Dal Codice al Libro
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Collana diretta da Varo A. Vecchiarelli
ALESSIA A. GLIELMI
GUIDA ALL’ARCHIVIO DEL MUSEO
STORICO DELLA LIBERAZIONE
VECCHIARELLI EDITORE
Opera realizzata con il contributo del Museo storico
della Liberazione in Roma, grazie ai fondi della
Regione Lazio, Assessorato alla Cultura e politiche
giovanili, legge regionale 24 dicembre 2010, n, 29,
art. 4/37, programma 2013
Vecchiarelli Editore S.r.l. – 2014
Piazza dell’Olmo, 27
00066 Manziana (Roma)
Tel. 06.99674220
Fax 06.99674591
vecchiarellieditore@inwind.it
www.vecchiarellieditore.com
ISBN 978-88-8247-366-2
INDICE
Prefazione
di Antonio Parisella
vii
Ringraziamenti
ix
Introduzione
1
Museo storico della Liberazione
La storia
L’archivio
Archivio Istituzionale
I. Amministrazione
II. Bacheche
III. Dossier
5
12
IV. Carte tedesche
V. Didattica
17
31
104
110
166
223
Archivio Arrigo Paladini
229
Archivio Giuseppe Dosi
237
Recenti acquisizioni
Archivio Giuseppe Dosi (II versamento)
Archivio Giannetto Barrera
Archivio Amedeo Coccia
Archivio Silverio Corvisieri
251
252
262
265
268
Appendici
Appendice A
Appendice B
Appendice C
Appendice D
Appendice E
271
275
280
284
Inventario A-Z
Ricostruzione Archivio Anpi
Ricostruzione fondo Giulio Tarroni
Programma corsi
Organigramma dell’Außenkommando di via Tasso
Ricostruzione virtuale della lista originale
degli elenchi di vittime delle Fosse Ardeatine
286
Abbreviazioni e sigle archivistiche, Elenco delle sigle e utilizzate,
Fonti d’archivio, Sitografia
289
Bibliografia
293
PREFAZIONE
Nell’immagine comune, nella pubblica opinione, il nome archivio e il nome archivista, fino
ad una ventina d’anni fa, richiamavano immagini di cose e di persone fuori del tempo,
polvere, buio, scaffali e carte rosicchiate da topi o lordate da uccelli penetrati da vetri rotti.
Oggi, invece, camici bianchi, computer, schermi al plasma, scaffalature metalliche compact,
guanti alle mani, odori di spray antitarme, ecc. … Si tratta, comunque, di immagini che
nascondono e falsano l’essenza di un lavoro di grande rigore intellettuale e, soprattutto
quando non si ha a che fare con archivi di grandi enti con procedure rigidamente
formalizzate, oppure si tratta di archivi di persone e di famiglie, un lavoro che richiede
creatività e inventiva.
Di creatività e inventiva, oltre che di pazienza infinita e di applicazioni coerenti di logica,
ha dato eccellente prova Alessia A. Glielmi nel trasformare in un archivio dotato di coerenza
numerosi insiemi di carte diversi per natura e dimensioni. Come abbia proceduto lo narra
ella stessa nell’introduzione e il suo affascinante racconto non è privo di sorprese e
suggestioni, sia per le vicende cui le carte si riferiscono, sia per quelle riferite ai singoli
insiemi di cui facevano parte. A me qui preme sottolineare come ella si sia servita di una
doppia strumentazione, indispensabile per riuscire nell’impresa.
Da un lato, per affrontare e risolvere i numerosi e a volte insoliti problemi che poneva un
complesso archivistico non grande per mole, ma atipico per composizione e struttura, ha
dovuto fare ricorso a tutte le risorse che le offriva la sua preparazione di alto profilo nella
dottrina archivistica e nella tecnica organizzativa degli archivi. Pur avendo sedimentato una
eccellente formazione universitaria nello specifico settore, ha voluto affrontare con
passione l’impegno coinvolgente per conseguire un dottorato di ricerca al fine di elevare
ulteriormente il livello qualitativo delle sue competenze.
In tal modo, facendo oggetto della sua ricerca dottorale proprio la soluzione dei problemi
che sono alla base di questo lavoro, ha sottoposto ad attenta verifica gli stessi presupposti
teorici, dottrinali e metodologici, misurandone l’applicabilità e la rispondenza alle esigenze
emerse e proponendone coerenti interpretazioni espansive.
Ma Alessia A. Glielmi era ed è fermamente consapevole del fatto che l’intervento su un
archivio storico – sia pure sui generis, puzzle di spezzoni archivistici, come quello del Museo
storico della Liberazione – non è e non può essere un solo fatto tecnico ma costituisce un
impegno essenziale per la storiografia, volto com’è alla predisposizione delle sue fonti, cioè
la materia prima del suo lavoro. È l’indicazione autorevole di Paola Carucci, maestra della
disciplina, che traiamo, espandendola alla natura intima di altre operazioni che riguardano
un archivio, da un suo fondamentale saggio sullo scarto archivistico, cioè da una operazione
apparentemente caratterizzata da prevalenza del dato materiale e tecnico-funzionale.
Così, dovendo misurarsi tecnicamente con il valore storico di ogni singola carta per
individuarne e valutarne la (ri)collocazione nel complesso dell’archivio, Alessia A. Glielmi ha
dovuto attrezzarsi storiograficamente. Ciò significa che ha dovuto appropriarsi, con lo
studio, della conoscenza di eventi, persone, luoghi e problemi – oltre che di istituzioni –
relativi alle vicende che l’archivio dovrebbe rispecchiare e alle quali è chiamato a fornire
elementi di conoscenza.
Le proliferazioni editoriali degli ultimi venti anni sono state mosse, talora, dal giusto
bisogno di fare fronte all’abbandono di problematiche che andavano aggiornate alla luce di
nuove acquisizioni documentarie e di nuove proposte interpretative. Inoltre, da un altro
canto, ci si è trovati di fronte ai vuoti lasciati dalla scomparsa di molti protagonisti per
ragioni anagrafiche. Questo ha spinto a tirare fuori dai cassetti diari, carteggi, memorie,
fotografie, oppure a sbobinare e trascrivere interviste e testimonianze, oppure a raccogliere
vii
antologie di brani di scritti autobiografici, articoli, interviste, pubblicati in altri tempi, oppure
a collazionare documenti da diversi archivi senza troppi scrupoli selettivi.
Si sarebbe trattato e si tratterebbe di un lavoro meritorio se sempre fossero state
rispettate le regole del mestiere. Purtroppo, però, accade che, mentre nessuno si sognerebbe
di scrivere neppure un rigo di argomento filatelico se non si intendesse di dentellature,
filigrane, colle, primi giorni di emissione, ecc. …, più d’uno si autodefinisca storico, magari
pubblicando un libro l’anno, senza possedere i più elementari criteri di critica delle fonti e
senza compiere neppure la minima opera di collocazione di eventi e personaggi nel loro
contesto storico.
Sono pessimista e penso che nessuno (o quasi) degli appartenenti a questo genere
pubblicistico – che mostrano di ignorare la massima di Jorge Luis Borges (bibliotecario, oltre
che scrittore tra i massimi), secondo il quale la misura della cultura di una persona sta nei
libri che ha letto più che in quelli che ha scritto – si avvicinerà alla lettura di queste pagine
pur avendone bisogno. Tuttavia ho imparato dall’esperienza ad avere pazienza ed anche a
sperare in qualche mutamento del costume e, più in generale, dei comportamenti collettivi.
Da questo volume e dalla sua complessità chiunque è invitato ad imparare con maggiore
evidenza che in altri più complessi non solo lo stretto legame tra ricerca archivistica e
ricerca storica (nei due sensi, la storia per l’archivistica e l’archivistica per la storia), ma
l’atteggiamento intelligente e rigoroso di umiltà che deve essere tenuto nei confronti delle
carte: esse, infatti, chiedono di essere comprese – come ci ricordava Henri-IrenéeMarrou –
tanto nella loro essenza sia materiale sia di contenuto, sia la più profonda realtà umana della
quale ci serbano la memoria. E tale comprensione è alla base della vera e propria passione
che genera la ricerca sulle fonti documentarie. È nel rapporto di dialogo e scambio con i
documenti che si realizza – infatti - quella penetrazione e comprensione dell’alterità nel
tempo che altrimenti non riusciremmo a conoscere e che è alla base stessa della possibilità
di fare storiografia.
Per questa ragione, interpretando un pensiero rafforzato, e un desiderio di Alessia A.
Glielmi che da questo lavoro esce rafforzato, ho con lei voluto fermamente che questa Guida
fosse pubblicata in volume e non solo per via telematica. Infatti, con lei siamo convinti che il
suo posto debba essere anche materialmente sul tavolo di lavoro del ricercatore e dello
studioso. Riteniamo che avere direttamente sotto gli occhi le pagine di inventari di fondi
archivistici realizzati con studio e applicazione sia in grado di fornire un valore aggiunto alla
ricerca, nel senso di stimolarla a nuovi percorsi e aprirla a nuovi problemi.
Ancora, gli studiosi e le studiose che scorreranno le pagine degli inventari si renderanno
conto che – sia nelle carte originarie dell’archivio di Via Tasso, sia in fondi di successiva
acquisizione (come pure in fondi complementari, come quello dei manifesti di guerra e
quello dei volantini), non è conservata soltanto documentazione direttamente attinente alla
Resistenza a Roma e al comando e carcere nazisti. È stata ed è, infatti, politica delle
acquisizioni della documentazione da parte del Museo quella di non smembrare fondi
archivistici e collezioni accogliendo fondi archivistici nella loro integralità. Ciò –
indubbiamente – per ragione di salvaguardia dell’unità del patrimonio documentario, ma
anche per testimoniare l’interrelazione che nell’attività di persone spesso sussiste fra aspetti
diversi per natura e tipologia (militanti, professionali, letterari, artistici, scientifici, militari,
ecc…). E questo anche per significare ulteriormente il carattere del Museo non come luogo
espositivo di una particolare forma di collezionismo, ma come istituto culturale e luogo di
memoria polifunzionale che – pur mantenendo rigorosamente portante l’asse tematico della
sua missione istituzionale – si apre a documentare e rendere visibili significativamente le
molteplici implicazioni della storia di persone ed eventi.
Antonio Parisella
Presidente del Museo storico della Liberazione
viii
RINGRAZIAMENTI
La realizzazione di questo percorso ha richiesto un sostanzioso assolo inattuabile
senza un complesso ed appassionato lavoro di equipe reso possibile dalle azioni e
contributi di molti. Tra i più attivi - come non menzionare per primi - i collaboratori,
spesso volontari, del Museo storico della Liberazione che con discrezione, competenza e
grande passione si occupano della gestione ordinaria e straordinaria dell’istituto. Il loro
lavoro mi ha reso e mi rende parte di una squadra. Debbo riconoscenza in assoluto al
professor Antonio Parisella, per me paterna guida, mi ha affiancato e sostenuto sin da
subito in questa ed altre imprese, mettendo sempre a disposizione suggerimenti,
avvertimenti e tantissime pacche sulle spalle per incoraggiarmi. Un grazie lo debbo alla
mia carissima amica Giovanna Montani con cui ho condiviso le notti insonni quasi dieci
anni fa all’inizio di questo viaggio.
Sono grata al prof. Roberto Guarasci per aver seguito ed indirizzato con rigore
scientifico il progetto iniziale da cui ha preso le mosse questo lavoro, al prof. Piero
Innocenti le cui parole, spesso i silenzi, nascondono profonda conoscenza e straordinaria
sensibilità, per aver cercato, voluto e promosso questo lavoro prima e dopo la sua
realizzazione, al prof. Attilio Mauro Caproni per averlo difeso sin nella sua fase progettuale
e alle prof.sse Marielisa Rossi e Gianna Del Bono per aver riconosciuto segnali di
credibilità scientifica (un grazie è riservato al loro sostegno che ancora mi accompagna), al
prof. Varo Augusto Vecchierelli per la pazienza messa a dura prova nelle fasi finali e a tutti
i docenti del Collegio del dottorato di ricerca in Scienze bibliografiche, archivistiche e
documentarie e per la conservazione e restauro dei beni librarie archivistici dell’Università
degli Studi di Udine per aver contribuito, attraverso le tante occasioni istituzionali di
confronto, al perfezionamento della mia preparazione, permettendomi di avvalermi di basi
solide.
Un ringraziamento speciale, che vale come un investimento per il futuro, lo vorrei
dedicare ai miei allievi i cui dubbi e domande sono stati per me fondamentali ispiratori.
Auguro a tutti loro di poter trovare continuamente stimoli e di operare con onestà,
competenza e passione.
Speciali e concreti ringraziamenti vorrei indirizzarli a quegli uomini e quelle donne
incontrate in questo lungo percorso di studi che, attraverso i confronti professionali, che
quasi sempre sono diventati umani, mi hanno aperto la strada per raggiungere risultati
ix
impensabili mettendo a disposizione le loro competenze, il loro lavoro, l’esperienza e la
curiosità che in una professione come la nostra non deve mai mancare. Tutti sono citati
all’interno del volume in maniera contestualizzata.
Sinceri e affettuosi ringraziamenti merita Maria Letizia Dosi, figlia di Giuseppe
Dosi, la cui forza morale e vividezza mi hanno aiutato a trovare, raccogliere ed interpretare
le preziose carte raccolte da suo padre nel 1944. Senza il suo contributo, aspetti e
personaggi fondamentali per la storia dell’occupazione nazista d’Italia sarebbero stati
condannati all’oblio.
Non posso e non voglio dimenticare coloro che per motivi affettivi o vincoli familiari
direttamente o indirettamente sono legati alle troppe vittime del nazifascismo ed in alcuni
casi alle stesse vittime che ho ancora la fortuna di incontrare personalmente. Dal dolore,
dalla conoscenza, divenuta consapevolezza, è nata la gratitudine per questo contributo.
In ultimo, ma non all’ultimo, colloco i ringraziamenti alla mia Famiglia, alla mia
Mamma che con la sua energia ed esempio mi sostiene e mi anima sempre, a mio Fratello,
Mario, rifugio affettuoso e aiuto logistico fondamentale, insieme con la sua compagna di
vita, Lucia, a mio Padre per averci sempre creduto anche se adesso da troppo lontano.
A Riccardo, compagno di cammino e marito, fonte di gratitudine e, nel contempo, di
ispirazione e supporto, per l’amore e per la dedizione che non mi fa mai mancare.
E alla mia Prima Donna che sta già cambiando tutto.
Alessia A. Glielmi
x
INTRODUZIONE
Il periodo che va dall'8 settembre 1943 al 4 giugno 1944 è ricordato come uno dei periodi più bui e controversi della storia di Roma e d’Italia. Se ad una prima lettura gli episodi significativi e i brevi limiti temporali, consentono, di quei nove mesi, una comoda ricostruzione cronologica, non altrettanto immediate, invece, appaiono, a più di settanta anni
di distanza, le dinamiche che dietro quegli eventi si celano. Solitamente i periodi storici
che segnano eventi e passaggi politici ed istituzionali traumatici, divengono accessibili attraverso i punti di contatto che le istituzioni vecchie e quelle nuove offrono, ad esempio,
attraverso il dialogo, come nel caso in specie, tra quelle italiane e quelle tedesche:
l’“occupante” e l’“occupato” 1. Tra le sfumature delle competenze delle diverse istituzioni
prima alleate, poi contrapposte, non sempre perfettamente delineate e, ad oggi, non interamente conosciute, si osserva, in questo caso, però, una situazione di estrema frammentazione, che, spesso, si evolve in una sovrapposizione percepibile chiaramente nelle carte e
di conseguenza negli archivi.
Si parte, dunque, dagli archivi per decifrare altri archivi. Questa affermazione apparentemente criptica, tenta di sintetizzare con poche parole il principio che ha portato alla realizzazione di questo volume. I vuoti, le lacune e la frammentarietà delle fonti, la scarsa analiticità o l’assenza totale di strumenti sono lamentati dai più autorevoli studiosi che
nell’ultimo quarantennio si sono occupati di diversi aspetti del periodo in questione.
I diversi percorsi di ricerca italiani e tedeschi a cui Enzo Collotti 2 ha contribuito in maniera significativa, pur lamentando, già negli anni Sessanta, lacune e ritardi hanno sempre
evidenziato lo squilibrio tra le tracce che mettevano al centro gli studi sui movimenti di
Resistenza e la scarsezza di studi mirati ad approfondimenti sul complesso di elementi che
hanno determinato l’occupazione tedesca. Molto più tardi, negli anni Novanta, sarà per
primo Lutz Klinkhammer 3, che pur lamentando le stesse lacune, affronterà il problema con
uno studio dal respiro storico-istituzionale sulla composizione dell’amministrazione tedesca nell’Italia occupata, cui seguirà un altro tedesco Gerhard Schreiber 4, che attraverso
un’analisi dedicata agli internati militari, offrirà numerosi spunti per comprendere le motivazioni dell’occupazione politica e militare dell’Italia. Ad intramezzare questi momenti si
inserisce la diffusamente frequentata categoria storiografica consacrata allo stragismo nazista che propone ricostruzioni di singoli episodi e fatti dal respiro nazionale che coinvolgono la storia locale soprattutto a partire dagli anni Novanta 5. Alcuni dei principali fattori
1 L. Klinkhammer offre una ricostruzione storica del periodo in cui l’Italia, tra il 1943 ed il 1945
venne a trovarsi nella paradossale condizione dell’ ”alleato occupato”. Si veda, a tal proposito, L.
Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.
2 E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945. Studio e documenti, Milano,
Lerici, 1963 e Enzo Collotti, Documenti sull’attività del Sichereitdienst nell’Italia occupata, in «Il movimento di Liberazione in Italia», 83, aprile-giugno 1966, pp. 38 -77.
3 L. Klinkhammer, L’occupazione… cit. si rammentano poi i lavori: Liliana Picciotto Fargion, Polizia
tedesca ed ebrei nell’Italia occupata, in «Rivista di Storia Contemporanea», 3, 1984 e Carlo Gentile, I
servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945, in Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli
culturali nella storia contemporanea, (a cura di), Paolo Ferrari, Alessandro Massignani, Milano,
Franco Angeli, 2010.
4 G. Schreiber, Die italienischen Militärinternierten im deutschen Machtbereich. 1943–1945, Munchen, 1990 si veda anche G. Schreiber, La vendetta tedesca. 1943-1945: le rappresaglie naziste in Italia, Milano, Mondadori, 2000.
5 A tal proposito si segnalano i principali saggi: R. Lazzero, Il sacco d’Italia. Razzie e stragi tedesche
nella repubblica di Salò, Milano, Mondadori, 1994, L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia, Roma,
Donzelli, 1997, E. Collotti e T. Matta, Rappresaglie, stragi, eccidi, in Dizionario della Resistenza, vol. I.
Storia e geografia della Liberazione, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Torino, 2000,
1
ALESSIA A. GLIELMI
causa di questo difetto o meglio sbilanciamento di analisi non perfettamente esaustive, sono stati elencati anche in un articolo di Pier Paolo Battistelli 6. Essi sono riferibili alle difficoltà linguistiche e grafiche che tali documenti presentano, alle difficoltà a reperire la documentazione e a comprendere l’effettiva storia archivistica delle carte conservate in Germania ed in generale in tutta Europa e, non in ultimo, alla scarsa produzione di strumenti
archivistici esaustivi riferiti ai fondi composti o nei quali convergono documenti di tal genere. La constatazione, dunque, di una situazione documentaria tutt’altro che lineare e di
una limitata produzione di strumenti analitici è servita da incentivo per cominciare a ragionare su questo studio. Partendo da tali riflessioni, è emersa l’esigenza di uno strumento
per gli archivi analitico e trasversale in grado di far chiarezza su fonti tedesche poco note,
le uniche che raccontano senza intermediari l’occupazione di Roma. Il lavoro ha come obiettivo quello di segnalare possibili percorsi di ricerca attraverso riferimenti e rimandi
che non si focalizzano solo su ciò che è conservato presso il Museo storico della Liberazione, ma che da esso partono e ad esso arrivano. La visione è quella di un progetto che partendo dai fondamentali della dottrina archivistica, attraverso il potenziamento della funzione critica dello strumento approdi a nuove proposte per la ricerca. Mutuando nel campo archivistico il concetto giuridico di fonte complementare, come di fonte non scritta, utilizzata per riempire le lacune del diritto primario, così i riferimenti ed i rinvii che caratterizzano questo lavoro, servono, partendo dalla fonte primaria reale, a chiarire e promuovere tracce e percorsi interni ed esterni alle carte.
La nascita di questo volume vuole garantire il corretto avvicinamento ed una prima interpretazione della documentazione tedesca prodotta dalle forze di occupazione a Roma.
L’operazione mira a trattare la storia di quel periodo attraverso le fonti documentarie evidenziando i rapporti dinamici e sinergici tra le carte conservate presso il Museo e fuori da
esso. Lo stato lacunoso causato dalla sorte traumatica subita da una parte consistente della
documentazione ha richiesto la produzione di un ausilio che non si limitasse ad essere una
guida alle fonti, ma che avesse spunti critici. Tale esigenza è divenuta col tempo un metodo
che si è deciso di estendere anche agli altri fondi archivistici descritti. “Guida” è la definizione offerta dall’archivista e storico Leopoldo Cassese che più si attaglia a questo strumento, è
uno strumento primario «che si propone di avviare lo studioso alle ricerche facendogli conoscere i depositi antichi e moderni dei materiali, indicandogli dove si trovano o si possono
trovare i materiali dispersi; cerca quindi di ricostruire sommariamente i fondi 7».
La ricerca che ha portato alla redazione di questo strumento ha mosso indirettamente i
primi passi nel 2006 quando, dal Museo storico della Liberazione, fu commissionato uno
studio mirato all’identificazione dei nominativi e alla ricostruzione dei profili biografici di
coloro che, tra settembre 1943 e giugno 1944, furono detenuti nel carcere di via Tasso.
Nacque così l’esigenza di procedere allo spoglio sistematico di fonti bibliografiche e archivistiche conservate nell’istituto che trattavano tale tematica. Pochissimi erano gli elementi
noti: i nomi di ex-detenuti 8 conosciuti erano all’incirca duecento, del tutto ignoti, invece,
erano elementi come la data in cui l’edificio fu trasformato in carcere, attività e funzioni
della caserma/carcere, il rapporto di propedeuticità rispetto al reparto tedesco di Regina
Coeli ed, in generale, rispetto alla totalità dei luoghi dove avevano sede le forze di occupazione tedesche. Ciò che risultò essere particolarmente difficoltoso riguardava sempre il
punto di partenza ossia la totale mancanza di punti di riferimento e di strumenti per inter6 I diversi fattori funzionali alle ricerche sono elencati nel saggio di Pier Paolo Battistelli, I comandi
militari tedeschi in Italia. Appunti per uno studio della guerra in Italia sui documenti tedeschi, in «Bollettino dell’archivio dell’ufficio storico», n. 9, a. V, gennaio-giugno 2005, p. 342.
7 A. Romiti, Archivistica tecnica. Primi elementi, Lucca, Civitale Editoriale, 2008, p. 35-36
8 Alla fine della ricerca furono 1132 i profili biografici rintracciati. Msl, Elenco dei reclusi nel carcere
di via Tasso. Ottobre 1943-Giugno 1944-Banca dati, a cura di A. A. Glielmi, G. Montani.
2
INTRODUZIONE
pretare, ma anche semplicemente, per leggere correttamente le fonti a disposizione. Se,
analizzando fonti a stampa, guide tematiche 9, manuali e memorialistica, si riuscì, in un
primo tempo, ad inquadrare gli eventi più significativi ed individuare i nominativi delle
vittime delle stragi avvenute durante i nove mesi di occupazione 10, poco chiare rimanevano vicende ed episodi relativi alla gran parte dei detenuti 11. Restavano, altresì, oscuri elementi fondamentali come le attività all’interno del carcere, il ruolo e i nomi di chi era addetto alla vigilanza, le funzioni delle SS e dei membri della polizia politica tedesca che gestivano il carcere e che alloggiavano nell’edificio attiguo 12. A seguito di ulteriori approfondimenti, si constatò, poi, il perdurare di un vuoto storiografico in larga parte riconducibile
alla dispersione degli archivi avvenuta nel periodo post-bellico.
Nel 1966 Enzo Collotti definì per primo il ruolo della polizia politica di occupazione, a
causa della mancanza di fonti, «tra gli aspetti ancora meno esplorati nel campo delle ricerche sulla storia dell'occupazione tedesca» 13, Lutz Klinkhammer, a trent’anni di distanza, si
diceva, registrò lo stesso vuoto osservando lacune rispetto ad «un'esposizione complessiva dell'attività delle SS e della polizia tedesca in Italia» 14. Enzo Piscitelli, storico della Resistenza romana, lamentò, nel suo campo di indagine, la stessa «mancanza o comunque
l’insufficienza della documentazione sull’attività patriottica o partigiana» 15. Fu anche per
rispondere a tali interrogativi che furono utilizzate, per la prima volta in uno studio organico, le fonti conservate al Museo che, nonostante la rilevanza storico-archivistica, non risultavano mai consultate sistematicamente, mai censite o descritte 16. La rilevanza storica è
dovuta al fatto che il Museo ha lo strategico ruolo di conservatore di due tipologie di fonti:
ciò che rimane degli archivi prodotti dalle forze di occupazione tedesche e, al tempo stesso, della documentazione prodotta dalle forze anti-fasciste e anti-naziste durante quello
stesso periodo. Le prime fonti, rispetto alle seconde, ritenute, genericamente disperse e lacunose a seguito della fuga dei tedeschi da Roma. Le indagini effettuate per trovare elementi certi sulle modalità con cui la documentazione era stata dispersa, trovarono riscontri nell’unica fonte che riportava, circostanziandole con dovizia di particolari, diverse notizie in merito alla questione. Si trattava di un opuscolo 17, pubblicato probabilmente nel
1946 da Giuseppe Dosi 18, che confermò la notizia e allo stesso tempo contribuì in modo significativo a far luce sulle vicende archivistiche relative allo smembramento. L’analisi con-
M. L. D’Autilia, M. De Nicolò, M. Galloro, Roma e Lazio 1930- 1950. Guida per le ricerche. Fascismo,
antifascismo, guerra, resistenza, dopoguerra, a cura di A. Parisella, Roma, Franco Angeli, 1994.
10 Ci si riferisce alle vittime del nazi-fascismo che, in parte o nella totalità, furono prelevate, prima
dell’uccisione, dal carcere di via Tasso. In particolare ai caduti delle Fosse Ardeatine, ai caduti di
Forte Bravetta e ai caduti de La Storta.
11 È possibile ascrivere in questo vasto gruppo chi fu trattenuto pochi giorni, chi fu solo interrogato,
chi fu costretto a prestare lavoro coatto all’interno del carcere.
12 L’edificio, corrispondente al civico 155, prima dell’Armistizio accoglieva gli uffici culturali
dell’ambasciata germanica. A. Majanlahti, A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944. Itinerari,
storia, immagini, Il Saggiatore, 2010 p. 87.
13 E. Collotti, Documenti sull’attività del Sichereitdienst nell’Italia occupata, in «Il movimento di Liberazione in Italia», 83, aprile-giugno 1966, pp. 38 -77, p. 38.
14 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, p.
481. L’osservazione è riportata alla nota 84.
15 E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari, Laterza, 1965, p. 2.
16 La banca dati è stata presentata ufficialmente nel 2007, da chi scrive, e da Giovanna Montani in
occasione del seminario internazionale “Il campo di Fossoli di Carpi nell’ambito della deportazione
all’Italia “ svoltosi a Fossoli di Carpi.
17 G. Dosi, Via Tasso: I misteri delle SS Documenti originali raccolti e commentati da Giuseppe Dosi.
Roma, R. Carboni, [1946].
18 L’Archivio di Giuseppe Dosi è stato in seguito acquisito integralmente dal Museo ed è entrato a
fare parte nel periodo che va dal 2009 al 2012 del suo patrimonio archivistico.
9
3
ALESSIA A. GLIELMI
testuale della corrispondenza del museo 19 e delle fonti conservate nell’Archivio Centrale
dello Stato hanno permesso di far chiarezza sulle modalità che portarono alla dispersione
di un nucleo consistente di documentazione tedesca riuscendo ad individuare il punto esatto e le dinamiche che portarono al recupero della documentazione prodotta in via Tasso e nel reparto tedesco del carcere di Regina Coeli e a dedurre, in quella circostanza, che
non tutto il materiale documentario fu distrutto o disperso. Uno dei risultati di quella ricerca, ampliata ad altri istituti 20, fu l’individuazione ed il recupero, nel 2009, di un primo
nucleo di carte - oggi conservate presso il Museo - confluite nell'Archivio Giuseppe Dosi..
Il vaglio delle stesse ha permesso di comprendere le vicende che furono all’origine della
produzione e stratificazione di quasi tutti i nuclei archivistici presenti del museo. Un simile
patrimonio, che si vorrebbe, da questo momento, in poi di più facile comprensione, si è voluto analizzare con dettaglio per venire incontro alle diverse esigenze di studio e di approfondimento che provengono da studiosi, studenti, familiari di vittime o semplici visitatori
che si avvicinano all’istituto consapevoli della sua duplice funzione: ex-sede di quello che
fu il simbolo dell’occupazione nazista di Roma e custode di ciò che rimane della memoria
scritta di quel periodo, dall’altra conservatore della documentazione che testimonia le diverse articolazioni della lotta al regime nazi-fascista.
La Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione, una guida, in dottrina definibile
come speciale 21, nasce anche grazie alle numerose richieste e ai confronti avuti con storici,
studiosi, collaboratori, o semplici utenti del Museo, i cui interrogativi, dubbi, percorsi di
indagine sono stati fondamentali ispiratori. Si propone di essere un ausilio concreto alle
esigenze di approfondimento, uno strumento in grado di offrire uno sguardo descrittivo
generale, come, nel contempo, tagli trasversali pensati per seguire diverse chiavi di ricerca
e percorsi di analisi, attraverso gli elementi tecnici della descrizione archivistica. La ragione di questa scelta va ricercata nella necessità di porre in condizioni chi legge di attingere
autonomamente ciò che attiene strettamente ai propri interessi, per poi poter ottenere, attraverso rimandi e relazioni ad altro materiale documentario, un quadro d’insieme completo sugli argomenti di interesse.
Per tale ragione si è scelto di dare risalto al contesto storico-istituzionale entro cui i diversi complessi archivistici si sono formati, offrendo, in qualche caso, anche la ricostruzione virtuale di nuclei archivistici oggi smembrati. L’eterogeneità delle fonti archivistiche, le
problematiche dovute ai diversi processi di formazione, lo stato di ordinamento dei fondi,
ha imposto numerosi interventi archivistici sulla documentazione. Tali interventi, come si
diceva, preliminari alla redazione della Guida, concretizzati in censimento, descrizione e
schedatura del materiale sono stati finalizzati all’acquisizione di tutte le notizie utili per
supportare le scelta delle tecniche di intervento migliori nel rispetto del metodo storico.
L’applicazione in sede di riordinamento del metodo storico è stato interpretato nel rispetto del processo di formazione dei singoli fondi, sia come espressione, nel caso
dell’Archivio Istituzionale del Museo, di attività istituzionali, oppure, nel caso degli archivi
aggregati, della storia del soggetto produttore che si è rivelato sempre l’unico elemento 22
in grado di offrire la solidità di riferimenti esatti per il riordinamento.
Ciò che, prima degli interventi di riordinamento, di cui si dirà, era denominata Corrispondenza era, in realtà, l’intero archivio del Museo.
20 In particolare: Archivio Centrale dello Stato, Archivio di Stato di Roma, archivio del Tribunale militare di Roma, l’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma, Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, Museo ebraico di Roma.
21 A. Romiti, Archivistica generale. Primi elementi, Lucca, Civita Editoriale, 2008, p. 45-46.
22 Per tutti e due i fondi aggregati descritti - Archivio Arrigo Paladini e Archivio Giuseppe Dosi - non è
stato possibile usufruire di biografie pre-esistenti. Esse sono state implementate e ricostruite di pari passo con l’analisi e la corretta interpretazione delle carte.
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