ELEONORA RAVA – FILIPPO SEDDA
Rorarunt coeli. La liturgia di santa Rosa da Viterbo
Abstract
Un caso di studio paradigmatico per mostrare l’accoglienza e l’eredità di una santa donna nella prima epoca moderna tra Roma e
Lazio è certamente offerto dalla liturgia di Rosa da Viterbo. Fu dalla seconda metà del XV secolo e per tutto il XVI che si allestì
una liturgia propria – per l’ufficio delle ore e per la messa – e si fissò la memoria liturgica della giovane santa viterbese. Dopo
aver chiarito il contesto in cui fiorisce e si innesta il culto di Rosa, si darà conto della specialità della liturgia rosiana.
Il contesto1
Rosa da Viterbo, nata e vissuta in questa città nella prima metà del ’200, fu una laica penitente di
orientamento francescano. Visionaria e profetessa, zelante nel diffondere il nome e la passione di Cristo
per le strade della città – e per questo esiliata da chi governava la città a quell’epoca – cercò invano di
essere accettata tra le monache del monastero di Santa Maria dell’ordine di San Damiano a Viterbo. Morì
il 6 marzo del 12512.
Al tempo in cui nacque e visse Rosa, Viterbo era un libero comune che si barcamenava tra Papato e
Impero per difendere come poteva le proprie ‘libertà’3.
Attorno agli anni Quaranta del Duecento, in seguito all’occupazione del Patrimonio da parte di
Federico II e all’alleanza conclusa con i viterbesi, Viterbo visse il suo ‘momento ghibellino’ ottenendo in
cambio concessioni di grande portata: un mercato annuale; il diritto di batter moneta con l’effige
imperiale; la promozione a caput regionis et provincie Tuscie; la costruzione di un palazzo imperiale4.
Salvo un breve intervallo di tempo, tra il 1244 e il 1247, in cui il Comune viterbese tornò fedele alla Chiesa
e allontanò sia la fazione ghibellina sia le truppe imperiali dalla città, Viterbo rimase sotto la sovranità
imperiale fino al 1250. Con la morte di Federico II, tornata la città all’ubbidienza alla Sede Apostolica, il
Comune mise in atto tutta una serie di azioni volte ad ostentare la devozione alla Sede Apostolica e ad
accattivarsi il pontefice. L’inizio della vicenda rosiana va letto in questo contesto di allineamento alla
nuova politica del Comune di fedeltà alla pars Ecclesiae.
Circa due anni dopo la morte di Rosa (6 marzo 1251), a seguito della supplica del Vescovo, del Clero,
del Consiglio e del Popolo di Viterbo, il pontefice Innocenzo IV dà inizio all’indagine in partibus per
1
Questa premessa storica, a cura di Eleonora Rava, serve a contestualizzare la nascita della liturgia della Santa viterbese. Per una descrizione
più approfondita si rimanda all’articolo Rava 2019, 112-125.
2
Per un approfondimento della figura di Rosa da Viterbo si vedano i seguenti contributi: Abate 1952, (con gli adeguati rinvii bibliografici
a tutta la letteratura storiografica precedente); Vacca 1982; Piacentini 1998, 1742-1747; Guarnieri 2004, 327-336 (già in Rassegna degli
studi e delle attività culturali nell’Alto Lazio 5 (1984), 49-58); i tre convegni viterbesi Santa Rosa: tradizione e culto, a cura di Cappelli
1999, 2000, 2001; Rava 2016, 73-87; Casagrande-Rava 2012, 1017-1032; Ulturale 2017; Vauchez 2015, 9-13; Bartoli Langeli-Rava-Sedda
2019.
3
Per la storia di Viterbo, Pinzi 1887-1913 e Signorelli 1907-69; per la politica viterbese di metà Duecento si veda Rava 2013, 201-218; per
l’assetto istituzionale Kamp 1963; sul ruolo di Viterbo all’interno dello stato della Chiesa, Waley 1975, 97-111.
4
Margheritella: il più antico liber iurium del comune di Viterbo, Carbonetti Venditelli 1997.
ACTA ad archaeologiam et artium historiam pertinentia, vol. 35, no 21 n.s. (2023), p.1-12
DOI: http://doi.org/10.5617/acta.11392 Open access article licensed under CC-BY-NC
ISSN 2611–3686 online https://journals.uio.no/acta
ELEONORA RAVA – FILIPPO SEDDA
2
raccogliere testimonianze sulla vita e i miracoli che andavano manifestandosi attorno al corpo di Rosa ai
fini della sua iscrizione nel Catalogo dei santi5.
Probabilmente connesso a questa prima indagine è il frammento di pergamena conservato nell’archivio
del monastero di S. Rosa, databile per la scrittura alla seconda metà del Duecento6. Il testo contenuto nel
frammento costruisce la figura di Rosa come quella di una santa guelfa: penitente laica di orientamento
francescano7, perseguitata dagli eretici ghibellini perché predicava la penitenza per le strade di Viterbo,
mandata in esilio con tutta la sua famiglia, profetizza la morte di Federico II. Insomma Rosa era
provvidenzialmente una santa ‛funzionale’ alla politica viterbese del momento. Una santa fedele alla
Chiesa!8
Da questo momento e per circa due secoli le fonti tacciono su Rosa (ad eccezione di una menzione di
Bartolomeo da Pisa nel suo De Conformitate)9.
Nei decenni centrali del XV secolo a Viterbo, che è immediate subiecta al pontefice ed è il capoluogo del
Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, si assiste a un decisivo consolidamento del dominio papale, in seguito
alla repressione della rivalità fra le fazioni che dal Trecento si contendevano il governo della città10.
Un’occasione propizia per la canonizzazione di Rosa, alla quale non si era giunti nel 1252, sembrò
presentarsi in occasione del Giubileo indetto da Niccolò V (1450). Viterbo, situata sulla strada di Roma,
attraeva un gran numero di pellegrini grazie a santa Rosa, della quale si mostrava il corpo incorrotto nella
chiesa ad essa intitolata. Del grande afflusso di denaro portato dai pellegrini al monastero si occupò il
Consiglio comunale di Viterbo, che nella seduta del 27 marzo del 1450 suggerì che tutto quel denaro,
stimato in 4 o 5.000 ducati, fosse utilizzato dalle monache per avviare la canonizzazione della loro santa.
Ma le monache non accettarono la proposta e spesero tutti i proventi del Giubileo dando inizio a grandi
opere architettoniche di restauro e abbellimento della chiesa e del monastero e nell’acquisto di edifici
(case, osterie, gualchiere e mulini) e di terreni (campi, orti e vigne)11. Della canonizzazione di Rosa non
si fece nulla.
Un nuovo tentativo, il Comune di Viterbo lo fece cinque anni più tardi. Il 12 agosto 1455 i Priori
deliberano, infatti, di inviare una supplica a Callisto III Borgia, che era succeduto da pochi mesi a Niccolò
V. È in questa seduta che compare per la prima volta l’idea di Rosa patrona di Viterbo12:
ut sanctorum cathalogo secundum morem Ecclesie beatam hanc Rosam civitatis vestre
Viterbiensis cum viveret incolam et post obitum in accedentibus oportune patronam Vestra
Beatitudo adiungere pro in benignitate sua dignetur.
Col nuovo papa e l’operato concorde di tutte le componenti della città, quella ecclesiastica, quella civica,
quella religiosa sia femminile che maschile, si ottenne il risultato da tempo perseguito: il 16 giugno 1456
il papa Callisto III indisse il processo.
Il processo si svolse a Viterbo tra il marzo e il luglio del 1457. Di questa indagine si conservano gli atti
nell’Archivio del monastero.
All’interno di questi atti trova posto anche una Vita di autore anonimo – scritta probabilmente agli inizi
del Trecento – che dà conto anche della vicenda terrena di Rosa precedente alla malattia in cui incorse nel
giugno del 1250 – punto da cui inizia il frammento duecentesco –, nonché degli avvenimenti della santa
dopo il suo arrivo a Vitorchiano. Si tratta di una elaborazione letteraria di non sempre attendibile valore
5
Abate 1952, 23 n. 4.
Viterbo, Archivio del Monastero di Santa Rosa da Viterbo, Vita I, Diplomatico, 25.
7
Il frammento presenta il passaggio di Rosa ad uno stato penitenziale connotato dal cambiamento di abito e dalla tonsura. La cerimonia di
vestizione, che avviene su input della Vergine Maria, appare un fatto privato dove ha un ruolo fondamentale Sita, probabilmente una
penitente. Quanto all’abito si parla di tunica de cilicio e di una chordula: la corda, per un verso, e l’invito della Vergine a visitare le chiese
di San Francesco e di San Giovanni in Zoccoli (luogo del primo insediamento francescano a Viterbo), per un altro, hanno suggerito un
orientamento penitenziale vicino ai Minori dell’esperienza di Rosa (cfr. Abate 1952, 198; Signorelli 1903, 191-192).
8
L’Abate insiste sul carattere puramente religioso dell’apostolato di Rosa. Cosa che non mettiamo in dubbio. Ciò non toglie che la figura
che l’anonimo autore vuole costruire sia quella di una santa filoguelfa (cfr. Abate 1952, 148-155).
9
Fr. Bartholomaeo de Pisa 1906-1912, 359, 361.
10
Mascioli 2004; Rava 2013, 203; Esposito 2021, 101-113.
11
Bartoli Langeli, Rava 2021, 121-128, XIII-XXVIII.
12 Rava 2019, 119.
6
RORARUNT COELI. LA LITURGIA DI SANTA ROSA DA VITERBO
3
storico, in cui si mescolano storia e leggenda e si accentua l’antighibellinismo di Rosa 13. Nel capitolo
settimo si narra, infatti, la sua predicazione contro gli eretici (che si sa a Viterbo, ai tempi di Rosa, essere
un tutt’uno con i ghibellini)14; la rabbia di quest’ultimi che minacciarono il podestà di insorgere contro di
lui e di cacciarlo dalla città se non avesse provveduto a espellere Rosa e tutta la sua famiglia da Viterbo15.
Anche il processo callistiano non ebbe l’esito sperato.
Vent’anni più tardi ci riprovarono, ma anche questa volta invano, sia il Comune, che deliberò il 18
gennaio 1476 di inviare un ambasciatore da papa Sisto IV per raccomandare la causa della vergine
viterbese, sia le monache, che un paio di mesi dopo scrissero al Comune di Siena supplicandolo di
sostenere economicamente il processo di Rosa16.
Per risentir parlare di Rosa si deve attendere il nuovo secolo. Agli inizi del ’500 il Comune di Viterbo
era in pieno dissesto finanziario e per questo motivo fortissime erano le tensioni con il pontefice Giulio II,
ma alla fine Viterbo venne domata e si acquietarono anche le lotte di fazione. L’atto maggiormente degno
di nota di questo inizio secolo fu l’istituzione della processione civica in onore di Rosa. Il Consiglio dei
Ventiquattro prima, il 14 aprile 1512, e il Consiglio dei Quaranta poi, il 15 maggio 1512, approvarono la
proposta di uno degli otto Priori in carica, che la festa di Santa Rosa fosse onorata pubblicamente da tutta
la città con una luminaria e una processione di tutte le corporazioni delle Arti della città il 4 settembre di
ogni anno all’ora delle messe17.
Le fonti per la liturgia rosiana
La testimonianza scritta più antica della liturgia si è rinvenuta nelle carte finali (ff. 73v-75r) del codice di
Parma, Biblioteca palatina, ms. 7118, che conserva un primo gruppo di canti propri: i quattro inni per primi
vespri, mattutino, lodi e secondi vespri, l’antifona al Magnificat, il versetto e l’orazione19. Il manoscritto
è una diretta emanazione del processo callistiano come indica l’intestazione del libretto, una sorta di liber
miraculorum copiato da un originale realizzato da uno dei notai del processo per poi circolare allo scopo
di diffondere il culto attraverso la vita e i miracoli della Santa.
Non vi sono altre attestazioni note della liturgia di Rosa fino alla stampa del volume Vita beate virginis
Rose. Si tratta di un opuscolo di 10 fogli, in carattere romano, di 34 linee, collocabile nelle prime due
decadi del XVI secolo contenente in fondo la messa propria della Santa. Non ci sono dati bibliografici che
ne indicano il luogo e la data di pubblicazione e l’editore. Gli esemplari conosciuti sono al momento
cinque e sono conservati nella British Library di Londra20, nella biblioteca Colombina di Siviglia, nella
biblioteca reale di Copenaghen, nella biblioteca Alessandrina di Roma e nella biblioteca Passerini Landi
di Piacenza. Le attribuzioni sulla data di stampa e sul tipografo sono dunque formulate sull’analisi dei
caratteri e delle incisioni, ma non concordano tra loro. Walther Arthur Copinger21 ritiene che il libretto sia
stato stampato a Roma nel 1500 – per cui ancora ascrivibile all’ambito degli incunaboli – ad opera dei
torchi di Eucario Silber alias Frank, un tipografo tedesco naturalizzato romano. Victor Scholderer,
redattore dello Short-title Catalogue of Book Printed in Italy22, lo attribuisce a Marcello figlio di Eucario
Silber che lo avrebbe dato alle stampe sempre a Roma intorno nel 1520. Max Sander23 distingue due
edizioni: all’esemplare colombino non dà note bibliografiche, a quello di Copenaghen attribuisce il 1500
come anno di impressione e come tipografo stampatore Eucario Silber. Dopo un esame approfondito degli
13
Abate 1952, 150.
d’Alatri 1987, 137; Vacca 1982, 93; Fumi 1891, 75; da Milano 1975, 173-197, 183.
15
Bartoli Langeli, Rava, Sedda 2019, Vita 7.
16
Rava 2019, 122.
17
Rava 2021, 217-240, XLV-LVI.
18
Per una descrizione di questo testimone si veda Bartoli Langeli, Rava, Sedda 2019, XXXIV.
19
Si tratta degli inni: Rose sancte Christe decus (f. 73v), Rosa celestis floruit (f. 74r), Rubens Rosa velud rosa (f. 74rv), Laudibus omnes
referamus celsis (f. 74v); antifona al Magnificat O Rosa vernans dulcis et amena (f. 75r) e l’orazione Deus qui beatam Rosam (f. 75r).
20
Questo è l’unico esemplare disponibile online alla seguente URL:
http://access.bl.uk/item/viewer/ark:/81055/vdc_100033827531.0x000001. Si noti che la scheda online propone la stampa per l’anno
1505.
21
Supplement 1950, n. 5161.
22
Johnson, Scholderer and Clarke 1958, 587.
23
Sander 1942, vol. III, 1140, nn. 6569 e 6570.
14
4
ELEONORA RAVA – FILIPPO SEDDA
esemplari e di alcune note di possesso soprattutto nell’esemplare di Siviglia, Tiziano Anzuini, propone
una duplice emissione della cinquecentina e una forbice della datazione più circoscritta basata su elementi
storici24. L’esigenza di una vita e una messa si concretizza a seguito della visita a Viterbo, nel 1509, di
papa Giulio II. In questo stesso contesto di rinnovamento del culto della Santa si inserisce anche la prima
processione civica del 1512 presentata sopra da Eleonora Rava.
Un’altra edizione cinquecentina dal titolo Vita, miracula et missa propria sanctae Rosae, fu
nuovamente impressa a Roma dagli eredi di Antonio Bladio, stampatori della Camera apostolica, nel 1568.
Questa edizione risulta essere una ristampa della precedente, variante solo per l’incremento del numero
di errori tipografici e per lo scioglimento delle abbreviazioni più frequenti nella edizione di inizio
Cinquecento25.
È conservato, inoltre, nell’archivio del monastero di S. Rosa un manoscritto decorato contenente la
messa propria della Santa: si tratta del codice Archivio Generale della Federazione delle Clarisse
Urbaniste, Monastero S. Rosa, ms. 13126. Il codice pergamenaceo è vergato e forse anche decorato dalle
monache del Monastero. L’esemplare tramanda un testo liturgico, composto espressamente per la Santa e
dunque non desunto dal Comune delle vergini. Della messa il testo raccoglie assieme alle parti proprie
(colletta; secreta; postcommunio) anche i versetti o le parti cantate (introito, graduale e tratto, versetto
alleluiatico, offertorio, comunione) e le letture (Epistola; Vangelo). Questa messa è la medesima che
circolava nelle edizioni a stampa della Vita beate virginis Rose. Il formato e la fattura materiale del codice
fanno ritenere che l’esemplare sia un libro liturgico per il celebrante. Tuttavia è di notevole interesse il
fatto che il codice potrebbe essere confezionato tra le mura del Monastero e vergato da donne, costituendo
così una chiara testimonianza della perizia grafica e decorativa delle monache. La sua composizione deve
verosimilmente collocarsi nella seconda metà del XVI secolo sia per motivi liturgici sia perché il secondo
Cinquecento rappresenta per la comunità una fase di notevole prosperità. Le decorazioni, tuttavia,
richiamandosi a modelli più arcaici, indurrebbero a spostare la datazione del testimone alla prima metà
del secolo XVI.
Si conoscono poi quattro uffizioli manoscritti, collocabili tra la fine del ‘500 e i primi anni del ‘600:
Archivio Generale della Federazione delle Clarisse Urbaniste, Monastero S. Rosa, ms. 191;
Archivio Generale della Federazione delle Clarisse Urbaniste, Monastero S. Rosa, ms. 187;
Viterbo, Biblioteca Comunale degli Ardenti, ms. II.D.1.12
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. D.V.74.
Si tratta di libretti cartacei ad uso delle monache, facenti parte del loro corredo al momento dell’ingresso
in monastero; alcuni di essi furono probabilmente vergati dentro le mura altri affidati a professionisti della
scrittura. Tutti contengono l’ufficio proprio di santa Rosa. L’ufficio scandiva i vari momenti del giorno e
segnava il ritmo in cui le monache si ritrovavano in coro a pregare: primi vespri (i vespri del 3 settembre
che danno inizio alla festa, proprio per sottolinearne il carattere solenne); mattutino (che si pregava al
finire della notte e alle prime luci dell’alba); lodi; ore minori (terza, sesta e nona); secondi vespri,
compieta. In particolare il mattutino della festa - sempre per la sua solennità - era distinto in tre notturni
con tre letture ciascuno per un totale di nove, tutte tratte dalla Vita sancte Rose. Pertanto l’ufficio è detto
“proprio” perché le antifone, gli inni, i responsori, i versetti e le letture (sia bibliche che agiografiche)
sono state composte o scelte appositamente per la vergine Rosa.
Non potendoci soffermare sui singoli testimoni manoscritti, ne prendo uno a mero titolo
esemplificativo. Il ms. 19127, composto da 39 carte, di formato 164 × 113 mm e databile dal colophon (f.
33v) al 1590, fu un libretto ad uso delle sorelle carnali Francesca e Orsola Rossolini (pro religiosis
24
La questione è stata presentata da Tiziano Anzuini nel workshop del 15 giugno 2021 alla fine del “Laboratorio di edizioni di fonti
liturgiche” dedicato alla liturgia di santa Rosa. È in preparazione il contributo scritto. Cfr. infra nota 31.
25
Esemplari di questa edizione fino ad oggi sono attestati nella biblioteca Vallicelliana di Roma (2 copie), nella Biblioteca Consorziale
(Ardenti) di Viterbo, nella Biblioteca Centrale dei Cappuccini (Forte Bravetta) a Roma. Da un inventario settecentesco del Monastero di S.
Rosa risulta presente una copia anche presso il Monastero, ma oggi deperdita.
26
Russo, Caporossi 2017, 98-99.
27
Russo, Caporossi 2017, 110-112.
RORARUNT COELI. LA LITURGIA DI SANTA ROSA DA VITERBO
5
sororibus Francisca et Ursula de Russolinis Viterbiensibus), al secolo Venera e Lidia, figlie di Alessandro
e Iuditta, che presero l’abito nel monastero di Santa Rosa il 26 novembre del 1588, rispettivamente all’età
di 15 e 14 anni e fecero la professione solenne il 27 novembre dell’anno successivo nelle mani del vicario
del vescovo Montigli. Suor Francesca passò a miglior vita all’età di 67 anni (15 ottobre 1630), suor Orsola
le sopravvisse un ventennio: morì a 74 anni, il 14 febbraio 164828.
Il codice oltre all’ufficio di santa Rosa in fondo contiene antifone e un’orazione per la festa di santa
Caterina, disposizioni liturgiche sulle feste doppie e a f. 30r una Oratio ad virginem Rosam:
Dulcis amica Dei Rosa
vernans stella decora.
Tu memor esto mei,
dum mortis venerit hora. Amen.
A f. 35r nel primo foglio bianco di un fascicolo di dieci carte si trova aggiunto da una mano più recente –
presumibilmente di monaca – questa nota:
Chi dirà questa oratione guadagniaria indulgentia plenaria di tutti i soi peccati il che fu concesso da papa
Clemente29 alla reggina di Spagnia:
Ave virgo gloriosa,
Stella sole clarior,
Mater Dei gratiosa,
favo melis dulcior,
rubicunda plusquam Rosa
lilio candidior
onnis virtus te decorat
o(mn)is sanctus te honorat
in celo sublimior. Alleluia.
La presenza di santa Rosa nella liturgia, come in pratiche di devozione, continuano ad attestare la
circolazione di un culto che nel Seicento va crescendo.
Il martirologio
Non è certamente casuale che la festa di santa Rosa sia presente anche nel primo martirologio posttridentino pubblicato nel 158330. Alla fine del giorno 4 settembre come ultimo item si legge: «Viterbii
sanctæ Rosæ virginis».
Questo Viterbii iniziale più che come un semplice genitivo è da intendersi come un locativo, per cui si
sta dicendo che ‘a Viterbo’ si fa memoria ‘di santa Rosa vergine’. Dunque, nonostante l’inserimento di
Rosa nel martirologio, si sta attestando un culto locale dedicato alla sola cittadina della Tuscia e non
piuttosto un culto universale. In effetti, Cesare Baronio, nel 1586, con la revisione e le note che aggiunse
al Martyrologium Romanum, riferendosi alla festa di santa Rosa precisa:
Accepimus eius acta ab ecclesia Viterbiensi, cui de ea solemnem diem agere, decreto Roman.
Pontificis, est concessum, est eorum exordium: Inter alias etc. Claruit temporibus Federici imp.
pervenitque usque ad tempora Alexandri papæ quarti31.
Di questo decreto pontificio menzionato da Baronio non si ha traccia nell’Archivio del Monastero di S.
Rosa, ma è plausibile ipotizzare che il provvedimento si debba al papa francescano Sisto V (1585-1590).
28
Per la ricostruzione storica delle monache tra XVI e XVII secolo si veda Rava 2020.
Il rimando è probabilmente a papa Clemente VIII (1592-1605,) ma non ho rinvenuto la disposizione indulgenziale menzionata come la
regina a cui essa e rivolta che per la cronologia dovrebbe essere Margherita d’Austria-Stiria, moglie di Filippo III.
30
Martyrologium 1583, 157.
31
Martyrologium 1586, 402. Della lettera papale Inter alias non si ha traccia nell’archivio del monastero di S. Rosa.
29
ELEONORA RAVA – FILIPPO SEDDA
6
L’immagine di Rosa attraverso la liturgia
La costruzione della liturgia disegna una peculiare immagine di Rosa da Viterbo da trasmettere ai suoi
fruitori. Quale è dunque la rappresentazione e gli attributi della santità che caratterizzano la giovane laica
viterbese? Per rispondere a questa domanda mi servo del lavoro collettivo fatto in un laboratorio dedicato
all’approntamento dell’edizione critica dell’ufficio e della messa di santa Rosa32: sono emerse alcune
considerazioni che andrò a presentare.
Monia Mancinelli ha avuto modo di soffermarsi sulle rappresentazioni che emergono dal III responsorio
del mattutino:
III Responsorium
R. [...] Prophetando præeminet profezia/sapienza
et prædicando eminet,
predicazione/martirio
cælibatum subeminet,
verginità
aureolam triplicando.
V. Gaudet doctoris honore
Profezia/sapienza
et martirii ardore
martirio
ac virginum decore,
verginità
trifarie vincendo.
I temi che ruotano intorno ai verbi (prophetare, prædicare) o i sostantivi (cælibatum, virginis) utilizzati
in questo responsorio sono tipici della figura della donna laica francescana del tardo medioevo: la profezia,
la predicazione o il martirio come testimonianza, infine ala verginità sono elementi cruciali che
caratterizzano Rosa di Viterbo che diviene dunque modello esemplare di santità. Si noti anche la
costruzione parallela tra il responsorio e il versetto, che raddoppia l’intensità del messaggio.
Alessandra Ignesti osserva come l’inizio stesso dei Primi vespri con l’antifona Rorarunt coeli,
inequivocabile variazione dell’incipit Rorate coeli (Isaia 45,8) è connesso al tempo di Avvento e
suggerisce sin da subito questa chiave di lettura. Le analogie ritornano più volte, spesso accompagnate
dalla metafora della luce, sino alla citazione dell’inno pasquale Aurora lucis rutilat, potentemente
associato alla rievocazione della miracolosa resurrezione della defunta zia di Rosa.
Questi esempi – e sono solo alcuni – mostrano come dietro la compilazione di questo ufficio ritmico ci
sia un’attenta riflessione teologica, un rimando costante a temi e allusioni francescani oltre che una
ricercata competenza linguistica.
32
Questa sezione è, in effetti, frutto del “Laboratorio di edizione di fonti liturgiche” dedicato appunto allo studio dell’ufficio e della messa
di santa Rosa da Viterbo, svoltosi online da ottobre 2020 a giugno 2021, sotto la supervisione mia e di Laura Albiero. In particolare rimando
al seminario finale in cui i partecipanti hanno contribuito con interventi originali che saranno presto raccolti in un volume insieme
all’edizione dell’ufficio e della messa.
RORARUNT COELI. LA LITURGIA DI SANTA ROSA DA VITERBO
Rosa pugnatrix
Ponendomi in continuità con la relazione di Eleonora, vorrei approfondire in particolare un’immagine che
emerge forte nell’ufficio e che avrà una sua eredità fino ai nostri giorni. Si tratta dell’attributo di Rosa
milite e guerriera.
ANTIFONA PRIMI VESPRI (III)
Ant. Sacris armata viribus puella zelo fidei
Ant. Armata di forze sacre la fanciulla con lo zelo della
hæreticos cum erroribus vicit cordis lapidei.
fede
Ps. Lætatus sum.
gli eretici con gli errori vinse del cuore di pietra.
Ps. Gioisco.
In questa terza antifona ai Primi vespri il sacro zelo della “puella” è armato contro gli eretici dal cuore di
pietra.
RESPONSORIO DEL I NOTTURNO
R. Rosa alta scientia,
R. Rosa con alta scienza,
divina eloquentia
con divina eloquenza
cunctis datur in stuporem,
a tutti è data come stupore,
bonis prædicens gaudia,
ai buoni predicendo le gioie,
malis dira supplicia,
ai cattivi i divini castighi,
his erat ad terrorem;
per questi era come terrore;
hæreticis est malleus,
per gli eretici è martello,
infidelibus est cuneus,
per gli infedeli è un pungolo,
Christi fidei est clipeus
per la fede di Cristo è scudo
pro fidei amore.
per amore della fede.
V. Constanter dum aggreditur,
V. Mentre è costantemente avvicinata,
hæreticus vincitur,
l’eretico è vinto,
fides vera defenditur
la fede vera è difesa
ardentissimo fervore.
con ardentissimo fervore.
Hæreticis.
Per gli eretici.
7
ELEONORA RAVA – FILIPPO SEDDA
8
In questo responsorio si condensa una triplice scansione di “malleus – cuneus – clipeus” che imprime la
forza e la pregnanza di questa lotta. Questi tre elementi, richiamando il passo paolino di Ef. 6,16-17, sono
l’arma che consentono a Rosa di vincere l’eretico e di difendere la fede vera. Non è poi un caso che questo
responsorio segua proprio la terza lettura del mattutino: in essa si sottolinea la santità puerilis di Rosa, che
uguaglia quella di altre sante come Agnese e Agata e si conclude con il miracolo di Rosa che all’età di tre
anni resuscita la zia.
AD MAGNIFICAT ANTIPHONA
ANTIFONA AL MAGNIFICAT
Electa et præelecta
Eletta e scelta
virgo Rosa singularis,
la singolare vergine Rosa,
sancta et Deo dilecta,
santa e gradita a Dio,
in miraculis perfecta,
nei miracoli perfetta
iam Christo et in gloria levaris,
già a Cristo e nella gloria sei sollevata,
esto nobis advocatrix,
sii avvocata nostra,
contra demonem pugnatrix,
contro il demonio lottatrice,
dirę nocens gladio,
al malaugurio dannosa con la spada,
et in eterno gaudio
e nell’eterna gioia
sis perductrix et adiutrix
sii conduttrice e fautrice
in cælesti præmio.
nel premio celeste.
Ps. Magnificat.
Ps. Magnificat.
Nell’antifona al Magnificat per i secondi vespri, che chiude la festa di santa Rosa, ritorna il lessico della
combattente e raggiungendo il suo climax. Troviamo il lemma “gladio”, ma soprattutto vi è ancora la
ripetizione rimata a scopo enfatico del suffisso -trix: “advocatrix – pugnatrix – perductrix – adiutrix”.
Rosa diviene la combattente per antonomasia non solo contro gli eretici ma contro i demoni.
Eredità
L’immagine di Rosa pugnatrix non si esaurisce nella liturgia ma viaggia come un fiume carsico per
riemergere in tempi più vicini a noi. Angelo Sapio33 descrive come sia avvenuta la costruzione di un vero
e proprio mito intorno all’immagine di Rosa guerriera. Fu gioco facile, perché nella cronache dell’assedio
33
Sapio 2021, 195-210.
RORARUNT COELI. LA LITURGIA DI SANTA ROSA DA VITERBO
di Viterbo del 1243 attribuita al cardinal Raniero Capocci, si parla di una ‘puella novennalis’ che si sarebbe
unita alle truppe guelfe per combattere sulle mura contro l’esercito di Federico II. La fanciulla viene colta
nel racconto mentre porta delle pietre in testa e ancora mentre viene ferita al braccio da una freccia. Sapio
evidenzia come l’identificazione di questa fanciulla con la beata Rosa nasce nel periodo rinascimentale
viterbese e si consolida sul finire del XIX secolo, attecchendo attraverso la pubblicazione di fra Leon de
Kerval dal titolo Sainte Rose de Viterbe sa vie et son temps34. Il francescano accosta santa Rosa alla figura
della “pulzella d’Orleans”, Giovanna d’Arco. Il testo fu edito nel 1896 in francese ma ebbe una grande
risonanza quando è tradotto in italiano nel 1921 con la prefazione di Armida Barelli: la milite Rosa diventa
la giovane propagatrice della fede cattolica. La consacrazione definitiva di questo mito della “Puella
guerriera” si ebbe nel 1951 con il volume di Maria Castiglione Humani, Rosa da Viterbo la santa
guerriera35.
Resta ancora traccia di questa Rosa pugnatrix nella pagina dedicata a Rosa da Viterbo in francese di
Wikipidia36.
L’immagine di Rosa pugnatrix, costruita dalla liturgia cinquecentesca, viaggia, dunque, attraverso il
tempo pur con un andamento carsico e ci viene riconsegnata con nuovi significati.
Eleonora Rava
University of St Andrews
Centro Studi Santa Rosa
er50@st-andrews.ac.uk
Filippo Sedda
Centro Studi Santa Rosa
filippo.sedda@gmail.com
34
Kerval 1896.
Castiglioni Humani 1951.
36
Cfr. URL: https://fr.wikipedia.org/wiki/Rose_de_Viterbe (15.6.2022); De Vizio, Rava, 2019, 83-94.
35
9
10
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