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LMCA 657 Alessandria Cichinisio Pagnufli e altre storie

Il testo qui presentato è quello che viene letto ed interpretato durante la prima parte delle trasmissioni radiofoniche de La mia cara Alessandria (trasmissione settimanale di e con Piercarlo Fabbio), in onda su Radio BBSI-Alessandria. Progressivamente le diverse puntate verranno rese disponibili su Academia. Buona lettura Piercarlo Fabbio

Abstract de La mia cara Alessandria 657 BBSI 19 gennaio 2025 Titolo: Cuichinisio, Pagnufli e altre storie Il testo qui presentato è quello che viene letto ed interpretato durante la prima parte delle trasmissioni radiofoniche de La mia cara Alessandria (trasmissione settimanale di e con Piercarlo Fabbio), in onda su Radio BBSI-Alessandria. Progressivamente le diverse puntate verranno rese disponibili su Academia. Buona lettura Piercarlo Fabbio Tema 1. Ben ritrovati… domenica 19 gennaio 2025. LMCA. La mia cara Alessandria. Un cordiale saluto da Piercarlo Fabbio. Puntata numero 657 – Anno quindicesimo Tema 2. Non è infrequente, nel nostro discutere, che si infilino, anche tra parole colte e ricercate, nomi di personaggi ai quali non sappiamo che origine dare. Ci derivano dall’uso familiare, dai nostri genitori che citavano tali nominativi. Insomma, ci sono familiari, ma non sappiamo perché. Appartengono alla sfera più profonda dei nostri saperi popolari, ma facciamo fatica a risalire alle loro origini. A me capita con “Cichinisio”, come a dire uno qualsiasi, i latini avrebbero detto un quisque de populo. Forse noi lo appelleremmo come “cittadino medio”. O forse neppure. Forse sarebbe troppo. Allora come dare un’origine, una giustificazione a queste insorgenze della memoria che si trasformano in linguaggio comune? E già in questa domanda qualche risposta c’è… Tema 3. La prima risposta sta appunto nella memoria, cioè in quel diaframma tra storia e leggenda, che caratterizza un popolo, una gens, una comunità. E proprio sulla memoria sta lavorando Piero Teseo Sassi, uno studioso legato al Museo “C’era una volta”, detto anche della Gambarina, che, messi per un po’ da parte gli studi più approfonditi sulla storia quotidiana di Alessandria, si è dedicato a recuperare alcuni ricordi pescati dalla memoria collettiva di una città e li ha incominciati a mettere su carta, coadiuvato da un giovane collaboratore come Nicolò Bellantone. Il loro lavoro uscirà fra poco, nel mese di febbraio, per i tipi della collana “I quaderni del Museo”, per cui ora ne conosciamo solo le versioni preparatorie. Diamo comunque quest’anticipazione, perché così riusciamo a fornire anche una risposta alla domanda che ci siamo fatti. E soprattutto perché così riusciamo a sbirciare in qualcosa che non è ancora a disposizione del pubblico. Perché Sassi e Bellantone, nel loro “Fogli sparsi di memorie alessandrine”, questo il titolo, vanno a pescare in quei racconti, quei fatti, quelle informazioni che identificano l’identità degli alessandrini. Qualche volta l’abbiamo chiamata: alessandrinità. Non a caso Piero Teseo Sassi si sofferma su un’enclave interna a Borgo Rovereto, com’è il cosiddetto Canton di russ, al quale offre più di una definizione. Sentiamolo, gli do voce: “La fantasia popolare attribuisce anche nomi dialettali alle varie zone. La parte compresa tra via Santa Maria di Castello e via Guasco da tutti gli alessandrini è chiamata “il canton di russ”, attribuendo tale epiteto al fatto che gran parte degli abitanti di quelle zone fossero di fede socialcomunista. Era in effetti una zona molto povera, ma il nome esisteva già da tempo. Le carte del 1700 riportano la dicitura “corte de’ Rossi”, alludendo ad una ricca famiglia Rossi proprietaria di molti edifici in loco. Ora, se la dicitura contiene il termine ‘rossi’ con l’iniziale minuscola allude ai socialcomunisti; con la ‘R’ maiuscola alla ricca famiglia. Possono esser vere tutte e due le ipotesi, anche se la seconda è suffragata da documenti cartacei. Un tratto, se si vuole, anche di ingenuità, è dato dal fatto che all’interno del canton di russ ci fosse un pozzo (cosa frequente) in città per i bisogni della gente, con un busto di Garibaldi – probabilmente – di bronzo, ridipinto nei tempi del fascismo con vernice rossa e la scritta “viva Lenin”. Il pozzo ora non esiste più, travolto come tante cose, dall’architettura di speculazione degli anni ’50/60.” Tema 4. Quindi, riordinando i fogli sparsi delle memorie, Piero Teseo Sassi e Nicolò Bellantone ci danno un aiuto nel trovare le origini di quei nomi, di quelle parole che all’inizio della puntata ci parevano naturali, ma di misteriose origini. E iniziamo proprio da Cichinisio, che Sassi indica come un carrettiere. Nome di battesimo: Francesco. Girava tutta la città tirando a mano un carrettino, eseguendo piccole commissioni a chi gliele chiedeva. Ogni tanto, essendo un povero di spirito, subiva pesanti scherzi da parte di qualche scavezzacollo, come quella volta che gli era stato fatto uno shampoo con l’acqua ossigenata ed era diventato biondo. Cichinisio quindi deriverebbe da Cecco, cioè Francesco, storpiato per disprezzo con un diminutivo atto a definire la sua modesta qualità. E a noi il nome è giunto. Ma la rassegna dei personaggi-maschera di una comunità non finisce certamente qui. Vi è il caso di Pagnufli, un povero balbuziente che viveva di espedienti, un rubagalline o, in dialetto, ün vojapulè. Pagnufli aveva passato tre mesi in villeggiatura, cioè in carcere, per aver rubato 27 galline americane. La pena era stata severa: sei mesi di carcere. Ma Pagnufli non si era perso d’animo e aveva elaborato una sua teoria giurisprudenziale: conveniva rubare 4 oche, ben più grasse e pesanti delle galline, per rischiare solamente un mese di carcere. Tema 5. Nel suo lavoro, Piero Teseo Sassi li definisce macchiette. Tali sarebbero Celeste, nome vero di un uomo, che girava chiedendo l’elemosina per tutta la città. Apostrofava i passanti “con motti non proprio fini e poesie sconce”. Nel suo mirino vi erano soprattutto le donne. Persino le suore finivano tra i suoi bersagli, come quella volta che, incontrando una religiosa di casa Sappa, le aveva detto: “se vuoi venir con iglio, ti faccio fare un figlio”. E la suora non aveva potuto far altro che allontanarsi in fretta da lui. Alcune di queste maschere sono ricordate anche dal poeta dialettale Sandro Locardi, a cui nel libro è anche dedicata la fotografia del suo negozio di via Guasco all’angolo con via Bologna. Tema 6. A questi si può aggiungere il signor Piugion, una sorta di avaro alla Moliere. Pidocchio o pidocchioso è infatti, anche in italiano, sinonimo di taccagneria e il dialetto ne ha tratto la lezione: Piugion sarebbe morto per risparmiare non chiamando il medico; risparmiava sul cibo e si lavava ai bagni pubblici per risparmiare acqua e sapone. Eppure, tra questi personaggi, si infilano anche soggetti di impegno politico, come nel caso di Mantelli, uno strillone che operava sull’angolo tra via Guasco e via Brescia. Antifascista, anarchico e ribelle, veniva tenuto sotto controllo dalla questura e frequentemente fermato. Poi vi era il signor Brüzà, che guidava il calesse dalla stazione alla Cà Rusa (la casa rossa), portando le nuove prostitute. Il mezzo di trasporto, che giungeva dalla Stazione ferroviaria, passava in corso Roma, suscitando l’interesse dei passanti uomini. Tema 7. Non poteva mancare l’universo femminile in questa rassegna, dalla vecchina che nella casa – ora demolita – davanti alla Chiesa di Santa Maria di Castello, vendeva di tutto. Potremmo dire tacchi, dadi e datteri, rievocando un’antica battuta da cabaret milanese. Ma vi era anche Angela la Bònsa, cioè la grassa. La sua panza giustificava il suo soprannome. Non faceva della finezza il suo tratto distintivo, ma non le mancavano buoni sentimenti e dopo la Liberazione si era perdutamente innamorata di un militare americano nero. Si racconta che nei negozi di intimo mettesse commesse e titolari in difficoltà, perché non trovava le sue taglie. Così si era fatta un reggipetto cucendo insieme due federe e per le mutande aveva scelto di cucirsi due tovaglie. Tema 8. Ovviamente il lavoro di Piero Teseo Sassi e di Nicolò Bellantone non si ferma solo a questa breve sfilata di maschere cittadine, ma risponde ad altre domande che LMCA non si è fatta, come ad esempio comprendere la dinamica dell’alluvione 1994 ovvero ricordare le grosse catene che ancoravano alla riva i mulini natanti sul Tanaro. O ancora descrivere locande e locali di un’Alessandria che non c’è più, ma che è giusto ricordare. Perché? È proprio l’autore a suggerircelo. Proviamo a sentirlo: “Perché le racconto? Per far sì che i ricordi di questi sventurati non vadano completamente persi. La grande storia si basa su tomi di notevole spessore, ma la piccola storia ha bisogno di qualcuno che raccolga le memorie su di un libriccino, come questo.” Tema 9. Quindi attendiamo la sua uscita, per scoprire cosa ancora ci riserva la lettura di questo Quaderno del Museo, che segue altre uscite previste proprio in questi giorni come due dediche al lavoro di Angela Ricci, cioè Nascere e Vestirsi. Ma avremo modo di affrontare anche queste fatiche editoriali in qualche altra puntata.