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2019, Foglio Giallo
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Leafing through ancient books, I found a lost saint, his story offers a new vision of the function of relics
Suvereto. Arte e storia, pp. 63-66., 2012
Lungo la viabilità di mezza costa e di crinale che collegava il castello di Suvereto (val di Cornia, attualmente provincia di Livorno) con quelli di Sassetta e Castagneto, a 262 metri s.l.m, in posizione isolata e distante dall’insediamento, si trova la chiesa dell’Annunziata. Non sono noti documenti che possano fornire informazioni sulla natura dell’ente, non nominato negli elenchi delle decime della diocesi di Massa (Massa Marittima, GR), per le quali ignoriamo del resto se fosse esente o dipendente da altri. L’edificio non era preposto alla cura d’anime ma connesso ad alcune strutture, riconoscibili nelle rovine ubicate nei pressi della fonte omonima, forse destinate ad accogliere viandanti, se interpretiamo il complesso come ospedale, più probabilmente funzionali alla vita in comune di una piccola comunità eremitica.
Questo lavoro nasce dal ritrovamento presso l’Archivio Storico Nazionale di Toledo (Spagna) di un antico manoscritto redatto nel 1608 dall’Arciprete di Taormina Melchiorre Coniglio, riguardante gli eventi miracolosi che si stavano verificando presso l’antica chiesetta di S. Venera, situata nell’omonima contrada della suddetta città. Il documento, composto da dieci fogli recto e verso, è la relazione minuziosa delle guarigioni inspiegabili operate da una fonte d’acqua prodigiosa che scaturiva nelle vicinanze della chiesa, del successivo rinvenimento attorno ad essa di numerosi reperti umani di soggetti che verosimilmente avevano subito il martirio e di come la città di Taormina, le diverse contrade e terre della Sicilia reagirono alla dilagante notizia dei miracoli che ivi accadevano. Tale resoconto costituisce l’atto iniziale di una meticolosa istruttoria canonica avviata dall’Arcivescovo di Messina, monsignor Bonaventura Secusio, che si concluse alla fine del XVII secolo con l’emanazione di un breve apostolico che decretò solennemente la venerabilità e la santità di quelle reliquie, autenticate e denominate come Tauromenitanorum Sanctorum Reliquiae; alla fine del XVII sec. queste vennero identificate come quelle dei santi Corneliano, Sepero e i loro 60 – per altri 70 – compagni, martiri taorminesi del II secolo. Alla luce di quanto è contenuto nel documento, tale valutazione, operata secondo criteri oltremodo semplicistici, appare oggi poco probabile poiché nella narrazione delle varie inventio vengono descritti pure gli oggetti che costituivano il funebre corredo di quei corpi straziati, i quali non potevano essere certamente coevi al periodo in questione. Tra questi figurano dei paternoster, croci e corregge in uso negli ambienti monastici in epoca medievale. Tali elementi probanti sconfessano apertamente le congetture teorizzate alla fine del XVII secolo e allo stesso tempo spalancano scenari nuovi di ricerca, soprattutto per quanto concerne il periodo a cavallo tra la dominazione bizantina e la conquista degli arabi, il più probabile ove collocare cronologicamente gli eventi narrati. Le reliquie in seguito furono racchiuse in tre casse le quali sono ancora oggi custodite nel retro dell’altare maggiore del duomo di Taormina.
Tesi di laurea AA 2001-2002, relatore Giampiero Pianu, correlatore Attilio Mastino
"Santa Maria La Nova" era la denominazione della incompiuta cattedrale della nuova Siponto o Manfredonia, voluta da Manfredi figlio di Federico II di svevia. L'edificio dopo l'improvvisa interruzione dei lavori, rimase edificato per la sola zona absidale che nei secoli successivi, oramai ridotto a rudere, rimase nella memoria della città come la "Tribuna imperfetta".
ad Occhieppo Superiore ha origini medievali, ma venne di fatto ricostruita all'inizio del secolo XVII. Come si legge in un Ordinato del comune del 2 dicembre 1601, a quella data erano già state collocate sia l'ancona dell'altare maggiore sia quella del Rosario, pagate in totale 196 ducatoni 1 . Non è necessario tornare sulle poche testimonianze della chiesa antica come il Crocifisso ligneo quattrocentesco oggi nel presbiterio e in origine sull'architrave o la interessante Croce astile in argento della fine del Trecento 2 , così come sono abbastanza noti gli affreschi quattrocenteschi che si conservano in un locale alla destra del presbiterio, oggi adibito a ripostiglio, in cui la volta è decorata dalle quattro figure dei Dottori della Chiesa, e sulle pareti una Deposizione di Cristo nel sepolcro molto ammalorata, una Assunzione della Vergine, un sottarco con profeti e una Incoronazione della Vergine e santi attribuita a Daniele de Bosis 3 . Nella visita pastorale del 28 ottobre 1661 in cornu Evangelij all'altare di Sant' Agata vengono ricordate «Picture sapiunt quandam venustate» 4 ed è a questo punto molto probabile che si riferisse alle opere ancora oggi conservate. Poco dopo la ricostruzione ricordata venne effettuata una visita pastorale da parte del vescovo di Vercelli Giovan Stefano Ferrero il 2 settembre 1602, in cui si descriveva assai dettagliatamente la chiesa, la quale era dotata di tre altari: l'ancona dell'altare maggiore era definita «magnificentissimam», mentre nella già ricordata visita del 28 ottobre 1661 si precisava che era «ligneam pulcherrime elaboratam», e poi in quella del 1667 «multis statuis compositis» 5 . A cornu Epistolae vi era l'altare di san Giulio, ancora privo di icona nel 1606 6 , mentre a cornu Evangelij come abbiamo già visto vi era un altare dedicato alla Vergine del Rosario e che era stato immediatamente dotato di una ancona, anch' essa lignea e giudicata «decens». Un primo cambiamento è registrato nella visita pastorale del 28 ottobre 1661 allorquando a cornu Evangelij è ricordato un altare dedicato a sant' Agata «de novo constructo», e vicino era stata edificata una cappella «elleganter constructa» fuori dal perimetro dell' edificio e nella quale era stato intitolato l'altare del Rosario «cum simulacro B.M.V. in Niccia posito vitro» 7 . Ancora nel 1667 la cappella era definita «noviter constructa» ed è quindi probabile che in occasione della nuova costruzione sia stata sostituita l'ancona lignea di primo Seicento 8 . Una conferma sembra venire da un inventario del 1711 in cui all'altare del Rosario viene ricordata una «incona di calcina et matoni con diversi ornati a fiore et figure et statua del Rosario in Nichia con vinti quadretti tutt'all'intorno rappresentanti però in pitura sopra il muro la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo», anche se la vecchia ancona lignea era ancora conservata. Dallo stesso documento si ricava anche che l'altare di Sant' Agata era stato ovviamente dotato di una pala «con le figure dell' Angelo Custode et Santa Lucia», probabilmente della seconda metà del Seicento 9 . Dopo la metà dell'Ottocento vennero di fatto rinnovati completamente entrambi gli Fig. 1 -Occhieppo Superiore, parrocchiale di Santo Stefano Altare del Rosario, 1860.
2016
La chiesa di Santo Stefano, di cui non resta oggi più alcuna traccia visibile, era situata lungo l'odierna via Umberto I, anticamente conosciuta come Piazza Soprana, in prossimità del palazzo reale. Non si conosce con precisione la data di costruzione di questo antichissimo edificio religioso, ma data la somiglianza stilistica con la chiesa di San Vito e quella di Sant'Agata è ascrivibile tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. La tradizione ci tramanda che re Pietro III di Aragona (1239-1285) 1 , durante il suo soggiorno in Città, vi ascoltasse, con grande devozione, la Santa Messa e che concesse alla stessa una Regia gabella che anticamente riscuoteva sulla misura del tumulo della città di Randazzo, detta "Gabella del tumulo di Santo Stefano", della quale tuttavia non ci sono documenti in merito 2 . Stando a quanto riportato dal reverendo Plumari, nel 1840 fu acquistata dal barone Diego Vagliasindi, il quale l'adibì a cantina, facendo demolire il piccolo campanile a vela ed il portale della stessa, in ossequio del Real Decreto del 26 gennaio 1825, emanato dal re Francesco I (1777-1830), il quale ordinava la distruzione di tutto ciò che ricordasse essere un edificio sacro se destinato ad uso profano 3 . Un'ulteriore conferma viene dal Sommarione 4 del Catasto provvisorio siciliano del 1852, il quale registra, in Piazza Soprana, una cantina di proprietà del barone don Diego Vagliasindi 5 .
Saranno passati cinquant'anni da quando il mio corpo bolso ha lasciato spazio alla muffa e ai vermi. Ranuncoli, che gracidano tutt'attorno alla riva della Jamuna, vi hanno impresso cicatrici, e negli interstizi, ora orrendamente voragini protese fin nel centro del cervello, sono cresciuti alberi di pesche e uva. Un pero ha inciso le sue fessure nei mitocondri attaccati al cervello esanime, che ora ha la forma di una spora mucillaginosa. Un granchio ha impresso nell'ano le sue chele, e vi ha scavato una casa dalla quale si sporge, di quando in quando, per andare a cacciare le prede.
The author attributes to the Sienese painter Francesco Rustici, called il Rustichino, an unpublished canvas with a Saint Agnes, identifying its provenance from the collection of Girolamo Tantucci, Bishop of Grosseto. The circumstances of the work’s execution are linked with Rustici’s last Roman sojourn, when he was residing with his fellow citizen of Siena Orazio Brunetti in the house of Bishop Tantucci (1625). The study is built around two important pieces of evidence: the print made by Brunetti and bearing a dedication to Caterina Riccardi Niccolini — the wife of the Tuscan ambassador to Rome — and the record of a Saint Agnes by Rustici in the 1638 posthumous inventory of the Tantucci household. The slender oeuvre of the Sienese artist, who died prematurely at the age of thirty-four, is thus enriched.
Bisanzio e l'Occidente, 2018
Saint Theodosia of Caesarea, martyred during the Diocletianic persecution, was venerated in the Byzan-tine Empire, notably in Constantinople. Eusebius of Caesarea's De martyribus Palaestinae (BHG 1775) is the source of all the Greek hagiographic accounts of her martyrium, one of which, nowadays lost, was translated in Latin between the 5 th and the 7 th century (BHL 8090). Another independent translation of the lost Greek Passio was performed in Venice in the last centuries of the Middle Ages. According to Francesco Negri's Historia Theodosiae and to the anonymous Martyrium sanctae Theosiae-an incunab-ulum printed by Antonio Zanchi in 1498-the cult of Saint Theodosia was practiced and promoted in the first half of the 15 th century in at least two Venetian churches, San Tomà, and Corpus Domini. The 'Venetian' Passio is solely witnessed by the ms. Milano, Biblioteca Braidense, Gerli 26 and it has never been printed. The aim of this paper is to publish a critical edition of the text and to understand the historical circumstances under which it was elaborated.
Academia Green Energy, 2024
Краткие сообщения Института археологии. Вып. 274, 2024
Actes du Congrès International de l'Association …, 2003
Frontiers in Psychology, 2024
Journal of Construction Engineering and Management
European Journal of Cancer, 1997
Cognition, 2019
Journal of Thoracic Disease, 2018
Cytotherapy, 2017
Brno Studies in English, 2014
International Journal of Multidisciplinary: Applied Business and Education Research, 2025