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La beata Vanna, la santa perduta di Orvieto

2019, Foglio Giallo

Leafing through ancient books, I found a lost saint, his story offers a new vision of the function of relics

IL MONDO È PICCOLO tudiando la storia del Duomo di Orvieto, si troS vano sempre nuovi segreti da svelare. In uno dei libri della sua fondazione si legge che il 13 novembre del 1290, dopo una solenne processione di cardinali, vescovi e altri prelati, Papa Nicola entrò “nelli fondamenti già cavati tanto sotto che si ritrovava solo acqua e argilla”. Sembra che la ragione di un così fondo scavo sia da addebitare ai lavori di stabilità di costruzione. Nei primi anni del 1300 i lavori andavano a rilento per problemi con il rifornimento dei materiali, portarli sulla Rupe costava tempo e denaro, ma con l’arrivo dell’architetto Lorenzo Maitani, e con le sue rivoluzionarie idee, l’opera riprese nuovo vigore. Per risolvere il problema degli approvvigionamenti fu aperta una nuova porta nella Rupe sfruttando parte del percorso sotterraneo di una cava di pozzolana che rendeva molto più facile trasportare materiali da costruzione direttamente di fronte al Duomo. Secondo le ipotesi il tunnel, che fu chiamato porta Santa Maria, sboccava sotto il palazzo Faina. Ma non è di questo che intendo approfondire in questo spazio, ma di una suora vissuta in quegli anni, una beata orvietana acclamata per secoli, osannata per i suoi miracoli dal popolo e poi caduta nell’oblio. Si parla di lei in uno degli antichi codici membranacei, chiamati quaternioni, formati da fogli di pergamena manoscritta ripiegata in quattro, presentato nel secolo XIV da un frate domenicano al momento dell’istituzione per il processo di beatificazione di tre suore domenicane. Le tre suore erano: santa Caterina da Siena, la beata Giovanna da Carnaiola e la beata Margherita di Città di Castello. Come capita anche oggi, le origini contano e solo suor Caterina, che proveniva da una famiglia benestante, fu canonizzata nel 1461 da Papa Pio II, per le stimmate invisibili apparse dopo la morte e il miracolo riconosciuto della liberazione dalla peste della città di Varazze. Margherita, anche lei di ricca famiglia seppure abbandonata da piccola perché storpia e cieca, fu beatificata nel 1609 da Papa Paolo V. Mentre Giovanna detta Vanna, un’orfana di umili origini, malgrado i molti miracoli, le stimmate, le estasi che la innalzavano da terra un cubito (circa mezzo metro), il dono della preveggenza e le apparizioni mistiche, fu dichiarata beata solo nel 1743 e l’11 settembre 1754 Papa Benedetto XIV confermò il suo culto. Dopo la canonizzazione, la salma di Santa Caterina è finita in varie città: la testa a Siena, la mano sinistra è custodita nel monastero di Monte Mario, la parte rimanente del corpo chiuso in simulacro è presente nella chiesa di Santa Maria a Roma. Il corpo incorrotto della beata Margherita è nella chiesa di San Domenico a Città di Castello. E la beata Vanna, dal Giubileo del 2000, è stata traslata in una cappella a Carnaiola, sua città natale. Inspiegabilmente il suo corpo, secondo il Martirologio ufficiale, risultava essere presente fino ad allora ad Orvieto, nella Nel 2014, a 750 anni dalla nascita della Beata Vanna, le sue reliquie sono state portate da Papa Francesco in Vaticano. Foto: www.perugiaonline.net • YouTube “Marco Morucci” • Facebook “Archeologi Alternativi Umbria” • independent.academia.edu/MarcoMorucci • “Marco Morucci” su terraeantiqvae.com • www.castelgiorgionews.it La Beata Vanna la santa perduta di Orvieto di Marco Morucci Giovanna, detta Vanna, Caterina da Siena fra quattro beate domenicane (da sinistra: Giovanna da Firenze, Vanna da Orvieto, Margherita da Città di Castello, Daniela da Orvieto), fine del XIV secolo, olio su tavola attribuito a Andrea di Bartolo. era nata a Carnaiola che oggi fa parte del comune di Fabro, intorno al 1264. I genitori, probabilmente di una famiglia di nobili decaduti, morirono prematuramente e lei rimase orfana in giovanissima età. I parenti di Orvieto che la accolsero in casa le fecero imparare il mestiere di sarta e ricamatrice che le diede da vivere, ma la sua vocazione religiosa la portò ad entrare, appena adolescente, nel Terz’Ordine di San Domenico. Ancora in vita divenne nota per i suoi doni mistici e per i miracoli. Dopo la morte, avvenuta il 23 luglio 1306 a Orvieto, la sua figura fu più volte dimenticata e anche dopo che, sebbene solo nel 1754, ne fu confermato il culto, di questa Beata si sono perse le tracce. Oggi i pochi resti del suo corpo si trovano a Carnaiola, il suo borgo natìo. Si festeggia il 23 luglio e dal 1926 è patrona d’Italia delle lavoratrici, delle sarte e ricamatrici. chiesa di San Domenico nel cimitero delle Terniarie, sotto un tavolato, anche se lì, da secoli, se ne erano perse le tracce. Per cercare di svelare questo mistero ho approfondito le ricerche. Il corpo in realtà, secondo un trafiletto presente nel libro “La leggenda latina della Beata Vanna”, risultava essere stato di nuovo traslato, questa volta nel Duomo di Orvieto e precisamente nella cappella del Corporale sotto l’altare dei Magi. Perché spostare il corpo in segreto? Alla beata Vanna erano riconosciute numerose guarigioni, perfino quella di un ragazzo con un tumore al collo, il suo culto poteva crescere distogliendo i credenti dal corporale e di conseguenza dal Duomo e arricchendo i frati Domenicani. È stata solo una semplice questione di concorrenza. Quello che mi ha colpito però è stato ciò che ho letto in un piccolo inventario compilato dopo la ricognizione del corpo della beata. Inizialmente non ho ben compreso cosa stavo leggendo ma dopo le prime righe ho intuito l’arcano. In pratica la ricognizione non è altro che la catalogazione dei pezzi del corpo rimasti e della loro possibile integrazione con parti di cera o di legno. Questo è l’elenco presente nell’inventario: “Le parti mancanti, come abbiamo ricavato dal Processo, sono le seguenti. Prima, s’è fatto l’umero sinistro con il cubito radio, carpo e metacarpo e dita; le mani sono state fatte di cera, ed il rimanente del braccio sinistro s’è fatto di legno. Secondo: s’è fatto il cubito e radio di legno del braccio destro, carpo e metacarpo e dita di cera. Terzo: tutte le vertebre del collo sono state fatte di cera. Quarto: il naso, ed alcuni denti sono stati fatti di cera. Quinto: sono state fatte di legno dell’una e l’altra gamba le fibule, cioè fucili minori; articoli inferiori di cera. Sesto: sono stati fatti tutti li due piedi dell’una e l’altra gamba. Finito in appresso l’ordinario Processo, e tutto ciò che si richiedeva per l’introduzione della Causa presso la S. Sede, s’ebbe pure la consolazione di vederla compita”. Insomma, una statua. Non mi ero mai reso conto che una reliquia non è altro che un pezzo di corpo umano messo in mostra per il pubblico. Ho scoperto così che ormai siamo talmente condizionati a pensare e vedere le cose secondo l’insegnamento che abbiamo ricevuto, e non con il ragionamento, che consideriamo come normali cose che normalmente invece dovrebbero far rabbrividire. Certo, ho pensato, questi sono fatti accaduti secoli fa, ormai siamo nell’era della tecnologia, ma se fosse possibile, chiederei il parere di Padre Pio. Il suo cuore ha fatto il giro del mondo!