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VQR e Humanities. Un problema

2024

#VQR (post per gli amici universitari). Per la rigida centralizzazione amministrativa, i tempi unif cadenzati e le penalità economico-finanziarie, le università non hanno modo (né è chiesto loro) di discutere criticamente il processo di valutazione ma solo di adempiervi “responsabilmente”. Singolare. Si nega a scuole di libero pensiero - tali dovrebbero essere appunto le università il loro compito specifico. A fare “scienza” qui sono burocrati. A fare “burocrazia” gli scienziati. L’apparato di norme e procedure di valutazione ha caratteri top/down. La sola discussione autorizzata in sede dipartimentale è tecnica e residua (FAQ). Ecco che, per via amministrativa, lo Stato assoggetta la ricerca: che, in ambito umanistico ad esempio, dovrebbe rispondere prioritariamente a autorità non statuali (il demone, l’Ens perfectissimum, il “buon senso”, la tradizione, l’Essere etc.). Diviene più chiaro il “perché” (tutto politico) della costosissima macchina amministrativa: il disciplinamento ex ante della ricerca - ma si potrebbe anche dire distruzione, considerato il carico amministrativo che ormai intralcia ciascun studioso, soprattutto i più innovativi e autodisciplinati! -; disciplinamento cui, causa testo costituzionale (Artt, 33. 9), non si potrebbe mai giungere ex post. Il processo di valutazione prevede che ogni studioso divenga familiare con tecniche, gerghi e procedure complesse, che impongono un apprendimento specifico, defatigante e sempre mutevole. Per nessuno, eccettuati forse amministrativisti e statistici bibliometrici, l’obbligo di partecipazione a tale processo comporta un ampliamento delle conoscenze - dell’ambito di indagine e sperimentazione, che so, o altro. Al contrario. Per taluni equivale a una forzosa distrazione da interessi, motivazioni e competenze. In breve: si misura la “qualità” distruggendone le premesse: agio, concentrazione, continuità.