ATTI
DELL’ACCADEMIA UDINESE
DI SCIENZE
LETTERE E ARTI
ANNO 2012
VOLUME CV
ANNO ACCADEMICO
406°
LITHOSTAMPA
2014
PIETRO IOLY ZORATTINI
GIUSEPPE FILIPPO RENATI
E LA CASA DELLA CARITÀ A UDINE*
Il nome di Giuseppe Filippo Renati è legato ad una delle principali
istituzioni della nostra città, la Casa di Carità, che ha continuato l’opera del
fondatore per oltre due secoli, punto di riferimento per l’assistenza e l’educazione degli orfani e dei giovani in Friuli.
La Casa di Carità rientra nella grande tradizione udinese delle strutture
di assistenza all’infanzia, il cui inizio si pone nel Duecento con l’istituzione
dell’Ospizio di S. Maria Maddalena, dove trovarono ricovero, assieme agli
indigenti, gli orfani e i bambini esposti, che venivano accuditi grazie ad una
sovvenzione del Comune. Quindi, a partire dal 1488 la Confraternita dei
Battuti accettò di impegnarsi ad assistere, presso l’Ospedale di S. Maria della
Misericordia, gli ‘slattati’ 1, cioè i bambini svezzati dal diciottesimo mese in
su, mentre gli esposti rimasero presso l’Ospizio di S. Maria Maddalena. Dal
1584, in conseguenza della fusione tra le due istituzioni, anche gli esposti
1
Abbreviazioni
ACA = Archivio Comunale Antico di Udine
ACAU = Archivio della Curia Arcivescovile, Udine
ALSc = Archivio ‘Luigi Scrosoppi’, Istituto della Provvidenza, Udine
ASPV = Archivio Storico del Patriarcato, Venezia
ASR = Archivio Storico della Casa di Carità, Fondazione Filippo Renati, Udine
ASUd = Archivio di Stato, Udine
ASVe = Archivio di Stato, Venezia
BCUd = Biblioteca Civica ‘V. Joppi’, Udine
Il termine è sinonimo di ‘svezzati’. I bambini assistiti presso l’Ospedale di S. Maria
della Misericordia erano divisi in tre gruppi, in base all’età e al sesso: gli ‘slattati’, cioè i maschi
e le femmine di età compresa fra pochi mesi e dieci anni; gli ‘scolari’, costituiti dai maschi di
età compresa tra dieci e diciotto anni; infine le ‘donzelle’, vale a dire le femmine poste sotto
la guida di una maestra. Cfr. A L, Slattati, scolari e donzelle, in Ospitalità
sanitaria in Udine. Dalle origini all’Ospedale della città. Secoli XIV-XVIII, a cura di Luciana
Morassi, Udine, Casamassima, 1989, pp. 154-171: 155-159.
* Memoria letta nell’adunanza del 20 settembre 2012, nella Sala Maggiore di Palazzo
del Torso, sede del CISM
87
trovarono accoglienza presso il S. Maria della Misericordia, favorendo un
processo di concentrazione dell’assistenza sanitaria e della cura dell’infanzia
abbandonata senza paragoni con la situazione di altre località della terraferma
veneta dove, proprio nel Cinquecento, a causa del notevole incremento del
fenomeno degli abbandoni, si era verificata una notevole settorializzazione
degli interventi caritativi 2.
La tensione sociale verso il tema dell’infanzia abbandonata divenne
quindi uno degli argomenti principali durante l’Illuminismo nei dibattiti
dei riformatori e dei filantropi 3. Nelle grandi città aumentò il numero delle
istituzioni destinate all’accoglienza dei bimbi abbandonati, come avvenne nelle
principali località della Serenissima, dove gli esposti erano stati generalmente
lasciati presso gli ospizi, o le chiese, oppure lungo le strade e i crocevia, luoghi
ovviamente propizi per attirare l’attenzione dei passanti.
L’opera del Renati 4 si situa proprio in questo filone di impegno sociale
ed è indubbio che l’incontro con la spiritualità dei padri della Congregazione
di San Filippo Neri sia stato determinante nell’indirizzarne l’attività filan2
Cfr. L C, L’evoluzione istituzionale, in Ospitalità sanitaria in Udine,
cit., pp. 76-131: 85, 87, 95, 96; L C, L’assistenza agli esposti, in Ospitalità
sanitaria in Udine, cit., pp. 132-153: 133-134; Id., Esposti, abbandonati, balie in Friuli, in
Storia della solidarietà in Friuli, Atti del convegno di studio, Udine 20-21 settembre 1985,
Milano, Jaca Book, 1987, pp. 116-139; P C, Ospedali, confraternite e assistenza sanitaria nell’antica comunità udinese (secoli XII-XVI), in Storia della solidarietà in Friuli,
cit., pp. 23-37; C P, Dal versante dell’illegittimità. Per una ricerca sulla storia
della famiglia: infanticidio ed esposizione d’infante nel Veneto nell’età moderna, in Crimine,
giustizia e società veneta in età moderna, a cura di Luigi Berlinguer e Floriana Colao, Milano,
Giuffrè, 1989, pp. 89-163: 91-97. Nel corso del Settecento l’Ospedale di S. Maria della Misericordia, grazie all’assorbimento di numerosi ospizi minori e dei loro cespiti, divenne a
pieno titolo l’Ospedale Maggiore. Cfr. A D C, Guglielmo Biasutti nella tradizione udinese di carità, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1992, p. 14.
3
La bibliografia sull’argomento è assai vasta. Tra i più importanti contributi si ricordano: P, Dal versante dell’illegittimità, cit.; J B, L’abbandono dei bambini in
Europa occidentale, Milano, Rizzoli, 1991; J-P-B-O F, Bambini
senza infanzia. Sull’infanzia abbandonata in età moderna, in Storia dell’infanzia, a cura di Egle
Becchi e Dominique Julia, 2 v., Roma-Bari, Laterza, 1996, II. Dal Settecento a oggi, pp. 100131; “Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda”. L’infanzia abbandonata nel Triveneto (secc.
XV-XIX), a cura di Casimira Grandi, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche/Canova,
1997; Archivi d’infanzia. Per una storiografia della prima età, a cura di Egle Becchi e Angelo
Semeraro, Scandicci, La Nuova Italia, 2001; Forme di assistenza in Italia dal XV al XX secolo,
a cura di Giovanna Da Molin, Udine, Forum, 2002; C B B, Nascere senza venire alla luce. Storia dell’Istituto per l’infanzia abbandonata della Provincia di Torino (1867-1981), Milano, Franco Angeli, 2010.
4
Su di lui cfr. P I Z, Renati Giuseppe Filippo, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, a cura di Cesare Scalon, Claudio Griggio e Ugo Rozzo, 3 v.,
Udine, Forum, 2009, 2. L’età Veneta, III, pp. 2128-2130; Id., Giuseppe Filippo Renati e la
fondazione della Casa di Carità, in «Per promuovere, incaminare, provedere». Dalla Casa di
Carità alla fondazione Filippo Renati: 250 anni di storia, a cura di Alex Cittadella e Pietro Ioly
Zorattini, Udine, Forum, 2011, pp. 23-65.
88
tropica. Infatti la Congregazione, istituita da papa Gregorio XIII il 15 luglio
1575 5, si distingue per la sua forte vocazione nel sostenere le categorie sociali
più deboli 6, grazie alla pratica delle opere pie, quali il soccorso spirituale dei
moribondi, l’insegnamento della Dottrina cristiana, l’assitenza ai poveri e
l’educazione dei fanciulli 7.
Giuseppe Filippo Renati nacque David Pincherle ad Ontagnano 8 la notte
fra il 10 e l’11 dicembre 1705, figlio di Salvador Benedetto Pincherle 9 ed Eva
5
La Congregazione dell’Oratorio venne fondata da Filippo Neri, espressamente nominato nella bolla d’erezione Copiosus in misericordia, emanata il 15 luglio 1575 da papa Gregorio XIII, con la quale fu canonicamente eretta nella chiesa di S. Maria in Vallicella di Roma.
Cfr. A C, Oratoriani, in Dizionario degli istituti di perfezione, a cura di
Guerrino Pelliccia e Giancarlo Rocca, 10 v., Roma, Edizioni Paoline, 1974-2003, VI, 1980,
coll. 765-775: 768.
6
Cfr. A C, San Filippo Neri. L’Oratorio e la Congregazione oratoriana.
Storia e spiritualità, 3 v., Brescia, Morcelliana, 1989, I, p. 193.
7
Ivi, pp. 240-241.
8
Ontagnano, nei pressi della fortezza di Palma, rappresenta un interessante esempio di
enclave sottoposta all’Impero asburgico, pur essendo situata in territorio veneto. A partire
dalla seconda metà del Cinquecento, sorse nella località un piccolo insediamento ebraico,
costituito da poche famiglie, che svolgevano un’intensa attività feneratizia, da cui la locale
comunità cristiana traeva notevoli benefici. La posizione privilegiata del villaggio, posto al
confine con il Friuli veneto, dove mancava un’offerta concorrente, favoriva l’attività creditizia
degli ebrei, che continuarono a risiedervi fino alla fine del XVIII secolo. Dagli anni Venti del
Seicento è attestata ad Ontagnano la presenza delle famiglie Morpurgo e d’Angeli, dedite al
prestito di denaro e al commercio di cereali, vino e bestiame, in seguito si aggiunsero i Luzzatto, i Pincherle e, dopo la Ricondotta del 1777, i Sullam, che si occupavano prevalentemente della lavorazione della seta e della sua commercializzazione nel confinante territorio veneto,
insieme a quella del cotone austriaco e di altri generi di merci confezionate a Trieste. Ad
Ontagnano gli ebrei erano ben integrati, infatti essi venivano sempre definiti con il termine
di ‘incola’ e vivevano in case acquistate dai cristiani. Tali abitazioni erano per lo più alquanto
modeste, tuttavia quella appartenente a Ricca Morpurgo ospitava una piccola sinagoga, come
attesta il testamento redatto dalla donna nel 1673. Sull’argomento cfr. M D
B C, La vita privata degli ebrei nei territori italiani della casa d’Austria e nel
Friuli veneto in età moderna, in Il mondo ebraico. Gli ebrei tra Italia nord-orientale e Impero
asburgico dal Medioevo all’Età contemporanea, a cura di Giacomo Todeschini e Pier Cesare Ioly
Zorattini, Pordenone, Studio Tesi, 1991, pp. 179-213; A S, Palmanova, in Friuli-Venezia Giulia. Itinerari ebraici. I luoghi, la storia, l’arte, a cura di Silvio Graziadio Cusin e Pier
Cesare Ioly Zorattini, Venezia, Marsilio-Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1998, pp.
78-81.
9
Il cognome della famiglia Pincherle, di origini ashkenazite, deriva dal tedesco ‘bincherle’, ovvero venditore ambulante di merce usata. Durante la seconda metà del Cinquecento i Pincherle ottennero dall’imperatore il privilegio di svolgere l’attività feneratizia a Gorizia.
Nel giugno 1597 una capitolazione imperiale confermò a Joel Pincherle la Condotta, che era
trasmissibile ai propri discendenti e, nel 1624, egli venne insignito dall’imperatore Ferdinando II del titolo di Hofjude, ebreo di corte, in virtù dei servigi resi alla casa d’Austria nel corso
della guerra di Gradisca, quando i banchieri ebrei assicurarono preziosi finanziamenti. In tale
occasione anche i Morpurgo di Gradisca e i Parente di Trieste ottennero il medesimo privilegio, grazie al quale essi furono esentati dall’obbligo di portare il segno d’infamia, poterono
possedere beni immobili e vennero tutelati da qualsiasi tentativo di bando. Un ramo della
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Morpurgo 10, ricchi commercianti ebrei della ‘villa imperiale di Ontagnano’.
La conversione - l’evento fondamentale della sua vita - fu frutto di un percorso lungo e travagliato che si concluse, come scrive egli stesso nel Memoriale
conservato presso l’Archivio Storico della Casa di Carità, grazie alla miracolosa
guarigione «d’una ferita mortale di cortello, avuta in strada alta della parte
sinistra, verso il cuore» 11, per intercessione della Vergine.
Così, all’età di ventisei anni, il 13 settembre 1731, egli lasciava la casa
paterna alla volta di Udine. Il 6 gennaio 1732, giorno dell’Epifania, il giovane fu solennemente battezzato in Duomo 12 dal vicario generale di Aquileia,
Marc’Antonio Ottelio 13:
famiglia Pincherle, trasferitosi ad Ontagnano durante la prima metà del Seicento, vi risiedette fino alla fine del Settecento. Secondo le fonti Salvador svolgeva le mansioni di rabbino del
piccolo nucleo di Ontagnano. Cfr. M D B C, La Comunità ebraica di Gradisca d’Isonzo, Udine, Del Bianco, 1983, pp. 79, 92; C L B, Gorizia,
in Friuli-Venezia Giulia. Itinerari ebraici, cit., pp. 48-57.
10
La famiglia Morpurgo, il cui cognome deriva dal toponimo Marburg (Maribor, in
Slovenia), località dove essa si era insediata già in età medievale, proveniendo da Ratisbona
(Palatinato Superiore), è attestata a Trieste già a partire dal 1509, a Gorizia nel 1564 e a Gradisca nel 1585. Il 21 marzo 1624 Ferdinando II elargì al gradiscano Jacob Marburger la
concessione del titolo di Hofjude, cui si è accennato nella nota precedente. Grazie alla loro
situazione privilegiata, i Morpurgo poterono trasferirisi in diverse località della contea di
Gradisca, fra le quali Ontagnano, dove essi furono presenti a partire dagli anni Venti del
Seicento. Alcuni membri della famiglia si legarono in matrimonio con i d’Angeli e tale strategia favorì il sorgere di un fiorente commercio di bestiame e prodotti agricoli. È probabile
che Eva Morpurgo fosse di origine gradiscana. Cfr. M D B C, La
famiglia Morpurgo, in Il Palazzo Valvason-Morpurgo, a cura di Giuseppe Bergamini e Liliana
Cargnelutti, Udine, Arti Grafiche Friulane, 2003, pp. 49-59.
11
ASR, b. 49, fasc. 4, Memoriale, c. 3v.
12
Ecco l’atto di battesimo di David Pincherle: «Adì 6 genaro 1732. Gioseffo Filippo
Renati, detto prima David, figlio di Salvador Benetto quondam Lustro Pincarli et la sua consorte nata Morpurga, ebrei della villa imperiale d’Ontegnano, convertito alla santa cattolica
fede d’anni 26 e giorni 14. Fu solenemente battezato in questo Duomo dall’illustrissimo signor
conte Marc’Antonio Ottellio, decano in questa insigne Collegiata del Duomo et vicario generale d’Aquileia. Padrino fu il nobil signor conte Alfonso quondam nobile signor conte
Giovanni Daniele Antonini, assistenti il nobile signor conte Giacomo del nobile conte Camillo Gorgo et il nobile signor conte Giovanni Battista del nobile signor conte Sebastian
Florio». Archivio Capitolare del Duomo, Battesimi, VIII (IX nuova numerazione) (1722-1753),
Atto di battesimo di Giuseppe Filippo Renati, 6 gennaio 1732, c. 73v. Sull’avvenimento cfr.
anche R M, L’Istituto Renati o Casa di Carità di Udine, Udine, Doretti, 1962, p.10;
P C I Z, “Il buon cambio”: conversioni di ebrei a Udine durante la dominazione veneziana, in Tempi, uomini ed eventi di storia veneta. Studi in onore di Federico Seneca, a cura di Sergio Perini, con la collaborazione di Federica Ambrosini, Mario De Biasi,
Giuseppe Gullino, Stefania Malavasi, Padova, Grafiche Dielle, 2003, pp. 313-327: 324-325.
13
Marc’Antonio Ottelio nacque a Udine nel 1669 e morì nella stessa città nel 1739.
Divenne prima decano del Capitolo di Udine, in seguito preposito di San Pietro di Carnia,
infine vicario generale della Diocesi di Aquileia. Cfr. Genealogia della nobile famiglia dei conti
Otellio, in Nozze del signor Orlando Simonutti-Masolini con la contessa Teresa Otellio, Udine,
Tipografia del Patronato, 1881.
90
Nato io Giuseppe Filppo Renati da genitori Ebrei nella
villa arciducale di Ontegnano,
in giorno di venerdì, alli 11
dicembre 1705 e, tratto fuori
della cecità dell’Judaismo, per
divina misericordia fui battezzato nel Duomo di questa città
alli 6 gennaro 1732 14.
Gli fu padrino il conte Alfonso Antonini, membro della
Congregazione dell’Oratorio di
Udine 15 e testimone Giovanni
Battista Florio, figlio del conte Ritratto di Giuseppe Filippo Renati (Fondazione
Sebastiano, anch’egli apparte- Renati, Udine).
nente allo stesso ordine 16: scelta
significativa del percorso spirituale e del profondo legame del convertendo
con i padri Filippini, una circostanza che egli volle testimoniare nel nome
nuovo, Giuseppe Filippo, mentre con il cognome Renati volle alludere alla
sua rinascita spirituale, «quasi promessa di uno spirito interamente innovato
nelle sante acque» 17.
A Udine la Congregazione dell’Oratorio venne fondata nel 1629, in
seguito all’iniziativa di alcuni membri della Confraternita del Santissimo
Crocifisso 18, che tenevano le loro riunioni nell’omonima chiesetta. Non si
ASUd, Casa di Carità, b. 7 (colto II), Testamento, 22 ottobre 1765, c. 2.
Alfonso Antonini venne accolto nella Congregazione udinese nel 1702. Cfr. ACAU,
Nuovi Manoscritti, ms. 550, G V, L’Oratorio e la Congregazione dell’Oratorio di S.
Filippo Neri in Udine, fasc. I (1629-1708), fasc. II (1708-1730), fasc. III, I, c. 53v.
16
Sebastiano Florio risulta confratello dei Filippini nel 1694. Cfr. ACAU, V, L’Oratorio, cit., fasc. I, c. 48v. L’altro testimone fu il conte Giacomo Gorgo, per cui si veda L C, Gorgo Giacomo, in Nuovo Liruti, cit., 2. L’età Veneta, II, pp. 1322-1324.
17
P V, Giuseppe Filippo Renati, in Strenna friulana pel 1855, Udine, Tipografia Vendrame, 1855, pp. 117-127: 118.
18
Sulla Congregazione di S. Filippo Neri di Udine cfr. ALSc, GIOVAN BATTISTA
MARTINIS, Raccolta di regole, istituti et istrutioni appartenenti à Padri e Fratelli della Congregatione dell’Oratorio di S. Filippo Nerio. Parte prima, Udine, 8 settembre 1730, ms.; Id.,
Principio e progresso dell’Oratorio e Congregatione di San Filippo Nerio nella città di Udine, registrati d’un fratello della stessa Congregatione. Parte seconda, Udine, 21 novembre 1730, ms;
Id., Come fù introdotto l’Oratorio di S. Filippo Neri et la Congregatione de Padri dell’Oratorio in
Udine (1629-1742), ms.; Id., Ristretto della vita di S. Filippo Neri nostro santo Padre, con alcune nottitie della nostra Congregazione (1515-1712), ms.; M D C D B,
Memorie spettanti alla Congregazione (1738-1810), ms.; ACAU, Istituti Religiosi della Diocesi,
14
15
91
trattò di una iniziativa promossa dalle autorità ecclesiastiche locali o centrali, bensì sorse all’interno dell’ambiente laico delle confraternite. Infatti,
nonostante vi figurassero anche sacerdoti secolari e un frate, i ventiquattro
fondatori erano per la maggior parte laici 19. In seguito, a causa dell’aumento
del numero dei confratelli, si dovette reperire un edificio più capiente e, il
1 novembre 1643, l’Oratorio trasferì la propria sede presso la chiesa di S.
Maria Maddalena, che sorgeva nell’omonima contrada, all’angolo dell’attuale
via Prefettura 20. I suoi componenti, quasi tutti di estrazione nobiliare, erano
legati soltanto dal vincolo dell’obbedienza e, non essendo soggetti al voto di
povertà, dovevano essere sufficientemente abbienti per garantire il proprio
sostentamento. La Congregazione svolse un ruolo fondamentale nella società
udinese, poiché da essa provennero i principali fondatori di opere caritative
tuttora esistenti, ricordo al proposito la Casa delle Convertite, fondata da
Giovanni Micesio nel 1680 21.
Divenuto cristiano, il Renati svolse la mansione di amministratore al
servizio di alcuni esponenti della nobiltà udinese, pur continuando a dedicarsi
all’attività commerciale di famiglia. Quando, ai primi di novembre del 1734,
morì Francesco Trigatti 22, uno dei membri della Congregazione, il 10 aprile
1735, in concomitanza con la Pasqua, il Renati venne accolto fra i Filippini
in qualità di fratello laico 23. Così Giuseppe Filippo si pose al servizio dei padri
b. 48, Udine, Filippini; Nuovi Manoscritti, ms. 550, V, L’Oratorio, cit., fasc. I (1629-1708),
fasc. II (1708-1730), fasc. III; M R P, L’Oratorio e la Congregazione dell’Oratorio
a Udine, tesi di laurea, Università degli studi di Trieste, a.a. 1972-73, relatore prof. Gaetano
Corti; G T F-A e V J, Chiese di Udine, a cura di
Giuseppe Bergamini, Paolo Pastres, Francesca Tamburlini, Udine, Deputazione di Storia
Patria per il Friuli, 2007, pp. 176-190.
19
Cfr. ALSc, M, Principio e progresso, cit., pp. 81-85.
20
La chiesa, la cui prima notizia risale al 1309, era di proprietà dell’Ospedale di S.
Maria Maddalena o della Pietà, l’ospizio più antico della città che, a partire dal XIII secolo e
fino agli anni Ottanta del Cinquecento, accolse l’infanzia abbandonata. Nel 1584 essa passò
all’Ospedale di S. Maria della Misericordia, ma cadde ben presto in disuso. Cfr. C, L’evoluzione istituzionale, cit.; C, L’assistenza agli esposti, cit.; F-J,
Chiese di Udine, cit., pp. 174-176.
21
Giovanni Micesio, membro della Congregazione dal 1663, concepì un luogo dove
accogliere e redimere le donne che volevano abbandonare la prostituzione. Cfr. G P,
I conventi e la città. Proposte di vita e spiritualità, in Monasteri, conventi, case religiose nella vita e
nello sviluppo della città di Udine, Udine, Italia Nostra, Sezione di Udine, 2001, pp. 17-41.
22
Francesco Trigatti, di Codroipo, risulta accolto come confratello dell’Oratorio il 10
febbraio 1676. Egli ricoprì gli uffici di aiuto al procuratore degli affari, di aiuto agli orti, di
‘gravellonista’ e di portinaio. Morì il 7 novembre 1734, all’età di 78 anni. Cfr. ACAU, V,
L’Oratorio, cit., fasc. I, c. 53v; Id., L’Oratorio, cit., fasc. II, cc. 75r, 109r.
23
La Congregazione, pur essendo fin dalle origini un’istituzione sostanzialmente ‘clericale’, ha sempre associato a sé alcuni fratelli laici, in qualità di membri effettivi, che partecipavano a pieno diritto alle vita comunitaria, anche se non avevano diritto di deliberazione.
Cfr. C, Oratoriani, cit., col. 767.
92
dell’Oratorio, con l’incarico di curarne le questioni legali, di riscuoterne le
rendite e di provvedere alla manutenzione degli edifici, compresa la chiesa
di S. Maria Maddalena 24, in considerazione dell’esperienza da lui maturata
durante lo svolgimento della sua attività commerciale e grazie ai rapporti
intrattenuti con i più autorevoli esponenti delle magistrature veneziane e
udinesi, sia civili sia ecclesiastiche.
Ma la sua frenetica attività non gli impedì di continuare su quella strada
che l’aveva condotto alla conversione, una delle tensioni fondamentali che
caratterizzarono la sua opera e lo resero particolarmente attento e responsabile verso chi intraprendeva analoghi percorsi spirituali. Continua fu infatti
l’opera del Renati a favore della conversione dei suoi antichi correligionari,
tuttavia fu una strada irta di difficoltà come egli stesso ebbe a sperimentare.
Udine non aveva una struttura idonea ad accogliere i catecumeni, quindi
il Renati si dovette servire delle famiglie cristiane disposte a riceverli per il
tempo necessario alla loro istruzione religiosa. Il risultato non fu sempre
soddisfacente, ricordo al proposito quanto accadde all’ebreo algerino Abram
Levi che, nell’aprile del 1744, si era presentato presso l’Oratorio udinese con
l’intenzione di convertirsi. Il Renati lo mise a pensione presso una famiglia,
tuttavia a causa dei continui litigi fra i coniugi, invece di ricevere un esempio
edificante, il catecumeno finì col subire frequenti maltrattamenti. Quattro
mesi dopo, il Renati, che ne aveva supervisionato l’istruzione, si rassegnò
ad inviarlo alla Casa dei Catecumeni di Venezia 25 dove il giovane, all’età di
24
La nuova chiesa di S. Maria Maddalena venne edificata, su progetto dell’architetto
veneziano Domenico Rossi, sull’area attualmente occupata dall’edificio delle Poste. La prima
pietra venne posta il 24 aprile 1709, con la benedizione del patriarca di Aquileia Dionisio
Dolfin, che inaugurò la chiesa il 19 agosto 1715, celebrando una messa solenne accompagnata da musiche e canti. Cfr. ALSc, M, Principio e progresso, cit., pp. 403, 406-407, 464;
M, Come fù introdotto l’Oratorio, cit., cc. 31v, 32v, 39v-40r. Su Domenico Rossi cfr.
M V, Rossi Domenico, in Nuovo Liruti, cit., 2. L’età Veneta, III, pp. 2175-2179.
Su Dionisio Dolfin cfr. C M, Dolfin Dionisio, Nuovo Liruti, cit., 2. L’età Veneta,
II, pp. 968-973.
25
Quando il priore dell’istituto Giovanni Pietro Comarich lo interrogò per conoscere
le motivazioni della sua vocazione, Abram rispose di essere nato ad Algeri e di avere trentuno
anni. Poiché il fratello lo picchiava, egli aveva abbandonato la città natale e si era trasferito a
Livorno, presso uno zio paterno, con il quale aveva abitato per circa cinque anni. Tuttavia, a
causa delle molestie sessuali cui lo zio lo sottoponeva, era fuggito ed era andato a servizio per
tre anni presso altri ebrei livornesi. In seguito si era stancato anche di tale situazione e aveva
viaggiato attraverso l’Europa, l’Egitto e Israele per altri tre anni. Ritornato in Italia, aveva visitato molte città, finché non era giunto a Udine, con l’intenzione di trasferirsi in Germania
ma, poiché nutriva già da un anno il desiderio di divenire cristiano, si era trattenuto in tale
località. Alla domanda di rito il catecumeno dichiarò che l’unico mestiere da lui conosciuto
era la lavorazione del corallo. Cfr. ASPV, Curia. Sezione antica, Catecumeni, Costituti, reg. 1,
cc. 5v-6r. Sull’istituzione veneziana cfr. P I Z, I nomi degli altri. Conversioni a Venezia e nel Friuli Veneto in età moderna, Firenze, Olschki, 2008.
93
trentadue anni, venne battezzato e assunse il nome del padrino, Domenico
Tommaso Michiel 26. Più agevole, ma sempre difficoltosa dal punto di vista
logistico, si dimostrò la catechesi del rabbino Salomone Cracovia 27, che venne accolto in Congregazione il 9 gennaio 1748 e fu battezzato nel Duomo
cittadino il 30 giugno successivo 28.
Tali esperienze fecero maturare in fratello Filippo la convinzione di
realizzare un istituto per la conversione degli ‘infedeli’ e, già a partire dalla
metà degli anni Quaranta del Settecento, egli concepì l’idea di fondare a
Udine un’istituzione che avrebbe dovuto assolvere una duplice funzione:
l’accoglienza dei catecumeni e l’assistenza dei poveri e dei reietti. Il progetto
è attestato dal suddetto Memoriale e dal testamento redatto nel 1758:
Ora passando all’esecuzione del testamento, e come qui oltre mi sono spiegato,
che questa disposizione restar debba in primo loco a beneficio di que’ infedeli
che a Dio Signore si voranno convertire, ed in mancanza di questi, gli orfanelli
di questa città. Per queste prime persone intendo e dichiaro essere ebrei, turchi,
pagani che, illuminati dalla clementissima grazia del misericordissimo Iddio,
alla cognizione del suo unigenito figliolo Gesù Cristo Signore nostro ricorono
suplichevoli per essere admessi nel grembo di Santa Madre Chiesa. Le quali
persone, non avendo in questa Provincia del Friuli provedemento ed’assistenza
26
Il 24 luglio 1745, dopo aver ricevuto la cresima da parte del patriarca Alvise Foscari,
il giovane partì alla volta di Genova, dove avrebbe esercitato il mestiere di lavoratore di coralli. Cfr. ASPV, Curia. Sezione antica, Catecumeni, Costituti, reg. 1, cc. 5v-6r. Alvise Foscari
nacque il 2 ottobre 1679 da Gerolamo e Pisana Moro. Ricoprì la carica di patriarca di Venezia
dal 3 luglio 1741 fino al decesso, avvenuto il 28 ottobre 1758. Cfr. A N, I patriarchi di Venezia da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1961, pp. 143-145; G G, Foscari Alvise, in Dizionario Biografico degli
Italiani, 75 v., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-2011, XLIX, 1997, pp. 297298.
27
Cfr. ASUd, Casa di Carità, b. 19 (colto XVII), Lettera di Almorò Contarini, 15 giugno
1748, cc. 41r e v.
28
L’atto di battesimo è il seguente: «Francesco Paolo Maria Gioachino Venier di nazion
ebreo, chiamato prima Salamon Cracovia, figlio del signor Isacco e di Maria Lifsiz di Braslavia,
fu solennemente battezzato dal nobile e reverendissimo signor Francesco Belgrado, vicario
generale d’Aquileia e decano d’Udine. Padrino il nobile signor conte Alfonso Antonino; assistenti il nobile signor conte Eusebio Caimo, il nobile signor conte Prospero Antonini, il nobile signor Bernardino Masero, il nobile signor conte Daniello Florio ed il nobile signor
conte Antonio Beretta. Indi nella messa celebrata dal predetto nobile e reverendissimo signor
vicario ricevette divotamente la santissima comunione». È interessante notare che Alfonso
Antonini fu padrino sia del Cracovia che del Renati. Cfr. Archivio Capitolare del Duomo,
Battesimi, VIII (IX nuova numerazione), (1722-1753), 30 giugno 1748, c. 194v; P C
I Z, “Il buon cambio”, cit., p. 325. Su Daniele Florio cfr. R G, Florio
Daniele, in Nuovo Liruti, cit., 2. L’età Veneta, II, pp. 1116-1119.
94
di sorte alcuna, restano per lo più nelle loro cecità e ciò dico per essere stato
documentato coll’esperienza 29.
Il primo passo ufficiale fu l’istanza presentata al doge Pietro Grimani 30
nel 1747 e determinante fu la supplica che il 14 agosto 1754 il Renati indirizzò al doge Francesco Loredan 31, con la richiesta di poter utilizzare la rendita
annua di 200 ducati ricavati dalla gestione di beni immobili di sua proprietà
per realizzare un istituto dove accogliere i catecumeni. Neanche due anni
dopo, il 7 febbraio 1756, un decreto del Senato veneto accordava alla città
di Udine il privilegio, non concesso finora ad altre località di terraferma, di
ospitare un’istituzione per i catecumeni, sul modello di quella che già da due
secoli funzionava a Venezia 32. Nella vicenda svolse un ruolo determinante il
veneziano Bernardo Valier 33, membro del Consiglio dei Dieci e del Senato,
che viene definito dal Renati «l’unico protetore di questa mia opera in vita» 34
e che sarà sempre il principale sostenitore della nascente istituzione presso
le autorità veneziane. Incaricato di patrocinare il progetto e coadiuvato dal
Valier, veniva nominato l’arcivescovo, monsignor Bartolomeo Gradenigo 35,
ASR, b. 49, fasc. 4, Testamento, 17 aprile 1758, c. 3r e v.
Pietro Grimani nacque il 5 ottobre 1677 da Pietro e Caterina Morosini. Venne eletto doge il 30 giugno 1741 e morì il 7 marzo 1752. Cfr. C R, I dogi. Storia e
segreti, Roma, Newton Compton, 2002, pp. 426-430; G G, Grimani Pietro,
in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., LIX, 2002, pp. 653-657.
31
Francesco Loredan nacque il 9 febbraio 1685 da Andrea e Caterina Grimani. Venne
eletto doge il 18 marzo 1752 e morì il 19 maggio 1762. Cfr. R, I dogi, cit., pp. 431435; M C, Loredan Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., LXV,
2005, pp. 751-754.
32
Cfr. BCUd, ACA, ms. ZZ. XXI, 7 febbraio 1756, c. 46r Casa della Carità.
33
Trattasi di Bernardo Valier del ramo di S. Silvestro, figlio di Zaccaria e di Lucietta
Donini, nato il 15 novembre 1712. Egli intraprese la carriera politica, ricoprendo importanti cariche presso i principali organi di governo della Serenissima. Dopo aver iniziato il cursus
honorum con l’elezione fra i quattro officiali alla Ternaria Vecchia e fra i tre visdomini alla
Tana, fu membro dell’Avogaria di Comun, senatore, membro del Consiglio dei Cento e del
Consiglio dei Dieci. Cfr. ASVe, Segretario alle voci, Elezioni Maggior Consiglio, reg. 27 (17311744), cc. 84v-85r, 104v-105r. Al Valier Carlo Goldoni dedicò la commedia L’avvocato veneziano, edita a Firenze nel 1754, presso gli Eredi Paperini. Come rammenta Ermanno von
Loehner, nella dedica al senatore Bernardo Valier, che era stato membro dell’Avogaria di
Comun, il Goldoni definiva quella magistratura «la strada la più spinosa fra tutte che conducono i patrizi veneti alla dignità senatoria». Cfr. Memorie di Carlo Goldoni, riprodotte integralmente dalla edizione originale francese, con prefazione e note di Guido Mazzoni, 2 v., Firenze, G.
Barbera editore, 1907, I, pp. 404-405, 455, 464; Mémoires de monsieur Goldoni, pour servir à
l’histoire de sa vie et à celle de son théâtre, dédiés au Roi. Tome premier. Ristampate sull’edizione
originale di Parigi (1787), e corredate con annotazioni da Ermanno von Loehner, Venezia, Fratelli Visentini, 1883.
34
ASR, b. 49, fasc. 4, Testamento, 17 aprile 1758, c. 2v.
35
Nel 1734 Bartolomeo Gradenigo venne nominato coadiutore dal neoeletto patriarca
di Aquileia Daniele Dolfin e, contemporaneamente, fu insignito da papa Clemente XIII
29
30
95
con la clausola che, alla morte di costui, sarebbero subentrati gli arcivescovi di
Udine pro tempore 36, cui era demandato il compito di verificare l’autenticità
della vocazione dei catecumeni e di accertarsi che essi non fossero già stati
battezzati altrove.
Il permesso di erigere una nuova Casa di Carità fu chiesto dal Renati
alle autorità cittadine il 16 dicembre 1760, insieme alla richiesta di un appezzamento di terreno pubblico situato nel borgo di Treppo, confinante
con gli edifici di proprietà delle sorelle Rosarie 37, che vi gestivano, a partire
della carica di vescovo di Tiro. Dopo la soppressione del Patriarcato, avvenuta nel luglio 1751,
egli continuò la sua missione come coadiutore nell’Arcivescovado di Udine, del quale divenne
titolare il 13 marzo 1762, alla scomparsa del Dolfin. Morì il 2 novembre 1765 e le sue esequie
vennero celebrate con solenni cerimonie. Cfr. G , Il Friuli. Uomini e tempi, Udine, 1974, p. 974; M D B, I Gradenigo religiosi, in Grado, Venezia, i
Gradenigo. Catalogo della mostra, a cura di Marino Zorzi e Susy Marcon,Venezia-Monfalcone
(Go), Biblioteca Nazionale Marciana-Edizioni della Laguna, 2001, pp. 188-203: 196-197;
M G, I Gradenigo e il Friuli, in Grado, Venezia, i Gradenigo, cit., pp. 204-225: 219220; C M, Gradenigo Bartolomeo, in Nuovo Liruti, cit., 2. L’età veneta, II, pp.
1326-1327. Sui funerali del Gradenigo cfr. A C, La morte non è uguale per
tutti. Usi funebri e sensibilità religiose in Friuli nell’età moderna e contemporanea, Udine, Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli, 2010, pp. 96-99.
36
L’Arcidiocesi di Udine fu eretta il 6 luglio 1751 con la bolla Iniuncta nobis di papa
Benedetto XIV e il suo territorio corrispondeva a una parte di quello soggetto al Patriarcato
di Aquileia, che fu contestualmente soppresso. Il patriarca di Aquileia Daniele Dolfin fu il
primo arcivescovo di Udine e mantenne comunque il titolo patriarcale fino alla morte, avvenuta il 13 marzo 1762. Sull’argomento cfr. Aquileia e il suo Patriarcato, Atti del convegno
internazionale, Udine 21-23 ottobre 1999, a cura di Sergio Tavano, Giuseppe Bergamini e
Silvano Cavazza, Udine, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, 2000. Su Daniele Dolfin
cfr. P P, Dolfin Daniele Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., XL, 1991,
pp. 479-481; C M, Dolfin Daniele, in Nuovo Liruti, cit., 2. L’età veneta, II, pp.
965-968.
37
Uscite indenni dalla sopressione degli ordini religiosi, decretata da Napoleone il 25
aprile 1810, grazie al riconoscimento della loro importante funzione sociale, le Rosarie continuarono la propria missione educativa. Esse continuarono ad impartire l’istruzione femminile che prevedeva, oltre al livello elementare, anche rudimenti di economia domestica e,
dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, una scuola magistrale femminile. Dopo la prima
guerra mondiale si iniziò a prendere in considerazione la proposta lanciata da monsignor
Luigi Paulini di trasformare la Pia Società in congregazione religiosa. Finalmente il 5 agosto
1925 le Rosarie, con decreto dell’arcivescovo Anastasio Rossi, furono erette a congregazione
di diritto diocesano, denominata Congregazione delle suore della Beata Vergine Maria Regina
del Santissimo Rosario, che otterrà nel 1950 l’approvazione pontificia definitiva. Nel Manuale di Preghiere per la Congregazione, curato nel 1931 da sua eccellenza Luigi Paulini, direttore
spirituale del Renati dal 1899 al 1910, venne premesso proprio il motto che le Rosarie avevano ereditato dal Renati, «La mano al lavoro, il cuore a Dio». Cfr. S M, Un
luogo per la carità, l’utopia nella mappa: i 4.561 ‘passi’ di fratello Renato e delle signore Rosariane e la nuova geo-geografia della città, in «Per promuovere, incaminare, provedere», cit., pp.
255-273.
96
dal 1738, la ‘Pia Casa di Carità’
per l’istruzione cristiana delle fanciulle orfane 38, sotto la direzione
della contessa Caterina Emilia
Freschi dei Conti di Cucagna di
Faedis 39, profondamente devota alla Madonna del Rosario. Il
Renati riteneva infatti che il suo
progetto collimasse con gli interessi delle pie donne, le quali dopo
la morte della Freschi, avvenuta il
7 settembre 1749, avevano visto
aumentare gravemente le proprie
difficoltà finanziarie, cui si era aggiunto il mancato riconoscimento
ufficiale della loro Regola, tanto
che esse erano giunte sul punto di
sciogliere la loro comunità ridotta
ormai a sole sei persone.
Così il 28 luglio 1761, Renati stipulò con loro un Concorda- Anonimo. Madonna col Bambino, sec. XVIII.
Chiesa della Beata Maria Vergine della Misericorto, sottoscritto dalle sei consorelle, dia.
Anna Vatolo, Emilia Orgnano,
Anna Fracassi, Angiola Foscoli,
Cassandra Cucci, Diamante Rosa, alla presenza del cancelliere Ignazio Brunelleschi e di monsignor Francesco Belgrado, vicario generale arcivescovile
di Udine, in veste di procuratore delle Rosarie 40. L’accordo prevedeva la
costruzione di tre edifici: uno destinato all’abitazione dei neofiti, un altro
per accogliere gli orfani maschi, infine un terzo per ospitare le orfane e le
loro maestre. L’ala maschile sarebbe stata divisa da quella femminile, tuttavia
entrambe avrebbero usufruito di un comune oratorio.
38
Cfr. V C, Le Rosarie e la Casa di Carità od Orfanotrofio Renati in
Udine, estratto dal «Cittadino Italiano» del 24 maggio 1900, Udine, Tipografia del Patronato,
1900, pp. 8-10.
39
Su Caterina Emilia Freschi cfr. F C-A P, Dal Consorzio
delle Poverelle di S. Caterina da Siena in Borgo Cisis al Collegio delle Suore Rosarie, in La chiesa
di San Giorgio Maggiore in borgo di Grazzano. Vicende, istituzioni e arte di una comunità udinese dalle origini al secolo XVIII. Prima parte, a cura di Alessio Persic, Udine, Parrocchia di San
Giorgio Maggiore, 2001, pp. 195-202: 195-197.
40
Cfr. ASUd, Casa di Carità, b. 1, Concordato del Renati con le Rosarie, 28 luglio 1761,
p. 1.
97
A pochi giorni dalla stipula del Concordato, il 5 agosto 1761, venne posta
la prima pietra dell’orfanotrofio. Il 20 giugno 1762 l’arcivescovo Bartolomeo
Gradenigo dava ufficialmente inizio ai lavori per l’edificazione della chiesa 41,
dedicata alla Madonna della Carità, che verrà solennemente inaugurata l’11
settembre 1768 42 dal suo successore, il fratello Giovanni Girolamo Gradenigo 43.
Nonostante la generosità dimostrata nei loro confronti, i Filippini non
gradirono la nuova attività del filantropo e non gli risparmiarono amarezze
e delusioni. Secondo Antonio De Cillia, l’appartenenza di questi religiosi
alle classi sociali più elevate della società udinese con notevole disponibilità
41
Nell’Archivio Storico della Casa di Carità si conserva il testo dell’iscrizione che ricorda la posa della prima pietra: «Deo Optimo Maximo Aedis Matri Misericordiae Sacrandae ad
usum emini utrinque orphanotrophii primum posuit lapidem Bartholomeus Gradonicus
archiepiscopus utinensis anno archiepiscopatus primo XX Junii CICDCCLXII». ASR, b. 49,
fasc. 5, Calco dell’iscrizione della prima pietra della Casa di Carità.
42
Cfr. ACAU, b. 960, Lettere pastorali, In Udine, 18 agosto 1768; F-J,
Chiese di Udine, cit., pp. 272-273.
43
Giovanni Girolamo Gradenigo intraprese fin da giovane la carriera ecclesiastica,
svolgendo tutta la propria formazione spirituale e culturale presso i Teatini di Brescia, nel cui
Ordine venne ammesso il 20 gennaio 1732 con la consacrazione a presbitero. Grazie alle sue
qualità morali ed intellettuali, egli riuscì a percorrerne l’intera gerarchia, fino a divenire, nel
1755, procuratore generale. Particolarmente versato nel campo dell’erudizione umanistica e
profondo conoscitore dei testi sacri, sin dal 1735 venne chiamato a Brescia dal cardinale
Angelo Maria Querini, cui rimase sempre legato da un rapporto di stima e amicizia, per ricoprire l’isegnamento della teologia presso quel Seminario. Fu autore di numerose opere biografiche e di storia ecclesiastica, fra le quali si possono menzionare la Brixia sacra, una cronotassi dei vescovi bresciani pubblicata nel 1755 e la Tiara et purpurea Veneta, a completamento
dell’omonima opera del Querini, già apparsa nel 1750 a Roma, che tracciava la biografia di
cinque pontefici e di ben sessanta cardinali di origine veneta. La sua attività di studioso non
gli impedì di dedicarsi assiduamente alla funzione episcopale. Il 28 novembre 1765, pochi
giorni dopo la morte del fratello Bartolomeo, suo predecessore, fu eletto arcivescovo di Udine.
Egli svolse la sua missione con notevole energia e profonda dedizione, come attestano le frequenti visite pastorali compiute nella propria Diocesi. Convinto della necessità di impartire
la catechesi in modo univoco, per ottenere una migliore istruzione dei fedeli, il Gradenigo
ordinò ai propri parroci di attenersi scrupolosamente al Catechismo Romano, in ossequio alle
direttive della Santa Sede e a tal fine fece persino stampare i testi di dottrina in friulano e in
‘illirico’, affinché potessero essere compresi anche nelle aree più periferiche della Diocesi.
Uomo dai multiformi interessi, incrementò il patrimonio librario della Biblioteca fondata dal
predecessore Dionisio Dolfin, patriarca di Aquileia dal 1699 al 1734; ampliò e rinnovò l’antico Seminario, aumentandone la capienza a 150 allievi e aprendone le porte a tutti gli studenti della città, al punto da mettere in crisi l’istruzione pubblica gestita dai Barnabiti; il 23
giugno 1766 pose la prima pietra di un nuovo ospedale che sorgerà nel luogo del soppresso
convento dei Francescani. Ultimo di una lunga stirpe di ‘antichi tribuni’ presenti nella Patria
del Friuli-ambasciatori, luogotenenti, provveditori e addirittura 6 ecclesiastici, di cui 3 patriarchi di Aquileia, 1 coadiutore del patriarca e 2 arcivescovi di Udine-Giovanni Girolamo passò
a miglior vita il 30 giugno 1786. Cfr. D B, I Gradenigo, cit., pp. 197-198; Id., Gradenigo Giovanni Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., LVIII, 2002, pp. 321-323;
GADDI, I Gradenigo, cit., pp. 220-221; C M, Gradenigo Gian Girolamo, in
Nuovo Liruti, cit., 2. L’età Veneta, II, pp. 1327-1332.
98
economica corrispondeva ad una
visione conservatrice piuttosto
aliena ad opere così innovative e
al tempo stesso finanziariamente
impegnative, «che essi consideravano alla stregua di una pericolosa
avventura» 44. Comunque è anche
possibile [a essere un po’ cattivi]
che la donazione del Renati in
favore della nascente istituzione,
fosse interpretata come una privazione di una cospicua eredità,
che essi consideravano di loro
pertinenza.
Il rapporto raggiunse un
limite critico il 3 agosto 1762,
quando i Filippini decisero di allontanarlo dalla Congregazione 45. Facciata della chiesa della Beata Maria Vergine
Tuttavia il Renati non accettò con della Misericordia.
rassegnazione il suo nuovo status
di chierico secolare e continuò a vestire l’abito dell’Oratorio, nonché a farsi
chiamare ‘fratello’. Di fronte a tale ostinazione, i Filippini si rivolsero al Consiglio dei Dieci che, con decreto del 21 marzo 1763, ingiunsero al Renati la
dismissione dell’abito, prendendo ad esempio il caso di un sacerdote che il
medesimo tribunale aveva espulso dalla Congregazione di Verona il 5 luglio
1755 46. Ciononostante il Renati riuscì ad ottenere dall’arcivescovo Gradenigo il permesso di continuare a vestire l’abito clericale, anche se dovette, suo
malgrado, rinunciare al ‘collare’ che distingueva i Filippini 47.
La sua tragedia personale non gli impedì, tuttavia, di continuare l’indefessa attività a favore del nuovo istituto, riuscendo a coinvolgere sempre di più
44
Cfr. D C, Guglielmo Biasutti, cit., p. 24.
Ricordando con profonda amarezza tale circostanza, nel preambolo del proprio testamento, redatto il 22 ottobre 1765 dal notaio udinese Giuseppe Andrea Pilosio de Zeraffini, Renati afferma: «…per li miei gravissimi peccati, fui dalla medesima licenziato in carta
alli 3 del mese d’Agosto 1762, in modo che mi fu bensì onore detta licenza, ma però vivamente sento e sentirò sensibilmente tal per me inconsolabile perdita; convien però rasegnarsi ai
divini ed altretanto giustissimi voleri». ASUd, Casa di Carità, b. 7 (colto II), Testamento, 22
ottobre 1765, p. 2.
46
Cfr. ASR, b. 49, fasc. 4, Ingiunzione al Renati di dismettere l’abito della Congregazione,
21 marzo 1763.
47
Cfr. D C, Guglielmo Biasutti, cit., p. 28.
45
99
le autorità cittadine, che gli assicurarono il loro sostegno. Ricordo ad esempio
che il 14 settembre 1762 il Magistrato de’ Conservatori ed Esecutori delle
Leggi, su invito del Senato veneziano, dispose che tutti i notai della Patria del
Friuli raccomandassero ai testatori di beneficiare fra le altre opere pie anche la
Casa di Carità 48, e l’11 ottobre 1762 Nicolò Contarini, luogotenente generale
della Patria del Friuli 49, rese pubblico tale decreto 50. Quando nel 1763 venne
eletto doge l’ex luogotenente Alvise Mocenigo 51 e Udine, come le altre città
di terraferma, a dimostrazione della propria fedeltà alla Repubblica, stanziò
200 ducati per festeggiare l’evento con fuochi d’artificio, Renati ottenne dal
doge che quella somma fosse invece devoluta a favore della Casa di Carità 52.
Lo stesso anno il Mocenigo concesse ai parroci di raccomandare alla pietà
dei fedeli l’istituzione 53 che venne pubblicamente patrocinata anche dal Gradenigo 54. Quindi, l’anno seguente, il 22 settembre 1764, il governo veneto
concedeva alla Casa il privilegio di essere esentata dal pagamento della tassa
del 5% sui legati, le donazioni e le eredità. Infine, una ducale del 26 settembre
1765 permise di impiegare la metà della somma, costituita dagli utili del 4%
sui pegni del Monte di Pietà, nel proseguimento della fabbrica dell’istituto 55.
Con testamento del 22 ottobre 1765 il Renati si preoccupò di provvedere
alla continuazione della sua opera:
48
Cfr. BCUd, ACA, ms. III. XXX, 14 settembre 1762, c. 11r Casa della Carità.
Nicolò Contarini ricoprì la carica di luogotenente generale della Patria del Friuli dal
16 settembre 1762 al 31 marzo 1764. Nella Relazione di fine mandato, presentata al Senato
il 4 aprile 1764, si legge: «Benché sia ancora nel suo nascere, dà ogni modo una favorevole
aspettazione anco la nuova Casa d’Albergo agli Orfanelli per l’attenzione, e fervore del suo
fondatore Giuseppe Filippo Renati, dalla publica insigne pietà meritamente animato con
varii speciosi decreti a suo favor segnati. Oltre l’impegno di farli nudrire, et istruire nelle
massime di religione, studia parimenti d’incaminarli in quelle arti, cui meglio inclinano,
onde così ridurli un giorno a grado di dar stato a se stessi, e rendersi proficui, ed utili alla
nazione. Deve sperarsi che ad opera tanto lodevole, e sostenuta dal benemerito auttore con
zelo, e sacrifizio del proprio patrimonio, non sia per mancare la benedizione del cielo, onde
felicitare li suoi progressi». Cfr. Relazioni dei Rettori Veneti in terraferma, a cura di Amelio
Tagliaferri, 14 v., Milano, A. Giuffrè, 1973-1979, I, pp. 391-399; A D F,
Diario Udinese (1740-1800), a cura di Giovanni Comelli, Udine, 1986, pp. 91-92.
50
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 11 ottobre 1762, cc. 38r e v Casa della Carità.
51
Alvise IV Mocenigo nacque il 19 maggio 1701 da Alvise e Paolina Badoer. Fu eletto
doge il 19 aprile 1763 e morì il 31 dicembre 1778. Cfr. R, I dogi, cit., pp. 441-446.
52
Cfr. BCUd, ACA, Acta, t. LXXXV, 23 giugno 1763, cc. 232r-v Casa della Carità.
53
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 1 giugno 1763, c. 39r Casa della Carità.
54
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, In Udine, per Giovanni Battista Murero stampator arcivescovile, 8 luglio 1763 Casa della Carità.
55
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 26 settembre 1765, c. 43r Casa della Carità.
49
100
Istituisco comissaria esecutrice della presente mia irrevocabile disposizione
testamentaria quest’illustrissima Città e direttrice perpetuamente del nascente
Pio Luoco della Carità degl’orfani ed orfanelle della Città e Patria, comprendendosi anco tutti quelli di questa Diocesi, con egual facoltà e privileggio che
ho avuto io in vita sopra il medesimo, ad oggetto che, con amore materno,
carità e vantaggio, abbia ad impiegarsi in profitto spirituale e temporale d’esso
nascente Pio Luoco 56.
Con queste parole il fondatore affidava la tutela e la gestione della Casa
di Carità alle autorità della città, in quanto egli era fermamente convinto
della necessità che la gestione della Casa dovesse essere riservata all’autorità
laica, senza alcuna ingerenza da parte di quella ecclesiastica, cui era invece
demandata la direzione spirituale 57.
In questo modo egli voleva evitare contrasti tra le due autorità. Infatti,
se a partire dalla seconda metà del Cinquecento l’assistenza era divenuta man
mano prerogativa delle Comunità cittadine, la Chiesa e gli enti religiosi, in
ottemperanza alle disposizioni del Concilio di Trento, continuarono a svolgere
un ruolo fondamentale, ai vescovi era addirittura affidata la sovrintendenza
all’amministrazione degli ospedali e tale circostanza provocò notevoli contrasti
tra le autorità pubbliche e quelle ecclesiastiche 58.
L’altra preoccupazione del Renati fu di fornire la Pia Casa di un regolamento, che venne accolto dal Consiglio con alcune modifiche 59. Ai sensi di
tali norme, i fanciulli e le fanciulle orfane dovevano avere un’età compresa tra
i 5 e i 10 anni, ovvero «essere ancora nell’innocenza della fanciullezza ed abili
al lavoro». Le fanciulle non avrebbero potuto abbandonare l’istituto prima
dei diciotto anni e comunque il loro destino era di sposarsi, o di trovare un
impiego come domestiche presso una famiglia di «sani principi morali» 60. I
maschi, affidati alle cure di un rettore di costumi integerrimi e celibe, dovevano ottenere il permesso dei presidenti per andare a bottega come garzoni e
comunque non potevano lasciare l’istituto prima di aver compiuto i 18 anni 61.
Se alcune orfanelle si fossero dimostrate inclini al mestiere di maestra, si sarebbe dovuto trattenerle a servizio dell’orfanotrofio, anche se avessero superato
56
Cfr. ASUd, Casa di Carità, b. 7 (colto II), Testamento, 22 ottobre 1765, cc. 5-7.
Cfr. ASR, b. 49, fasc. 4, Testamento, 26 maggio 1762, c. 4r e v; V M,
Sulla trasformazione dell’Orfanotrofio Renati. Memoria per la Presidenza del pio istituto, Udine,
premiata Tipografia Fratelli Tosolini, 1906, p. 10.
58
Cfr. D C, Guglielmo Biasutti, cit., p. 19.
59
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 1765, cc. 46r-49r Casa della Carità.
60
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 1765, c. 48v Casa della Carità.
61
Cfr. Idem.
57
101
il suddetto limite di età. Maschi e femmine avrebbero trascorso negli studi
i primi cinque anni di permanenza nella Casa, mentre durante i successivi
cinque avrebbero lavorato a vantaggio dell’istituzione, per rifondere le spese
da essa sostenute durante la loro educazione, un impegno che il filantropo
riassunse nel motto: «La mano al lavoro, il cuore a Dio». Egli desiderava che
la giornata fosse scandita da una rigida suddivisione del tempo e tutti, senza
distinzione di età e di sesso, dovevano lavorare tredici ore al giorno, otto ore
erano destinate al sonno, due al vitto e al riposo, infine una al culto 62. Il senso
di frugalità, che egli aveva appreso grazie alla lunga permanenza nell’Ordine
dei Filippini, si ritrova anche nelle disposizioni concernenti la conduzione
dell’istituto, contenute in un documento redatto dopo la sua morte:
S’avertisce però che il trattamento di questa povera comunità sarà frugalissimo: pel vitto, cioè pan di mistura, menestra col lardo, pochissima pietanza e
acquarolo; per vestito, canapa per l’estate e mezza lana per l’inverno, canapa
anco e stoppa per la mobilia 63.
Nel 1765 il Consiglio della città di Udine nominò i primi sei presidenti,
quattro provenienti dall’ordine nobiliare e due da quello popolare, che sarebbero durati in carica per tre anni 64, mentre il confessore veniva nominato
dall’arcivescovo fra uno dei cappellani dell’istituto 65, che erano scelti dal Renati
e, dopo la sua morte, sarebbero stati nominati dai presidenti 66.
La morte del Renati, avvenuta il 25 novembre 1767, non costituì un
evento traumatico per la gestione dell’orfanotrofio, poiché i presidenti rispettarono le sue volontà, continuando sostanzialmente la stessa politica, come
attesta una lettera inviata il 9 dicembre 1767 a Bernardo Valier per dimostrare
la loro riconoscenza nei confronti del senatore veneziano:
La seguita mancanza a’ vivi del benemerito pio fondatore di questa Casa di
Carità, don Giuseppe Filippo Renati, ci obbliga a presentarci a vostra eccellenza
per adempiere l’ultima volontà del defonto religioso, non meno che per raccomandare umilmente alla continuazione del generoso suo patrocinio la pietosa
Fondazione predetta. Al primo dovere soddisfaciamo, supplicando umilmente
62
Cfr. V, Giuseppe Filippo Renati, cit., pp. 122-123.
ASUd, Casa di Carità, b. 17 (colto XIV), Memoriale [dopo il 25 novembre 1767], c.
256r e v.
64
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 1765, c. 46r Casa della Carità.
65
Cfr. ASUd, Casa di Carità, b. 7 (colto II), Testamento, 22 ottobre 1765, cc. 8-9.
66
Cfr. BCUd, ACA, ms. CCCC. XLV, 1765, c. 47v Casa della Carità.
63
102
l’eccellenza vostra a degnarsi di gradire sei bottiglie di piccolito ed un presciutto,
che il religioso medesimo ci ha caricati di presentarle 67.
Negli anni successivi il regolamento venne adeguato alle necessità della
conduzione dell’istituto, come avvenne il 13 settembre 1776, quando i sei
presidenti 68 concepirono un Piano Distributivo. Esso prevedeva che, dei sei
presidenti, tre fossero nominati dalla Convocazione della città ogni tre anni
e durassero in carica sei anni ciascuno, cosicché quelli creati per primi avrebbero istruito i successivi, che li avrebbero affiancati. In ordine di età, uno
dei presidenti avrebbe dovuto visitare ogni giorno la Pia Casa, nel corso di
un intero mese, per vigilare sulla disciplina dei suoi ospiti e riferire in merito
ai propri colleghi al termine del periodo. Così ognuno avrebbe svolto tale
incarico per due mesi all’anno. Inoltre ciascun presidente avrebbe ricoperto
una diversa funzione: uno si sarebbe occupato degli affari legali, uno delle
questioni relative all’edilizia, uno dell’economia, uno dell’archivio e del catastico, uno avrebbe svolto la mansione di cassiere, infine uno avrebbe avuto la
sovrintendenza sui mestieri ai quali venivano avviati gli orfani. Un direttore
degli orfani maschi, alle dipendenze del presidente di turno, avrebbe riscosso
le rendite, ricevuto le elemosine e provvisto al vitto e al vestiario degli ospiti.
Una direttrice delle orfanelle avrebbe svolto funzioni analoghe e avrebbe
avuto anche l’incarico di custodire gli arredi della chiesa della Madonna della
Carità 69. Ad integrazione delle norme precedenti, il 27 marzo 1781, la Convocazione della città approvò un altro regolamento. Esso stabiliva che ogni
tre anni i presidenti avrebbero nominato una delle maestre come direttrice,
con il compito di vigilare sul rispetto delle regole, di riscuotere le rendite
e utilizzarle per il frugale mantenimento delle maestre. Ella doveva anche
occuparsi della contabilità, tenendo due registri, uno per annotare le entrate
e le uscite, l’altro per tener conto dei guadagni ottenuti dalle fanciulle con
il loro lavoro che, in ottemperanza alle volontà del Renati, consisteva nella
lavorazione della seta 70. Inoltre la direttrice avrebbe proposto alla Presidenza
l’ammissione di nuove maestre, che dovevano essere in possesso dei seguenti
requisiti: essere figlie legittime, non avere più di trent’anni, portare con sé il
67
BCUd, ACA, ms. CCCC.XLV, 9 dicembre 1767, c. 27r Casa della Carità.
Essi erano il conte Giuseppe Gallici, il dottor Tommaso Gabrielli, il conte Antonio
Dragoni, Bartolomeo Moroldi, Francesco del Dose e Mattia Pettoello.
69
Cfr. ASUd, Casa di Carità, b. 17 (colto XIV), Piano Distributivo, 13 settembre 1776,
cc. 257r-259v.
70
Cfr. BCUd, ACA, Annales, t. CXXIII, 27 marzo 1781, cc. 139r-143v Casa della
Carità.
68
103
vestiario e i mobili per uso personale, infine consegnare all’istituto 400 ducati
una tantum, che sarebbero stati investiti nel Monte di Pietà.
Il Renati si dimostrò davvero lungimirante quando stabilì che l’istituto
fosse amministrato da autorità laiche. Infatti, quando nel 1766 la Serenissima,
in linea con la tradizionale politica di controllo sulla gestione degli enti religiosi
che operavano nel settore caritativo-assistenziale, istituì la Deputazione Ad
Pias Causas, che stabiliva il divieto di compravendita delle opere pie, chiese e
conventi, con eslcusione degli enti che erano espressione della pubblica pietà
e decideva il trasferimento a corpi laici dell’amministrazione delle rendite di
queste istituzioni 71, la Casa di Carità, essendo soggetta a una direzione laica,
non ricadde sotto tale provvedimento legislativo. Così l’orfanotrofio venne
diretto dalla Presidenza nominata dalle autorità cittadine fino al 1807, quando
la gestione degli istituti di beneficenza, secondo quanto disposto dal governo
del Regno d’Italia, passò sotto l’amministrazione della Congregazione di
Carità dipendente direttamente dal Ministero degli Interni. In tal modo si
intendeva sostituire alla carità privata la carità ufficiale, posta sotto il controllo
dello Stato, secondo un preciso piano di modernizzazione e razionalizzazione
amministrativa delle opere pie. Un provvedimento che fu fortemente avversato
dalle autorità ecclesiastiche, poiché, nonostante le Congregazioni prevedessero
la presenza del vescovo o del parroco in ottemperanza al Concordato stipulato
il 16 settembre 1803 tra la Santa Sede e le autorità francesi, in realtà esse
costituivano degli organismi laici, che limitavano notevolmente l’influenza
ecclesiastica nel settore dell’assistenza pubblica. A Udine il provvedimento
interessò alcune istituzioni gestite direttamente dalla città o poste sotto la sua
vigilanza, quali il Monte di Pietà, l’Ospedale di S. Maria della Misericordia,
la Casa di Carità e la Casa delle Convertite 72.
Dopo la caduta del Regno Italico, il governo asburgico mantenne in
funzione le Congregazioni di Carità fino al 28 giugno 1821, quando esse
vennero soppresse in base alle Istruzioni e norme provvisorie per la nuova sistemazione degli istituti di beneficenza e furono istituite le Commissioni centrali
71
Sull’argomento cfr. L C, Carità e beneficenza a Udine nel Settecento: l’organizzazione pubblica, in Arti e società in Friuli al tempo di Bartolomeo Cordans, a cura
di Maurizio d’Arcano Grattoni, Udine, Forum, 2007, pp. 105-113.
72
Sulle vicende della Casa di Carità durante il Regno d’Italia le fonti a livello locale
sono alquanto scarse, a causa della dispersione dell’intero archivio della Congregazione. Sulla
Congregazione di Carità cfr. C Z, L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, in
Storia d’Italia, a cura di Giuseppe Galasso, 25 v., Torino, UTET, 1978-1989, XVIII, 1, 1986,
pp. 434-436; L C, Il Monte di Pietà di Udine tra assistenza, beneficenza e
credito (1496-1942), Udine, Forum, 1996, pp. 56-57.
104
di beneficenza con sede nel capoluogo provinciale, allo scopo di organizzare le
istituzioni assistenziali, in collaborazione anche con le strutture ecclesiastiche,
ma sotto il controllo dei prefetti. Secondo la nuova normativa, la dirigenza
della Casa di Carità venne assunta da un direttore con compiti istituzionali
e da un amministratore con funzioni economiche e burocratiche, nominati
dalla Commissione provinciale, su proposta del Consiglio comunale 73. In
seguito i direttori redassero un nuovo Piano disciplinale economico, che venne
approvato soltanto il 23 febbraio 1838 74.
In seguito all’unificazione italiana la direzione della Casa di Carità ritornò
alla Città di Udine. Il 3 agosto 1862 venne promulgata la legge Rattazzi sulle
opere pie, applicata in Friuli il 28 luglio 1867, che comprendeva tutti gli enti
di beneficienza e quindi gli istituti per l’infanzia abbandonata, fra i quali
rientrava il Renati. La legge prevedeva l’istituzione in ogni Comune di una
Congregazione di Carità scelta direttamente dal Consiglio comunale. Così il
Renati divenne un ente morale, munito di un Consiglio di amministrazione
di nomina comunale, che nel 1875 redasse un nuovo Statuto organico. Il
Consiglio comunale riacquisiva finalmente il ruolo di tutore nei confronti
dell’orfanotrofio 75.
Il Novecento apportò ulteriori mutamenti. Nel 1925 il Renati divenne a Udine uno degli interlocutori privilegiati dell’Opera Nazionale per la
Protezione della Maternità e dell’Infanzia (ONMI), istituita con legge del 10
dicembre 1925, quindi l’anno seguente, l’orfanotrofio divenne socio dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), eretta in ente morale con legge del 3 aprile
1926, e gli alunni furono iscritti fra le fila dei balilla e degli avanguardisti 76.
Nel secondo dopoguerra l’istituto tornò faticosamente all’ordinaria
amminstrazione. In seguito, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni
Duemila, in particolare dopo l’insediamento di un nuovo Consiglio di amministrazione, avvenuto nel 2002 e presieduto dal professor Fabio Illusi, venne
avviato un sostanziale risanamento e rinnovamento edilizio, accompagnato
da una significativa svolta nella gestione dell’istituzione. Nel 2008 essa vide
73
Cfr. C, Il Monte di Pietà, cit., p. 58.
Cfr. Piano disciplinale economico della Secolar Casa di Carità della regia Città di Udine, compilato a tenore delle istruzioni 30 dicembre 1824...approvato dall’eccelso Imperial Regio
Governo con ossequiato Decreto 23 febbrajo 1838, N. 6240-188, Udine, 1838.
75
Cfr. A C, L’Istituto in epoca postunitaria, in «Per promuovere, incaminare, provedere», cit., pp. 97-139: 98-99.
76
Cfr. C, L’Istituto nell’Italia fascista, in «Per promuovere, incaminare, provedere», cit., pp. 143-169: 143-146.
74
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Inaugurazione dei locali della mensa e dell’asilo nido (Fondazione Renati, Archivio fotografico).
un’importante trasformazione giuridica, con il passaggio da Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB) a Fondazione di diritto privato, che
garantisce il raccordo con il Comune di Udine 77.
Questa storica e fondamentale istituzione della città di Udine, frutto
della felice sintesi tra un innegabile afflato spirituale e un forte impegno civile,
che avevano contraddistinto la personalità del Renati, è anche il frutto di
una fedele e intelligente gestione durante i secoli, cui dobbiamo essere tutti
profondamente grati, come quegli antichi discepoli del Renati che, il giorno
dell’inaugurazione della nuova fabbrica, si sono affollati intorno al professor
Illusi orgogliosi di esserne stati alunni.
77
Cfr. C V, L’Istituto in epoca contemporanea, in «Per promuovere, incaminare, provedere», cit., pp. 173-183: 176-180.
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