I QUADERNI DI “ATENE E ROMA”
Pubblicazione dell’Associazione Italiana di Cultura Classica
6
Quattro incontri sulla Cultura Classica
Dal bimillenario della morte di Augusto
all’insegnamento delle lingue classiche
a cura di
Mario Capasso
Associazione Italiana di Cultura Classica
2019
I QUADERNI DI “ATENE E ROMA”
Pubblicazione dell’Associazione Italiana di Cultura Classica
6
Direttore
Mario Capasso (Università del Salento)
Comitato Scientifico
Luciano Canfora (Università degli Studi di Bari)
Salvatore Cerasuolo (Università degli Studi di Napoli “Federico II”)
Tristano Gargiulo (Università degli Studi di Cagliari)
Patrizia Mureddu (Università degli Studi di Cagliari)
Gianfranco Nieddu (Università degli Studi di Cagliari)
Natascia Pellé (Università del Salento)
Angelo Russi (Università degli Studi de L’Aquila)
Giovanni Salanitro
Renzo Tosi
Onofrio Vox (Università del Salento)
www.aicc-nazionale.com
SOMMARIO
Prefazione (Mario Capasso)
Atti dell’VIII Congresso Nazionale AICC
(Roma, 18-19 ottobre 2014)
Introduzione ai lavori (Mario Capasso)
Saluto ai Congressisti (Michele Coccia)
Premessa (Maria Grazia Iodice)
AROLDO BARBIERI, Testimonianze letterarie su Gaio Rabirio (autore del Carmen de bello Actiaco?)
MARIO CAPASSO, Poesia epica e propaganda augustea: il caso del Bellum
Actiacum
ANDREA CUCCHIARELLI, Orazio, Mecenate, Augusto. Pace e guerra in tre
vite parallele
ANTONIO MARCHETTA, Pax Augusta e ideologia dell’otium in Virgilio
GIANFRANCO MOSCONI, Il sovrano modello di virtù: le Res Gestae Divi
Augusti (8, 5), il pensiero politico greco e la legittimazione del principato
Atti della IV Giornata Nazionale della Cultura Classica
(Como, 22 maggio 2015)
Introduzione ai lavori (Mario Capasso)
RAFFAELLA DI PAOLA, IV Giornata Nazionale della Cultura Classica.
Como, 22 maggio 2015
CRISTIANO CASTELLETTI, La firma di Virgilio nell’Eneide: un atto di fondazione letteraria, nel solco di Arato
SALVATORE NICOSIA, Identikit dell’etocrate. Terminologia sociopolitica ed etica
nel mondo greco e latino
LUIGI SPINA, Laudatio di Salvatore Nicosia
DARIO ZUCCHELLO, Avventure dell’anima, tra arsure e appetiti. Dalle laminette orfiche al Fedro platonico.
Atti del IX Congresso Nazionale AICC
(Gaeta, 17-18 ottobre 2015)
Introduzione ai lavori (Mario Capasso)
MARCELLO ROSARIO CALIMAN, Memoria della gastronomia di Apicio nella cucina
di oggi
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MARIO CAPASSO, Scene da un Giardino: la memoria in Epicuro e nell’Epicureismo
MARIA GRAZIA IODICE, Memoria e oblio nella poesia ovidiana dell’esilio
ANTONIO MARCHETTA, Memoira e oblio in Virgilio
GIANFRANCO MOSCONI, Finzioni della memoria e dell’oblio nell’Atlantide di Platone (e in altre utopie: Omero, Giambulo, More, Bacon)
MARIA PIA PATTONI, Le consolazioni della memoria (e dell’oblio): declinazioni di un tema nel teatro euripideo
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI, Memoria e oblio in Quintiliano
BIAGIO SANTORELLI, Memoria e oblio in Seneca Padre
MATTEO TAUFER, Memoria e oblio in Eschilo
Dislessia e studio delle lingue classiche II
(Bologna, 21 Aprile 2016)
Premessa (GIOVANNA ALVONI-VALENTINA GARULLI-PIETRO ROSA)
LAURA LAMI, Dislessia Evolutiva in adolescenza: inquadramento, diagnosi, evoluzione
MARCO RICUCCI, Lo strano caso del latino e della dislessia: fondamenti
teorici della valutazione dell’alunno DSA
ELENA SCARPANTI, Proposta di laboratorio lessicale: supporto alla memorizzazione degli studenti DSA
CHIARA SCARPELLINI, Dislessia e meccanismi di apprendimento linguistico
Alla cura del volume ha contribuito Natascia Pellé
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AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
Abstract
The topic of my paper is memory and oblivion in the literary field, as it appears
in the work of Quintilian and, in particular, in the tenth book of his Institutio
oratoria. After some general considerations, I focus on the comparison between
the Roman writer and his Greek predecessor, Dionysius of Halicarnassus, about
the construction of a shared literary memory in order thereby to identify what
are the motivations and the discursive strategies Quintilian uses in the development of this dynamic process between memory and oblivion.
Keywords
Quintilian, literary memory, Dionysius of Halicarnassus
1. Premessa
Una dichiarazione preliminare è d’obbligo: questo intervento non
verte sul tema che per primo viene in mente quando si pensa alla memoria e all’oblio nell’opera di Quintiliano, quello cioè della memoria
come penultima parte delle cinque che costituiscono tradizionalmente
l’attività dell’oratore (inuentio, dispositio, elocutio, memoria, actio) o, ancora più in particolare, della memoria come mnemotecnica. Di questi
aspetti, per i quali Quintiliano, con la sua trattazione nel secondo capitolo dell’undicesimo libro dell’Institutio oratoria, costituisce una delle
fonti principali tra gli autori antichi, la critica si è spesso occupata e
gli studi al riguardo sono numerosi1. L’argomento che, invece, cer-
1
Su memoria e mnemotecniche nell’antichità: S. ALBERT, De memoria deque arte
mnemotechnica, «VoxLat» 47, 185 (2011), pp. 339-364; C. BAROIN, Techniques, arts et
470
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
cherò di approfondire è quello della memoria e dell’oblio in campo
letterario, come si presenta nell’opera di Quintiliano e, in particolare,
nel decimo libro dell’Institutio oratoria. Dopo alcune riflessioni generali, concentrerò la mia attenzione sul confronto fra l’autore latino e
un suo importante predecessore greco, Dionisio di Alicarnasso, a proposito della costruzione di una memoria letteraria condivisa, per giungere così a individuare quali sono le motivazioni e le strategie
discorsive proprie di Quintiliano nello sviluppo di tale processo dinamico tra ricordo e oblio.
2. Memoria, oblio e formazione di un canone letterario tra Grecia e Roma
La tensione tra memoria e oblio in campo letterario, insieme al correlato problema della costituzione di un canone, si concentra attorno
alla questione – ben presente e urgente in campo culturale ed educativo nella tradizione occidentale a partire dalla Grecia arcaica fino alla
nostra epoca – della raccolta, della valorizzazione e dello studio delle
opere composte dagli autori del passato. In questo cosmo sono centrali, come poli di attrazione e di propulsione, tre luoghi, insieme fisici e mentali: la biblioteca, la scuola e la creazione letteraria.
La biblioteca, privata o pubblica, può essere luogo di memoria, attraverso il processo di copia, riproduzione e conservazione, ma anche
luogo di oblio (è nella biblioteca che i volumi deperiscono, addirittura
vengono distrutti o, almeno, dispersi quando la raccolta viene smembrata)2. Il secondo polo, quello che interessa soprattutto Quintiliano,
pratiques de la mémoire en Grèce et à Rome, «Métis» N.S. 5 (2007), pp. 135-160; H. BLUM,
Die Antike Mnemotechnik, Hildesheim-New York 1969; W. DEN BOER, The art of memory
and its mnemotechnical traditions, Amsterdam 1986; J.C. GÓMEZ ALONSO, La memoria en
Quintiliano, in T. ALBALADEJO-E. DEL RÍO-J.A. CABALLERO (edd.), Quintiliano. Historia
y actualidad de la retórica, vol. 2, Calahorra 1998, pp. 595-604; D. DEN HENGST,
Memoria, thesaurus eloquentiae. De Auctor ad Herennium, Cicero en Quintilianus over
mnemotechniek, «Lampas» 19 (1986), pp. 239-248 (trad. ingl., Memoria, Thesaurus
eloquentiae. The Auctor ad Herennium, Cicero and Quintilian on Mnemotechnics, in D.W.P.
BURGERSDIJK-J.A. VAN WAARDEN, edd., Emperors and Historiography. Collected Essays on
the Literature of the Roman Empire by Daniël den Hengst, Leiden-Boston 2010, pp. 4151); J.J. MORCILLO ROMERO, Los alfabetos visuales en la memoria artificial: de ordo locorum
a memoria uerborum, «Myrtia» 27 (2012), pp. 73-88; F.L. MÜLLER, Kritische Gedanken
zur antiken Mnemotechnik und zum Auctor ad Herennium. Mit Text und Übersetzung der drei
antiken Zeugnisse im Anhang, Stuttgart 1996; F.A. YATES, The Art of Memory, London
1966 (trad. it. di A. BIONDI, L’arte della memoria, Torino 1972).
2
Sulle biblioteche nell’antichità greco-romana: T.D. DIX-G.W. HOUSTON,
Public libraries in the city of Rome from the Augustan age to the time of Diocletian,
«MEFRA» 118/2 (2006), pp. 671-717; P. DOMENICO, Le biblioteche pubbliche a Roma:
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
471
è la scuola, luogo di comunicazione, trasmissione, apprendimento e
riutilizzazione del sapere, un sapere che per Quintiliano è insieme altamente tecnico e profondamente letterario3. Il terzo luogo, interessato
alla memoria e all’oblio della letteratura, è quello della creazione artistica, nella quale interagiscono i modelli del passato, i linguaggi (in
particolare poetici) tradizionali e il processo dinamico di conservazione
e innovazione.
In questo campo Quintiliano è erede di una tradizione che risale
ai dotti alessandrini e che era stata interpretata e romanizzata negli
studi storico-letterari e filologici (basti pensare all’opera di Cicerone
e Varrone) attraverso, soprattutto, un dialogo e un confronto fra la
letteratura greca e quella romana. Questo metodo – lo ricordo qui per
comodità – prevedeva tre azioni principali: la raccolta dei testi e il lavoro critico su di essi (spesso dedicato al problema dell’autenticità
dell’opera nel suo complesso o di sue singole parti); la sistemazione
degli autori e delle opere del passato attraverso la loro classificazione
per generi e periodi; la redazione di elenchi e canoni che comportavano
spesso un giudizio di valore. In questo quadro, erano dunque sempre
luoghi, libri, fruitori, pratiche, in R. MENEGHINI-R. REA (edd.), La biblioteca infinita.
I luoghi del sapere nel mondo antico, Milano 2014, pp. 98-118; G.W. HOUSTON, Inside
Roman Libraries: Book Collections and Their Management in Antiquity, Chapel Hill
2014; M. NICHOLLS, Bibliotheca Latina Graecaque: on the possible division of Roman
public librairies by language, in Y. PERRIN (ed.), Neronia VIII: Bibliothèque, livres et
culture écrite dans l’empire romain de César à Hadrien, Brussels 2010, pp. 11-21.
3
Sulla scuola nel mondo romano: F. BELLANDI-R. FERRI (edd.), Aspetti della
scuola nel mondo romano, Amsterdam 2008; W.M. BLOOMER, The School of Rome. Latin
Studies and the Origins of Liberal Education, Berkeley-Los Angeles-London 2011; S.F.
BONNER, Education in Ancient Rome from the Elder Cato to the Younger Pliny, LondonBerkeley 1977; A.D. BOOTH, Elementary and Secondary Education in the Roman Empire,
«Florilegium» 1 (1979), pp. 1-14; J. CHRISTES-R. KLEIN-C. LÜTH (Hrsg.),
Handbuch der Erziehung und Bildung in der Antike, Darmstadt 2006; P. DE PAOLIS,
Le letture alla scuola del grammatico, «Paideia» 68 (2013), pp. 465-487; J.A.
FERNÁNDEZ DELGADO-F. PORDOMINGO-A. STRAMAGLIA (edd.), Escuela y literatura
en Grecia Antigua, Cassino 2007; G.F. GIANOTTI, I testi nella scuola, in G. CAVALLOP. FEDELI-A. GIARDINA (edd.), Lo spazio letterario di Roma antica, vol. 2, La circolazione
del testo, Roma 1989, pp. 421-466; F. LE BLAY (ed.), Transmettre les savoirs dans les
mondes hellénistique et romain, Rennes 2010; Y. LEE TOO (ed.), Education in Greek and
Roman Antiquity, Leiden-Boston, Mass. 2001; H.I. MARROU, Histoire de l’Éducation
dans l’Antiquité, Paris 1948; O. MONNO, Gente di scuola nei libri di scuola, «Maia»
64 (2012), pp. 346-354; T. MORGAN, Literate Education in the Hellenistic and Roman
Worlds, Cambridge 1998; J.J. MURPHY, Grammar and Rhetoric in Roman Studies, in
S. AUROUX et. al. (edd.), Geschichte der Sprachwissenschaften. History of the Language
Sciences, Berlin-New York 2000, pp. 484-503; M. PUGLIARELLO, A lezione dal
grammaticus: la lettura degli auctores, «Maia» 61 (2009), pp. 592-610; M.
PUGLIARELLO, Le passioni del Grammaticus, «Maia» 64 (2012), pp. 334-345.
472
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
in atto i meccanismi del giudizio critico, della scelta, della proposta
di modelli autorevoli4.
Il risultato di tale impegno esegetico può condurre alla redazione
di un canone, un concetto di forte attualità in ogni epoca e, dunque,
anche ai nostri giorni, quando ci si interroga sulla possibilità di definire un canone della letteratura europea, se non addirittura mondiale.
Per gli antichi la selezione comportava un equilibrio numerico (spesso
basato su serie a base tre o cinque) e una gradazione fondata su criteri
cronologici o assiologici. Tale elemento era fondamentale – e forse rimane fondamentale – per poter procedere a una sistemazione del sapere e dunque per concepire anche gli studi letterari come scienza5.
In base a questa accezione di canone, come elenco complessivo di autori e opere distinti per generi, periodi cronologici e giudizi di valore,
è possibile individuare quattro autori antichi nelle cui opere sono conservati canoni letterari: si tratta, in ordine cronologico, di Dionisio di
Alicarnasso (nel frammentario Peri; mimhv
sew")6, Velleio Patercolo
4
Su metodi e pratiche della filologia alessandrina: R. PFEIFFER, History of
Classical Scholarship, Oxford 1968; F. MONTANARI-S. MATTHAIOS-A. RENGAKOS
(eds.), Brill’s Companion to Ancient Greek Scholarship, 2 voll., Leiden-Boston 2015.
5
Sul problema del canone letterario: T. ARCOS PEREIRA, La selección de autores en
las preceptivas retóricas latinas, in M.D. GARCÍA DE PASO CARRASCO-G. RODRÍGUEZ
HERRERA (edd.), Selección, manipulación y uso metaliterario de los autores clásicos,
Zaragoza 2009, pp. 125-154; M. CITRONI, I canoni di autori antichi: alle origini del
concetto di classico, in AA. VV., Culture europee e tradizione latina, Trieste 2003, pp. 122; M. CITRONI, Quintiliano e l’ordinamento per canoni della tradizione letteraria, in F.
FICCA (ed.), Il passato degli antichi, Napoli 2004, pp. 185-202; F. DA SILVA FORTES,
Non solum fama: os exempla de Prisciano na constituição de um “cãnon literário”, in L.
RIBEIRO LEITE-G. VENTURA DA SILVA-R.N. BARBOSA CARVALHO (edd.), Fama e
Infâmia no Mundo Antigo, Vitória 2014, pp. 76-81; G.F. GIANOTTI, Atene – Roma –
Europa: genesi e sviluppo dei modelli letterari, in E. DELLEPIANE (ed.), Letteratura Europa
Scuola, vol. 1, Esperienze e riflessioni, Roma 2006, pp. 82-105; F. GRAU I CODINA,
Canon, autores clásicos y enseñanza del latín, «Minerva» 25 (2012), pp. 49-79; G.A.
KENNEDY (ed.), The Cambridge History of Literary Critism, vol. 1, Classical Criticism,
Cambridge 1993; O. KROEHNERT, Canonesne poetarum, scriptorum, artificum per
antiquitatem fuerunt?, Königsberg 1897; R. NICOLAI, Il canone degli storici greci, in
n.
La storiografia nell’educazione antica, Pisa 1992, pp. 249-339; H. OPPEL, Kanwv
Zur Bedeutungsgeschichte des Wortes und seiner lateinischen Entsprechungen (regula-norma),
«Philologus» Suppl. 30, 4, Leipzig 1937; M. PUGLIARELLO, Il canone scolastico degli
autori latini, in O.D. ÁLVAREZ SALAS-A.VARGAS VALENCIA (edd.), Cultura clasica y
su tradicion. Balance y perspectivas actuales, vol. 2, Ciudad de México 2011, pp. 1322. Il termine “canone” per le liste selettive di autori fu utilizzato per la prima
volta da D. Ruhnken nel 1768, vd. R. PFEIFFER, History of Classical Scholarship,
Oxford 1968, p. 207; NICOLAI, Il canone cit., pp. 251-265.
6
Vd. G. AUJAC (ed.), Denys d’Halicarnasse, Opuscules rhétoriques, vol. 5,
L’imitation. Première lettre à Ammée, Lettre à Pompée Géminos. Dinarque, Paris 1992;
D.G. BATTISTI, Osservazioni sul testo del Peri; mimhv
sew" di Dionigi di Alicarnasso,
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
473
(nei suoi excursus letterari della Historia romana)7, Quintiliano (nel
primo capitolo del decimo libro dell’Institutio oratoria) e Dione di
Prusa (nella diciottesima orazione, Peri; lov
gou aj
skhv
sew")8. Nell’impossibilità di analizzare nel dettaglio tutte queste classificazioni,
è importante tuttavia ricordare i differenti contesti e scopi in cui tali
«QUCC» 30/3 (1988), pp. 101-114; D.G. BATTISTI (ed.), Dionigi di Alicarnasso,
Sull’imitazione, Pisa 1997; S.T. BONNER, The literary treatises of Dionysius of
Halicarnassus: a study in the development of critical method, Cambridge 1939; C. DE
JONGE, Between Grammar and Rhetoric: Dionysius of Halicarnassus on Language,
Linguistics and Literature, Leiden 2008.
7
Sugli excursus letterari in Velleio Patercolo: M. CAVALLARO, Il linguaggio
metaforico di Velleio Patercolo, «RCCM» 14 (1972), pp. 269-279; F. DELLA CORTE, I
giudizi letterari di Velleio Patercolo, «RFIC» N.S. 15 (1937), pp. 154-159; G.
D’ANNA, Contributo alla cronologia dei poeti latini arcaici. IV. Cornelio Nepote, Velleio
Patercolo e la cronologia luciliana, «RIL» 89-90 (1956), pp. 334-342; M. ELEFANTE
(ed.), Velleius Paterculus, Ad M. Vinicium consulem libri duo, Hildesheim 1997; M.
ELEFANTE (ed.), Velleio Patercolo, I due libri al console Marco Vinicio, Napoli 1999; J.
GUSTIN, Les péricopes littéraires dans l’ouvrage de Velleius Paterculus, Louvain 1944;
G.E. MANZONI, Cronologie letterarie greche in Velleio, in A. VALVO-G. MIGLIORATI
(edd.), Ricerche storiche e letterarie intorno a Velleio Patercolo, Milano 2015, pp. 115129; F. MISSAGGIA, Alcuni aspetti del linguaggio metaforico di Velleio Patercolo. La
metafora della luce, «Anazetesis» 2-3 (1980), pp. 30-47; E. NOÉ, Gli excursus letterari
di Velleio Patercolo, «Clio» 18 (1982), pp. 511-23; F. PORTALUPI, Osservazioni sullo
stile di Velleio Patercolo, «CCC» 8/1 (1987), pp. 40-57; F. RUSSO, El excurso literario
de Veleyo Patérculo y la exaltación de la aportación itálica a la grandeza de Roma,
«FlorIlib» 19 (2008), pp. 293-312; P. SANTINI, Caratteri del linguaggio criticoletterario di Velleio Patercolo, in AA. VV., Studia Florentina Alexandro Ronconi
sexagenario oblata, Roma 1970, pp. 383-391; U. SCHMITZER, Die
literaturgeschichtlichen Exkurse und ihre Funktion: Illustration und Korrektiv der
Politikgeschichte, in Velleius Paterculus und das Interesse an der Geschichte im Zeitalter
des Tiberius, Heidelberg 2000, pp. 72-100; A. SCHÖB, Velleius Paterculus und seine
literar-historischen Abschnitte, Tübingen 1908; J.P. SCHWINDT, Literarhistoriographie
als Kulturgeschichte: Velleius Paterculus, in Prolegomena zu einer Phänomenologie der
römischen Literaturgeschichtsschreibung. Von den Anfängen bis Quintilian, Göttingen,
Vandenhoeck & Ruprecht, 2000, pp. 139-152.
8
Vd. E. AMATO, Traiani Praeceptor. Studi su biografia, cronologia e fortuna di
Dione Crisostomo, Besançon 2014; A. BILLAULT, Littérature et rhétorique dans le discours
XVIII de Dion Chrysostome Sur l’entraînement à la parole, «REG» 117/2 (2004), pp.
504-518; J.W. COHOON (ed.), Dio Chrysostom, vol. 2, Discourses 12-30, LondonCambridge (Mass.) 1939, pp. 209-233; P. DESIDERI, Dione di Prusa. Un intellettuale
greco nell’impero romano, Messina-Firenze 1978 (in particolare pp. 136-142); A.
GANGLOFF, Dion Chrysostome et les mythes. Hellénisme, communication et philosophie
politique, Grenoble 2006, pp. 36-38; L. LEMARCHAND, Dion de Pruse. Les œuvres
d’avant l’exil, Paris 1926, pp. 1-11; S. SWAIN (ed.), Dio Chrysostom. Politics, Letters,
and Philosophy, Oxford 2000; M. VALGIMIGLI, La critica letteraria di Dione Crisostomo,
Bologna 1912; P. VOLPE CACCIATORE, Per una lettura dell’or. 18 di Dione di Prusa,
in E. AMATO et alii (edd.), Dion de Pruse: l’homme, son œuvre et sa postérité, HildesheimZürich-New York 2016, pp. 311-314.
474
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
canoni letterari sono inseriti: in alcuni casi (Dionisio di Alicarnasso,
Quintiliano, Dione di Prusa) il problema centrale è costituito dalla
questione dell’imitazione, come è concepita all’interno delle scuole di
retorica, in un caso (Velleio Patercolo) l’elenco delle opere letterarie
greche e latine è inserito in un quadro di storia universale, negli autori
romani (Velleio Patercolo e Quintiliano), poi, è istituito un confronto,
più o meno esplicito, fra greci e romani.
3. La memoria letteraria in Quintiliano
La questione della memoria letteraria si pone con forza per Quintiliano,
poiché egli ritiene che i precetti sulla elocutio, ampiamente trattati nei
libri ottavo e nono dell’Institutio oratoria, non siano sufficienti alla formazione dell’oratore, e, in particolare, non permettano di acquisire la
necessaria facilitas nel parlare in pubblico (X 1, 1)9. Ecco dunque che,
in tale prospettiva, è instaurata una stretta correlazione, da un lato, tra
scrittura, lettura ed espressione orale (X 1, 1, «scribendo … legendo
… dicendo»), dall’altro lato, tra ars (intesa come insieme di precetti),
imitatio e scribendi diligentia (X 1, 3). Quando, infatti, bisogna passare
dalla teoria alla pratica oratoria, diventa fondamentale il problema di
quale sia il migliore allenamento (X 1, 4)10, e, in tale prospettiva, la
memoria letteraria permette di ottenere un’abbondanza di argomenti
e parole (X 1, 6, «copia rerum et verborum»)11.
9
«Sed haec eloquendi praecepta, sicut cogitationi sunt necessaria, ita non satis
ad uim dicendi ualent nisi illis firma quaedam facilitas, quae apud Graecos hexis
nominatur, accesserit». Il testo utilizzato è quello di M. WINTERBOTTOM (ed.), M.
Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri duodecim, Oxford 1970.
10
«Uerum nos non quomodo sit instituendus orator hoc loco dicimus […], sed
athleta qui omnis iam perdidicerit a praeceptore numeros quo genere exercitationis
ad certamina praeparandus sit».
11
Sul lib. 10 dell’Institutio oratoria: D. BASSI (ed.), M.F. Quintiliano, Il libro decimo
della Instituzione oratoria, Torino 1884; E. BOLAFFI, La critica filosofica e letteraria in
Quintiliano, Bruxelles 1958; CITRONI, Quintiliano e l’ordinamento cit., pp. 185-202;
M. CITRONI, Finalità e struttura della rassegna degli scrittori greci e latini in Quintiliano,
in G. MAZZOLI (ed.), Modelli letterari e ideologia nell’età flavia, Como-Pavia 2005,
pp. 15-38; M. CITRONI, Quintilian and the Perception of the System of Poetic Genres in
the Flavian Age, in R. NAUTA-H.J. VAN DAM-J.J.L. SMOLENAARS (edd.), Flavian
Poetry, Leiden-Boston 2006, pp. 1-20; J. COUSIN, Études sur Quintilien, Paris 1967,
pp. 541-605; P.V. COVA, La critica letteraria nell’Institutio, in P.V. COVA et alii (edd.),
Aspetti della paideia di Quintiliano, Milano 1990, pp. 9-59; S. DI MEGLIO, La critica
letteraria: dal X libro dell’Institutio Oratoria, Milano 1969; A. ESTÈVES, Lucain vu
par Quintilien: style épique ou style oratoire?, in H. VIAL (ed.), Poètes et orateurs dans
l’antiquité. Mises en scène réciproques, Clermont-Ferrand 2013, pp. 321-333; D.
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
475
Questa abbondanza di parole e argomenti si ottiene attraverso la
lettura e l’ascolto dei modelli migliori (X 1, 8, «optima legendo atque
audiendo»), anche attraverso un apprendistato autonomo, slegato dal
rapporto con il maestro (X 1, 15)12. In particolare, nella visione di
Quintiliano, la lettura risulta superiore all’ascolto, poiché permette
un giudizio più meditato (X 1, 17), che si fonda su un processo di
lettura e rilettura (X 1, 19)13. Dal momento, però, che il tempo a disposizione è limitato, sia per gli oratori in formazione sia per quelli
già nel pieno della loro attività professionale, occorre procedere alla
lettura prolungata soltanto degli scrittori migliori (X 1, 20)14, anche
se a questo principio generale sono concesse alcune deroghe. Per esempio, Quintiliano ritiene utile, quando ciò è realizzabile, la conoscenza
di intere cause, cioè dei vari discorsi a favore o contro una determinata
questione, e, in tali casi, è possibile leggere anche orazioni non eccellenti (X 1, 22-23)15. Nella realtà dei fatti, addirittura per gli autori
migliori sono conservate opere non perfette e, anche all’interno delle
GAGLIARDI, Quintiliano e Seneca. Una nota di lettura, «RFIC» 110 (1982), pp. 7879; D. GAGLIARDI, Il giudizio di Quintiliano su Catullo, «RFIC» 115 (1987), pp.
35-39; L. GALLI, Quintiliano e la tragedia latina arcaica: stratigrafia di un giudizio,
«Lexis» 11 (1993), pp. 215-223; G.F. GIANOTTI, Quintiliano, Seneca e l’ombra di
Edipo, in A. BALBO-F. BESSONE-E. MALASPINA (edd.), “Tanti affetti in tal momento”.
Studi in onore di Giovanna Garbarino, Alessandria 2011, pp. 451-458; M. LAUREYS,
Quintilian’s judgement of Seneca and the Scope and Purpose of Inst. 10,1, «A&A» 37
(1991), pp. 100-125; J.J. MURPHY, Quintilian’s Advice on the Continuing SelfEducation of the Adult Orator: Book X of the Institutio oratoria, in O.
TELLEGEN-COUPERUS (ed.), Quintilian and the Law: The Art of Persuasion in Law and
Politics, Leuven 2003, pp. 247-252; W. PETERSON (ed.), M. Fabi Quintiliani
Institutionis oratoriae liber decimus, Oxford 1891; D. PUJANTE, El hijo de la persuasion:
Quintiliano y el estatuto retórico, Logroño-Calahorra 1999, pp. 188-202; J.P.
SCHWINDT, Literaturgeschichte versus Pragmatie und Kanonizität. Quintilians
Literaturpädagogik, in Prolegomena zu einer Phänomenologie der römischen
Literaturgeschichtsschreibung. Von den Anfängen bis Quintilian, Göttingen 2000, pp.
153-173; P. STEINMETZ, Gattungen und Epochen der griechischen Literatur in der Sicht
Quintilian, «Hermes» 92 (1964), pp. 454-466; L. VALMAGGI, Osservazioni sul libro
X di Quintiliano, «AAT» 37 (1901-1902), pp. 222-229.
12
«Cum eo qui discit perductus est ut intellegere ea sine demonstrante et sequi
iam suis uiribus possit».
13
«In lectione certius iudicium, quod audienti frequenter aut suus cuique fauor
aut ille laudantium clamor extorquet. […] Lectio libera est nec <ut> actionis
impetus transcurrit, sed repetere saepius licet, siue dubites siue memoriae penitus
adfigere uelis».
14
«Ac diu non nisi optimus quisque et qui credentem sibi minime fallat
legendus est».
15
«Quin etiam si minus pares uidebuntur aliquae, tamen ad cognoscendam
litium quaestionem recte requirentur».
476
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
singole opere, può succedere che talvolta “sonnecchino” scrittori rinomati come Demostene, a parere di Cicerone, e Omero, secondo il
giudizio di Orazio (X 1, 24)16, che comunque non sono da imitare nei
loro difetti (X 1, 25).
Se, a parere di Quintiliano, occorre dimostrare moderazione e cautela nel giudizio critico a proposito degli autori migliori (X 1, 26)17,
in ogni caso è assai proficuo leggere non solo le opere degli oratori,
ma anche quelle dei poeti, degli storici e dei filosofi. Per quanto riguarda l’utilità della lettura delle opere poetiche Quintiliano si rifà
all’autorità di Teofrasto (X 1, 27): in esse è possibile trovare lo slancio
dei pensieri, l’elevatezza dell’espressione, la commozione dei sentimenti e il decoro del carattere («in rebus spiritus et in uerbis sublimitas et in adfectibus motus omnis et in personis decor»). Non
bisogna, tuttavia, dimenticare le differenze tra il poeta e l’oratore: con
un linguaggio metaforico, spesso ricorrente nella prosa quintilianea,
si afferma che le armi dell’oratore non devono essere ammuffite e arrugginite, ma splendenti del fulgore del ferro e non di quello dell’oro
e dell’argento (X 1, 30)18.
Anche le opere storiche sono utili per il loro spirito fecondo e piacevole (X 1, 31); esse, tuttavia, sono troppo vicine alla poesia, tantoché
Quintiliano definisce la storia come poesia sciolta da norme metriche
(«carmen solutum») e sottolinea che essa è scritta per narrare e non
per provare19. A questo proposito, egli inserisce qui per la prima volta
16
«Cum Ciceroni dormitare interim Demosthenes, Horatio uero etiam
Homerus ipse uideatur».
17
«Modesto tamen et circumspecto iudicio de tantis uiris pronuntiandum est».
18
«Neque ego arma squalere situ ac robigine uelim, sed fulgorem in iis esse qui
terreat, qualis est ferri, quo mens simul uisusque praestringitur, non qualis auri
argentique, inbellis et potius habenti periculosus». Su similitudini e metafore in
Quintiliano: M. ARMISEN-MARCHETTI, Histoire des notions rhétoriques de métaphore et de
comparaison, des origines à Quintilien. II. - Deuxième partie. La période romaine, «BAGB»
(1991), pp. 19-44; G. ASSFAHL, Vergleich und Metapher bei Quintilian, Stuttgart 1932;
R. BERTEAU, Similitudo, «AC» 48 (1979), pp. 154-160; R. BERTEAU, L’opposition
“comparatio” vs “similitudo” dans la rhétorique latine, «Latomus» 39 (1980), pp. 393398; C.M. CALCANTE, La similitudo in Quintiliano tra argumentum e ornatus, «RIL»
132 (1998), pp. 249-264; S. CORSI, Teoria e prassi stilistica in Quintiliano: le similitudini
in Inst. 2.19, in AA. VV., Discentibus obvius. Omaggio degli allievi a Domenico
Magnino, Como 1997, pp. 23-29; R. GAZICH, Teoria e pratica dell’exemplum in
Quintiliano, in COVA et alii (edd.), Aspetti della paideia cit., pp. 61-141; I.
MASTROROSA, Similitudini, metafore e lessico militari nella trattatistica retorica latina:
Cicerone e Quintiliano, in S. SCONOCCHIA-L. TONEATTO (edd.), Lingue tecniche del greco
e del latino, vol. 3, Trieste 2000, pp. 277-310; M.H. MCCALL, Ancient Rhetorical
Theories of Simile and Comparison, Cambridge (Mass.) 1969.
19
«Est enim proxima poetis, et quodam modo carmen solutum est, et scribitur
ad narrandum, non ad probandum». Vd. NICOLAI, La storiografia cit., pp. 239-240.
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
477
alcuni giudizi critici su autori fondamentali delle lettere latine, rimasti memorabili nella tradizione scolastica e storico-letteraria successiva
(X 1, 32): sicuramente, a suo parere, non bisogna imitare la concisione
stilistica di Sallustio («Sallustiana breuitas»), né l’abbondanza espressiva di Livio («Liviana lactea ubertas»). Certo è possibile utilizzare lo
splendore formale dello stile storico in alcune sezioni del discorso
come le digressioni, sebbene occorra ricordare che – ancora una volta
per metafora – nelle parti principali della causa non bisogna possedere
i muscoli appariscenti degli atleti, ma le braccia asciutte dei soldati
(X 1, 33)20. Da ultimo, le opere storiografiche sono ottime come memoria di argomenti ed esempi che si possono impiegare con profitto
per aumentare l’efficacia dei propri discorsi (X 1, 34)21.
Innegabile, poi, è l’importanza della filosofia per l’approfondimento
di concetti generali, come la giustizia, l’onestà, l’utilità, i loro contrari
o le cose divine, oppure per l’apprendimento sul modo di condurre le
discussioni e le interrogazioni (X 1, 35)22. In tale prospettiva, però,
Quintiliano sottolinea la concorrenza tra oratori e filosofi: questi ultimi,
infatti, secondo un giudizio di matrice isocratea, hanno usurpato lo spazio intellettuale ed educativo in precedenza appannaggio dei retori.
Nello stesso tempo, sono sottolineate le differenze tra le discussioni in
tribunale e le dispute filosofiche, tra lo spazio del foro e quello degli
auditoria, tra i processi e l’insegnamento (X 1, 36)23.
L’espressione «solutum carmen» si legge anche in Sen., Contr. II 2, 8 a proposito
di una controversia declamata dal giovane Ovidio alla scuola del retore Arellio Fusco:
«già allora il suo discorso non sembrava altro che poesia messa in prosa» («oratio
eius iam tum nihil aliud poterat uideri quam solutum carmen»). Cf. M.
WINTERBOTTOM (ed.), The Elder Seneca, vol. 1, Controversiae. Books 1-6, Cambridge
(Mass.)-London 1974, p. 259 n. 4: «Ovid himself says everything he tried to
compose in prose turned to verse (Trist. IV 10, 23-26)». Vd. anche E. BERTI,
Scholasticorum Studia. Seneca il Vecchio e la cultura retorica e letteraria della prima età
imperiale, Pisa 2007, pp. 294-295.
20
«Licet tamen nobis in digressionibus uti uel historico nonnumquam nitore,
dum in iis de quibus erit quaestio meminerimus non athletarum toris sed militum
lacertis <opus> esse».
21
«Est et alius ex historiis usus, et is quidem maximus sed non ad praesentem
pertinens locum, ex cognitione rerum exemplorumque, quibus in primis instructus
esse debet orator».
22
«Nam et de iustis honestis utilibus, iisque quae sint istis contraria, et de rebus
diuinis maxime dicunt, et argumentantur acriter, et altercationibus atque
interrogationibus oratorem futurum optime [Socratici] praeparant». Sull’espunzione
di Socratici e sulla possibile duplice riferimento a Stoici e discepoli di Socrate (Platone,
Senofonte, Eschine Socratico) vd. A.M. MILAZZO (ed.), Libro decimo, in A. PENNACINI
(ed.), Quintiliano, Institutio oratoria, vol. 2, Torino 2001, p. 912.
23
«Non tamen eandem esse condicionem sciamus litium ac disputationum, fori
et auditorii, praeceptorum et periculorum». Il termine auditorium, già attestato da
478
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
Nella costituzione di un proprio canone e nella costruzione di una
memoria condivisa di autori e opere principali, Quintiliano è consapevole dell’impossibilità di stilarne un elenco esaustivo (X 1, 37)24.
Come ha ben dimostrato Cicerone nel Brutus, anche solo a voler raccogliere in un elenco ragionato gli oratori romani, il discorso non può
esaurirsi in uno spazio di agevole lunghezza (X 1, 38). All’estremo
opposto sta la posizione di Livio, che Quintiliano sembra grosso modo
condividere: lo storico, in una lettera al figlio, ha consigliato di leggere soltanto Demostene e Cicerone, più quelli che somigliano a loro
(X 1, 39)25. In generale, Quintiliano sostiene la necessità di conoscere
sia gli autori del passato sia quelli del presente (X 1, 40-41)26, anche
se occorre selezionare quelli utili alla formazione dello stile (X 1, 42)27.
Nel suo canone, poi, decide di scegliere pochi scrittori in base alla
loro eccellenza, con l’avvertenza che molti più autori sarebbero degni
di essere ricordati e letti, e che la selezione si basa unicamente sul loro
valore didattico (X 1, 45)28.
4. Un confronto con Dionisio di Alicarnasso
Vista l’impossibilità di svolgere in questa sede una comparazione fra
i diversi canoni letterari giuntici dall’antichità greco-romana, concentrerò la mia attenzione su un confronto fra quello proposto da Dionisio di Alicarnasso e quello contenuto nel decimo libro dell’Institutio
oratoria di Quintiliano29. Come premessa a tale approfondimento oc-
Seneca (Epist. LII 11), è spesso utilizzato da Quintiliano (inst.), Tacito (dial.) e Plinio
(epist.); vd. Thesaurus Linguae Latinae, vol. 2, Lipsiae 1900-1906, coll. 1295-1297.
24
«Sed persequi singulos infiniti fuerit operis».
25
«Legendos Demosthenen atque Ciceronem, tum ita ut quisque esset
Demostheni et Ciceroni simillimus». La lettera, non altrimenti nota, è utilizzata
già in Quint., Inst. II 5, 20 e costituisce probabilmente la fonte per Inst. VIII 2,
18; prima di Quintiliano essa è ricordata in Sen., Contr. IX 1, 14 e IX 2, 26.
26
«Paucos enim uel potius uix ullum ex iis qui uetustatem pertulerunt existimo
posse reperiri quin iudicium adhibentibus allaturus sit utilitatis aliquid [...]. Nec
multo aliud de nouis sentio».
27
«Sed non quidquid <ad> aliquam partem scientiae pertinet, protinus ad
faciendam etiam phrasin, de qua loquimur, accommodatum».
28
«Paucos (sunt enim eminentissimi) excerpere in animo est». Il nesso paucos
excerpere si legge anche nell’intervento di Messalla in Tac., Dial. XXVI 8 a proposito
di una selezione di oratori: «nunc detrectasse nominatim antiquos oratores
contentus neminem sequentium laudare ausus est nisi in publicum et in commune,
veritus credo, ne multos offenderet, si paucos excerpsisset».
29
Oltre agli studi ricordati supra nn. 6 e 11, vd. M.S. CELENTANO, Dalla scrittura
all’eloquenza: le regole e i modelli nel decimo libro dell’Institutio oratoria, in L. CALBOLI
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
479
corre ricordare la complicata situazione testuale del Peri;mimhv
sew",
il trattato dionisiano che espone il problema dell’imitazione in relazione al canone degli autori. Questo si è conservato in modo parziale
ed è ricostruibile attraverso sei frammenti estrapolati dall’opera di Siriano (un tardo commentatore di Ermogene), da un’epitome al secondo libro e da una lunga citazione del secondo libro (sugli storici
Erodoto, Tucidide, Senofonte, Filisto e Teopompo di Chio) contenuta
in una lettera di Dionisio indirizzata a Pompeo Gemino30. Il trattato
fu composto dopo la redazione e la pubblicazione del primo libro degli
Oratori Attici (su Lisia, Isocrate e Iseo) e dopo la redazione e la pubblicazione provvisoria della prima parte del secondo libro dell’opera
(incentrata su Demostene), che costituì anche l’ultima sezione completata degli Oratori Attici. In particolare, il Peri;mimhv
sew" doveva
originariamente essere suddiviso in tre libri, dedicati rispettivamente
allo studio dell’imitazione, agli autori da imitare (poeti, filosofi, storici
e oratori) e ai modi dell’imitazione.
Per quanto riguarda la poesia epica greca, Dionisio (Imit. II 2, 1-4)
e Quintiliano ricordano entrambi Omero, Esiodo, Antimaco e Paniassi31. A questo gruppo Quintiliano (X 1, 54-56) aggiunge Apollonio Rodio, Arato, Teocrito, Pisandro, Nicandro, Euforione e Tirteo. A
proposito di Apollonio Rodio l’autore dell’Institutio oratoria spiega la
mancata inclusione nel canone alessandrino redatto da Aristarco e Aristofane di Bisanzio con la scelta operata da questi filologi di escludere
gli autori a loro contemporanei (X 1, 54). Espone poi il suo giudizio
stilistico: in modo litotico afferma che il poema apolloniano non è disprezzabile ed è contraddistinto da una uniformità nello stile medio
(«non tamen contemnendum edidit opus aequali quadam mediocritate»). L’inclusione nel canone quintilianeo dipende, in questo caso,
dal successo delle Argonautiche nel contesto romano: basti ricordare che,
oltre all’importanza come modello per Virgilio, esso fu tradotto in latino da Varrone Atacino e fu ripreso da Valerio Flacco.
Riguardo all’opera di Arato, il giudizio non è positivo (X 1, 55):
MONTEFUSCO (ed.), Papers on Rhetoric 7, Roma 2006, pp. 31-41; N. TAVERNINI,
Dal Libro decimo dell’Institutio Oratoria alle fonti tecnico-metodologiche di Quintiliano,
Torino 1953; E. VARGANOVA, Quint. Inst. X, 1, 52-54 and Dion. Hal. De imit. II,
2-4, «Hyperboreus» 12/1-2 (2006), pp. 239-250.
30
Vd. AUJAC, Opuscules rhétoriques cit., 11-14. Bisogna ricordare come la
valutazione del rapporto tra Peri;mimhv
sew" e Quintiliano è limitato dalla nostra
conoscenza parziale del trattato dionisiano; per la rassegna degli autori, in
particolare, occorre basarsi sull’opera dell’epitomatore, per la quale vd. AUJAC,
Opuscules rhétoriques cit., pp. 14-22.
31
Su Antimaco vd. P. SANTINI, Antimaco nel giudizio di Quintiliano,
«Prometheus» 26/3 (2000), pp. 267-276.
480
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
la sua poesia è priva di slancio («materia motu caret»), manca di varietà stilistica, non presenta personaggi e discorsi, sebbene, a parere
di Quintiliano, l’ispirazione sia sufficiente per quel determinato tipo
di letteratura («sufficit tamen operi cui se parem credidit»). Anche
per Arato occorre ricordare che la sua opera godette di una notevole
attenzione a Roma, come dimostrano le traduzioni di Cicerone, Varrone Atacino, Ovidio e, in tempi successivi a Quintiliano, di Avieno,
oltre ad aver influito sulle trattazioni astronomiche di Virgilio, Vitruvio e Manilio. Teocrito (X 1, 55), inserito forse tra i poeti epici per
i suoi epilli, è ritenuto degno di ammirazione per la musa agreste e
pastorale, che, aggiungiamo noi moderni, costituì il modello per i
carmi bucolici di Virgilio. Il siracusano, tuttavia, è ritenuto da Quintiliano non adatto al foro e alla vita cittadina e, dunque, può per gli
oratori cadere nell’oblio («musa illa rustica et pastoralis non forum
modo uerum ipsam etiam urbem reformidat»).
A questo punto Quintiliano inscena un dialogo fittizio con il suo
pubblico di lettori che gli suggeriscono i nomi di numerosi poeti
degni di menzione (X 1, 56)32. Con una serrata successione di proposizioni interrogative vengono perciò citati i nomi di Pisandro (che, in
base alla testimonianza di Macrobio, fu con la sua Eracleide una delle
fonti per il secondo libro dell’Eneide)33, Nicandro (imitato da Emilio
Macro, Virgilio e – aggiungiamo noi – da Ovidio), Euforione (importante per Virgilio, ma già prima per Cornelio Gallo, Catullo e, in generale, per i poetae novi) e Tirteo (a proposito del quale Quintiliano
ricorda il giudizio di Orazio che lo metteva per importanza subito
dopo Omero)34. In questa sezione sulla poesia epica greca, dunque,
oltre a non essere rispettato un ordinamento cronologico, risulta
stretto il rapporto con i giudizi espressi su questi poeti dalla tradizione
letteraria romana che costringe Quintiliano a prendere una posizione
chiara nella dinamica tra memoria e oblio.
Nella sezione dedicata ai poeti lirici (X 1, 58-60) Quintiliano completa il canone proposto da Dionisio di Alicarnasso (Imit. II 2, 5-8,
Pindaro, Simonide, Stesicoro, Alceo) con l’inserzione anticipata di ele-
32
«Audire uideor undique congerentis nomina plurimorum poetarum».
Macr., Sat. V 2, 4: «Dicturum ne me putatis ea quae uulgo nota sunt, quod
Theocritum sibi fecerit pastoralis operis auctorem, ruralis Hesiodum, et quod in
ipsis Georgicis tempestatis serenitatisque signa de Arati Phaenomenis traxerit, vel
quod euersionem Troiae cum Sinone suo et equo ligneo ceterisque omnibus quae
librum secundum faciunt a Pisandro ad uerbum paene transcripserit […]?».
34
«Horatius frustra Tyrtaeum Homero subiungit?» Per il giudizio su Tirteo
vd. Hor., Ars 401-403 («post hos insignis Homerus/ Tyrtaeusque mares animos in
Martia bella/ uersibus exacuit»).
33
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
481
giaci e giambografi, introdotti da un’immagine gastronomica: nei
grandi pranzi dopo essere stati saziati dai cibi migliori è possibile trovare piacere nella varietà dei cibi più umili35. Per quanto riguarda
l’elegia il massimo rappresentante è riconosciuto in Callimaco, mentre
la seconda posizione è occupata da Fileta. Se per tale giudizio Quintiliano si accoda esplicitamente a una tradizione esegetica consolidata
(«confessione plurimorum»), possiamo pure ricordare l’importanza di
Callimaco per poeti romani come Catullo, Properzio, Ovidio o il fatto
che le elegie erotiche di Fileta furono riprese sempre da Properzio e
Ovidio. In ogni caso, la precauzione didattica verso l’elegia erotica era
già stata manifestata da Quintiliano nel primo libro (I 8, 6), dove la
sconsigliava ai giovani per ovvie ragioni morali36.
Per quanto riguarda la produzione giambica, non menzionata da
Dionisio di Alicarnasso37, Quintiliano opera una selezione rispetto al
canone alessandrino: egli ricorda soltanto Archiloco, mentre sorvola
su Semonide e Ipponatte. Il poeta di Paro è, anzi, citato fra gli scrittori
migliori e fortemente raccomandato, poiché è considerato utile al conseguimento della hexis (la facilitas già ricordata all’inizio del libro decimo). Quintiliano esprime anche un minuzioso giudizio stilistico: ne
ricorda lo stile vigorosissimo, i concetti efficaci, concisi, energici, la
pulsione di vita e la forza vitale (X 1, 60)38. Anche in questo caso l’autore dell’Institutio oratoria si inserisce in una tradizione esegetica precedente e riporta il giudizio di alcuni critici che hanno messo in luce
l’inferiorità di Archiloco rispetto ad altri poeti per i temi affrontati.
Se nelle rispettive sezioni dedicate alla tragedia Dionisio (Imit. II
2, 10-11)39 e Quintiliano (X 1, 66-68) sono concordi nel soffermare la
loro attenzione soltanto su Eschilo, Sofocle ed Euripide, una situazione
35
Sul linguaggio metaforico in Quintiliano vd. supra n. 18. Su questo passo in
particolare vd. P. SANTINI, I cibi della tavola oratoria (Institutio oratoria 10, 1, 5658), «BStudLat» 31/2 (2001), pp. 468-477.
36
«Elegia uero, utique qua amat, et hendecasyllabi, qui sunt commata
sotadeorum (nam de sotadeis ne praecipiendum quidem est), amoueantur si fieri
potest, si minus, certe ad firmius aetatis robur reseruentur».
37
I giambografi non sono infatti ricordati nell’epitome e mancano altre
testimonianze.
38
«Summa in hoc uis elocutionis, cum ualidae tum breues uibrantesque
sententiae, plurimum sanguinis atque neruorum, adeo ut uideatur quibusdam quod
quoquam minor est materiae esse, non ingeni uitium».
39
Come premessa a tale sezione, nell’epitome (Imit. II 2, 9) si legge
un’annotazione sull’impossibilità di menzionare tutti i poeti e sulla necessità di
compiere una selezione tra gli autori, sebbene la loro conoscenza possa comunque
essere utile: i[
wmen ej
pi;tou;
" tragw/
douv
", ouj
k ej
peidh;mh;proshv
kei pa'
sin
toi'
" poihtai'
" ej
ntugcav
nei, aj
ll jej
pei;mh;pav
ntwn kairo;
" ej
n tw/
'parov
nti
memnh'
sqai: to;de;tw'
n ej
xairev
twn, iJ
kanov
n ej
stin.
482
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
diversa si trova a proposito della commedia. Infatti, nell’epitome al
Peri;mimhv
sew", in coda ai poeti tragici, rimane una breve trattazione
sugli autori comici (II 2, 14), a proposito dei quali si rimarca la possibilità di imitarli per lo stile e, soprattutto, per il lessico. L’unico commediografo citato esplicitamente è però Menandro, consigliato anche
per i contenuti40. Nell’Institutio oratoria, invece, dopo un’introduzione
generale sulla commedia antica («antiqua comoedia») accompagnata
dall’esplicita menzione dei suoi massimi esponenti, individuati in Aristofane, Eupoli e Cratino (X 1, 65-66), e dopo la trattazione sulla tragedia (X 1, 66-68), Quintiliano dedica un’ampia sezione a Menandro
(X 1, 69-72), collegato a Euripide da un rapporto di ammirazione e
imitazione41. Il commediografo è elogiato e raccomandato agli studenti
delle scuole di retorica («declamatoribus») sia per la capacità di rappresentare la realtà («omnem vitae imaginem expressit»), sia per la
perfezione dei discorsi presenti nei suoi testi teatrali, sia, infine, per la
possibilità di essere letto come modello eccellente nel ritrarre i più diversi tipi umani («in quibus omnibus mire custoditur ab hoc poeta
decor»). Quintiliano, poi, menziona anche i pregi di altri poeti, pur
mettendo in guardia i suoi lettori dai loro difetti42. In particolare, egli
dedica qualche riga a Filemone del quale ricorda come fosse preferito
a Menandro dai contemporanei (notizia questa confermata anche da
Gellio)43 e come nel canone degli autori comici, per consenso unanime,
venisse secondo dopo Menandro44.
Nella sezione dedicata agli storici (X 1, 74-75), oltre agli scrittori
già ricordati nel Peri;mimhv
sew" (Erodoto, Tucidide, Senofonte, Fi-
40
«Tw'
n de;kwmw/
dw'
n mimhtev
on ta;
" lektika;
" aj
reta;
" aJ
pav
sa": eij
si;ga;
r
kai; toi'
"' oj
nov
masi kaqaroi; kai; safei'
"', kai; bracei'
"' kai; megaloprepei'
"'
kai;deinoi;kai;hj
qikoiv
. Menav
ndrou de;kai;to;pragmatiko;
n qewrhtev
on».
41
«Hunc et admiratus maxime est, ut saepe testatur, et secutus, quamquam in
opere diuerso».
42
«Habent tamen alii quoque comici, si cum uenia legantur, quaedam quae
possis decerpere».
43
Gellio (XVII 4, 1-2) associa Menandro ed Euripide per il fatto di risultare
perlopiù perdenti nei concorsi teatrali; a proposito di Filemone, poi, oltre ai mezzi
illeciti per conseguire la vittoria, è ricordata anche una facezia di Menandro nei
confronti dell’avversario: «Menander a Philemone, nequaquam pari scriptore, in
certaminibus comoediarum ambitu gratiaque et factionibus saepenumero
uincebatur. Eum cum forte habuisset obuiam: “quaeso,” inquit “Philemo, bona
uenia dic mihi, cum me uincis, non erubescis?”» Su Filemone e il confronto con
Menandro vd. anche Apul., Flor. XVI.
44
Riguardo al successo di Filemone a Roma, basti pensare alle riprese delle sue
commedie da parte di Plauto (l’Euporos per il Mercator, il Thesauròs per il Trinummus
e, probabilmente, il Phasma per la Mostellaria).
MEMORIA E OBLIO IN QUINTILIANO
483
listo e Teopompo)45, Quintiliano aggiunge brevi giudizi su Eforo e
Clitarco: per Eforo menziona il giudizio severo di Isocrate, secondo il
quale lo storico doveva essere spronato, mentre Clitarco è considerato
pregiato per l’ingegno ma dotato di scarsa veridicità46. In entrambi
in casi il parere quintilianeo subisce l’influenza di Cicerone che fece
considerazioni simili47. La ragione della successiva menzione di Timagene è evidente: questo autore, ben più recente rispetto agli storici
canonici, visse nel primo secolo a.C. e aprì una scuola di retorica proprio a Roma, dove fu amico di Asinio Pollione e Augusto. L’occasionalità della menzione è dimostrata dal fatto che nel giudizio di
Quintiliano l’unico merito di tale autore è quello di aver ripreso a
scrivere storia dopo un lungo intervallo di tempo.
A proposito degli oratori (X 1, 80) Quintiliano compie una sostituzione rispetto al canone dionisiano: oltre a Demostene, Eschine,
Iperide, Lisia e Isocrate, invece di Licurgo nell’Institutio oratoria è ricordato Demetrio Falereo, di cui si sottolinea il notevole talento e la
grande eloquenza. Anche in questo caso, dietro il giudizio di Quintiliano si riconosce l’influenza di Cicerone: prima implicitamente,
quando, in modo simile al Brutus (38), viene riferita l’opinione secondo cui con Demetrio iniziò la decadenza dell’oratoria greca tantoché egli è l’ultimo degli Attici che può definirsi oratore («ultimus est
fere ex Atticis qui dici possit orator»); poi, in modo esplicito, quando
è ricordata la preferenza ciceroniana per il Falereo a proposito dello
stile medio dell’eloquenza («quem tamen in illo medio genere dicendi
praefert omnibus Cicero»)48.
Per concludere questo approfondimento sulle aggiunte di Quintiliano rispetto al canone dionisiano, rimane la sezione sui filosofi (X 1,
83-84). In questo caso, oltre alla comune trattazione su Platone, Senofonte e Aristotele, nell’Institutio oratoria si legge anche la menzione
elogiativa di Teofrasto, contraddistinto da un eloquio divinamente
terso («loquendi nitor ille diuinus»). A tale proposito Quintiliano accenna soltanto alla possibilità che il nome stesso del filosofo derivasse
da questa caratteristica stilistica, con un gioco etimologico tra qeov
" e
45
Dion., Imit. II 3, Pomp. 3-6.
«Ephorus, ut Isocrati uisum, calcaribus eget. Clitarchi probatur ingenium,
fides infamatur». Sulla sezione dedicata agli storici vd. Nicolai, Il canone cit. Per il
giudizio di Isocrate su Eforo (e Teopompo) vd. anche Quint., Inst. II 8, 11; per altri
confronti vd. R. GRANATELLI in PENNACINI, Institutio cit., vol. 2, p. 867, e T.
REINHARDT-M. WINTERBOTTOM (eds.), Quintilian, Institutio oratoria. Book 2,
Oxford 2006, p. 157.
47
Su Eforo in De orat. III 36 e Brut. 204; su Clitarco in Brut. 42.
48
Cf. Cic., Orat. 92, De orat. II 95, Brut. 37.
46
484
AMEDEO ALESSANDRO RASCHIERI
frav
zomai (loquendi divinus). In realtà, sappiamo che ancora una volta
dietro il giudizio quintilianeo sta il precedente di Cicerone, che nell’Orator (62) ricordava la medesima notizia («Theophrastus diuinitate
loquendi nomen inuenit»)49. In chiusura Quintiliano aggiunge anche
una generica menzione dedicata agli stoici antichi, che se curarono
poco la forma stilistica, tuttavia furono utili maestri di dottrine morali
e valorosi nell’argomentare e nel provare.
Conclusioni
In conclusione, dall’esposizione precedente sono emersi i meccanismi
principali della memoria letteraria quintilianea, i suoi luoghi, i suoi
scopi e le sue modalità. Per riassumere, i suoi luoghi (fisici e ideali)
sono la biblioteca (pubblica e privata), la scuola (del grammatico e
del retore) e l’attività letteraria (intesa in senso lato, orale e scritta). I
suoi scopi sono l’orientamento verso l’educazione oratoria, il suo essere
sorgente di parole e argomenti, il perfezionamento rispetto all’elocutio.
Infine, le sue modalità: il rapporto dinamico tra memoria e oblio si
concretizza nel giudizio stilistico (sempre orientato verso l’utilità per
l’oratore), nell’inserimento in una tradizione esegetica e letteraria
(greca e latina), nella riproposizione e nella selezione di un canone,
che per Quintiliano è qualcosa di ben diverso da un elenco di autori
e opere come può trovarsi in una qualsiasi biblioteca (X 1, 57): «Né
certamente vi è qualcuno così lontano dal conoscere questi poeti che
non possa ricavare e trascrivere tra i suoi libri almeno un elenco di
essi, desunto da qualche biblioteca. Né, dunque, io ignoro quei poeti
che tralascio, né in qualche modo li condanno, io che ho asserito che
in tutti si ritrova una qualche utilità»50.
Università degli Studi di Torino
amedeo.raschieri@alice.it
49
Diogene Laerzio (V 38) informa che fu Aristotele a cambiare il nome da
Tirtamo a Teofrasto: «tou'
ton Tuv
rtamon legov
menon Qeov
fraston dia; to;
th'
"
' frav
sew" qespev
sion Aristotev
j
lh" metwnov
masen». Vd. anche Procl.,
In Crat. prooem. XVI 7 (p. 6.26 Pasquali); Strab. XIII 2, 4.
50
«Nec sane quisquam est tam procul a cognitione eorum remotus ut non
indicem certe ex bibliotheca sumptum transferre in libros suos possit. Nec ignoro
igitur quos transeo nec utique damno, ut qui dixerim esse in omnibus utilitatis
aliquid». Trad. di MILAZZO, Libro decimo cit.