Sapienza università di Roma
Facoltà di Architettura - Corso di laurea a ciclo unico UE
Storia della città e del territorio
A.A. 2015/2016
Professoressa: Clementina Barucci
Tesina:
Nascita e sviluppi della Stazione Termini di Roma
Studentessa:
Alessia Gallo
1
Indice
1. Studio del contesto storico e urbanistico
2. Il progetto di Salvatore Bianchi
3. Progetti di ampliamento e relativi sviluppi architettonico-urbanistici
4. Il progetto di Angiolo Mazzoni
5. Il progetto per il completamento della facciata
2
1. Studio del contesto storico e urbanistico
Il nome di quella che nel 1867, giorno della sua inaugurazione, fu definita da Papa Pio IX "la
stazione della Capitale d'Italia" trae la sua origine dai grandi impianti termali di Roma antica ivi
presenti, fatti costruire dall'imperatore Diocleziano intorno al 300 d.C.. Il territorio su cui sorge
comprende un vasto altopiano nella parte nord-orientale della città, delimitato ad occidente dai colli
Esquilino, Viminale e Quirinale e ad oriente dalle mura aureliane. Fino agli anni della costruzione
della prima Stazione Termini, la prima stazione ferroviaria centrale, questa è sempre stata
considerata un'area marginale, che ha subito nel tempo radicali trasformazioni del suo assetto
formale e del suo uso. Questo carattere di territorio suburbano si è conservato fino a quando
Termini è divenuta sede della nuova stazione ferroviaria e Roma capitale del Regno d'Italia. A
seguito di questi due eventi, avvenuti a distanza di otto anni, l'area è stata luogo di una grande
espansione edilizia determinata dal suo nuovo ruolo urbano e dalle nuove esigenze di espansione
della città. Quando nel 1862 Papa Pio IX decise di porre la stazione alle Terme di Diocleziano
emersero immediatamente i conflitti tra questa nuova presenza ed il luogo antico con le sue
preesistenze monumentali. Le terme di ritrovarono bel presto isolate in una condizione di rudere,
soggette a subire le profonde trasformazioni del luogo. La ferrovia, con le sue inevitabili
implicazioni sul territorio urbano, sia dal punto di vista della "città civile" che della "città fisica",
finì con l'assumere all'interno dell'area una funzione dominante: orientò il futuro sviluppo del
territorio fino ad influenzarne il processo di costruzione. Da questo momento sarà la Stazione, e non
più il complesso dioclezianeo, a caratterizzare l'area di Termini.
Nella prima metà dell'800 si contrapponevano i paesi più industrializzati d'Europa, in cui si andava
velocemente sviluppando il trasporto su rotaia, a quelli caratterizzati da un'economia ancora a
carattere prevalentemente agricolo, in cui non si presentavano grandi esigenze di spostamento e che
quindi tardavano a sostituire i tradizionali mezzi di trasporto. Nello Stato Pontificio la prima
ferrovia era stata inaugurata solo nel 1856, con i relativi appalti banditi una decina di anni prima.
Nel luglio 1846 era stato proposto al Pontefice il primo progetto di strade ferrate romane;
nell'agosto dello stesso anno il governo aveva istituito una "Commissione consultiva per le strade
romane" con il compito di elaborare un piano generale d'intervento. Le trattative tra le diverse
istituzioni e società continuarono per diversi anni finché il 7 luglio 1856 venne inaugurata la prima
strada ferrata che congiungeva Roma con Frascati. Con questo evento, nello Stato Pontificio, come
negli altri stati italiani, prese avvio il processo di trasformazione dei trasporti che avrebbe
influenzato enormemente lo sviluppo della città di Roma. La prima stazione ferroviaria romana era
posto presso Porta Maggiore, in posizione notevolmente periferica e dunque scomoda per i cittadini
che avessero voluto accedervi dal centro abitato di allora. La ferrovia risultava quindi pressoché
inutilizzata, in favore degli spostamenti tramite la più antica carrozza anche per tratti piuttosto
lunghi, e la Compagnia Ferroviaria pensò ben presto ad un trasferimento della stazione in un'area
più centrale. Tra i luoghi proposti per la localizzazione della nuova stazione, Pio IX preferì quella
riguardante l'ex villa di Sisto V, adiacente le terme di Diocleziano. Si trattava di un luogo salubre e
ottimamente servito dagli acquedotti, fulcro di un'area destinata allo sviluppo edilizio, nuovo centro
direzionale e residenziale. Era tuttavia un'area impervia e difficile da raggiungere per i treni che
dovevano superare un rilevante dislivello.
3
La prima collocazione assunta dalla stazione centrale coincideva con l'area dell'ex Villa Peretti,
attestandosi provvisoriamente nel 1862 alle Botteghe di Farfa. Era costituita da una schiera di basse
costruzioni, volute da Sisto V per ospitare la fiera che si teneva annualmente nell'abbazia omonima
e che erano così divenute luogo dei servizi della stazione. La precarietà di questo primo
insediamento impose ben presto la progettazione di una soluzione più stabile per la sistemazione
dell'area.
Fig. 1. Sistemazione provvisoria della stazione presso le botteghe di Farfa (autore sconosciuto, data tra 1863 e 1865)
2. Il progetto di Salvatore Bianchi
Fin dal 1861 furono proposti diversi progetti, finché il Papa, dopo lunga esitazione, scelse il
progetto dell'architetto Salvatore Bianchi e diede il via ai lavori nel 1869.
Il fabbricato viaggiatori della stazione era composto da due lunghi edifici paralleli, uno destinato
agli arrivi, l'altro alle partenze, collegati tra loro da una grande copertura in ferro sovrastante il
tratto terminale dei binari. Il complesso edilizio, che verso via Cavour configurava il piazzale
principale della stazione, si presentava verso le terme con un fronte monumentale disegnato dalle
testate dei due corpi laterali, scandite da un doppio ordine di colonne con portici al piano terra e
logge al piano superiore, con al centro la grande struttura in ferro. Il corpo centrale, coperto,
secondo i modelli europei, da una struttura in acciaio e vetro, ospitava tre coppie di binari, mentre i
servizi di stazione erano disposti nei corpi laterali. Quello a sinistra, destinato alle partenze,
ospitava il ristorante, un atrio con la biglietteria, le sale di rappresentanza e di assistenza e gli uffici
del personale. Quello di destra, riservato agli arrivi, accoglieva l'ufficio postale, la sala reale e altri
ambienti di servizio. Sul lato dello scalo, verso la Basilica di San Lorenzo, si aprivano i magazzini
per le merci mentre sul lato opposto trovavano posto gli impianti per le macchine e le officine.
4
Si nota in questo progetto il tentativo di operare una difficile mediazione tra i caratteri della grandi
stazioni ottocentesche nord europee e una provinciale riproposizione di canoni neoclassicisti che si
fondava sulla riproposizione di forme e stili, utilizzati per attribuire dignità architettonica ad opere
di modesta concezione e fattura.
Fig. 2. La Stazione Termini di Salvatore Bianchi (1890 ca, Archivi Alinari-archivio Alinari, Firenze)
3. Progetti di ampliamento e relativi sviluppi architettonico-urbanistici
Subito dopo l'insediamento a Roma del primo governo, secondo il Piano Regolatore Generale del
1873, la giunta istituì una "Commissione di Architetti-Ingegneri la quale si occupi di progetti di
ampliazione e di abbellimenti della città per poi sottoporli all'approvazione della Giunta
Municipale. Sua prima cura sarà di studiare i progetti più urgenti di ampliazione".
La questione principale era soprattutto quella di instaurare un rapporto tra la città esistente e il suo
sviluppo. Il dibattito vedeva contrapporsi due principali orientamenti: l'uno che considerava più
conveniente innestare i nuovi ampliamenti in continuità con il tessuto urbano esistente, l'altro che
invece riteneva necessario contrapporre alla città attuale una nuova Roma. In realtà, alla fine, lo
sviluppo avvenne in maniera molto più naturale e al di fuori di precise scelte ideologiche. Le
decisioni in materia urbanistica si ridussero a semplici scelte di localizzazione dei nuovi
insediamenti terziari e residenziali, svincolate da un'idea complessiva di piano urbanistico della
città. Per alcuni la stazione doveva fungere da punto di lancio per lo sviluppo della città verso est,
deciso dal Piano Regolatore del 1873 e proponevano di conseguenza di posizionare i nuovi quartieri
nell'area tra Santa Maria Maggiore e le mura Aureliane intorno alla stazione ferroviaria. Tra questi
vi era l'architetto Francesco Fontana che, già dal 1871 prima del completamento dei lavori per
l'edificazione della nuova stazione, aveva progettato una sistemazione dell'area circostante il
fabbricato di Bianchi. Questo studio, che si rifaceva all'urbanistica parigina di fine secolo, era
5
impostato su un'asse di simmetria che congiungeva l'obelisco di Santa Maria Maggiore con il nuovo
edificio della stazione in corso di realizzazione. Su quest'asse era collocato un grande spazio
centrale, fulcro della composizione e quindi del nuovo quartiere, consistente in una sorta di giardino
all'italiana perimetrato in parte da costruzioni ad esedra. Nel giardino veniva conservato l'edificio
principale della Villa Peretti. Questo grande spazio urbano, in evidente competizione con quello
della vicina Basilica, era circondato da una rotatoria viaria che avrebbe dovuto raccogliere i traffici
provenienti dal nuovo quartiere convogliandoli verso la stazione.
Le diverse correnti di pensiero riguardanti le modalità di sviluppo di Roma sono alla base della
grande confusione che caratterizzò le prime fasi dell'espansione urbanistica della capitale; le
decisioni definitive inerenti l'ampliamento di Roma furono prese facendo prevalere le esigenze
economico-politiche piuttosto che le scelte architettonico-urbanistiche. Diversi membri appartenenti
alla Commissione Urbanistica, durante il lavoro per l'elaborazione del Piano Regolatore,
prepararono piani di lottizzazione per committenti privati, instaurando così quella prassi di intreccio
tra potere pubblico e interesse privato che a Roma ha sempre condizionato le decisioni in materia
urbanistica. La nuova Roma si andava così sviluppando a macchia d'olio in accordo con lo
sfruttamento della rendita fondiaria, e tramite l'istituzione di un tipo di convenzione edilizia che
consentiva ai privati di costruire con le spese di urbanizzazione quasi a totale carico dello Stato.
Tutte queste operazioni edilizie, alcune realizzate, altre solo progettate, furono poi legalizzate
dall'approvazione definitiva del Piano Regolatore del 1883.
La stazione, ultimata nel 1874, aveva iniziato a funzionare in pieno regime. Intorno ad essa si stava
completando il nuovo quartiere, che andava riempiendo in modo meccanico tutte le aree libere,
arrestandosi soltanto di fronte a quei resti archeologici cui veniva riconosciuto il valore di
monumento. In questi casi il processo di urbanizzazione dell'area veniva semplicemente interrotto
senza alcun tentativo di integrare gli antichi resti nel nuovo disegno urbano, accentuando così la
loro estraneità dal contesto. La stessa stazione ferroviaria, che avrebbe potuto essere uno degli
elementi strutturanti la parte di città, subì un analogo trattamento risultando un'entità isolata nello
spazio compreso tra le Terme e i quartieri ai margini della ferrovia. Si giunse per questo motivo nel
1887 ad una proposta per il suo trasferimento da parte di F. Mazzanti e G. Frontini: questi avevano
previsto che la stazione si trovasse su un'area parallela alle mura aureliane, presso la Basilica di San
Giovanni. Il progetto prevedeva inoltre la trasformazione del fabbricato di Bianchi in un mercato
coperto. Questo studio non raccolse tuttavia molti consensi poiché la sua attuazione avrebbe
richiesto l'attraversamento della via Appia e della via Tuscolana.
Nel 1905 le Ferrovie dello Stato elaborarono un progetto di ampliamento e ristrutturazione che
prevedeva di conservare il vecchio fabbricato viaggiatori, integrandolo con nuovi edifici di servizio.
Questo studio, a cura di Riccardo Bianchi, proponeva fondamentalmente l'arretramento dei binari e
la completa trasformazione d'uso della vecchia stazione, destinandola esclusivamente agli arrivi dei
passeggeri. La galleria centrale, una volta liberata dai binari, diventava una sorta di piazza coperta
per la sosta e l'attraversamento delle vetture e dei passeggeri. Il progetto prevedeva inoltre il
ridisegno, tramite un margine costruito, dell'area ferroviaria verso la strada di San Lorenzo, l'attuale
via Marsala, con la realizzazione di un piazzale più ampio destinato alle partenze.
6
Negli anni '20 le rotaie avevano occupato quasi completamente il terreno intorno al fabbricato
viaggiatori, oppresso anche dai depositi per le merci e da quelli per le locomotive. Divenne così
sempre più pressante l'esigenza di progettare una nuova stazione. Cominciò soprattutto a prendere
corpo l'ipotesi di un sostanzioso arretramento della stazione in modo da poter ingrandire il piazzale
d'ingresso e liberare del tutto i resti del muro serviano, che rendevano difficoltoso un ampliamento
in situ.
Tra la serie di ipotesi che si susseguirono in quegli anni per la sistemazione urbanistica della zona la
più interessante, prima inserita nel nuovo PRG, poi stralciata in fare di approvazione del 1931, è
quella in cui si prevedeva una ferrovia passante, in galleria, con stazione a Termini. Questo studio si
collocava all'interno di un piano di riassetto generale del traffico ferroviario all'interno della città
che ipotizzava la realizzazione di un tracciato principale di attraversamento sotterraneo per cui si
attestavano tre stazioni: due situate ai limiti del centro urbano (Flaminia e Casilina), e una in
posizione intermedia (Termini). A completamento del sistema ferroviario, si prevedeva inoltre di
terminare il tracciato anulare intorno alla città e di costruire un grande centro per lo smistamento
delle merci. Al posto del fascio dei binari ci sarebbe stato un viale di accesso alla città, asse di un
nuovo sistema a carattere prevalentemente direzionale.
Su questa linea di ricerca vi è uno studio molto interessante condotto dalle Ferrovie dello Stato, per
una nuova stazione a Termini, che si basava su un progetto di Eugenio Montuori, il quale forniva
una interessante risposta in termini di architettura, al tema della stazione centrale sotterranea.
Questo è il primo progetto di architettura moderna per la stazione centrale di Roma. Il progetto
prevedeva la realizzazione di un corpo principale centrale, con ampie superfici vetrate, adibito ad
atrio della stazione, innestato su un corpo di fabbrica più basso che, allungandosi trasversalmente
rispetto all'atrio, generava spazi esterni gemelli destinati agli arrivi e alle partenze. Tramite sei
gruppi di scale mobili e fisse e di ascensori si raggiungevano i dodici marciapiedi di partenza
sotterranei.
Sull'aspetto urbanistico, oltre che su quello economico e tecnico, si soffermarono le critiche alla
soluzione della ferrovia passante sotterranea che su abbandonata definitivamente nel 1937 quando
fu presa la decisione di realizzare un nuovo quartiere a sud di Roma, prescindendo dalle previsioni
del PRG, dove realizzare l'esposizione universale del 1942 (EUR).
4. Il progetto di Angiolo Mazzoni
La scelta definitiva fu quella di erigere un nuovo fabbricato viaggiatori a Termini, arretrato rispetto
al precedente in modo da poter disporre nella piazza di uno spazio idoneo a collocare l'arrivo della
prima linea della metropolitana romana proveniente dal nuovo quartiere EUR. Questa soluzione
consentiva inoltre di liberare l'aggere serviano precedentemente inglobato nelle infrastrutture
ferroviarie.
L'incarico di preparare un nuovo progetto per l'edificio della stazione centrale fu affidato
all'architetto Angiolo Mazzoni del Grande, capo della Sezione Architettura del Servizio Lavori delle
Ferrovie dello Stato.
Il progetto della nuova stazione di testa venne impostato in base ad un modello che prevedeva la
maggiore concentrazione dei servizi lungo i fianchi dei binari, affidando al fabbricato frontale la
7
funzione di atrio. Nei primi progetti studiati da Mazzoni emerge la sua totale adesione al linguaggio
moderno. Egli aveva ipotizzato un prisma prevalentemente vetrato su cui si staccava la sottile lama
orizzontale della pensilina. Questi primi studi furono però ripetutamente osteggiati dalla cultura
accademica che si aspettava un'opera grandiosa adeguata alla Roma Imperiale. Si arrivò così alla
proposta del 1938, che divenne con poche varianti quella definitiva, in cui vennero stravolte le
soluzioni precedenti. Il progetto prevedeva un portico monumentale sorretto da colonne di marmo
sormontate da capitelli fioriti: una gigantesca galleria delle carrozze in stile classicheggiante del
tutto ridondante rispetto alle reali esigenze.
Fig. 3. La Stazione Termini di Angiolo Mazzoni, progetto per la facciata
Per la sistemazione delle adiacenze venne mantenuto, almeno in parte, il programma urbanistico del
PRG in cui si prevedevano gli ampliamenti di via Marsala e via Giolitti, la creazione di alcune
piazze e il collegamento del Castro Pretorio con Santa Maia Maggiore attraverso la direttrice via
Cavour- via Vicenza. Le previsioni di piano non comprendevano tuttavia una sistemazione del
piazzale antistante la stazione, venutosi a creare in modo casuale in conseguenza dell'arretramento
della stessa. Neanche Mazzoni propose un progetto che andasse oltre la sistemazione degli allora
sporadici attraversamenti veicolari.
Tuttavia Francesco Purini riconosceva nel progetto di Mazzoni una specifica intenzionalità nel
progetto della piazza dei Cinquecento, che veniva considerata come una grande "esplanade" capace
di contenere ed esaltare la straordinaria presenza delle rovine.
Nella soluzione mazzoniana il tracciato urbano confluiva energicamente nel grande "parterre"
ferroviario dopo aver subito un'accelerazione attraverso il grande filtro trasparente del gigantesco
portico, «un'architettura "primaria" capace di annullarsi in un eroico vuoto urbano».
I lavori per la costruzione della stazione, in base al progetto di Mazzoni, proseguirono fino al 1942,
quando furono sospesi a causa degli eventi bellici. Alla fine della guerra la realizzazione si trovava
in una fase molto avanzata, se il fabbricato frontale era ancora da iniziare, le ali laterali lungo via
Marsala e via Giolitti erano praticamente ultimate. Per la loro progettazione Mazzoni aveva goduto
di maggiore libertà, poichè ritenute componenti non fondamentali di quell'architettura e quindi non
in grado di esprimere in pieno l'aspirazione alla monumentalità. Le due lunghe ali hanno dato una
risposta pressoché definitiva ai limiti dell'Esquilino e di Castro Pretorio.
Il linguaggio architettonico del corpi laterali è affidato ad una grande sintesi espressiva determinata
dalla continuità astratta del fronte segnato dalle emergenze plastiche (i volumi tecnici della centrale
8
termica, della cabina apparati e dei serbatoi idrici e dalle memorie della storia del luogo), Santa
Bibiana, la minerva Medica e il frammento dell'acquedotto Felice. A questo punto i seni di
un'architettura moderna iniziarono a mischiarsi con le presenze del passato.
Fig. 4. La Stazione Termini di Angiolo Mazzoni, una delle due ali laterali realizzate (Via Giolitti)
5. Il progetto per la facciata
Nel primo dopoguerra fu istituita una commissione con il compito di studiare soluzioni operative
per il completamento della struttura ferroviaria di Termini. Questa commissione, che terminò i suoi
lavori nel gennaio del 1947, propose di bandire un concorso per il progetto del fabbricato frontale. Il
bando di concorso prevedeva che si risolvessero necessità funzionali e urbanistiche e si rispettassero
determinati criteri architettonici.
Il primo premio fu vinto ex aequo da due gruppi formati da Eugenio Montuori e Leo Calini e da
Annibale Vitellozzi, Vasco Fadigati e Achille Pintonello. I due gruppi proponevano progetti
funzionalisti, che nonostante la grandiosità di alcune loro componenti furono capaci di non cedere
al monumentalismo. In entrambi i progetti il procedimento seguito era quello dell'accostamento
delle tre principali entità funzionali (portico automobilistico, atrio viaggiatori e uffici) lasciando che
ognuno conservasse una propria autonomia dimensionale, formale, spaziale e strutturale. Il corpo
degli uffici, in particolare, era in entrambi i casi utilizzato sia per riconnettere e richiudere i due
fabbricati già realizzati su via Marsala e via Giolitti che per costruire, rispetto alla piazza, una sorta
di quinta su cui si stagliano i volumi plastici dell'edificio viaggiatori con la pensilina da una parte,
l'edificio ristorante dall'altra e in mezzo i resti dell'aggere serviano. Questa scelta compositiva venne
mantenuta anche nel successivo progetto elaborato per la realizzazione dell'opera.
9
I due gruppi vincitori del concorso vennero incaricati dalla commissione esaminatrice di redigere
congiuntamente un nuovo progetto tenendo conto degli spunti emersi dal confronto e sempre in
conformità alle condizioni poste nel bando.
La costruzione del nuovo edificio venne iniziata nel marzo del 1948 e portata a termine nel
novembre del 1950 contemporaneamente alla demolizione del fabbricato di Bianchi.
Il complesso edilizio della stazione Termini è costituito da un insieme di corpi di fabbrica
formalmente molto diversi, per le diverse funzioni che ognuno accoglie, connessi tra loro tramite un
procedimento di semplice accostamento che genera una composizione di grande forza espressiva. Il
lungo e sottile edificio degli uffici, alto 27 metri, congiunge le due ali preesistenti per tutto il fronte
della stazione e costituisce il margine sud-est della piazza. E' architettonicamente risolto come un
volume semplice le cui aperture sono ridotte ad una successione ritmica di incisioni orizzontali che
gli conferiscono una fisionomia astratta, congeniale al ruolo urbano che è chiamato a svolgere.
Davanti a questa parete astratta l'atrio, con le sue travature curvilinee, introduce un volume edilizio
di notevole valore plastico. Il profilo curvo delle travi, giuntate da asole vetrate, parte da un'altezza
di 6 metri, in corrispondenza delle biglietterie, e arriva fino a 12 metri, nell'atrio viaggiatori, per
riscendere a circa 10 metri , in corrispondenza dei pilastri cruciformi, per poi sbalzare di 18 metri
verso la piazza. L'edificio lamellare degli uffici è staccato di circa 22 metri dal vecchio fabbricato
che delimita la testata dei binari generando lo spazio della "galleria di testa" coperta da una struttura
metallica, tessuta tra la nuova e la preesistente costruzione. E' assente qualsiasi volontà
monumentalistica. Il complesso edilizio termina su via Marsala e via Giolitti lasciando percepire,
con grande semplicità, il sistema strutturale che lo sorregge: vengono assemblati elementi
architettonici a forte caratterizzazione. Nuovo e preesistente, volumi pieni e superfici trasparenti,
corpi alti e corpi bassi, volumi semplici e volumi plastici sono accostati generando una soluzione di
grande chiarezza ed efficacia figurativa. L'edificio di testa della stazione è una delle realizzazioni
più interessanti del panorama architettonico italiano del dopoguerra.
Fig. 5. Il "dinosauro", edificio di testa della nuova Stazione Termini
10
Il nuovo intervento fu anche l'occasione per il ridisegno di uno dei margini della piazza. Alla
sistemazione avviata con la costruzione del lungo edificio, finalmente teso a misurarsi con l'enorme
spazio antistante, non seguirono però né la riorganizzazione urbanistica della piazza, né la
riprogettazione di questo complesso ambito urbano.
Fig. 6. Stazione Termini e Piazza dei Cinquecento, 1958
11
Bibliografia generale
-Luciano DE LICIO, L'area di Termini a Roma. Progetti e trasformazioni, Officina Edizioni,
Roma, 1995
-Clementina BARUCCI, Architetture ferroviarie romane tra Stato pontificio e Stato unitario, in
Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo
2004, pp. 269/289)
-Leonardo ROMBAI, Ferrovie e ambiente nell'Italia dell'Ottocento, in Architettura ferroviaria in
Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 29/49)
-Mauro COZZI, Cinquecentismo e tecnologia, in Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a
cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 427/450)
-Francescp LENSI, Scienza e tecnica delle costruzioni nelle tettoie ferroviarie dell'Ottocento, in
Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo
2004, pp. 451/466)
-Giorgio CIUCCI, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Giulio Einaudi
editore s.p.a., Torino, 2002
-Italo INSOLERA, Roma moderna. da Napoleone I al XXI secolo, Giulio Einaudi editore s.p.a.,
Torino, 2011
12