismi originari in Boulanger si veda SEGUIN 2001, 414-430.
47 BOULANGER 1766, 373.
334
fugiandosi sulle più alte montagne del globo48. Il testo biblico trova qui conferma in quei riti antichi che rivelano un diffuso culto delle cime montuose 49,
ma soprattutto nel I libro de Le leggi di Platone, dal quale Boulanger cita lunghi passi e che gli permette di definire i caratteri fondamentali di quei «restes
du genre humain»50 sopravvissuti alla catastrofe. Platone, del resto, non si limita a sottolineare una vaga origine post-catastrofica dell’umanità attuale,
ma sottolinea come la comprensione del presente passi totalmente dalla considerazione della natura specifica dei gruppi umani che si rifugiarono, di
fronte alla catastrofe, sulle più alte montagne del globo: «Voilà d’où dérive
l’état actuel du monde, voilà où il faut chercher l’origine & les principes de
nos sociétés, de nos loix morales, civiles & politiques; & ce mélange bisarre de
biens & de maux, de vertus & de vices que l’on y voit»51.
Detto altrimenti, attraverso il testo platonico, Boulanger mostra come
l’umanità che sopravvive alla catastrofe non sia un’immagine, fedele ma in
scala ridotta, dell’umanità pre-catastrofica: al contrario, la catastrofe salva la
continuità della storia della civiltà umana, spostandone irreversibilmente l’asse e trasformando quello che era periferia in centro. Una forma di vita marginale, quella delle popolazioni che conducevano «une vie pastorale sur les
montagnes»52 diviene, all’improvviso, quella a partire dalla quale si riorganizza tutta la civiltà umana: la memoria delle arti, dei riti e degli usi di una parte
informa il tutto, conducendo con sé l’oblio di saperi e tecniche che erano stati
comune patrimonio dell’umanità. Allo stesso tempo, specifiche forme di organizzazione domestica e sociale, determinati rapporti economici e rapporti
di potere, puntuali concezioni del tempo e del futuro divengono la radice
48 Cfr. ivi, 374; BOULANGER 1761, 52.
49 BOULANGER 1766, 374.
50 Ibidem. Sulla riflessione platonica sulla catastrofe, cfr. CENTRONE 2021, 96-97.
51 BOULANGER 1766, 387.
52 Ibidem.
335
unica sulla quale l’umanità si ridefinisce. La catastrofe, in sintesi, sposta le
traiettorie della storia in maniera improvvisa, ridefinendo la misura del possibile e dell’impossibile e quella dell’atteso e dell’inatteso. È in questo senso che
per Boulanger le rivoluzioni del globo distruggono le umanità del passato –
al plurale – facendo «comme s’ils n’eussent jamais été»53: ciò non significa che
quella storia vada totalmente perduta, ma che la catastrofe, sconvolgendone i
rapporti interni e riarticolandoli, dà loro un nuovo senso, collocandoli in serie
temporali differenti da quelle nelle quali avevano avuto origine. Le rivoluzioni del globo selezionano catene storiche a discapito di altre, ridefinendo e riscrivendo nel futuro il passato.
Sullo sfondo di tutto ciò, Boulanger porta a compimento la sua operazione di risemantizzazione dell’origine e del suo statuto teorico: essa è il
modo nel quale una storia già da sempre cominciata ridefinisce sé stessa, riarticolando le forme della continuità e della discontinuità con il passato. In questo senso, non vi è origine assoluta né necessaria: l’origine è il prodotto contingente della contingenza storica che, dall’interno della storia, cancella molteplici futuri per renderne possibili altri, precedentemente impossibili. In
questa prospettiva, quella delle origini non è un’umanità nuova, ma un’umanità antiquata, carica di passato e di memoria: il primo degli esseri umani post-catastrofici è sempre un sopravvissuto di un mondo precedente scomparso54. Se l’essere umano di oggi, pur distante sei o settemila anni dai sopravvissuti dell’ultima catastrofe generale che ha sconvolto il globo, può
comprendere la logica storica che da essa si è generata è perché egli condivide con essi, pur se inconsapevolmente, la medesima origine: anche se la distanza temporale ha attutito il senso di continuità con il passato – «nous nous
53 BOULANGER 1761, 38. Boulanger si esprime in maniera analoga ne L’Antiquité dévoilée par
ses usages (BOULANGER 1766, 4).
54 Cfr. BOULANGER 1766, 4; 150.
336
sommes écartés de nous mêmes»55, al punto da divenire un vero e proprio
enigma per noi stessi56 – la continuità della civiltà non è stata sconvolta da alcuna rivoluzione globale. Riprendendo un argomento adottato anche da Fontenelle nella Digression sur les Anciens et les Modernes (1688), Boulanger sostiene l’equivalenza antropologica dell’umanità in ogni epoca: «les anciens ont
été les mêmes que nous; ils ont pensé, ils ont senti comme nous, & comme
nos neveux penseront & sentiront dans des milliers de siècles, s’ils se
trouvent dans des circonstances propres à faire naître où a réveiller ces idées
& ces sentiments»57. Ciò che distingue le differenti civiltà sono però le circostanze: non ogni catastrofe è identica a ogni altra e, pertanto, non produce le
medesime reazioni e, dunque, la medesima storia. Lo specifico di ogni origine, dunque, è dato dal modo nel quale le circostanze variabili e irripetibili inclinano la costante natura umana: tuttavia – il nesso non è autoevidente –
come avviene che le circostanze, per loro natura puntuali e storicamente determinate, si riflettono nel corso della storia? Come accade che una vicenda
che si è verificata settemila anni prima, ancora agisca efficacemente sugli esseri umani del XVIII secolo?
Nelle sue opere Boulanger mostra come la catastrofe non sia un fatto,
ma un effetto: ciò che permane di essa è una memoria implicita, un tono che inclina le fibre e la fisiologia umana, imprimendo loro una specifica declinazione temporale – un senso e un verso – che ha le forme di una memoria fisica del
terrore. La catastrofe, scrive Boulanger, lascia sugli uomini «l’empreinte d’une
terreur primitive, dont les suites se sont perpétuées d’âges en âges, & dont le
genre humain est encore bien loin d’être parfaitement remis»58. La paura
(crainte), pertanto, non si configura come una reazione immediata di fronte
55 BOULANGER 1761, 42.
56 Ivi, 41.
57 Ivi, 43.
58 BOULANGER 1766, 213.
337
alle rivoluzioni del globo, ma come un rapporto costante con il tempo: la catastrofe insegna a temere il futuro, a non fidarsi della stabilità della Terra, proiettando nell’avvenire gli eventi distruttivi del passato. Apocalissi e giudizi
universali, apocatastasi e rinnovamenti futuri non sono altro che la traccia di
una temporalità della paura che esorcizza l’accaduto reinserendolo in una
storia che gli conferisce senso. Le religioni e i riti nascono allora come tentativo di mantenere il ricordo della catastrofe, attutendolo e quasi addomesticandolo: la ciclicità del tempo del rito e della festività religiosa che, come nota
Boulanger, comincia sempre dalle tenebre e dalla morte per finire nella gioia
e nella rinascita59, conferisce senso alla catastrofe. Se il timore origina gli dèi –
«la crainte a fait les dieux»60 –, gli dèi, a loro volta, mutano l’intensità e la natura
del timore che li ha generati: la religione occulta l’angoscia radicale di un’umanità che, sopravvissuta alla distruzione, teme, in ogni istante, la minaccia
di una catastrofe sempre incombente. Analogamente a ciò che avviene per
Vico, la religione si configura come un modo per controllare l’inatteso e l’imprevisto, costituendo le condizioni di possibilità per istituire la civiltà umana
e per riattivarne la storia.
In questo quadro, la religione, anche qualora perda la memoria – e l’autocomprensione – della sua funzione, divenendo cioè un rito che ha dimenticato il proprio rapporto originario con il tempo della catastrofe, non cessa per
questo, implicitamente, di testimoniare della catastrofe dalla quale ha avuto
origine. Detto altrimenti, la religione può anche assumere le forme di un’impostura – vale a dire di un esercizio volontario del dominio sugli uomini da
parte di altri uomini –, ma ciò che permane vero nell’inganno è il nucleo involontario dal quale la religione stessa si è costituita: è della specifica paura che
59 Cfr. ivi, libro III; libro IV. Cfr. anche GRELL 1995, 942-951.
60 BOULANGER 1766, 48. Sulla circolazione e gli usi nella filosofia moderna della affermazione di Petronio e di Stazio secondo la quale primus in orbe deos fecit timor, cfr. PAOLETTI
2023.
338
nasce da una precisa catastrofe61 che la religione perpetua le tracce, definendo
i presupposti temporali (il rapporto con il futuro e con il passato) che costituiscono l’intelaiatura della storia umana e delle istituzioni nelle quali si oggettiva. Ciò che vale per la religione, vale, per Boulanger, per ogni monumento,
tradizione o documento dell’antichità: ogni “oggetto” culturale del passato è
espressione di una dialettica tra la volontaria progettualità umana e l’involontaria inclinazione che la catastrofe ha impresso all’immaginario umano. In
ogni rito del passato non sta solo il ricordo dei gesti e delle pratiche cultuali
esplicite, ma anche quello, occulto e fondativo, che esprime il rapporto tra la
storia umana e il tempo. Quest’ultimo si deposita naturalmente negli oggetti
culturali, costituendo una sorta di telaio strutturale che non può essere né falsificato né costruito volontaristicamente. Il falso – ogni falso – porta in sé la
traccia di un radicale vero. Se la storia evenemenziale e finanche i riti e le pratiche religiose possono essere falsificati, ciò non accade per i “costumi” – vale
a dire l’inclinazione originaria del rito e della storia stessa – che non appartengono a chi li fa, esprimendo invece i presupposti del fare e della storicità
umana:
Plus le tableau des nations s’est sétendu & détaillé à mes yeux, & plus je me suis
apperçû, qu’il ne faut plus juger de leur antiquité par leurs histoires, mais par
leurs coutumes. J’ai vû que les coutumes appartenoient aux peuples, & que les
histoires n’appartenoient qu’aux particuliers ignorans & menteurs qui les
avoient faites62.
Se gli oggetti del passato mantengono una memoria implicita della catastrofe
che ha generato la storia è perché Boulanger giunge, in conclusione, a ridefi61 Al contrario di ciò che ritiene d’Holbach, per il quale le religioni nascono genericamente
da una catastrofe. Su questo punto e per qualche ulteriore specificazione, cfr. CRISTANI
2003, 108. Cfr. D’HOLBACH 2008, 230-231. Sul rapporto tra religione e catastrofe nella filosofia di D’Holbach cfr. MINERBI BELGRADO 1983.
62 BOULANGER 1761, 59.
339
nire lo statuto dell’origine stessa. L’origine non gli appare infatti come l’evento originario, storico o astorico, congetturale o reale, dal quale la storia prende le mosse, ma come il punto cieco a partire dal quale si staglia il presente:
l’origine è, cioè, la capacità della catastrofe originaria di riprodursi in ogni
istante non come fatto, ma come effetto, ricollocando, in ogni momento, il
soggetto storico di fronte ai presupposti della sua storia. L’origine non è così
né prima né altrove rispetto all’ora, ma è ciò che dell’ora non ha la temporalità dell’istante e che ne costituisce la condizione di possibilità – è la faccia invisibile del visibile: l’origine è ciò che di non contemporaneo sta nel contemporaneo e che rende il presente un tempo spesso – un nodo temporale – nel quale
l’essere umano non si confronta solo con le dimensioni del qui e dell’ora, ma
anche con quelle dell’articolazione del nesso temporale – del presente in
quanto riappropriazione del passato e in quanto anticipazione e profezia63.
In questa prospettiva, il rapporto con l’origine non può essere malinconico o atrabiliare, come avviene nel caso della filosofia di Rousseau, poiché
per Boulanger l’origine non è ciò che si è perduto una volta per tutte, ma il
motore che attiva sempre e di nuovo il presente in quanto presupposto immobile dell’articolazione temporale dell’istante. L’inclinazione della storia –
quella crainte che si è originata nella catastrofe – non ha solo dato forma alle
istituzioni e alle religioni umane dei primi tempi, ma continua ad agire nel
presente, perché ogni istante presuppone e riattiva i modi e le forme di un
certo rapporto umano con il tempo (l’origine), che sopravviverà ai tempi stessi, fino a che una nuova catastrofe non li cancellerà. Nella storia dell’uomo
post-catastrofico, come scrive Boulanger, tutto segue inevitabilmente dal primo passo: «son premier pas fut un faux pas; sa première maxime fut une erreur; & ne cessant d’agir ensuite conséquemment à son début, il n’a point ces63 Sul modo nel quale il futuro, attraverso la profezia, diviene una dimensione del presente si veda FRILLI, LODONE 2022, 5-19 (in particolare).
340
sé de s’égarer»64.
In conclusione, l’origine esprime la natura temporale e radicalmente
storica dell’essere umano: l’uomo non si pone mai solo di fronte ai tempi, ma
attraverso i tempi non cessa di confrontarsi con il tempo – egli non fa mai
solo esperienza di un evento futuro o passato, accompagnando invece ad essa
l’esperienza del futuro e del passato tout court65. L’origine è così ciò che vi è di
più contemporaneo nell’esperienza del tempo dell’essere umano, riproducendo un certo rapporto fondamentale con il tempo e le sue dimensioni: il passato non è ciò che è accaduto, né il futuro ciò che accadrà. L’origine rivela invece come essi siano i poli temporali entro i quali si determinano l’atteso e l’inatteso, il pensabile e il non pensabile, il possibile e l’impossibile che costituiscono il presente – tutto storico – degli esseri umani: per Boulanger, spiegare
l’origine significa agire sul presente attraverso le forme del tempo e della sua
articolazione.
MATTEO MARCHESCHI
UNIVERSITÀ DI PISA – LABEX COMOD (LYON)*
64 BOULANGER 1766, 6.
65 Su questo punto e sulle passioni che nascono dal rapporto con la temporalità – e non
semplicemente con specifici eventi temporali – si veda ciò che scrive PAOLETTI 2023, 2526.
* matteo.marcheschi@cfs.unipi.it; Via Pasquale Paoli 15, 56126 Pisa PI, Italia. ORCID:
https://orcid.org/0000-0003-2730-7451.
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