PUNTI DI INCONTRO TRA CLIL E APPROCCIO LESSICALE
Gianfranco Porcelli
Università di Pavia
[in “Rassegna Italiana di Linguistica Applicata” a. XXXVIII (2006) n. 1, pp. 101-120 – numero
monografico a cura di Bruna Di Sabato e Mikaela Cordisco Lingua e contenuti: un’integrazione
efficace]
Riprendendo una scansione della retorica classica, questo intervento si svilupperà su una pars
destruens e una pars construens. Prima però di “distruggere”, sia pure per ricostruire, desidero che
sia chiaro che ho creduto sin dagli inizi nella validità di quel conglomerato di proposte
glottodidattiche che va sotto il nome di CLIL (Content and Language Integrated Learning). Il
motivo principale si può sintetizzare in una formula cara a David Marsh, uno dei massimi
propugnatori in Europa assieme a Gisella Langé: “Use as you learn and learn as you use – not ‘learn
now and (maybe) use later’”. In altre parole, si riafferma che le lingue si imparano davvero – si
acquisiscono, direbbe Krashen – quando si smette di studiarle come tali e si comincia a usarle per
esigenze reali di comunicazione: viaggi, accesso ai media, uso nella propria professione, e così via.
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Vero e falso CLIL
Un confine netto tra CLIL e non-CLIL non esiste: ne fanno fede le numerose e difformi
definizioni che vengono date di CLIL e nelle quali qui non ci addentriamo, dandole per già
acquisite. In effetti alcune tecniche task-based nel quadro di un approccio comunicativo riescono a
essere molto realistiche e impongono l’uso della lingua straniera per raggiungere gli obiettivi
didattici prefissati. Questi possono implicare la consultazione di documenti autentici per il
reperimento di informazioni, l’uso delle abilità orali per intervistare, ecc.: come esito, lo studente
conosce cose nuove, che non sapeva prima. La differenza rispetto al vero CLIL è che questi compiti
vengono pensati e richiesti ai fini un apprendimento linguistico e non di un apprendimento
disciplinare.
Affrontando il problema dall’altro versante, quello disciplinare, si trova anche lì una varietà di
situazioni. Per semplificare un discorso dalle innumerevoli sfumature intermedie, lo riduco a tre
casi:
a) ci sono discipline “formative” il cui compito si esaurisce sostanzialmente nella scuola a
meno che non diventino esse stesse oggetto di specializzazione, per chi le studia come
campo di ricerca e/o le insegna: il latino, il greco antico, la filosofia, ecc. contribuiscono a
costruire la cultura dello studente ma di esse non si dice che “serviranno dopo” come
competenze professionalmente spendibili;
b) le discipline professionalizzanti invece “serviranno dopo”: dall’elettrotecnica alla chimica
alla ragioneria, le acquisizioni scolastiche si proiettano in una loro spendibilità in precisi
settori produttivi. Non è raro che esse comincino a essere utili già prima del compimento
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Riproposta nel corso del Convegno ANILS di Sanremo, maggio 2005, Atti c.d.s.
degli studi, come quando uno studente di elettronica comincia a modificare o assemblare il
proprio computer, ben prima di diventare un professionista del settore;
c) infine ci sono le competenze “spendibili subito”, a iniziare dalle elementari abilità
linguistiche e aritmetiche del saper leggere, scrivere e far di conto. “Spendibile subito” è
anche un’adeguata conoscenza di una lingua “altra” oltre alla lingua materna, nelle sempre
più frequenti occasioni di contatto interlinguistico, personale o via web.
I tre casi, lo ribadisco, sono un’ipersemplificazione giustificata da una ricerca di chiarezza,
ma oltre alle già accennate sfumature intermedie abbiamo anche casi in cui vi è una deliberata
ricerca di contatti tra i diversi livelli e in particolare tra (b) e (c): esattamente qui, come vedremo, si
colloca il CLIL propriamente detto.
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Ci sembra da includere nel non-CLIL tutto ciò che da tempo fa parte integrante dei corsi di
lingua. Una grammatica inglese della prima metà del secolo scorso (Hazon 1933 – 1957 22) contiene
sequenze di frasi da tradurre come “23. Hai fatto bollire le uova? 24. Non è conveniente andare a
letto tardi. 25. Perché non hai portato l’altoparlante? Non ci sono abbastanza cuffie per tutti. 26. I
bambini giocano a mosca cieca e si divertono assai. 27. Non ho mai cavalcato un cavallo così
vivace.” e così via. È un ottimo esempio di ciò che intende H. Widdowson (citato da M. Lewis
1993:iii) quando afferma che Most examples in textbooks and grammar books are randomly
lexicalised. Non solo gli esempi, come abbiamo appena visto, ma tutto quanto, esercizi compresi,
risente di scelte lessicali che appaiono affidate al puro caso. Ebbene, anche una grammatica siffatta
contiene testi di lettura con argomenti di vita quotidiana e sugli usi e costumi inglesi, ossia testi su
quella che dagli anni ’60 si sarebbe poi chiamata la civiltà del paese straniero.
Apprendere dei contenuti durante l'apprendimento di una lingua è quindi connaturato al
processo didattico stesso. Nella nostra tradizione scolastica vi è il binomio lingua e letteratura,
fortemente sbilanciato verso quest’ultima; potremmo senza forzature inglobare l’apprendimento
della storia della letteratura straniera nell’insieme degli “apprendimenti di lingua e contenuti”,
mentre l’accostamento ai testi letterari è un discorso ben diverso, che qui non affronterò. Ma non
credo che occorra giustificare l’esclusione di tutto ciò dalla “area CLIL”.
Semmai vale la pena di parlare delle situazioni, sempre più numerose nel mondo di oggi, in
cui persone di Paesi diversi comunicano professionalmente in una lingua “terza” rispetto a
entrambi. È connaturata a queste situazioni anche una acquisizione incidentale di lessico, anzitutto,
ma anche di fraseologia a vari livelli, ossia di vocaboli nel senso che a questo termine ho attribuito
altrove (Porcelli 2004). Ma nemmeno qui, evidentemente, si può parlare di CLIL perché non ci
troviamo in un contesto educativo, mentre le attività miranti alla formazione (pre-servizio o in
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Nel seguito, useremo CLIL senza aggettivi o altri qualificatori intendendo quello “vero” o
“propriamente detto”, specificando solo eventuali usi impropri o alternativi.
3 Questo tipo di comunicazione non è soltanto scritta. Mentre redigo questo testo, un ingegnere
italiano in trasferta a Rabat sta spiegando in inglese a tecnici marocchini il funzionamento di certe
apparecchiature finlandesi. Cito questo caso perché mi è familiare (in tutti i sensi), ma è solo un
esempio di innumerevoli altri.
servizio) e alla specializzazione sono tra quelle in cui il CLIL trova una collocazione privilegiata. E
questo sarà il tema principale che affronteremo.
Il CLIL è di moda
Prima però appare importante puntualizzare alcuni aspetti fondamentali sul piano educativo,
dato che non solo si vede denominare CLIL anche ciò che non lo è, ma si vorrebbe proporlo anche
dove può essere gravemente inopportuno e potenzialmente dannoso. Accennerò solo al caso del
cosiddetto baby-CLIL ossia alla proposta di esperienze di CLIL nella scuola primaria. In quanto
elementare, nella sostanza se non più nel nome, questa scuola deve fornire gli elementi del vivere
quotidiano, i già ricordati saper leggere, scrivere e far di conto. Essi vanno appresi e consolidati
nella lingua in cui serviranno.
Inoltre a questo livello si sviluppano e/o consolidano le strutture concettuali di base. Dire o
pensare “otto meno cinque fa tre” è, da questo punto di vista, sostanzialmente diverso dal dire o
pensare “cinque da otto è tre” in quanto cambia addirittura l’ordine minuendo—sottraendo—resto;
nemmeno la sostituzione di “fare” (o, come altri preferiscono, “dare”) con “essere” è trascurabile.
Eppure è quello che vorrebbero far automatizzare coloro che insegnano le operazioni aritmetiche in
inglese dove l’ordine è sottraendo— minuendo—resto, tenuti assieme da vocaboli sincategorematici
diversi: five from eight is three. Per le altre operazioni le differenze sono un po’ meno eclatanti ma
ugualmente significative e comunque non trascurabili. Questi, pertanto, sono contenuti da NON
insegnare per il tramite di una lingua diversa da quella materna – e in effetti il problema si pone per
gli studenti stranieri che giungono in Italia, e si pone diversamente a seconda dell’età e del loro
livello di alfabetizzazione.
Quando si legge di “iniziative di CLIL: aritmetica in inglese” è quindi non solo lecito ma
doveroso preoccuparsi. Non ho avuto modo di esaminare resoconti dettagliati e quindi non so se e
fino a qual punto le preoccupazioni siano giustificate rispetto ai singoli casi. Qui ho solo posto il
problema in termini generali.
L’esempio (o forse la proposta) di baby-CLIL testimoniatomi da una collega è invece diverso:
si tratta della presentazione ai bambini della terminologia inglese, molto dettagliata, riguardante
l’uva – la vite con i tralci, i grappoli e i raspi, poi l’acino dalla buccia alla polpa ai vinaccioli. “A
freddo” vengono spontanee parecchie obiezioni: si tratta di una terminologia di uso marginale, di
scarsa utilità nella comunicazione quotidiana anche in italiano; si può facilmente essere indotti a
insegnare vocaboli isolati invece di proposizioni di senso compiuto; la vite e l’uva non sono certo
rappresentative della civiltà di lingua inglese; e via criticando. Ritengo più corretto sospendere il
giudizio: molto, se non tutto, a quell’età, dipende da come viene gestita l’operazione didattica nel
concreto. Una cosa però penso che si possa dire: chiamare CLIL questo può essere una forzatura e,
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Sono vocaboli in senso tecnico tutte le unità di significato costituite da più di una parola: “alla
volta di”, “nella misura in cui”, “peso specifico” e simili; in inglese sono vocaboli in tal senso anche
tutti i phrasal verbs come make up o take off.
5 Solo in epoca molto recente si è avviata una produzione vinicola in California.
temo, un ossequio alla moda; non riesco a vedere differenze qualitative sostanziali rispetto a tante
altre cose che si fanno nell'insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare.
Sospendo il mio giudizio sul “baby-CLIL” non per una generica astensione da prese di
posizione in assenza di una documentazione adeguata, ma perché sono convinto che anche quella
proposta possa avere un preciso valore. Ad esempio, scoprire che skin è sia la pelle degli animali
che la buccia dei vegetali può essere illuminate nella comprensione dei rapporti tra le lingue e le
cose di cui parlano. Mi limito a dire che potremmo non essere nell’ambito del CLIL strettamente
inteso.
Spero che sia chiaro che non si tratta di pignolerie terminologiche, che non mi interessano,
anzi dalle quali rifuggo – altrimenti, ad esempio, l’uso di “metacognitivo” nei paragrafi precedenti
non ve lo avrebbe risparmiato nessuno – ma di un preciso richiamo a fare attenzione a quali sono le
dinamiche che vengono messe in gioco. Quasi trent’anni fa, nel quadro di esperienze pionieristiche
nell'insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare, tra cui il Progetto ILSSE, si erano
evidenziate, tra le altre, due cose importanti. La prima è che nella loro interazione spontanea i
bambini non usano certe convenzioni del linguaggio adulto, come il “Come stai?” come parte del
salutarsi quando ci si incontra. Forzare gli scolari a usare queste formule in un’altra lingua è, per
l’appunto, una forzatura.
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La seconda constatazione fu la difficoltà con cui i bambini gestivano frasi come I have no
friends here. L’italiano “non ho amici qui” nega avere e afferma amici, mentre l'inglese fa il
contrario. Del tutto analogo è il problema con il tedesco kein. Nell’ambito del Progetto ILSSE si
scelse di evitare l’uso di questi negatori nelle unità didattiche che venivano realizzate
appositamente, e si consigliò alle insegnanti di gestire come vocaboli (nel senso sopra accennato) le
sequenze di no o kein seguiti da sostantivi – ossia di trattarli come problemi di lessico e non di
grammatica. Il Lexical Approach come ora lo conosciamo non era stato ancora formulato, ma basta
l’osservazione attenta di quanto avviene in classe – un’attenzione guidata da buone cognizioni sui
metodi didattici – per accorgersi degli effettivi bisogni degli allievi.
Maturazione psicologica
Quanto detto sinora potrebbe apparire una digressione o una sterile polemica se non fosse che
l’attenzione al livello di maturazione psicologica degli allievi è sempre doverosa. Inoltre non può
limitarsi ai soli aspetti cognitivi, dato che l’incidenza della dimensione affettiva è da tempo
pienamente riconosciuta come determinante in tutto ciò che riguarda l’acquisizione del linguaggio –
nonché dei contenuti, ma questo versante non lo affronteremo direttamente. E non metterebbe conto
di occuparsi di CLIL se non se ne fosse riscontrata l’efficacia simultanea su entrambi i piani,
cognitivo e affettivo. Il punto è che una terapia efficace con gli adulti può avere effetti disastrosi in
pediatria.
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Mi riferisco al fatto, ben noto, che si tratta di una pura convenzione che fa scattare la risposta
standard “Bene, grazie, e tu?” e solo in casi particolari la funzione è quella propria di informarsi
sulla salute dell’interlocutore.
Un punto essenziale, a volte trascurato, riguarda la capacità di osservazione, che non è un dato
spontaneo e automatico ma è un portato della preparazione pregressa e dello sviluppo intellettivo.
Ad esempio, è sotto gli occhi di tutti che subire è del tutto simmetrico all’inglese undergo; o
meglio, è sotto gli occhi di coloro che conoscono il latino e sanno dividere una parola in base alla
composizione etimologica: sub+ire. Una co-occorrenza rilevante è con operazione: subire
un’operazione è simmetrico a to undergo an operation. L’etimologia di subire ricompare in “andar
sotto [i ferri del chirurgo]”.
Dovrebbero essere chiari da tempo i limiti di un approccio meramente induttivo,
dall’osservazione alla generalizzazione o – in altri settori scientifici – dall’esperienza alla legge. La
necessaria sistematizzazione del sapere, a partire da ciò a cui ci si è accostati globalmente, non è né
spontanea né così facile come un induttivismo ingenuo, di matrice comportamentista, voleva farci
credere. L’esperienza didattica mostra poi che anche una sistematizzazione sotto forma di regola
può non bastare a prevenire l’errore: occorre parecchio esercizio, possibilmente sostenuto da
richiami opportuni anche alla sfera affettiva. Ad esempio, dopo aver mostrato parecchi casi di
present continuous o progressive in inglese, si farà notare come esso implichi sempre la presenza di
due elementi essenziali: l’ausiliare be in una delle forme del presente e la desinenza –ing nel verbo
principale. In presenza di persistenti errori, si può parlare agli allievi di “regola del bikini”: se
manca uno dei due pezzi, il verbo resta in topless… o peggio. Con i preadolescenti, che vivono
nell’età degli ormoni vivaci, questo richiamo può risultare efficace.
Il richiamo alla scuola media (o comunque si voglia ora chiamarla, tanto per complicare le
cose) non è casuale ed è associato a un esempio di focus on forms, al plurale, ossia di focalizzazione
su aspetti formali a livello grammaticale. A livelli più avanzati, quelli che consideriamo l’habitat
naturale per il CLIL, si tenderà invece a una focalizzazione sulle marche testuali, che in genere
operano più sul versante del lessico che su quello della grammatica in senso stretto. In questo senso
il focus on Form (al singolare) richiede un grado più elevato di consapevolezza e maturazione, ossia
la capacità di analizzare non solo il codice ma i processi di comunicazione. (Long & Robinson in
Doughty & Williams, 1998)
Lessico e testualità
Se si analizza compiutamente il Lexical Approach andando al di là dell’etichetta che lo
contrassegna, si percepisce immediatamente come esso sia un approccio più testuale che lessicale in
senso stretto. Non svilupperò qui questo discorso, che peraltro emerge chiaramente dalla lettura dei
volumi di M. Lewis (1993, 1997): mi basta per ora segnalare, tra l’altro, l’attenzione ivi rivolta a
vocaboli che sono marcatori testuali quali “in primo luogo”, “per concludere”, “nella misura in cui”
e tanti altri.
Di testi mal costruiti continuiamo tutti a vederne in giro parecchi, ma due punti
sembrerebbero essere presenti nella coscienza di molti, al giorno d’oggi. Il primo è che i modelli
letterari sono spesso cattivi modelli per la comunicazione scientifica e professionale, in quanto
prediligono lo “stile ornato”, la ricerca di atmosfere e il parlare per metafore e immagini rispetto
all’informazione chiara e immediata. Il secondo è che alcuni generi testuali sono rigorosi ed esigono
il rispetto di norme precise. Il resoconto di una ricerca scientifica ha normalmente questa struttura:
“Sull’argomento si conosce x (e si forniscono i riferimenti bibliografici a cui ci si richiama); non è
invece noto (oppure è incerto) x’. Per indagare si è ricorso all’esperimento y secondo il metodo y’ e
con gli strumenti y”. I risultati sono z, z’ e z” e pertanto le conclusioni sono t e t’.” Senza fronzoli,
artifici retorici o perdite di tempo. Per evitare queste ultime si è sviluppato un genere testuale
nuovo, l’abstract, così che dalla lettura di poche righe si possa desumere se il lavoro in questione
risponda ai propri interessi scientifici e quindi meriti il tempo occorrente per leggerlo, oppure no.
In questo senso – e con molte cautele – si può dire che il superamento del “classico” tema
d'italiano come velleitario saggio di belle lettere può essere un dato ampiamente positivo.
Affiancargli altri tipi di testi è servito almeno a far presente che esistono diversi tipi di scrittura
coerenti con diversi obiettivi di comunicazione. Come tutte le innovazioni potenzialmente valide,
anche questa è stata mal gestita in parecchi casi ma, per analogia con altre evoluzioni del passato, è
ragionevole sperare che il tempo assesti le cose e faccia maturare i frutti desiderati.
La forza del CLIL è di essere “testualità in azione”: in quanto focalizzato sui contenuti, e
quindi sul senso della comunicazione, si esprime per unità minime di senso, ossia per testi. Orali o –
assai più frequentemente – scritti, brevi o lunghi, semplici o complessi, sempre di testi si tratta, se
definiamo come testo ciò che realizza compiutamente l’intenzione comunicativa di un emittente. E
qui si innestano degli snodi interessanti nelle relazioni tra emittente, destinatario, referente e
codice.
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Terminologia e terminologie
Parlare del referente, ossia della C di CLIL (Contents) significa potenzialmente farsi carico di
tutto il discorso sulle Lingue per Scopi Specifici/Speciali (LSS) – un discorso che qui darò per
acquisito, a partire proprio dalla disquisizione su specifici vs. speciali. Lo riprendo soltanto per ciò
che riguarda il tema del lessico, che qui si configura essenzialmente, ma non esclusivamente, come
analisi della terminologia specialistica.
Il titolo del paragrafo ci ricorda che di terminologia possiamo parlare a due livelli: come
“scienza della denominazione” (la Terminologia con la T maiuscola) e come raccolta di repertori e
glossari settoriali (le terminologie con la t minuscola). Di solito agli insegnanti di LSS basta la
conoscenza della terminologia dell’argomento di cui si occupano, spesso raccolta attraverso glossari
bilingui. Per un’analisi più completa dei rapporti tra CLIL e lessico sarà bene riflettere su alcuni dei
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Il riferimento è al modello della comunicazione secondo Jakobson; il canale (o contatto) e il
messaggio in sé hanno minor rilievo, nella maggioranza dei casi. L’eccezione più importante è
rappresentata dai testi pubblicitari.
8 Le prime cattedre universitarie per questo settore della Linguistica sono state istituite presso le
Università di Mosca, Praga e Vienna.
temi principali di cui si occupa la Terminologia e sulle conseguenti implicazioni per quanto
riguarda la didattica delle lingue moderne.
Il compito principale del terminologo (e qualunque traduttore può trovarsi nella condizione di
esserlo) è di dare il nome a un oggetto o a un concetto nuovo, per il quale non esiste già un termine
nella lingua. Il nome può avere una origine esterna o interna rispetto alla lingua presa in
considerazione. Il processo più semplice, e quindi sempre più frequente, è il prestito: il termine
straniero viene usato nella lingua d’arrivo senza modificazioni ortografiche (quello che avviene
nella pronuncia è abbastanza imprevedibile e non di rado spazia tra il divertente e l’orribile). Meno
frequente è la traduzione “letterale” (calco semantico) e piuttosto raro è l’adattamento all’ortografia
locale (calco formale). Nel campo dell’informatica, computer è un prestito, scheda-madre (da
motherboard) è un calco semantico e imput è un calco formale – che quasi nessuno accetta nello
scritto invece di input e che tutti accettano nel parlare.
Le fonti interne vengono usate con maggiore difficoltà. Sono rare le invenzioni di parole
completamente nuove, se non come marchi di ditte e prodotti. In alcuni ambiti scientifici si usano
molto i derivati mediante affissi: è il caso del neutrino, che non è un piccolo neutrone, e di tutti i
composti chimici, come in iposolfito o perfosfato. Relativamente raro, e riservato al registro
colloquiale, è anche il ricorso a un’ottima risorsa della lingua italiana, assente o molto poco
produttiva in altre lingue: la coniazione di nomi alterati. Parole come telefonino o sterietto non
appartengono al linguaggio tecnico.
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Il caso di tomografia e simili appartiene alla nutrita schiera di vocaboli coniati sulla base di
etimi latini e/o greci. Solo la conoscenza del processo a cui ci riferisce ci può dire se il termine sia
stato coniato in Italia oppure sia a sua volta la traduzione di un termine straniero formato sulle
stesse basi. Il termine glottodidattica è apparso simultaneamente – e a quanto si sa in maniera
indipendente – in Italia e in Polonia verso la metà degli anni ’60. Un tratto comune a molti di questi
termini è la loro opacità: un periscopio (“guardo attorno”) di per sé potrebbe essere un luogo
panoramico o una torre di guardia… Chi non sa che cosa sono i positroni intuisce che potrebbe
trattarsi di particelle positive (ma esistono i corrispettivi negatroni?) e nulla più.
Per chi ha una formazione linguistica i termini opachi sono una benedizione: segnalano
chiaramente la presenza di un tecnicismo il cui significato o è noto oppure non può essere arguito in
base alla grafia e/o all’etimo. Molto più complesso è il problema delle parole comuni che diventano
termini sulla base di definizioni stipulative. Do un esempio tratto da un’esperienza personale. In un
programma di corso universitario si parlava di “localizzazione del software”, ossia del processo
traduttivo che produce versioni nazionali di molti programmi informatici. A una collega di
10
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Diffusa, quest’ultima, nel linguaggio giovanile per indicare i lettori portatili di audiocassette
stereofoniche, come il Walkman®. L’uso è ampiamente attestato in Italia settentrionale; non
sappiamo se sia limitato ad essa o sia diffuso in altre aree.
10 L’analisi di questi processi è interessante, e per questo l’argomento era incluso in un corso di
linguistica inglese rivolto a studenti di Scienze della Comunicazione. Tale analisi esula tuttavia dal
tema qui affrontato.
madrelingua inglese venne chiesto, in mia assenza e data l’urgenza della cosa, di fornire la versione
inglese e lei interpretò “localizzazione” come “identificare il luogo in cui si trova qualcosa” –
traducendo (male) di conseguenza.
Cito questo non tanto come infortunio professionale (risultavo io l’autore anche del testo
inglese!) ma come esempio di falsa trasparenza: se un testo contiene parole comuni che sono
diventate termini specialistici, si può avere l’impressione di capire quel testo e invece non se ne
coglie il senso.
Un altro caso di cui fui testimone tempo fa riguardava l’errata interpretazione
dell’abbreviazione Ltd dopo il nome delle società inglesi – non nel senso di non comprendere che
sta per limited, cosa evidente e risaputa, ma di associarlo alle società a responsabilità limitata
anziché alle società per azioni. Anche in queste ultime la responsabilità (in senso tecnico) dei soci è
limitata al capitale investito, ma normalmente una S.p.A. è un’azienda di dimensioni molto
maggiori rispetto a una S.r.l. e le dimensioni di una Limited Company sono assai più simili a quelle
di una S.p.A. Ulteriori approfondimenti ci porterebbero ad analizzare le sostanziali differenze tra il
sistema britannico e il Codice Civile italiano: quest’ultimo dettaglia un’ampia casistica mentre in
Inghilterra si distingue essenzialmente tra le società di persone e quelle di capitali (rispettivamente
partnerships e companies), demandando all’Atto Costitutivo e allo Statuto i dettagli sulla gestione
dell’impresa.
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Spesso i termini opachi di questo tipo sono vocaboli e non parole singole, e sarà bene
individuare alcune caratteristiche che li distinguono dalle normali sequenze di nome più aggettivo –
ivi comprese le sequenze a cui nel Lexical Approach si attribuisce molta importanza perché sono
“co-occorrenze forti” . Si intende dire che “peso specifico” si comporta ben diversamente da
“panino imbottito” o “mare agitato”: si può dire “il panino è imbottito” o “un panino ben imbottito”,
così come esiste l’espressione “il mare è agitato” e un poeta (non un marinaio o un meteorologo)
può dire “l’agitato mare”. Nessuna di queste trasformazioni è consentita per “peso specifico” o per
qualunque termine di questo tipo, da “ricerca-azione” col tratto d’unione a “gatto delle nevi” o
vocaboli ancora più lunghi.
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Lingua e contenuti
Un paradosso più volte rilevato è che uno studente di chimica o di tecnica commerciale non
va dal professore di italiano per imparare “l’italiano della chimica” o “la lingua commerciale”,
mentre va dall’insegnante della lingua straniera per imparare “il tedesco della chimica” o “l'inglese
commerciale”. La cosa in sé non è particolarmente grave nel senso che si parte dal presupposto che
11
Un ulteriore fraintendimento interessante riguardava la presenza dei nomi degli amministratori e
del tesoriere nell’intestazione di tutti i documenti, dalle lettere ai contratti alle fatture. Un atto
dovuto secondo le norme inglesi (per rispetto alla trasparenza si deve indicare chi c’è dietro le
“società anonime”) reinterpretato come una forma di autocompiacimento, se non addirittura di
esibizionismo un po’ cafone.
12 Secondo M. Lewis le strong collocations possono costituire un principio secondo cui organizzare
il programma di studio. All'insegnamento delle collocations dedica un intero volume (Lewis 2000)
i concetti e i relativi termini siano già stati acquisiti in italiano prima di imparare la fraseologia e la
terminologia nell’altra lingua. È evidente come la questione assuma risvolti del tutto nuovi nel caso
del CLIL.
Insegnare i contenuti integrati in un’altra lingua comporta infatti operazioni cognitive di altro
livello. È indispensabile esserne consapevoli, perché l’interesse intrinseco per un progetto di CLIL
può essere vanificato dalla difficoltà, per gli studenti, di capire cose nuove in una lingua che non è
la propria lingua materna. Questo pone problemi didattici sia all'insegnante disciplinare sia a quello
di lingua straniera.
Non parlerò diffusamente del compito didattico dell’insegnante disciplinare perché in parte
sono cose ovvie, come il parlare in modo chiaro, il ricorrere abbondantemente a sussidi visivi e/o lo
sviluppare continue e valide interazioni tra insegnante e allievi e tra gli allievi tra di loro; e per il
resto dipendono dalla natura e struttura della materia insegnata. Ogni materia conserva infatti il
proprio assetto epistemologico in qualunque lingua sia insegnata e non può modificarlo senza
snaturarsi. Preferisco diffondermi sull’apporto specifico dell'insegnante di lingua straniera, sia per
quanto riguarda le proprie lezioni in una classe che ha in corso un’esperienza CLIL, sia per il
contributo di carattere linguistico, metodologico e didattico che può offrire al collega della materia.
I suoi compiti didattici in ambito CLIL discendono linearmente da quanto detto sulla natura della
comunicazione specialistica, attraverso alcuni processi ipotetico-deduttivi, ossia basati sullo schema
“se…, allora…”.
a) Se uno dei maggiori problemi in certi linguaggi è la falsa trasparenza, allora è essenziale
comprendere in quali modi i vocaboli comuni vengono trasformati in termini tecnici. Ciò
significa occuparsi dei processi definitori, ossia dei diversi mezzi usati per la attribuzione
di un nuovo valore semantico accanto a quello corrente nella lingua comune. Della
definizione e dei problemi connessi ho già diffusamente trattato su queste pagine (Porcelli
2004); qui intendo sottolineare che in molti settori specialistici sono frequenti le
definizioni prive di marcatori espliciti presentate o tabularmente come voci di glossario:
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Valori assegnabili
all’attributo type
circle
Tipo di etichetta
Un cerchio vuoto, così definito perché
l’area delimitata dalla circonferenza
assume lo stesso colore dello sfondo
un cerchio nero (o, con alcuni browser,
un rombo nero)
Un quadrato nero
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disc
square
13
Ossia vocaboli come è, significa, consiste di/nel, si chiama, è detto, è denominato, e simili in
contesti nei quali servono per stabilire un rapporto tra un oggetto o concetto e il termine con cui
viene designato.
14 Si noti la presenza di una definizione all’interno di una definizione, secondo un processo di
incassamento che non è affatto raro.
oppure con varie forme di parentesizzazione (riformulazione del termine subito dopo di
esso, tra coppie di parentesi o di virgole): “la sublimazione, il passaggio diretto dallo stato
solido a quello gassoso, avviene in questi casi quando…”.
15
b) Se l’unità minima di significato è il testo, allora il punto di partenza non sarà la
terminologia o il lavoro sui glossari (siano essi da recepire o da costruire ad hoc), bensì la
lingua in azione. Potrà trattarsi dei testi orali delle spiegazioni dell’insegnante della
materia oppure dei testi scritti su cui la classe lavora – letture, handout o altro. In ogni
caso il fuoco dell’attenzione della classe nelle ore di CLIL sarà sul senso di ciò che viene
ascoltato o letto, non sulla forma.
c) Se lo sforzo principale degli studenti è orientato alla comprensione dei contenuti, allora
non può meravigliare che passino inosservati aspetti anche notevoli dal punto di vista
linguistico. D’altra parte è anche vero che il notare è la premessa per l’imparare (sia esso
apprendere o acquisire) e quindi un recupero della dimensione linguistica può essere
necessario. Di questo può farsi carico l'insegnante della lingua straniera lavorando sui
materiali adottati dal/la collega e/o sulle registrazioni delle sue lezioni. Questo può
risultare indispensabile in una fase iniziale (salvo verifica caso per caso), per poi arrivare a
esperienze in cui il momento CLIL riesce a raggiungere pienamente e
contemporaneamente tutti gli obiettivi. Infatti…
d) Se la componente affettiva ha l’importanza che le si riconosce, allora appianare le
difficoltà degli studenti serve per andare incontro alla loro esigenza di dare un senso (in
tutti i sensi) a ciò che stanno facendo. Se una classe matura la convinzione che il CLIL
sembra bello e interessante però in realtà non serve, oppure crea troppo disagio, è la fine:
non si avranno mai i risultati sperati, se non forse in qualche soggetto isolato – qualcuno
che comunque era già motivato e interessato per conto suo.
La dimensione pragmatica
Il richiamo al Lexical Approach consente di superare alcune false attese rispetto al ruolo della
terminologia nel testo. Anzitutto ci aiuta a individuare che cosa è un termine e che cosa non lo è: ad
esempio, accento non è un termine della fonologia, mentre lo sono accento regionale, accento
tonico e accento grafico. Una delle idee-forza del Lexical Approach è lo sviluppo della capacità di
segmentare (chunking) il testo in maniera corretta. Ciò si ricollega all’affermazione del ruolo
preminente del co-testo in questa fase di decodificazione, preminente anche rispetto al contesto.
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In glottodidattica si parla di lavoro sul testo e lavoro oltre il testo per descrivere i due livelli di
analisi. In entrambi i casi vige quello che a volte viene chiamato il principio di organizzazione, che
si richiama all’idea stessa di testo in quanto unità che realizza un’intenzione comunicativa. In
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Si noti che non solo la definizione di sublimazione ma anche quella di parentesizzazione è stata
data mediante parentesizzazione.
16 In inglese la distinzione è lessicalizzata diversamente: i termini sono rispettivamente accent,
stress e stress-mark.
questa ottica, l’ordine alfabetico nella presentazione della terminologia è spesso un disordine
logico. Utile e pratico nella redazione e consultazione dei glossari e dei repertori di ogni genere, è
inefficiente nell'apprendimento. Uno studioso del ruolo della memoria nell'apprendimento
linguistico, Earl Stevick , ci ricorda che se si vuole dimenticare qualcosa basta metterla in un
elenco. Le liste di vocaboli sono un cattivo strumento didattico, e questo vale per le terminologie
specialistiche quanto per ogni altra classe di lessico.
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Per la maggior parte, le tecniche del Lexical Approach si basano sui riferimenti al reale.
Trovare quale parola inglese possa associarsi strettamente con salad chicken cheese freshly-made
club può essere difficile: i primi quattro vocaboli, a cui potremmo aggiungere ham, egg-and-tomato
e molti altri, sembrano inviare a sandwich ma l’ultimo, club, no. Occorre conoscere l’esistenza del
club sandwich come tipo di panino per decidere che effettivamente sandwich è la risposta giusta.
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Una delle attività suggerite da M. Lewis, nel capitolo significativamente intitolato Organising
Lexis (Lewis 1997:72), riguarda proprio il lessico specialistico e chiede di riordinare i vocaboli
secondo una sequenza logica. In ambito commerciale molti processi – l’andamento dei prezzi, lo
sviluppo dei prodotti, ecc. – descrivono una sequenza di eventi più o meno fissa. Dopo aver
accertato la conoscenza di tutti i vocaboli richiesti per descrivere ciascuno stadio dei processi di cui
si vuole parlare, si chiede agli studenti di mettere le espressioni nel più probabile ordine cronologico
degli eventi e di dire se siano possibili sequenze alternative.
1. THE MARKET
take over
target
be forced out of
2. NEGOTIATIONS
break off
complete
conduct
3. PRICES
cut
set
re-think
4. THE CONTRACT
draw up
breach negotiate
5. THE PRODUCT
manufacture
distribute
re-enter
resume
raise
terminate
launch withdraw
break into
enter into
receive complaints about
renew
develop
Si chiede infine di scegliere tra le parole-chiave quelle più attinenti al proprio lavoro e di espandere
le cinque fasi sotto forma di breve presentazione.
Attività di questo tipo possono costituire una saldatura tra non-CLIL e CLIL qualora
l'insegnante di lingua straniera le sviluppi tenendo conto delle esigenze linguistiche degli studenti
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Faccio riferimento alla distinzione tra il co-testo che è linguistico e il contesto che è situazionale,
ossia tra ciò che è presente nel testo stesso – co-referenze, anafore grammaticali e lessicali, elementi
coesivi di ogni tipo, marcatori discorsuali, ecc. – e ciò che appartiene alla situazione comunicativa:
ruoli e status di emittente e destinatari, luogo, tempo modo e scopo della comunicazione, nonché, se
pertinente, il tipo di contatto o canale usato.
18 Questo avviene anche nella lingua comune: amore-fidanzamento-matrimonio sono in ordine sia
alfabetico che logico (e potrebbero essere seguiti da morte o separazione, ma non da divorzio!),
mentre arrivo e partenza invertono la sequenza degli eventi.
19 Autore, tra l’altro, di MMM. La frase citata è una delle “Words of wisdom” che M. Lewis
premette al suo volume del 1993.
20 Il COBUILD (3a ediz., 2001) non registra questa collocation né sotto club né sotto sandwich. Il
BBI (1986) la registra sotto club etichettandola come AE ossia American English.
che stanno conducendo un’esperienza CLIL. Ciò che le caratterizza è la connessione con la realtà
extrascolastica: riprendendo l’ultimo punto dell’esempio, i prodotti vengono, nell’ordine,
sviluppati, fabbricati, immessi sul mercato, distribuiti e infine ritirati. E il “launch” è tanto il “varo”
quanto il “lancio pubblicitario”. La richiesta finale di riproporre il tutto sotto forma di presentazione
ha il senso di superare il mero esercizio linguistico per simulare un tipo di attività effettivamente
spendibile nella professione.
A livello pragmatico il testo non è primariamente corretto oppure scorretto, ma piuttosto ben
riuscito o mal riuscito in rapporto al contesto situazionale. Su questo punto è facile che si innestino
dei fraintendimenti, quasi che, richiamandolo, il glottodidatta volesse proporre un’eccessiva
tolleranza per l’errore o incoraggiare il pressappochismo. Un livello troppo elevato di improprietà
grammaticale e soprattutto lessicale impedisce di fatto la comunicazione: esiste una soglia –
variabile da caso a caso, ma reale – sotto la quale non è lecito scendere a pena di non essere
compresi oppure (più raramente) con la conseguenza di essere fraintesi. Ma molta comunicazione
“passa” validamente anche in presenza di una dose accettabile di approssimazione: che non può
essere certo incoraggiata, ma nemmeno demonizzata.
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Anche alla comunicazione didattica si applica la dicotomia riuscito/non riuscito. I primi
successi di un allevo nell'apprendimento di una disciplina attraverso la lingua straniera danno un
senso di conquista che è spesso assente nel “normale” studio di quella lingua: si percepisce di avere
varcato la soglia che separa lo studio preliminare e preparatorio dall’uso effettivo ed efficace.
Perché questo possa avvenire sin dal primo contatto, con ricadute positive sull’intero ciclo di lezioni
e/o sedute di laboratorio , è bene recuperare alcune indicazioni didattiche che il Lexical Approach
ci offre da qualche tempo.
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Il richiamo alle “famiglie di parole” – non dal punto di vista grammaticale (aggettivi,
pronomi, ecc.) ma semantico – ci porta a dare rilievo alla organizzazione del lessico in insiemi
strutturati. Questi vengono resi evidenti attraverso idonei processi di visualizzazione. L’uso di
griglie o tabelle, di mappe concettuali o altri tipi di diagramma è trasversale alle diverse discipline
ed è raro che se ne trovi una che non si serve di questi strumenti. Le convenzioni che presiedono a
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Gli esempi consueti di testo mal riuscito sono “Chiudi la finestra!” quando la finestra è già ben
chiusa (mal riuscito rispetto al referente) o “Vai a rispondere al citofono!” detto a chi è paralizzato a
letto (mal riuscito rispetto al destinatario).
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Questo è il parere di M. Lewis (1993: 195): “Teachers should always react primarily to the
content of student language - It is ironic that many teachers who claim to teach 'communicatively'
remain so attached to structural accuracy and correction. It is almost impossible to produce language
in context which will be misunderstood as a result of error, if that error is predominantly structural.
In contrast, if a student uses the wrong word — a lexical error — misunderstanding is much more
likely. In arguing for a Lexical Approach I do not argue that grammar and error do not matter; such
an argument would be irresponsible. I am, however, arguing that emphasis must always lie upon
content, and that this should under-pin every methodological decision made by the teacher.” Si noti
l’uso ripetuto di content.
23 Ci riferiamo al laboratorio di chimica, fisica, informatica ecc. eventualmente utilizzato per attività
di CLIL e non al laboratorio linguistico.
questo tipo di rappresentazioni non verbali sono quasi totalmente svincolate dal codice linguistico
del testo in cui sono inserite: è rarissimo doverle modificare nella traduzione da una lingua all’altra
– al più andranno sostituiti alcuni termini della legenda. Afferma M. Lewis nelle sue
“Methodological Implications of the Lexical Approach” (Lewis 1993:195):
Non-linear recording formats are intrinsic to the Lexical Approach.
Recording formats regarded by some people as fringe methodology –
collocation tables, mind-maps, word trees etc. – are central to an approach
which starts from the assumption that language is grammaticalised lexis and
places the way words combine et the centre of its theoretical perspective.
Qui abbiamo un deciso salto qualitativo, che ci impone di riflettere sulla comunicazione in termini
di linearità o non linearità, di organizzazione concettuale raffrontata (e a volte contrapposta) con
l’organizzazione sintattica di un segmento di testo. È molto diffusa l’idea che trasporre in uno
schema di qualsiasi tipo un brano scritto, redatto secondo le buone norme della prosa, significhi
impoverirlo e snaturarlo, con una perdita secca nella qualità della comunicazione. Questo è
senz’altro vero per i passi letterari, ma non necessariamente per gli altri. La trasposizione in griglie,
schemi grafi o tabelle può essere un modo per chiarire e quindi un arricchimento.
Un’altra riflessione interessante, che avvicina il Lexical Approach al CLIL, riguarda la qualità
e quantità dell’input che l'insegnante deve fornire:
Teachers should employ extensive, deictic language for receptive
purposes - The methodological imperative of reducing teaching talking
time was misdirected; wcll-choscn comprehensible language is of immense
value to the learner. Such language should not, however, be predominantly
reading, telling stories etc. The most important language of this type, is
language produced with reference to the Here-and-Now framework. Native
speakers begin to acquire the complex system of inter-relationships which is
English through extensive exposure to the spoken language. We have no
reason to suppose that L2 learning is so different that this does not also play
an important role in that process. (Lewis 1993:194-5)
La riduzione drastica del tempo di parola dell'insegnante, per dare più spazio alla produzione orale
degli studenti, è stata affermata vigorosamente, come esigenza didattica, in un’epoca in cui l’unico
tipo di lezione praticato era quello del monologo dalla cattedra, in italiano, con solo gli esempi in
lingua straniera. Occorreva richiamare il fatto che non si impara a usare una lingua straniera
sentendone raccontare le regole in lingua materna – e questo è vero ora come allora. Ma l’uso della
lingua abbraccia prioritariamente il versante ricettivo e l’ascolto è tanto più efficace quanto meglio
aderisce alle esigenze reali di comunicazione, hic et nunc. Le attività di CLIL ben condotte
rientrano perfettamente in questa descrizione.
Altrove, Lewis (1993:190) ricorda come si sia soliti ritenere che gli studenti non sono “attivi”
se non parlano; questo scoraggia sia l’attività di ascolto, sia un impegno a riflettere in silenzio. E
quindi definisce “anti-intellettuale” questo orientamento metodologico-didattico. Veniamo quindi
ricondotti a una visione della glottodidattica in cui gli aspetti cognitivi e riflessivi riottengono la
debita preminenza. Ma bisogna chiarire bene il valore dei termini, perché non è illegittimo associare
“intellettuale” a “razionale, rigorosamente logico”. E che cosa c’è di più rigoroso e “razionale” di
certi algoritmi grammaticali?
Oltre 20 anni fa ho elaborato (e poi pubblicato in un volumetto felicemente caduto in oblio Porcelli G., DiNicola-Carena E., 1985) un algoritmo per computer, in linguaggio BASIC, che
genera tutte le forme dei verbi, sulla base di cinque dicotomie: attivo--passivo, presente--passato,
perfettivo—non-perfettivo, progressivo—non-progressivo e con/senza un verbo modale. Oltre alla
scelta del verbo, il programma consente la scelta del pronome soggetto e, se si decide di usare un
modale, permette di scegliere quale debba essere. Con il programma si può generare la lista
completa di tutte le forme verbali, oppure costruirne una dando le istruzioni – ad esempio,
chiedendo di avere il present perfect non progressivo attivo senza modale di WORK con soggetto
HE si ottiene HE HAS WORKED. Un’altra opzione attua l’operazione inversa: il computer genera
casualmente una forma e lo studente deve decidere se sia attiva o passiva, progressiva o no, ecc.
ottenendo un responso immediato sulla correttezza delle sue scelte. In questo caso si chiede che
venga impostato un verbo transitivo: mancando qualunque controllo di carattere semantico, il
programma potrebbe generare forme come *WE WOULD HAVE BEEN BEING RAINED. Un
altro programma gestisce correttamente la trasformazione dalla forma affermativa a quella negativa
e/o interrogativa. In seguito, quando ho potuto disporre di computer più potenti, i due programmi –
assieme ad altri – sono stati usati come sottoprogrammi di un unico software più elaborato.
Perché ne parlo qui e ora? Per dire che quella che può apparire un’operazione squisitamente
intellettuale, all’intersezione tra linguistica e informatica, è stata un’operazione inutile (o utile solo
a me per imparare meglio a programmare). Non ho mai usato quel programma con gli studenti
perché è privo di una componente semantica; se un allievo dà in input LASAGNE può veder
comparire YOU ARE BEING LASAGNED – e ben gli sta, naturalmente.
Il CLIL spazza via queste operazioni intellettualoidi focalizzando l’attenzione di docenti e
allievi sul significato e sul costruire conoscenze che servono. In un sistema scolastico permeato di
falsa intellettualità, non è cosa di poco conto.
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