GIUSEPPE FEOLA
IL MOTO FANTASTICO-PERCETTIVO
SECONDO ARISTOTELE
ABSTRACT: In this essay I will propose an analysis of Aristotle’s concept of kinesis
aisthetike/phantastike. I have collected many short pieces of evidence that can be detected
in Aristotle’s psychological corpus about this topic, in order to understand if Aristotle,
when he speaks about kinesis, has in mind a coherent theory. My conclusion is that he had
such a theory (although never clearly expounded by Aristotle himself) that can be
expounded in a systematic way, which is what I try to do in the last section of the paper.
SOMMARIO:
Nell’articolo, proporrò un’analisi del concetto aristotelico di kinesis
aisthetike/phantastike. Ho cercato di raccogliere le numerose e sparse affermazioni di
Aristotele su questo tema, allo scopo di capire se Aristotele, quando parla di tale kinesis,
fonda o meno il proprio discorso su una teoria coerente. La mia conclusione è che tale
teoria può essere ricostruita ed esposta in maniera sistematica: ed è precisamente questo
che tento di fare nel mio contributo.
KEYWORDS: Aristotle; Soul; Perception; Phantasia; Sense-organs
1. L’atto di sensazione come ‘moto’
In vari luoghi del corpus di Aristotele troviamo la parola κίνησις (‘moto’,
‘movimento’) usata per caratterizzare l’alteratio perfectiva in cui consiste
l’atto di sensazione o percezione,1 o anche per indicare il perpetuarsi di tale
1
Uso queste due parole come tra loro indifferenti, visto che in greco antico non
esisteva la distinzione lessicale presente nelle lingue moderne.
ARTICLES - LPh 3, 2015
ISSN 2283-7833
http://lexicon.cnr.it/
Giuseppe Feola
alterazione all’interno del corpo senziente dopo che l’atto di sensazione è
cessato, cioè la φαντασία.2
Ciò è facilmente comprensibile, se solo osserviamo che tutta la teoria
di Aristotele sulla sensazione, e dunque sulla φαντασία, si fonda
sull’estensione a essa del concetto di ‘moto’: l’atto di sensazione è una
forma particolare di alterazione (cfr. ἀλλοίωσίς τις, De an. Β 5, 416b34), e
l’alterazione è a sua volta una delle specie del moto (Phys. Β 1, 192b15);
quindi l’atto di sensazione sarà automaticamente inscritto nel genere
‘moto’.3 Si spiegano così usi linguistici come quello di Phys. Θ 2, 253a19,4
Sens. 6, 446a21,5 Sens. 7, 447a14,6 Mem. 2, 451b11,7 Insomn. 3, 460b2728,8 Div. Somn. 1, 463a8.9
I moti sensori o percettivi, i quali, per dar luogo a un atto cognitivo,
devono giungere all’organo sensorio centrale (che per Aristotele è il
2
La φαντασία è infatti “moto generato dalla sensazione in atto” (De an. Γ 3, 429a1-2:
κίνησις ὑπὸ τῆς αἰσθήσεως τῆς κατ᾿ ἐνέργειαν γιγνομένη). Tutte le citazioni e menzioni dal
De anima, ove non altrimenti indicato, si riferiscono all’edizione di W.D. Ross, Aristotle.
De anima, Edited with Introduction and Commentary, Oxford, Clarendon Press, 1961;
quelle dai Parva naturalia, a W.D. Ross, Aristotle. Parva naturalia, A Revised Text with
Introduction and Commentary, Oxford, Clarendon Press, 1955. Ove non altrimenti
indicato, tutte le traduzioni dal greco sono mie.
3
P.-M. Morel, “Perception et divination chez Aristote. Images oniriques et moteurs
éloignés”, Antiquorum philosophia, 5, 2011, p. 31-49, giustamente scrive, riferendosi alla
definizione della φαντασία, che essa è giustificata da Aristotele mediante un appello al
principio generale della transitività della causalità efficiente che “est à la base de
l’explication du mouvement des projectiles. […] Il est dès lors clair qu’Aristote souscrit à la
définition et qu’il parle ici de mouvement physique. Il n’y a donc ni distance ni
connotation métaforique dans l’application du principe de causalité transitive au cas de la
phantasia” (p. 33).
4
αἰσθητικῆς […] οὐδεμιᾶς ἐνούης κινήσεως: “senza che sia presente alcun moto
percettivo” (W.D. Ross, ΑΡΙΣΤΟΤΕΛΟΥΣ ΦΥΣΙΚΗ ΑΚΡΟΑΣΙΣ. Aristotle’s Physics,
Oxford, Clarendon Press, 1936, 1998).
5
αἰ κινήσεις αἰ ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν: “i moti che [provengono] dai sensibili [esterni]”.
6
ἀεἰ ἡ μείζων κίνησις τὴν ἐλάττω ἐκκρούει: “sempre il moto [sensibile] maggiore
ottunde il minore”.
7
συμβαίνουσι δ᾿ ἀναμνήσεις ἐπειδὴ πέφυκεν ἡ κίνησις ἥδε γενέσθαι μετά τήνδε: “gli atti
di reminiscenza hanno luogo perché è nella natura del tale moto il venir all’essere dopo il
tal altro [moto]” (si riferisce al fatto che nell’atto di reminiscenza l’ordine in cui si
succedono i moti fantastici tende a riprodurre quello delle sensazioni da cui si
originarono). Cfr. anche ibid., 453b2.
8
αἱ κινήσεις αἱ ἀπὸ τῶν αἰσθημάτων γιγνόμεναι: “i moti che si generano dagli stati
sensori”.
9
αἱ γὰρ μεθ᾿ ἡμέραν γινόμεναι κινήσεις: “i moti che si generano di giorno [i.e. durante
la veglia]”.
24
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
cuore),10 possono originarsi direttamente da entità sensibili presenti nel
mondo esterno (come avviene p. es. nella sensazione di colori o di suoni), la
cui azione modifica in certi determinati modi i nostri organi di senso;
oppure possono originarsi dal permanere, perpetuarsi, ricombinarsi,
all’interno del nostro corpo, di moti percettivi risalenti ad esercizi di
sensazione ormai trascorsi.11 Alla luce di Div. Somn. 1, 464a16-17, dove si
fa menzione esplicita di moti esterni e moti interni come di moti tra loro
omogenei (qui Aristotele ipotizza infatti una capacità, da parte di chi
dorme, di avvertire stimoli sensibili presenti nell’ambiente, avvalendosi
come argomento analogico del fatto comprovato che chi dorme può
avvertire moti sensibili provenienti dal corpo), sarà forse chiara l’utilità di
una tematizzazione di cosa sia, e quali caratteri abbia, per Aristotele, quello
che potremmo chiamare il ‘moto fantastico-percettivo’ in genere,
prescindendo cioè dalla differenza tra moti provenienti dall’ambiente e
moti provenienti dall’interno del corpo senziente, e proponendone una
caratterizzazione unitaria.
Mentre infatti esiste una copiosissima bibliografia su come Aristotele
avrebbe concepito l’atto di sensazione, ed una quasi altrettanto copiosa sul
rapporto tra φαντασία e sensazione, mi sembra che manchi tuttora un
10
Se, secondo Aristotele, i moti percettivi debbano o meno giungere al cuore per dar
luogo a un atto cognitivo, è argomento dibattuto. In questo contributo assumerò, senza
pretendere di poterla giustificare in uno spazio così ridotto, la ricostruzione più
generalmente accettata, secondo la quale, perché si abbia sensazione, è necessario che il
moto sensorio giunga all’organo centrale. Sul tema, cfr. C. Kahn, “Sensation and
Consciousness in Aristotle’s Psychology”, Archiv für Geschichte der Philosophie, 48, 1966,
p. 43-81 (poi in J. Barnes-M. Schofield-R. Sorabji (eds.), Articles on Aristotle, 4. Psychology
and Aesthetics, London, Duckworth, 1979, p. 1-31); W.W. Fortenbaugh, “A Note on De
Anima 412b19-20”, Phronesis, 13, 1968, p. 88-89; J. Ward, “Perception and λόγος in De
Anima II 12”, Ancient Philosophy, 8, 1988, p. 217-233; I. Block, “Aristotle on the
Common Sense: A Reply to Kahn and Others”, Ancient Philosophy, 8, 1988, p. 235-249;
R. Sorabji, “Intentionality and Physiological Processes: Aristotle’s Theory of SensePerception”, in M.C. Nussbaum-A. Oksenberg Rorty (eds.), Essays on Aristotle’s De
Anima, Oxford, Clarendon Press, 1992, p. 195-225; C. Rapp, “Intentionalität und
Phantasia bei Aristoteles”, in D. Perler (ed.), Ancient and Medieval Theories of
Intentionality, Leiden-Boston-Köln, Brill, 2001, p. 63-95.
11
Cfr. Insomn. 3, 461a8-12: δεῖ δὲ ὑπολαβεῖν ὥσπερ τὰς μικρὰς δίνας τὰς ἐν τοῖς
ποταμοῖς γινομένας, οὕτω τὴν κίνησιν ἑκάστην γίνεσθαι συνηχῶς πολλάκις μὲν ὁμοίως, πολλάκις
δὲ διαλυομένας εἰς ἄλλα σχήματα διὰ τὴν ἀντίκρουσιν (“si deve supporre che, come i piccoli
vortici che hanno luogo nei fiumi, così ciascun moto [fantastico] ha luogo continuamente
[i.e. è in divenire continuo], spesso ugualmente [a com’è all’inizio], spesso invece
sciogliendosi in altre forme a causa degli ostacoli”).
25
Giuseppe Feola
tentativo di mettere a fuoco i molti spunti che possiamo reperire nel corpus
sui caratteri del moto fantastico-percettivo in quanto – appunto – moto,
ovvero in quanto processo che si svolge nel corpo, a partire dal momento in
cui il sensibile esterno ha agito, tramite il mezzo (p. es. l’aria) e il sensorio
esterno (p. es. la pupilla), sul sensorio centrale (il cuore) fino al momento in
cui si riattiverà sotto forma di φαντασία.
Mi sembra, cioè, che si sia prestata relativamente poca attenzione al
tipo di identità che Aristotele attribuisce all’ente che (a suo avviso) deve
pur continuare a esistere, sia pur come temporaneamente inattivo, perché si
dia ragione di un punto fondamentale della teoria: cioè della continuità tra
la visione che in passato ho avuto di un qualcosa di rosso nel mondo
esterno (p. es. il rosso dei capelli di una persona) e il riuso che il mio sistema
cognitivo farà di quel dato, vuoi durante un sogno (un caso che per
Aristotele è un atto di φαντασία), in cui quel colore rosso riapparirà magari
in un contesto del tutto diverso, vuoi durante la veglia, nell’esercizio della
sensazione per accidens, nel momento in cui ad esempio riconoscerò quella
persona, vedendola da lontano, proprio grazie al confronto tra la visione
attuale del colore dei suoi capelli e le volte precedenti in cui ho visto i suoi
capelli.12
In questo contributo, perciò, invece di concentrarmi sul rapporto tra
sensazione e mondo esterno, o sul rapporto tra sensazione e φαντασία, mi
porrò il seguente problema: quale tipo di esistenza Aristotele attribuiva al
moto sensorio dopo che la sensazione originaria è già avvenuta?
2. Lo status fisiologico e psicologico del moto percettivo
Cominciamo col notare che Somn. Vig. 1, 454a2-4, pone una stretta
correlazione tra vegliare e percepire:
τὸν δὲ αἰσθανόμενον ἐγρηγορέναι νομίζομεν, καὶ τὸν ἐγρηγορότα πάντα ἢ τῶν ἔξωθέν
τινος αὶσθάνεσθαι ἢ τῶν ἐν αὑτῷ κινήσεων.
riteniamo che chi percepisca vegli, e che ogni individuo sveglio percepisca o qualcuno
dei moti [provenienti] dall’esterno o [qualcuno dei moti] in lui stesso [insiti].
Vegliare è essere senziente in atto; e il fatto di essere senziente in atto
consiste nel ‘subire’ l’azione di moti sensibili k dovuti a (e provenienti da)
12
Torno su questo tema più avanti: cfr. infra, n. 23.
26
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
qualità sensibili di oggetti esterni, o da stati del nostro corpo. Gli stati
fisiologici assunti dal sistema sensorio sotto la stimolazione delle qualità
sensibili sono da Aristotele chiamati αἰσθήματα.
Sembra quindi di poter estrapolare la seguente caratterizzazione di
‘moto sensibile o percettivo’ (e con questo siamo finalmente arrivati al
punto principale del discorso): un processo fisiologico che ha luogo nel mio
corpo conta per me come moto sensibile k se (e solo se) k è tale che,
nell’arrivare al mio organo sensorio centrale, vi induce uno qualunque degli
stati fisiologici che possono contare come αἰσθήματα. Gli αἰσθήματα sono,
come si è detto, le qualificazioni che l’organo di senso centrale assume per
l’azione su di esso delle proprietà sensibili dell’ambiente, tramite gli organi
di senso esterni:13 il qualificarsi del sensorio centrale, l’alterazione cui esso
soggiace nell’assumere l’αἴσθημα o φάντασμα, ovvero (il che è lo stesso) il
passaggio dell’αἴσθημα o φάντασμα dalla potenza all’atto, è, per l’appunto, il
moto percettivo.
Si noti che, nella caratterizzazione che ho appena fornito, la
definizione di moto sensibile dipenderà da quella di αἴσθημα (il moto
risulterà cioè definito in base al suo terminus ad quem, come per altro
richiesto dalla più generale teoria aristotelica sull’alterazione come moto),14
e questa dipenderà a sua volta da quella di azione delle proprietà sensibili
esterne sul sensorio centrale. Ciò è proprio quel che ci aspettiamo, visto che
la teoria aristotelica enfatizza l’aspetto intenzionale della sensazione, il suo
essere una relazione dinamica (κίνησις) tra l’interno dell’animale e
l’ambiente, tramite i sensori esterni.
La capacità di assumere stati fisiologici che contano come αἰσθήματα
consiste per Aristotele in una ‘medietà’ (μεσότης, cfr. De an. Γ 13, 435a2113
D. Modrak, Aristotle. The Power of Perception, Chicago & London, The University
of Chicago Press, 1989, p. 33, chiama qui in causa il concetto di ‘rappresentazione’:
“Representation is the depiction or description of objects and states of affairs involved in
perception, memory, dreams and thoughts. Sensory representation is the depiction of
objects or states of affairs through the use of sensible characters (colors, sounds, flavors,
etc.). Sensible characters are properties that physical objects possess in relation to
percipient beings”. Ritengo senz’altro utile considerare gli αἰσθήματα e i φαντάσματα come
rappresentazioni; ma caratterizzare a sua volta la rappresentazione, nell’ambito della teoria
aristotelica, come ‘depction’ o ‘description’, chiamando in causa, rispettivamente, una
metafora pittorica che sarebbe appropriata (se mai) solo al senso della vista e un’altra
metafora tratta dalla sfera linguistica, mi sembra poco informativo.
14
Qualunque tipo di mutamento (μεταβάλλειν) è definito dai suoi estremi: cfr. il
modo in cui sono categorizzati i tipi di mutamento in Phys. Ε 1, 225b5 ss.
27
Giuseppe Feola
22): vale a dire nel fatto che l’organo di senso gode di una condizione
‘intermedia’, neutra rispetto alla realizzazione fisiologica di ogni possibile
stato cognitivo. La realizzazione fisica della medietà dipenderà dalla natura
di quella parte omeomera che è il sensorio centrale.15
Il cardine della teoria è che l’animale sente qualunque cosa agisca sul
cuore in modo da stimolare la medietà sensoria. La φύσις dell’animale
determina a priori l’insieme delle possibili stimolazioni (k) cui il sensorio
centrale può reagire secondo la medietà: a seconda di ciò che ora stimola i
sensori esterni, viene attualizzata questa o quella tra le possibili k
elementari; k a sua volta provoca, nel cuore, lo stato (αἴσθημα) che, nella
‘scala’ di tutte le possibili deviazioni dalla μεσότης, corrisponde alla qualità
del mondo esterno (colore, odore ecc.) che ora sta causando k.
Per chi (vuoi un essere umano, vuoi un animale di un’altra specie) è
dotato di un organo centrale di senso conformato secondo la medietà, l’atto
di sentire consiste nel subire l’azione di un moto sensibile k proveniente da
un oggetto esterno, attraverso il mezzo esterno, oppure dalle profondità del
nostro corpo, attraverso il sangue.
Se questo processo non è disturbato né impedito, la catena causale che
darà luogo all’αἴσθημα avrà un unico anello che è lecito chiamare in causa
per spiegare come mai, tra tutte le possibili deviazioni dalla μεσότης, se ne è
attualizzata, ora, proprio una piuttosto che un’altra qualsiasi: vi sarà
dunque un solo fattore nell’ambiente esterno cui l’αἴσθημα elementare
corrisponde. Se tale fattore causale è una qualità di un corpo esterno, ecco
che tale qualità è precisamente il sensibile sentito tramite k. Se invece non
c’è alcun corpo esterno, o alcun insieme di corpi esterni, che abbia agito sui
sensori e che spieghi k univocamente, l’unica cosa che sentiamo è k stesso, o
meglio lo stato cui k dà luogo.16
La teoria che sto attribuendo ad Aristotele è una teoria causalista della
sensazione: il moto percettivo k, giungendo al sensorio centrale e
qualificandolo in un dato modo, veicola l’informazione su ciò che,
15
Per i sensori come parti omeomere, cfr. PA Β 1, 647a5-8. Per il cuore come
partecipe sia della natura delle parti omeomere sia di quella delle parti anomeomere, cfr.
HA Γ 3, 513a24 (il cuore è una parte delle vene) unitamente a PA Β 2, 647b10-17 (le vene
enumerate tra le parti omeomere).
16
E in tal caso k non è sensazione ma φαντασία; e lo stato cognitivo cui dà luogo è un
φάντασμα.
28
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
chiamato in causa, spiega univocamente sia k stesso sia lo stato – una
qualità – che il sensorio assume a seguito di k;17 e il fatto che k veicoli tale
informazione è identico al fatto che k sia causato da quel tale fattore causale
nell’ambiente. Un k verace è definito dal sensibile esterno da cui è stato
causato e dall’αἴσθημα cui dà luogo, il quale, per ipotesi (trattandosi qui di
una sensazione vera), corrisponde al sensibile esterno; un k fallace, invece,
non ha cause esterne proprie: esso è definito solo dal φάντασμα prodotto (il
corrispettivo fallace dell’αἴσθημα) e dall’oggetto intenzionale che veicola.
In base a questa nozione di ‘impulso sensorio’, nozione comune a
sensazioni e φαντασίαι, Aristotele può trattare dell’interazione tra
αἰσθήματα e φαντάσματα come di un’interazione tra entità omogenee,18 pur
senza smarrire la distinzione già tracciata tra impulsi esterni e interni.19 Il
sonno impedisce quel tipo di sensazione che più propriamente è tale (cfr.
Insomn. 1, 459a9-10), ma non impedisce ogni atto sensorio; inoltre,
garante dell’omogeneità tra φαντασίαι notturne e diurne è p. es. il φάντασμα
di chi passa direttamente dallo svenimento al sonno.20 I φαντάσματα della
veglia fungono dunque, in questa teoria, da anello di congiunzione tra
αἰσθήματα e sogni:
17
Il fatto che si dia tale stato dipenderà ovviamente sia dalla mia forma (la mia anima
sensitiva, cioè in fin dei conti la medietà sensoria, appunto, quale si realizza in me), la quale
fa sì che io sia in grado di assumere vari stati funzionali (tra cui quello in questione) che
nell’economia dell’organismo fungono da stati percettivi, sia dal sensibile esterno che,
agendo sul mio sistema sensorio, fa sì che io assuma quel particolare stato piuttosto che un
altro. Una volta che la mia forma sia assunta come data (e in caso contrario io nemmeno
esisterei come animale umano), il fatto che io assuma quel dato stato piuttosto che un altro è
spiegato univocamente dall’intervenire di k nel mio sensorio. La struttura logica soggiacente è
di questo tipo: a → (b → c): Il fatto (a) che io abbia una data forma fa sì che il (b) giungere al
sensorio di un dato stimolo susciti in me (c) un dato stato piuttosto che un altro.
18
Somn. Vig. 2, 456a26: “il sogno [l’esempio principe di φάντασμα] infatti è uno
stato percettivo, in certo modo” (τὸ γὰρ ἐνύπνιόν ἐστιν αἴσθημα τρόπον τινά).
19
Ibid., 455a9-10, ἀδύνατον δ᾽ἐστὶν ἁπλῶς ὁποιανοῦν αἴσθησιν αἰσθάνεσθαι τὸ καθεῦδον
ζῷον: “è impossibile che l’animale dormiente percepisca simpliciter con qualsivoglia senso”;
si noti ἁπλῶς: il sentire simpliciter (ricezione di moti provenienti da oggetti esterni) è
distinto da quello possibile anche nel sonno (ricezione di φαντάσματα).
20
Cfr. 456b13-17. Cfr. anche Div. Somn. 1, 463a21-31, per la continuità tra pensieri
vigili e sogni: le φαντασίαι notturne continuano ad avere effetti sugli stati cognitivi della
veglia; e, d’altro canto, i pensieri vigili di quando ci corichiamo proseguono, trasfigurati,
nei nostri sogni.
29
Giuseppe Feola
οὑ μόνον ἐγρηγορότων αἱ ἀπὸ τῶν αἰσθημάτων γινόμεναι τῶν τε θύραθεν καὶ τῶν ἐκ τοῦ
σώματος ἐνουπάρχουσιν, ἀλλὰ καὶ ὅταν γένηται τὸ πάθος τοῦτο ὃ καλεῖται ὕπνος καὶ
μᾶλλον τότε φαίνονται (Insomn. 3, 460b28-32).
I moti discendenti dagli stati percettivi [che giungono] dall’esterno e da quelli [che
giungono] dal corpo insistono [in noi] non solo quando vegliamo ma anche quando
accade l’affezione detta “sonno”, e maggiormente allora si manifestano.
3. La teoria di Aristotele sul moto fantastico-percettivo: uno sguardo d’insieme
Vorrei ora provare a considerare la teoria che attribuisco ad Aristotele nella
sua interezza. Nel seguito del mio contributo cercherò di delineare una
serie di elementi teorici che a mio avviso costituiscono lo scheletro della sua
teoria sul moto fantastico-percettivo.
Sulla natura della φαντασία, in base a quanto risulta da De an. Γ 3 e da
De insomniis, è lecito assumere quanto segue:
(a) la φαντασία è un κριτικόν, una facoltà cognitiva: aver φαντασία
implica essere nel vero o nel falso;21
(b) la φαντασία è qualcosa di ulteriore rispetto alla sensazione: è,
infatti, un moto generato dalla sensazione in atto, che permane nel corpo
anche dopo che l’atto di sensazione è cessato;
(c) φαντασίαι e sensazioni non si distinguono in base a ciò che
esperiamo in esse: non sempre chi esperisce un φάντασμα sa e può
distinguerlo da un αἴσθημα vero e proprio;22
(d) la φαντασία è coinvolta almeno in alcuni casi di percezione dei
sensibili comuni e per accidente;23
21
Cfr. p. es. De an. Γ 3, 428b1-3, dove si menziona la φαντασία falsa relativa alla
dimensione del Sole, e, viceversa, la menzione di φαντασίαι vere in 428b28.
22
Tant’è che nei sogni solo raramente ci accorgiamo di star sognando.
23
In De an. Γ 3, 428a12-15, è menzionato un esempio di percezione incerta di
sensibile per accidens (la visione da lontano di un qualcosa che non si sa se sia o meno un
uomo) per dare un esempio di esercizio della φαντασίαι: se ne può inferire che la φαντασίαι
entra in gioco, almeno talvolta, nell’esercizio delle percezioni dei sensibili per accidens. Lo
stesso si può inferire circa il suo rapporto con le percezioni dei sensibili comuni, visto che
in 428b2-9 l’argomentazione che vuol dimostrare che la φαντασία non è mescolanza di
sensazione e opinione si serve della premessa che la percezione della grandezza apparente
del Sole è un caso di φαντασία, e le percezioni di grandezze sono percezioni di sensibili
comuni.
30
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
(e) la φαντασία non implica λόγος, per lo meno se a λόγος diamo il suo
senso proprio di ‘facoltà razionale’;24 ne consegue che gli stati cognitivi di
cui la φαντασία è responsabile non hanno natura proposizionale;
(f) la φαντασία non implica πίστις (‘fiducia’ razionalmente fondata
nella verità o falsità di una tesi); perciò è diversa dalla δόξα, con la quale può
contrastare: infatti sia la πίστις sia la δόξα richiedono il λόγος, che invece
non è richiesto dalla φαντασία;25
(g) l’αἴσθημα o φάντασμα è una qualità fisica del sensorio centrale, che è
anche uno stato funzionale nell’economia cognitiva dell’organismo;26 k è la
capacità (potenza, δύναμις), di un corpo (un corpo esterno all’animale, o
una parte qualunque dell’ambiente, o ancora una porzione del sangue
dell’animale stesso), di indurre l’αἴσθημα o φάντασμα in un altro corpo (in
un’altra porzione del sangue, contigua alla precedente, o nel sensorio
centrale27); l’αἴσθημα o φάντασμα, infatti – come ogni altra qualità – può
24
Cfr. ibid., 429a6: la φαντασία appartiene anche ad alcuni degli animali non umani,
che non hanno il λόγος.
25
Cfr. ibid., 428a19-22.
26
Modrak, Aristotle, dopo aver affermato che l’oggetto proprio della sensazione, o
‘sensory content’, è “a complex of sensible characters” (p. 82), prosegue dicendo che “in the
absence of an external stimulus a sensory content is an internal representation of sensible
characters” (ibid.). Condivido questo punto particolare dell’interpretazione di Modrak; e
aggiungerei anzi che la “internal representation of sensible characters” di cui parla questa
studiosa può essere – nella mia interpretazione – identificata con la qualità fisica del
sensorio centrale di cui sto parlando: condivido cioè l’idea di Modrak che sia appropriato
attribuire ad Aristotele una teoria del φάντασμα come rappresentazione interna che vicaria
un oggetto sensibile esterno assente. Non è invece questa la sede adatta per discutere la più
generale ricostruzione di Modrak della teoria aristotelica sulla φαντασία, ricostruzione che
dipende – mi pare – da numerose assunzioni generali circa la teoria di Aristotele sulla
sensazione.
27
Sono costretto a tralasciare qui, per motivi di spazio, la questione circa quale sia il
medium fisico della trasmissione degli impulsi sensori. Alcuni commentatori (p. es.
Modrak, Aristotle, p. 72-75) lo identificano senz’altro col sangue. A favore di questa idea, si
può ricordare il fatto che l’intera teoria che nel De insomniis è chiamata a spiegare i sogni
parla del sangue come del vettore dei moti fantastico-percettivi (in Insomn. 3, 461b11-12,
il sangue è esplicitamente identificato con tale vettore, di cui si è parlato diffusamente nei
capp. 2-3 dello stesso trattatello). Morel, “Perception”, p. 39 n. 5, sottolinea, notando la
particolare difficoltà di questo problema esegetico, che (1) Aristotele considera il sangue
privo di sensazione (chiamando in causa a questo proposito il PA Β 10, 656 b19-22, e Γ 4,
666a17), e che inoltre (2) il moto percettivo deve necessariamente giungere al cuore,
laddove il sangue, secondo Aristotele, proviene dal cuore in cui viene prodotto
(chiamando in causa PA Γ 4, 666a6-7 e HA Γ 3-4). Alla prima obiezione si può rispondere
che il sangue può ben essere privo di sensazione, con ciò intendendo che non è una parte
organica atta a ricevere stimoli sensori dall’esterno, e ciò nonostante fungere da vettore di
31
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trasferirsi da questo a quel sostrato, a patto che i due sostrati in questione
siano adeguati a trasmetterselo;
(h) il φάντασμα è l’αἴσθημα in quanto si perpetua divenendo
responsabile di nuovi atti cognitivi (cfr. p. es. Insomn. 3, 460b28-461b3);
(i) il φάντασμα eredita i poteri causali dell’αἴσθημα originario, che
conserva più o meno fedelmente secondo i casi.28 Il potere causale
dell’αἴσθημα dipende dal fatto che l’αἴσθημα è una qualità assunta dal
sensorio centrale in seguito a quel particolare tipo di alterazione che è la
sensazione; dal fatto che il cuore assuma un determinato αἴσθημα piuttosto
che un altro conseguirà il fatto che l’animale provi l’esperienza p. es. del blu
piuttosto che del rosso, oppure di un gusto amaro piuttosto che dolce:
l’αἴσθημα ha quindi il potere causale di attualizzare questa o quella
esperienza nell’animale. Il φάντασμα, in quanto reliquia dell’αἴσθημα
originario, ne eredita i poteri causali:29 ne eredita cioè il potere di far sì,
quando giunge al cuore, che l’animale o l’uomo provi di nuovo quella
determinata esperienza che era associata all’αἴσθημα.30 Tali poteri causali
impulsi sensori già entrati nel corpo mediante i sensori esterni. Alla seconda obiezione,
non si può purtroppo che rispondere che l’unico altro candidato al ruolo di vettore degli
impulsi, lo πνεῦμα, vi sarebbe parimenti esposto, essendo contenuto nel sangue: anch’esso,
perciò, si muoverebbe, col sangue, dal cuore invece che verso il cuore. La mia impressione è
che Aristotele fosse perplesso dal problema degli (allora ignoti) movimenti del sangue nel
corpo vivente, e che non presumesse di aver risolto la questione. Ma che al sangue (o a una
sostanza in essa contenuta) si dovesse attribuire il ruolo di vettore dei moti percettivi, era
una conseguenza inevitabile del suo cardiocentrismo.
28
Vista la rilevanza del sangue (o comunque del πνεῦμα in esso contenuto: io sarei
propenso a questa seconda interpretazione) come vettore dei moti fantastici, è aperta la
possibilità che eventuali turbamenti del flusso sanguigno possano portare due o più diversi
moti fantastici a confondersi tra loro o a elidersi a vicenda: cfr. Insomn. 3, 461a8-11 e b17-21.
29
Come notato da M.V. Wedin, Mind and Imagination in Aristotle, New Haven &
London, Yale University Press, 1988: “we are somehow aware of perceptual states without
their being standard objects of perception”. I φαντάσματα sono cioè sensibili (αἰσθητά), e
noi possiamo averne sensazione (cfr. Insomn. 3, 460b2-3).
30
Perciò l’esperienza onirica del vedere Corisco, dovuta al φάντασμα di Corisco, è
indistinguibile dall’esperienza di vedere Corisco durante la veglia. Cfr. la formulazione di
V. Caston, “Why Aristotle Needs Imagination”, Phronesis, 41, 1996, p. 49-50: per ogni
φάντασμα φ e tempo t, l’effetto totale che φ può produrre in t sul sensorio centrale è lo
stesso che potrebbe produrre una stimolazione sensoria s, se s avvenisse; e a poter esser
veicolato da φ in t è qualsiasi oggetto intenzionale che s potrebbe veicolare. La teoria di
Aristotele qui considerata va distinta da quella in auge nella moderna neurofisiologia,
nonostante la notevole somiglianza tra le rispettive strutture: per la scienza
contemporanea, ciò che resta dopo l’esperienza sensoria non è un impulso che viaggia nel
corpo, bensì una tendenza dei neuroni coinvolti nell’esperienza originaria a riattivarsi
32
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
costituiscono il suo contenuto intenzionale, cioè il suo riferimento a un
ente nel mondo esterno o – meglio – all’aspetto sensibile di un ente del
mondo esterno che, agendo sui sensori nel corso dell’originario episodio di
sensazione, diede luogo all’αἴσθημα.31
A questo punto è importante fare una precisazione.
Dicendo che i moti somigliano (cfr. Insomn. 3, 461b19, ἔχουσαι
ὁμοιότητα) ai sensibili originari, Aristotele intende dire che quelli e questi
producono stati simili nel sensorio centrale della persona che vide Corisco e
che ha nel sangue il residuo (ὑπόλειμμα, r. 21) di tale esperienza.32 Si noti
che una tale somiglianza è ben diversa da quella riscontrabile tra Corisco e
un oggetto del mondo esterno che può produrre un effetto simile a quello
di Corisco negli organi di senso di più percipienti: come p. es. un ritratto di
Corisco o una nube che assomigliasse alla sua sagoma (cfr. 3, 461b19-21);
se, infatti, per ipotesi, potessimo vedere nel corpo di chi vide Corisco, non
vi troveremmo un’icona di Corisco che ci appaia (anche a noi) “tale e quale
a Corisco”.33 È proprio per questo che la teoria di Aristotele non è
secondo lo stesso modello di connessione (cfr. p. es. D.L. Schachter, Searching for Memory.
The Brain, the Mind, and the Past, New York, Basic Books, 1996, tr. it. C. Mennella, Alla
ricerca della memoria, Torino, Einaudi, 2001, p. 49). Lo spirito della teoria moderna è
comunque lo stesso di quello della teoria di Aristotele: l’esperienza dà luogo a un
mutamento nel sistema sensorio; tale mutamento è una disposizione a riattivarsi in modo
simile a quello dell’esperienza originaria.
31
Cfr. p. es. Insomn. 3, 461b21-24: τοῦτων δὲ ἕκαστόν ἐστιν, ὥσπερ εἴρηται, ὑπόλειμμα
τοῦ ἐν τῇ ἐνεργείᾳ αἰσθήματος· καὶ ἀπελθόνθος τοῦ ἀληθοῦς ἔνεστι, καὶ ἀληθὲς εἰπεῖν ὅτι
τοιοῦτον οἷον Κόρισκος, ἀλλ’ οὑ Κόρισκος (“e ciascuna di queste cose è – come si è detto –
residuo dello stato percettivo in atto. E dopo che il vero si è allontanato, [il residuo]
rimane, ed è vero dire che è tale e quale a Corisco, ma non è Corisco”); ‘ciascuna di queste
cose’ sono i moti nel sangue risultanti dall’atto percettivo: le φαντασίαι (459a17-18) che,
giunte al cuore, vi si attivano (ἐνεργοῦσιν: 461b17): vi inducono cioè uno stato fisiologico
simile a quello indottovi dagli oggetti che in origine le causarono.
32
Così Rapp, “Intentionalität”, p. 84. Questa interpretazione mi sembra suffragata
da un brano delle Categorie (8, 11a15 ss.), dove si definiscono ‘simili’ (ὅμοια) due o più cose
che hanno la stessa qualità; ora, gli αἰσθητά esterni da cui derivano gli αἰσθήματα e i
φαντάσματα sono – per ipotesi – qualità sensibili; le qualità sensibili (8, 9b4-9) sono le
qualità che producono affezioni del senso, in quanto producono affezioni del senso; in base
a Cat. 8, 11a15 ss., sarà dunque legittimo considerare i moti fantastici come ‘simili’ agli
αἰσθητά da cui derivano, in quanto suscitano nel senso le stesse affezioni già prodotte dagli
αἰσθητά esterni nel corso dell’originario episodio di sensazione. Ecco in che senso
Aristotele parla di ‘somiglianza’ tra gli stati sensorii e i sensibili esterni.
33
Caston, “Why Aristotle”, p. 51, vede nel φάντασμα un mutamento nel sistema
percettivo di qualcuno, che rappresenta qualcosa in virtù di una somiglianza di poteri
causali con la cosa rappresentata: condivido su questo punto la sua interpretazione, che
qualificherei, aggiungendo che la somiglianza di poteri causali non è tra Corisco e il
33
Giuseppe Feola
qualificabile come una teoria fondata sul concetto di immagine (mentale o
meno), e non si espone alle critiche normalmente sollevate contro questo
tipo di teorie.
Continuiamo a vedere altri caratteri del moto percettivo:
(j) l’alteratio perfectiva di cui il φαντάσμα è portatore, e che si attualizza
quando questo raggiunge il cuore, va distinta dalla traslazione del φάντασμα
stesso trasportato dal flusso sanguigno. Si consideri p. es. Insomn. 3, 461a812 (loc. cit.), dove la traslazione del φάντασμα nel sangue viene paragonata a
quella di un vortice nell’acqua. Ebbene, un vortice è un moto locale (un
particolare modo in cui una data materia, p. es. una massa d’aria o d’acqua,
si muove: cfr. Phys. Η 1, 243a17); la vorticazione vera e propria (δίνησις),
ovvero il moto elicoidale della massa d’aria o acqua in questione, va distinta
da un altro moto locale: lo spostarsi del vortice stesso nell’ambiente (il
mare, l’atmosfera, il corso di un fiume ecc.). Tornando alla natura del moto
percettivo, al moto di vorticazione, nel paragone formulato da Aristotele,
corrisponderà l’alterazione percettiva, al traslarsi del vortice nell’ambiente
corrisponderà invece il suo trascinarsi nel sangue.
Ulteriori inferenze che possiamo trarre, in base alle proposizioni a-j, e
leggendo alla luce di a-j altri luoghi del corpus, sono:
(k) il potere causale di un αἴσθημα/φάντασμα sta al φάντασμα/αἴσθημα
stesso come la forma di un individuo sta all’individuo di cui è forma;34
infatti tra la sensazione originaria e la φαντασία vige precisamente il tipo di
rapporto che vige tra un moto e un moto che gli consegue, moto che
permane anche quando il moto originario è cessato.35 Per la teoria di
Aristotele sul moto, tali moti sono identici per specie, distinti per numero:
una sensazione e la φαντασία che le consegue si distingueranno dunque per
numero, rimanendo identiche per specie; saranno cioè portatrici di
φάντασμα di Corisco, ma tra l’aspetto sensibile A di Corisco che agì sul sistema sensorio del
senziente S nel tempo t e il φάντασμα derivato da quella sensazione: è infatti costitutivo
dell’identità di un φάντασμα l’appartener proprio a quell’S che visse l’episodio percettivo
da cui discende il φάντασμα, mentre p. es. in una fotografia, così come in qualunque altra
rappresentazione iconica esterna al corpo senziente, chiunque sia dotato di occhi può
cercare riferimenti (giusti o erronei) a qualsiasi referente, a prescindere dall’intenzione
originaria del fotografo.
34
Così anche Wedin, Mind, p. 121. Giustamente Morel, “Perception”, p. 46,
sottolinea che a esser veicolato dal moto percettivo è “un eidos ou un logos”.
35
Cfr. De an. Γ 3, 429a1-2, e supra, n. 2.
34
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
un’identica forma.36 Ora, ciò che nella consecuzione dei due moti si
mantiene identico è (per la i) proprio il potere causale, e dunque il
contenuto intenzionale. Quindi la sensazione originaria e la φαντασία
hanno, come identica forma comune ad entrambe, il potere causale e
automaticamente (ancora per la i) il contenuto intenzionale.
Il fatto che il contenuto intenzionale stia al φάντασμα come la forma
sta all’individuo automaticamente implica il fatto che più φαντάσματα
possano avere lo stesso contenuto intenzionale, visto che, com’è noto, per
Aristotele più individui possono avere la stessa forma. Ciò, lungi dall’essere
una difficoltà per Aristotele, è precisamente ciò che gli permette di spiegare
l’errore percettivo: errore dovuto all’eventuale indiscernibilità, per il
sistema sensorio, di due φαντάσματα numericamente diversi, o di un
φαντάσμα rispetto all’αἴσθημα originale. Aristotele, da un lato, si esprime
come se credesse che in condizione ottimale debba esservi corrispondenza
biunivoca tra contenuti intenzionali e moti percettivi; dall’altro, ammette
che il venir meno della biunivocità (più moti vengono ad avere uguale
contenuto intenzionale) è la causa dell’errore (cfr. Insomn. 3, 461b21-24,
loc. cit.). Questi due punti non sono in contrasto tra loro, bensì fondano –
insieme – la possibilità di spiegare l’errore, il quale avviene (com’è ovvio)
quando il percipiente si trova in condizioni non ottimali per l’esercizio
delle facoltà cognitive.
(l) Visto che la forma definisce la cosa di cui è forma, ecco che – come
già abbiamo visto – un k verace è definito dal suo potere causale: il qual
potere consiste nella capacità di dar luogo a un αἴσθημα; all’αἴσθημα
corrisponderà un determinato contenuto intenzionale; e il contenuto
intenzionale corrisponderà, a sua volta, a un sensibile esterno reale. Un k
fallace, invece, non ha cause esterne proprie: è definito solo dal φάντασμα
prodotto e dall’oggetto intenzionale che veicola;
36
Wedin, Mind, p. 122, invece, vede nel φάντασμα un qualcosa che si rapporta
all’αἴσθημα come una forma si rapporta alla sua materia, e non come una cosa che
condivida la stessa forma di un’altra cosa. Per quanto riguarda la possibilità di applicare
analogicamente i concetti di ‘forma’ ed ‘essenza’ anche a entità che non ricadono nella
categoria della ‘sostanza’, e in particolare – come nel nostro caso – alle qualità, cfr. Metaph.
Η 2, 1043a4-5 (W.D. Ross, ΑΡΙΣΤΟΤΕΛΟΥΣ ΤΑ ΜΕΤΑ ΤΑ ΦΥΣΙΚΑ. Aristotle’s
Metaphysics, Oxford, Clarendon Press, 1924, 1966).
35
Giuseppe Feola
(m) la storia pregressa del φάντασμα non entra nella definizione dei
suoi poteri causali: φαντάσματα diversi, derivati da diversi αἰσθήματα,
possono giungere per accidens, a causa di mutamenti posteriori, ad avere
identici poteri causali;37
(n) l’identità del φάντασμα/αἴσθημα non è determinata solo dal suo
potere causale o forma. Abbiamo già visto, infatti, che la storia pregressa di
due φαντάσματα fino a un dato momento t (il modo in cui essi sono giunti
ad acquisire i poteri causali di cui godono in quel momento t) può averli
portati ad avere, in t, uguali poteri causali; ma ciò non implica che essi siano
numericamente identici.38 La storia pregressa del φάντασμα sarà un
elemento della sua identità, pur non entrando nella descrizione dei suoi
poteri causali;
(o) il φάντασμα può perdere potere causale, contenuto intenzionale,
identità, forma confondendosi con altri φαντάσματα (Insomn. 3, 461a8-11,
loc. cit.).
4. Conclusioni
Ho cercato di fornire un’idea unitaria del concetto di moto fantasticopercettivo qual è usato da Aristotele. La ricostruzione da me prodotta è
ovviamente congetturale, visto che Aristotele usa la nozione di κίνησις
φανταστική o φάντασμα come strumento concettuale per costruire
spiegazioni di vari fenomeni biologici (p. es. il sogno, l’errore percettivo, la
memoria) ma non espone mai una sua teoria sul φάντασμα in quanto
oggetto autonomo d’indagine.
37
Cfr. Insomn. 3, 461b19-21, dove il mutamento cui sono soggetti i φαντάσματα è
paragonato a quello delle nuvole trascinate dal vento “che rassomigliano ad uomini e
centauri, rapidamente mutando” (ἃ παρεικάζουσιν ἀνθρώποις καὶ κενταύροις ταχέως
μεταβάλλοντα). Il paragone implica che, come alle nuvole, possa accadere ai φαντάσματα di
assumere facies diverse da quelle originarie, e simili a quelle di altri φαντάσματα o di
sensibili esterni. “Eher ist gemeint, daß die Bewegung sich in andere Formen auflösen
kann […]: So kann sich der Stimulus, der durch die Wahrnemung eines Menschen
hervorgebracht wurde, während der mit dem Schlaf einhergehenden Verwirrung derart
ändern, daß er beim Träumenden die Erscheinung eines Kentaurs hervorbringt” (P. J. van
der Eijk, Aristoteles. De insomniis, De divinatione per somnum, Übersetzt und erläutert,
Berlin, Akademie Verlag, 1994, p. 236, ad loc.).
38
Cf. Insomn. 3, 461a8-12, loc. cit.
36
Il moto fantastico-percettivo secondo Aristotele
Ciò nonostante, ed è questa la prima cosa che si fa notare, in base al
confronto tra i molti luoghi del corpus prodotti, mi pare di poter dire che
egli aveva una teoria abbastanza precisa in proposito, la quale mi sembra
sottintesa in tutti i brani del corpus in cui la nozione di φάντασμα è
chiamata in causa. I punti a-o del terzo paragrafo del mio contributo
espongono, appunto, i dettagli di tale teoria (nella misura in cui mi pare
possibile congetturarli).
La seconda cosa da notare è che il quadro che emerge dal confronto tra
i diversi passi invita a prendere molto sul serio il lato materiale
dell’ilomorfismo di Aristotele, per lo meno nel caso della sensazione. È
molto difficile, nel leggere i passi che abbiamo letto, sfuggire alla
conclusione che per Aristotele i mutamenti fisiologici nell’organismo
dell’animale dovessero entrare a pieno titolo tra gli elementi rilevanti nella
spiegazione dei processi cognitivi. Il fatto che tali movimenti vengano da lui
concepiti come alterazioni, invece che come traslazioni, nulla toglie alla
loro materialità.
Tra l’altro, l’analogia che ispira ad Aristotele il proprio modello
esplicativo,39 l’analogia cioè con i vortici, è presa – si noti – dalla sfera dei
movimenti locali. Senonché, non avendo a disposizione una scienza della
dinamica al cui paradigma riferirsi, Aristotele deve, per chiarezza, ricorrere
a un’analogia immediatamente, sensorialmente comprensibile al lettore o
ascoltatore delle sue lezioni: chiunque può infatti constatare, osservando un
ruscello o un torrente, che il moto elicoidale dell’acqua in un vortice gode
di una propria identità, alla quale si aggiunge quella del moto del vortice
stesso lungo il corso del torrente.
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Sono totalmente d’accordo con Morel, “Perception”, p. 39, sul fatto che qui “nous
avons affaire, non pas à une métaphore, mais à une véritable explication”.
37
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38