Musica di tutti i colori
‘il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull'animo. Il colore
è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima, il pianoforte dalle molte corde. L'artista è
una mano che toccando questo o quel tasto mette in vibrazione l'anima umana… Così
il grande pittore Wassily Kandinsky, per il quale la musica era stata il primo amore,
con gli studi di violoncello e poi era divenuta quasi una ossessione; associava
impressioni visive ai singoli suoni strumentali, identificando la tromba con il giallo, il
flauto con l’azzurro, il violino con il verde ed il contrabbasso con il blu; egli intuiva
quel principio apparentemente lontano ma, in realtà, comune, scaturente dalla
vibrazione degli oggetti, tanto che i colori venivano da lui avvertiti come un ‘coro’ da
fissare sulla tela. In effetti la vibrazione di un corpo, partendo dallo stesso albore,
prima è sonora, poi diviene inaudibile, fino a librarsi in luce nel suo massimo, senza
più occorrenza d’alcuna sostanza per propagarsi; così come il suono dona consistenza
materica agli oggetti che sfiora così la luce gli concede la visibilità; dunque suoni e
colori non solo procedono parallelamente ma possiamo dirli provenienti da un
medesimo principio come adombra il musicologo Marius Schneider quando rileva che
il sanscrito preveda la stessa radice semantica per ‘luce’ e ‘suono’. Il colore è un
elemento stupefacente quando è visivo, nell’azzurro degli occhi o nelle sfumature di
un dipinto ma, altrettanto, quando è uditivo, come il brillio di una bella voce argentina.
I colori della musica e quelli della pittura procedono, non di rado, simbioticamente e
dunque è facile che un bel quadro sia d’ispirazione per un musicista o viceversa come
nel celebre brano di Modest Mussorgskj ‘Quadri d’una esposizione’. Suoni e colori si
armonizzano e le loro vibrazioni agiscono su simili sensori percettivi, tanto che è
sufficiente sottoporre una persona ad un dato stimolo visivo o uditivo perché la sua
attività psico-fisica si incanali in una reazione evidente. Insomma un rosa antico sulle
pareti, accompagnato da un adagio mozartiano, ci trasporta fuori dal tempo, in un’aura
di serena bellezza, mentre un rosso picassiano, condito dalle spigolose invenzioni di
Stravinsky ci suggerisce un’energia primigenia. Ma come sono concepibili sensazioni
così intense? Una delle interpretazioni più stimate sostiene che gli individui, il cui
centro corticale del colore è estremamente sensibile, se vengono abituati fin da piccoli
a unire suoni e colori, convertono questa associazione incidentale in una relazione
intima. Gli antichi Egizi avevano intuito questa qualità ‘simpatica’ ed infatti avevano
ideato una sorta di stanza sonico-luminescente dove le persone potevano ‘attingere’ al
loro colore mancante a scopo taumaturgico. Tentativi di tradurre pittoricamente effetti
musicali sono dunque remoti: l’occasione di coordinare colori e suoni era ben nota alle
antiche culture indo-cinesi. L'idea di un'armonia del mondo approdò, nel barocco, ad
una equiparazione dell'armonia dei colori con quella delle sfere da parte di Johannes
Keplero e Athanasius Kircher ed anche Isaac Newton studiò a fondo le correlazioni tra
frequenze cromatiche e sonore individuando la corrispondenza dei sette colori dello
spettro con gli intervalli di una scala musicale ed infine coi sette pianeti maggiori. In
seguito anche Wolfgang Goethe ricercò un'armonia cromatico-sonora, mettendone in
luce gli effetti fisico-spirituali nella sua ‘Dottrina dei colori’. Nel 1725 poi, il gesuita e
matematico francese Louis-Bertrand Castel suggerì di riprodurre brani musicali su
tappeti in forme astratte ed ideò il Clavecin Oculaire che secondo i suoi studi poteva
dipingere i suoni con i colori ad essi corrispondenti per amplificarne la comunicativa
sensoriale. E’ comprovata anche attualmente la psicologia del binomio colore-musica:
nei più moderni esercizi commerciali sono studiati cromatismi visivi che guidano al
movimento e all'attivazione dello stato vigile, accompagnati spesso da sottofondi
morbidamente ritmici che stimolano più all’azione che alla riflessione e, di
conseguenza, all’impulso d’acquisto. Così come per un artista figurativo è
fondamentale lo studio della sfumatura cromatica per un efficace informazione
emotiva, così per l’ interprete musicale è sostanziale mettere in opportuno rilievo,
attraverso il mezzo sonoro, tutte le possibili intensità, le tensioni e le nuances
sottintese dal compositore. Se già i romantici avevano fantasticato una unione di tutte
le arti, ponendo in luce l'esistenza di una scambievolezza di rapporti tra pittura,
musica, architettura e poesia, esemplare nel ‘wort-ton-drama’, l’opera totale di
Richard Wagner, dalla seconda metà del XIX secolo, il quesito percettivo connesso al
rapporto tra suoni e colori divenne comune per molti artisti stimolando alcune tra le
più feconde innovazioni. Certo anche Mozart sosteneva di intuire delle colorazioni
particolari rispetto a note, accordi o frasi musicali e Fryderyk Chopin chiamava ‘nota
azzurra’ la sfumatura ideale, da cercare nel tocco pianistico o nella combinazione
sonora in grado di far vibrare simpaticamente le corde del cuore. Tuttavia è a cavallo
tra Otto e Novecento che il colore, come in pittura, diviene in musica elemento
strutturale e primario. Quanta varietà ad esempio è contenuta nel celebre bolero di
Maurice Ravel, il quale si limita a reiterare all’infinito la stessa frase musicale,
rivestita però ad ogni passaggio da una sfumatura timbrica che la rende sempre
diversa; e quanta musica è contenuta nelle ‘improvvisazioni’ e ‘composizioni’
figurative di Wassily Kandinsky. In quegli anni, che non a caso concorrono alla
nascita e allo sviluppo del cinema, forma d’arte sin(es)tetica per eccellenza, si
sperimentò con mutevole successo la realizzazione di nuovi strumenti musicali per
dimostrare il rapporto suono-colore: il più celebre tentativo fu il Colour Organ di
Wallace Rimington del 1895, che influenzò fortemente il geniale compositore russo
Alexander Skrjabin quando, nella sua composizione Prometeo (1909), inserì ,nel già
imponente organico orchestrale, una ‘tastiera a luci’, ideata dall’ingegnere Aleksandr
Mozer. La sua idea era quella di collegare ai tasti delle note tradizionali i colori, diffusi
da proiettori, ai quali Skrjabin affidava il suo senso visionario di sintesi cosmica tra
suono e luce...benchè l’apparecchio di Mozer, con le sue semplici 12 lampadine
colorate, non soddisfacesse l’idea del compositore, che immaginava effetti al di là
della tecnologia disponibile, resta interessantissimo il rapporto tra colori e suoni che
guida lo svolgimento dell’ opera scriabiniana. Associando ad ogni nota un colore, il
compositore non giunge alla realizzazione di armonie o melodie secondo le regole
classiche di composizione ma per giustapposizione cromatica, creando oggetti sonori
di inaudita modernità e suggestione che troveranno definitiva sublimazione nell’opera
Mysterium in cui è tentata anche una completa fusione multisensoriale. Se lo studioso
Oskar Rainer si servì negli anni 20 della reciprocità di rapporti colore-suono come
strumento pedagogico per l'educazione artistica dei suoi allievi, cui faceva trasporre
figurativamente celebri brani musicali, i futuristi Arnaldo Ginna e Bruno Corra
ipotizzarono invece una nuova arte figurativa temporale, la “Musica cromatica”,
immaginando il movimento su una superficie di masse di colore, armoniosamente
disposte, in modo da dar piacere visivo ed intellettuale, pur senza nulla dipingere,
creando melodie e accordi luminosi, come similmente immaginava anche il grande
Olivier Messiaen. Torna alla mente la frase di Verlaine che sublimava tutta l’arte
poetica proprio nella fusione di esperienze sensoriali diverse quando affermava:’ nulla
è più caro della canzone grigia in cui l’incerto si unisca al preciso… Perchè vogliamo
ancor la sfumatura…Oh, solo essa accoppia il sogno al sogno e il flauto al corno!’
Cesare Marinacci – Wopmagazine Italy - 2012