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Tesina Storia della città e del territorio

Sapienza università di Roma Facoltà di Architettura -Corso di laurea a ciclo unico UE Storia della città e del territorio A.A.

Sapienza università di Roma Facoltà di Architettura - Corso di laurea a ciclo unico UE Storia della città e del territorio A.A. 2015/2016 Professoressa: Clementina Barucci Tesina: Nascita e sviluppi della Stazione Termini di Roma Studentessa: Alessia Gallo 1 Indice 1. Studio del contesto storico e urbanistico 2. Il progetto di Salvatore Bianchi 3. Progetti di ampliamento e relativi sviluppi architettonico-urbanistici 4. Il progetto di Angiolo Mazzoni 5. Il progetto per il completamento della facciata 2 1. Studio del contesto storico e urbanistico Il nome di quella che nel 1867, giorno della sua inaugurazione, fu definita da Papa Pio IX "la stazione della Capitale d'Italia" trae la sua origine dai grandi impianti termali di Roma antica ivi presenti, fatti costruire dall'imperatore Diocleziano intorno al 300 d.C.. Il territorio su cui sorge comprende un vasto altopiano nella parte nord-orientale della città, delimitato ad occidente dai colli Esquilino, Viminale e Quirinale e ad oriente dalle mura aureliane. Fino agli anni della costruzione della prima Stazione Termini, la prima stazione ferroviaria centrale, questa è sempre stata considerata un'area marginale, che ha subito nel tempo radicali trasformazioni del suo assetto formale e del suo uso. Questo carattere di territorio suburbano si è conservato fino a quando Termini è divenuta sede della nuova stazione ferroviaria e Roma capitale del Regno d'Italia. A seguito di questi due eventi, avvenuti a distanza di otto anni, l'area è stata luogo di una grande espansione edilizia determinata dal suo nuovo ruolo urbano e dalle nuove esigenze di espansione della città. Quando nel 1862 Papa Pio IX decise di porre la stazione alle Terme di Diocleziano emersero immediatamente i conflitti tra questa nuova presenza ed il luogo antico con le sue preesistenze monumentali. Le terme di ritrovarono bel presto isolate in una condizione di rudere, soggette a subire le profonde trasformazioni del luogo. La ferrovia, con le sue inevitabili implicazioni sul territorio urbano, sia dal punto di vista della "città civile" che della "città fisica", finì con l'assumere all'interno dell'area una funzione dominante: orientò il futuro sviluppo del territorio fino ad influenzarne il processo di costruzione. Da questo momento sarà la Stazione, e non più il complesso dioclezianeo, a caratterizzare l'area di Termini. Nella prima metà dell'800 si contrapponevano i paesi più industrializzati d'Europa, in cui si andava velocemente sviluppando il trasporto su rotaia, a quelli caratterizzati da un'economia ancora a carattere prevalentemente agricolo, in cui non si presentavano grandi esigenze di spostamento e che quindi tardavano a sostituire i tradizionali mezzi di trasporto. Nello Stato Pontificio la prima ferrovia era stata inaugurata solo nel 1856, con i relativi appalti banditi una decina di anni prima. Nel luglio 1846 era stato proposto al Pontefice il primo progetto di strade ferrate romane; nell'agosto dello stesso anno il governo aveva istituito una "Commissione consultiva per le strade romane" con il compito di elaborare un piano generale d'intervento. Le trattative tra le diverse istituzioni e società continuarono per diversi anni finché il 7 luglio 1856 venne inaugurata la prima strada ferrata che congiungeva Roma con Frascati. Con questo evento, nello Stato Pontificio, come negli altri stati italiani, prese avvio il processo di trasformazione dei trasporti che avrebbe influenzato enormemente lo sviluppo della città di Roma. La prima stazione ferroviaria romana era posto presso Porta Maggiore, in posizione notevolmente periferica e dunque scomoda per i cittadini che avessero voluto accedervi dal centro abitato di allora. La ferrovia risultava quindi pressoché inutilizzata, in favore degli spostamenti tramite la più antica carrozza anche per tratti piuttosto lunghi, e la Compagnia Ferroviaria pensò ben presto ad un trasferimento della stazione in un'area più centrale. Tra i luoghi proposti per la localizzazione della nuova stazione, Pio IX preferì quella riguardante l'ex villa di Sisto V, adiacente le terme di Diocleziano. Si trattava di un luogo salubre e ottimamente servito dagli acquedotti, fulcro di un'area destinata allo sviluppo edilizio, nuovo centro direzionale e residenziale. Era tuttavia un'area impervia e difficile da raggiungere per i treni che dovevano superare un rilevante dislivello. 3 La prima collocazione assunta dalla stazione centrale coincideva con l'area dell'ex Villa Peretti, attestandosi provvisoriamente nel 1862 alle Botteghe di Farfa. Era costituita da una schiera di basse costruzioni, volute da Sisto V per ospitare la fiera che si teneva annualmente nell'abbazia omonima e che erano così divenute luogo dei servizi della stazione. La precarietà di questo primo insediamento impose ben presto la progettazione di una soluzione più stabile per la sistemazione dell'area. Fig. 1. Sistemazione provvisoria della stazione presso le botteghe di Farfa (autore sconosciuto, data tra 1863 e 1865) 2. Il progetto di Salvatore Bianchi Fin dal 1861 furono proposti diversi progetti, finché il Papa, dopo lunga esitazione, scelse il progetto dell'architetto Salvatore Bianchi e diede il via ai lavori nel 1869. Il fabbricato viaggiatori della stazione era composto da due lunghi edifici paralleli, uno destinato agli arrivi, l'altro alle partenze, collegati tra loro da una grande copertura in ferro sovrastante il tratto terminale dei binari. Il complesso edilizio, che verso via Cavour configurava il piazzale principale della stazione, si presentava verso le terme con un fronte monumentale disegnato dalle testate dei due corpi laterali, scandite da un doppio ordine di colonne con portici al piano terra e logge al piano superiore, con al centro la grande struttura in ferro. Il corpo centrale, coperto, secondo i modelli europei, da una struttura in acciaio e vetro, ospitava tre coppie di binari, mentre i servizi di stazione erano disposti nei corpi laterali. Quello a sinistra, destinato alle partenze, ospitava il ristorante, un atrio con la biglietteria, le sale di rappresentanza e di assistenza e gli uffici del personale. Quello di destra, riservato agli arrivi, accoglieva l'ufficio postale, la sala reale e altri ambienti di servizio. Sul lato dello scalo, verso la Basilica di San Lorenzo, si aprivano i magazzini per le merci mentre sul lato opposto trovavano posto gli impianti per le macchine e le officine. 4 Si nota in questo progetto il tentativo di operare una difficile mediazione tra i caratteri della grandi stazioni ottocentesche nord europee e una provinciale riproposizione di canoni neoclassicisti che si fondava sulla riproposizione di forme e stili, utilizzati per attribuire dignità architettonica ad opere di modesta concezione e fattura. Fig. 2. La Stazione Termini di Salvatore Bianchi (1890 ca, Archivi Alinari-archivio Alinari, Firenze) 3. Progetti di ampliamento e relativi sviluppi architettonico-urbanistici Subito dopo l'insediamento a Roma del primo governo, secondo il Piano Regolatore Generale del 1873, la giunta istituì una "Commissione di Architetti-Ingegneri la quale si occupi di progetti di ampliazione e di abbellimenti della città per poi sottoporli all'approvazione della Giunta Municipale. Sua prima cura sarà di studiare i progetti più urgenti di ampliazione". La questione principale era soprattutto quella di instaurare un rapporto tra la città esistente e il suo sviluppo. Il dibattito vedeva contrapporsi due principali orientamenti: l'uno che considerava più conveniente innestare i nuovi ampliamenti in continuità con il tessuto urbano esistente, l'altro che invece riteneva necessario contrapporre alla città attuale una nuova Roma. In realtà, alla fine, lo sviluppo avvenne in maniera molto più naturale e al di fuori di precise scelte ideologiche. Le decisioni in materia urbanistica si ridussero a semplici scelte di localizzazione dei nuovi insediamenti terziari e residenziali, svincolate da un'idea complessiva di piano urbanistico della città. Per alcuni la stazione doveva fungere da punto di lancio per lo sviluppo della città verso est, deciso dal Piano Regolatore del 1873 e proponevano di conseguenza di posizionare i nuovi quartieri nell'area tra Santa Maria Maggiore e le mura Aureliane intorno alla stazione ferroviaria. Tra questi vi era l'architetto Francesco Fontana che, già dal 1871 prima del completamento dei lavori per l'edificazione della nuova stazione, aveva progettato una sistemazione dell'area circostante il fabbricato di Bianchi. Questo studio, che si rifaceva all'urbanistica parigina di fine secolo, era 5 impostato su un'asse di simmetria che congiungeva l'obelisco di Santa Maria Maggiore con il nuovo edificio della stazione in corso di realizzazione. Su quest'asse era collocato un grande spazio centrale, fulcro della composizione e quindi del nuovo quartiere, consistente in una sorta di giardino all'italiana perimetrato in parte da costruzioni ad esedra. Nel giardino veniva conservato l'edificio principale della Villa Peretti. Questo grande spazio urbano, in evidente competizione con quello della vicina Basilica, era circondato da una rotatoria viaria che avrebbe dovuto raccogliere i traffici provenienti dal nuovo quartiere convogliandoli verso la stazione. Le diverse correnti di pensiero riguardanti le modalità di sviluppo di Roma sono alla base della grande confusione che caratterizzò le prime fasi dell'espansione urbanistica della capitale; le decisioni definitive inerenti l'ampliamento di Roma furono prese facendo prevalere le esigenze economico-politiche piuttosto che le scelte architettonico-urbanistiche. Diversi membri appartenenti alla Commissione Urbanistica, durante il lavoro per l'elaborazione del Piano Regolatore, prepararono piani di lottizzazione per committenti privati, instaurando così quella prassi di intreccio tra potere pubblico e interesse privato che a Roma ha sempre condizionato le decisioni in materia urbanistica. La nuova Roma si andava così sviluppando a macchia d'olio in accordo con lo sfruttamento della rendita fondiaria, e tramite l'istituzione di un tipo di convenzione edilizia che consentiva ai privati di costruire con le spese di urbanizzazione quasi a totale carico dello Stato. Tutte queste operazioni edilizie, alcune realizzate, altre solo progettate, furono poi legalizzate dall'approvazione definitiva del Piano Regolatore del 1883. La stazione, ultimata nel 1874, aveva iniziato a funzionare in pieno regime. Intorno ad essa si stava completando il nuovo quartiere, che andava riempiendo in modo meccanico tutte le aree libere, arrestandosi soltanto di fronte a quei resti archeologici cui veniva riconosciuto il valore di monumento. In questi casi il processo di urbanizzazione dell'area veniva semplicemente interrotto senza alcun tentativo di integrare gli antichi resti nel nuovo disegno urbano, accentuando così la loro estraneità dal contesto. La stessa stazione ferroviaria, che avrebbe potuto essere uno degli elementi strutturanti la parte di città, subì un analogo trattamento risultando un'entità isolata nello spazio compreso tra le Terme e i quartieri ai margini della ferrovia. Si giunse per questo motivo nel 1887 ad una proposta per il suo trasferimento da parte di F. Mazzanti e G. Frontini: questi avevano previsto che la stazione si trovasse su un'area parallela alle mura aureliane, presso la Basilica di San Giovanni. Il progetto prevedeva inoltre la trasformazione del fabbricato di Bianchi in un mercato coperto. Questo studio non raccolse tuttavia molti consensi poiché la sua attuazione avrebbe richiesto l'attraversamento della via Appia e della via Tuscolana. Nel 1905 le Ferrovie dello Stato elaborarono un progetto di ampliamento e ristrutturazione che prevedeva di conservare il vecchio fabbricato viaggiatori, integrandolo con nuovi edifici di servizio. Questo studio, a cura di Riccardo Bianchi, proponeva fondamentalmente l'arretramento dei binari e la completa trasformazione d'uso della vecchia stazione, destinandola esclusivamente agli arrivi dei passeggeri. La galleria centrale, una volta liberata dai binari, diventava una sorta di piazza coperta per la sosta e l'attraversamento delle vetture e dei passeggeri. Il progetto prevedeva inoltre il ridisegno, tramite un margine costruito, dell'area ferroviaria verso la strada di San Lorenzo, l'attuale via Marsala, con la realizzazione di un piazzale più ampio destinato alle partenze. 6 Negli anni '20 le rotaie avevano occupato quasi completamente il terreno intorno al fabbricato viaggiatori, oppresso anche dai depositi per le merci e da quelli per le locomotive. Divenne così sempre più pressante l'esigenza di progettare una nuova stazione. Cominciò soprattutto a prendere corpo l'ipotesi di un sostanzioso arretramento della stazione in modo da poter ingrandire il piazzale d'ingresso e liberare del tutto i resti del muro serviano, che rendevano difficoltoso un ampliamento in situ. Tra la serie di ipotesi che si susseguirono in quegli anni per la sistemazione urbanistica della zona la più interessante, prima inserita nel nuovo PRG, poi stralciata in fare di approvazione del 1931, è quella in cui si prevedeva una ferrovia passante, in galleria, con stazione a Termini. Questo studio si collocava all'interno di un piano di riassetto generale del traffico ferroviario all'interno della città che ipotizzava la realizzazione di un tracciato principale di attraversamento sotterraneo per cui si attestavano tre stazioni: due situate ai limiti del centro urbano (Flaminia e Casilina), e una in posizione intermedia (Termini). A completamento del sistema ferroviario, si prevedeva inoltre di terminare il tracciato anulare intorno alla città e di costruire un grande centro per lo smistamento delle merci. Al posto del fascio dei binari ci sarebbe stato un viale di accesso alla città, asse di un nuovo sistema a carattere prevalentemente direzionale. Su questa linea di ricerca vi è uno studio molto interessante condotto dalle Ferrovie dello Stato, per una nuova stazione a Termini, che si basava su un progetto di Eugenio Montuori, il quale forniva una interessante risposta in termini di architettura, al tema della stazione centrale sotterranea. Questo è il primo progetto di architettura moderna per la stazione centrale di Roma. Il progetto prevedeva la realizzazione di un corpo principale centrale, con ampie superfici vetrate, adibito ad atrio della stazione, innestato su un corpo di fabbrica più basso che, allungandosi trasversalmente rispetto all'atrio, generava spazi esterni gemelli destinati agli arrivi e alle partenze. Tramite sei gruppi di scale mobili e fisse e di ascensori si raggiungevano i dodici marciapiedi di partenza sotterranei. Sull'aspetto urbanistico, oltre che su quello economico e tecnico, si soffermarono le critiche alla soluzione della ferrovia passante sotterranea che su abbandonata definitivamente nel 1937 quando fu presa la decisione di realizzare un nuovo quartiere a sud di Roma, prescindendo dalle previsioni del PRG, dove realizzare l'esposizione universale del 1942 (EUR). 4. Il progetto di Angiolo Mazzoni La scelta definitiva fu quella di erigere un nuovo fabbricato viaggiatori a Termini, arretrato rispetto al precedente in modo da poter disporre nella piazza di uno spazio idoneo a collocare l'arrivo della prima linea della metropolitana romana proveniente dal nuovo quartiere EUR. Questa soluzione consentiva inoltre di liberare l'aggere serviano precedentemente inglobato nelle infrastrutture ferroviarie. L'incarico di preparare un nuovo progetto per l'edificio della stazione centrale fu affidato all'architetto Angiolo Mazzoni del Grande, capo della Sezione Architettura del Servizio Lavori delle Ferrovie dello Stato. Il progetto della nuova stazione di testa venne impostato in base ad un modello che prevedeva la maggiore concentrazione dei servizi lungo i fianchi dei binari, affidando al fabbricato frontale la 7 funzione di atrio. Nei primi progetti studiati da Mazzoni emerge la sua totale adesione al linguaggio moderno. Egli aveva ipotizzato un prisma prevalentemente vetrato su cui si staccava la sottile lama orizzontale della pensilina. Questi primi studi furono però ripetutamente osteggiati dalla cultura accademica che si aspettava un'opera grandiosa adeguata alla Roma Imperiale. Si arrivò così alla proposta del 1938, che divenne con poche varianti quella definitiva, in cui vennero stravolte le soluzioni precedenti. Il progetto prevedeva un portico monumentale sorretto da colonne di marmo sormontate da capitelli fioriti: una gigantesca galleria delle carrozze in stile classicheggiante del tutto ridondante rispetto alle reali esigenze. Fig. 3. La Stazione Termini di Angiolo Mazzoni, progetto per la facciata Per la sistemazione delle adiacenze venne mantenuto, almeno in parte, il programma urbanistico del PRG in cui si prevedevano gli ampliamenti di via Marsala e via Giolitti, la creazione di alcune piazze e il collegamento del Castro Pretorio con Santa Maia Maggiore attraverso la direttrice via Cavour- via Vicenza. Le previsioni di piano non comprendevano tuttavia una sistemazione del piazzale antistante la stazione, venutosi a creare in modo casuale in conseguenza dell'arretramento della stessa. Neanche Mazzoni propose un progetto che andasse oltre la sistemazione degli allora sporadici attraversamenti veicolari. Tuttavia Francesco Purini riconosceva nel progetto di Mazzoni una specifica intenzionalità nel progetto della piazza dei Cinquecento, che veniva considerata come una grande "esplanade" capace di contenere ed esaltare la straordinaria presenza delle rovine. Nella soluzione mazzoniana il tracciato urbano confluiva energicamente nel grande "parterre" ferroviario dopo aver subito un'accelerazione attraverso il grande filtro trasparente del gigantesco portico, «un'architettura "primaria" capace di annullarsi in un eroico vuoto urbano». I lavori per la costruzione della stazione, in base al progetto di Mazzoni, proseguirono fino al 1942, quando furono sospesi a causa degli eventi bellici. Alla fine della guerra la realizzazione si trovava in una fase molto avanzata, se il fabbricato frontale era ancora da iniziare, le ali laterali lungo via Marsala e via Giolitti erano praticamente ultimate. Per la loro progettazione Mazzoni aveva goduto di maggiore libertà, poichè ritenute componenti non fondamentali di quell'architettura e quindi non in grado di esprimere in pieno l'aspirazione alla monumentalità. Le due lunghe ali hanno dato una risposta pressoché definitiva ai limiti dell'Esquilino e di Castro Pretorio. Il linguaggio architettonico del corpi laterali è affidato ad una grande sintesi espressiva determinata dalla continuità astratta del fronte segnato dalle emergenze plastiche (i volumi tecnici della centrale 8 termica, della cabina apparati e dei serbatoi idrici e dalle memorie della storia del luogo), Santa Bibiana, la minerva Medica e il frammento dell'acquedotto Felice. A questo punto i seni di un'architettura moderna iniziarono a mischiarsi con le presenze del passato. Fig. 4. La Stazione Termini di Angiolo Mazzoni, una delle due ali laterali realizzate (Via Giolitti) 5. Il progetto per la facciata Nel primo dopoguerra fu istituita una commissione con il compito di studiare soluzioni operative per il completamento della struttura ferroviaria di Termini. Questa commissione, che terminò i suoi lavori nel gennaio del 1947, propose di bandire un concorso per il progetto del fabbricato frontale. Il bando di concorso prevedeva che si risolvessero necessità funzionali e urbanistiche e si rispettassero determinati criteri architettonici. Il primo premio fu vinto ex aequo da due gruppi formati da Eugenio Montuori e Leo Calini e da Annibale Vitellozzi, Vasco Fadigati e Achille Pintonello. I due gruppi proponevano progetti funzionalisti, che nonostante la grandiosità di alcune loro componenti furono capaci di non cedere al monumentalismo. In entrambi i progetti il procedimento seguito era quello dell'accostamento delle tre principali entità funzionali (portico automobilistico, atrio viaggiatori e uffici) lasciando che ognuno conservasse una propria autonomia dimensionale, formale, spaziale e strutturale. Il corpo degli uffici, in particolare, era in entrambi i casi utilizzato sia per riconnettere e richiudere i due fabbricati già realizzati su via Marsala e via Giolitti che per costruire, rispetto alla piazza, una sorta di quinta su cui si stagliano i volumi plastici dell'edificio viaggiatori con la pensilina da una parte, l'edificio ristorante dall'altra e in mezzo i resti dell'aggere serviano. Questa scelta compositiva venne mantenuta anche nel successivo progetto elaborato per la realizzazione dell'opera. 9 I due gruppi vincitori del concorso vennero incaricati dalla commissione esaminatrice di redigere congiuntamente un nuovo progetto tenendo conto degli spunti emersi dal confronto e sempre in conformità alle condizioni poste nel bando. La costruzione del nuovo edificio venne iniziata nel marzo del 1948 e portata a termine nel novembre del 1950 contemporaneamente alla demolizione del fabbricato di Bianchi. Il complesso edilizio della stazione Termini è costituito da un insieme di corpi di fabbrica formalmente molto diversi, per le diverse funzioni che ognuno accoglie, connessi tra loro tramite un procedimento di semplice accostamento che genera una composizione di grande forza espressiva. Il lungo e sottile edificio degli uffici, alto 27 metri, congiunge le due ali preesistenti per tutto il fronte della stazione e costituisce il margine sud-est della piazza. E' architettonicamente risolto come un volume semplice le cui aperture sono ridotte ad una successione ritmica di incisioni orizzontali che gli conferiscono una fisionomia astratta, congeniale al ruolo urbano che è chiamato a svolgere. Davanti a questa parete astratta l'atrio, con le sue travature curvilinee, introduce un volume edilizio di notevole valore plastico. Il profilo curvo delle travi, giuntate da asole vetrate, parte da un'altezza di 6 metri, in corrispondenza delle biglietterie, e arriva fino a 12 metri, nell'atrio viaggiatori, per riscendere a circa 10 metri , in corrispondenza dei pilastri cruciformi, per poi sbalzare di 18 metri verso la piazza. L'edificio lamellare degli uffici è staccato di circa 22 metri dal vecchio fabbricato che delimita la testata dei binari generando lo spazio della "galleria di testa" coperta da una struttura metallica, tessuta tra la nuova e la preesistente costruzione. E' assente qualsiasi volontà monumentalistica. Il complesso edilizio termina su via Marsala e via Giolitti lasciando percepire, con grande semplicità, il sistema strutturale che lo sorregge: vengono assemblati elementi architettonici a forte caratterizzazione. Nuovo e preesistente, volumi pieni e superfici trasparenti, corpi alti e corpi bassi, volumi semplici e volumi plastici sono accostati generando una soluzione di grande chiarezza ed efficacia figurativa. L'edificio di testa della stazione è una delle realizzazioni più interessanti del panorama architettonico italiano del dopoguerra. Fig. 5. Il "dinosauro", edificio di testa della nuova Stazione Termini 10 Il nuovo intervento fu anche l'occasione per il ridisegno di uno dei margini della piazza. Alla sistemazione avviata con la costruzione del lungo edificio, finalmente teso a misurarsi con l'enorme spazio antistante, non seguirono però né la riorganizzazione urbanistica della piazza, né la riprogettazione di questo complesso ambito urbano. Fig. 6. Stazione Termini e Piazza dei Cinquecento, 1958 11 Bibliografia generale -Luciano DE LICIO, L'area di Termini a Roma. Progetti e trasformazioni, Officina Edizioni, Roma, 1995 -Clementina BARUCCI, Architetture ferroviarie romane tra Stato pontificio e Stato unitario, in Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 269/289) -Leonardo ROMBAI, Ferrovie e ambiente nell'Italia dell'Ottocento, in Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 29/49) -Mauro COZZI, Cinquecentismo e tecnologia, in Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 427/450) -Francescp LENSI, Scienza e tecnica delle costruzioni nelle tettoie ferroviarie dell'Ottocento, in Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento, (a cura di E. Godoli e M. Cozzi, Flaccovio, Palermo 2004, pp. 451/466) -Giorgio CIUCCI, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 2002 -Italo INSOLERA, Roma moderna. da Napoleone I al XXI secolo, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 2011 12