27 SETTEMBRE 2017
La revoca degli amministratori nelle
fondazioni universitarie (tra diritto
sostanziale e questioni di giurisdizione)
di Fulvio Gigliotti
Professore ordinario di Diritto privato
Università Magna Graecia - Catanzaro
La revoca degli amministratori nelle fondazioni
universitarie (tra diritto sostanziale e questioni di
giurisdizione) *
di Fulvio Gigliotti
Professore ordinario di Diritto privato
Università Magna Graecia - Catanzaro
Sommario: 1. Premessa. Delimitazione dell'indagine – 2. Nomina e revoca di amministratori negli enti a
partecipazione pubblica: l'orientamento giurisprudenziale corrente. – 3. Il riferimento della soluzione
corrente anche alle fondazioni universitarie. Possibili considerazioni critiche: a) sul versante civilistico. –
4. Segue: b) e su quello pubblicistico. – 5. Il rapporto tra l'Ente pubblico di riferimento (Università) e il
soggetto (formalmente privato) strumentale (fondazione). – 6. La connotazione tipicamente pubblicistica
delle fondazioni universitarie alla luce della normativa di riferimento. – 7. I riflessi processuali (in tema di
giurisdizione) della ricostruzione proposta.
1. Premessa. Delimitazione dell'indagine.
L'oggetto delle riflessioni svolte nel presente contributo ruota, fondamentalmente, intorno a una
questione di giurisdizione – connessa alla tematica della nomina e (più in particolare) della revoca di
amministratori di una fondazione universitaria – ma (come meglio si dirà di seguito) evoca anche,
necessariamente, uno spazio di riflessione assai più considerevole, che – sotto svariati profili – si pone al
crocevia tra diritto civile, sostanziale e processuale, e diritto amministrativo, anch'esso sostanziale e processuale.
Prima di entrare nel merito della questione sono probabilmente opportune, peraltro, alcune avvertenze
preliminari: intanto, poiché – di seguito – si farà frequentemente richiamo al tema delle fondazioni
universitarie1, è bene avvertire da subito che si intende qui fare riferimento non già alle fondazioni di cui
all'art. 16 del D.L. n. 112/08 (norma che riguarda la facoltà di trasformazione delle Università pubbliche oggi
esistenti in fondazioni di diritto privato)2; ma, più in particolare, alle fondazioni di cui all'art. 59, comma 3,
L. n. 388/00: il riferimento è, cioè, alle fondazioni di diritto privato (le quali trovano poi la loro disciplina
Articolo sottoposto a referaggio. Costituisce, con l’aggiunta delle note (e alcuni essenziali aggiornamenti), il testo
della Relazione presentata al Convegno di Catanzaro del 29-30 giugno 2016 su Amministrazioni pubbliche e forme
privatistiche.
1 Sul quale v., di recente, S. SERRAVALLE, Le fondazioni universitarie. Natura e disciplina applicabile, Napoli, 2012; M.
CAPORALE, Le fondazioni universitarie, in M. P. Chiti (a cura di), Il partenariato pubblico-privato, Napoli, 2009, 343 ss.;
G. Gemelli (a cura di), Fondazioni universitarie: radici storiche e configurazioni istituzionali, Baskerville ed., 2005. In
proposito v. anche il volumetto edito dalla CNFU (Conferenza Nazionale delle Fondazioni universitarie), 2015, dal titolo
Le fondazioni universitarie: opportunità e vincoli.
2 In proposito v., per tutti, A. MARRA, Trasformare le Università in fondazioni? Riflessioni a margine dell'art. 16 del D.l. n.
112/2008, in Dir. econom, 2009, 645 ss.
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di dettaglio nel D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254) costituite dalle Università pubbliche al fine dello
«svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca», in ogni caso
«nell'osservanza del criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali, che rimangono comunque
riservate all'Università»3.
In secondo luogo, poi, e sotto altro profilo, è anche opportuno precisare che la materia qui considerata
non risulta sostanzialmente incisa dalla disciplina di attuazione della c.d. "riforma Madia" in tema di
società a partecipazione pubblica: infatti, il D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, nell'art. 1, comma 4, lett b4,
mantiene ferme «le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di amministrazioni pubbliche a enti associativi
diversi dalle società e a fondazioni», sì che, nell'ambito appena indicato, la disciplina ad oggi vigente in materia
è destinata a non essere intaccata, sul punto, dalla riforma (di recente conio) delle cc. dd. "partecipate".
Né un peso specifico sembra possibile attribuire, da questo punto di vista, al fatto che il cit. art. 1, comma
4, lett. b, del D. Lgs. n. 175 del 2016 limiti la salvezza delle norme mantenute ferme alle "disposizioni di
legge", laddove la precedente lett. a) dello stesso articolo – con riguardo ad alcune specifiche società
pubbliche di diritto singolare5 – fa invece riferimento a disposizioni di legge o di regolamento, governative
o ministeriali: invero, poiché la disciplina regolamentare delle richiamate fondazioni universitarie è stata
dettata proprio in specifica attuazione dell'art. 59, comma 3, della Legge n. 388 del 2000; e poiché questa
disposizione rientra tra quelle fatte salve, sembra di poter concludere che anche la normativa
regolamentare di attuazione debba intendersi, naturalmente, mantenuta ferma.
Con questa avvertenze, dunque, si può ora procedere all'esame della questione principale poc'anzi
accennata, avente ad oggetto l'individuazione della giurisdizione (ordinaria o amministrativa) deputata a
doversi occupare degli atti di (nomina e) revoca di amministratori di una fondazione universitaria.
Sulle predette fondazioni universitarie v., ex multis: D. MARCHETTA, Le nuove fondazioni universitarie, in Giorn. dir.
ammin., 2001, 761 ss.; G. M. RICCIO, Le fondazioni universitarie, Analisi del d.p.r. 24 maggio 2001, n. 254, in Nuova giur,
civ. comm., 2002, II, 159 ss.; S. DE GÖTZEN, Il nuovo modello delle fondazioni speciali universitarie e le prime attuazioni: la
fondazione Università di Padova, in Dir. della regione, 2003, 275 ss.; D. SORACE, Le fondazioni universitarie (di diritto speciale),
in S. Raimondi-R. Ursi (a cura di), Fondazioni e attività amministrativa (Atti del Convegno di Palermo del 13 maggio 2005),
Torino, 2006, 133 ss.; A. VISCOMI, Le fondazioni universitarie: riflessioni critiche (contributo che si può leggere
direttamente on line all’indirizzo http://rdb.uniroma2.it/oldsite/torvergata/link/fondazione/Viscomi.htm); D.
FERRARA-M. A REA, Le fondazioni universitarie in Italia. Profilo istituzionale e modelli gestionali, in Economia aziendale on
line. Business and management Sciences International Quarterly Review, 2011, direttamente consultabile on line all’indirizzo
http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/ea/article/view/698/102.
4 In conformità con il contenuto della delega recata dall'art. 16, comma 1, lett. b) della L. n. 124/2015, diretta alla
(formulazione di una) disciplina delle "partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche".
5 In particolare, quelle costituite «per l'esercizio della gestione di servizi di interesse generale o di interesse
economico generale o per il perseguimento di una specifica missione di pubblico interesse».
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2. Nomina e revoca di amministratori negli enti a partecipazione pubblica: l'orientamento
giurisprudenziale corrente.
Sebbene, come appena chiarito, la questione sottoposta ad esame si possa (per semplicità) ridurre – nel
suo nucleo essenziale – all'individuazione del Giudice legittimato a pronunciarsi in tema di atto di revoca
dell'amministrazione (o di amministratori) di una fondazione universitaria, va subito evidenziato che essa
sollecita, però, più radicali riflessioni: anzitutto, sulla natura giuridica delle stesse fondazioni universitarie6;
nonché sulla loro possibile collocazione nel novero delle cc.dd. fondazioni legali (di diritto pubblico)7 e sulla
relazione organizzativa tra Università pubblica e fondazione-ente strumentale8 (ma anche, ancora più a
monte, sulla natura giuridica degli atti9 posti in essere dall'Istituzione universitaria in ordine alla fondazione,
nonostante la distinta ed autonoma qualifica di quest'ultima come ente di diritto privato).
In proposito, ma con più specifico riferimento al tema della nomina e revoca di amministratori di società
a partecipazione pubblica, una consolidata giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, ha ritenuto che i
relativi atti (di nomina e di revoca) costituiscano estrinsecazione (non di un potere pubblico, ma) di una
“potestà di diritto privato”, perché attinente ad una partecipazione societaria (la quale chiama in causa la
capacità di diritto comune dell'Ente pubblico), restando perciò esclusa qualsiasi valenza amministrativa,
con conseguente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a vantaggio dell’autorità giudiziaria
ordinaria10.
In argomento v. il ponderoso volume di S. DE GÖTZEN, Le "fondazioni legali" tra diritto amministrativo e diritto privato,
Milano, 2011, spec. 295 ss.
7 Sul tema delle fondazioni "legali" v., per tutti, F. MERUSI, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in
Dir. amm., 2004, 447 ss.. V, inoltre, A. ROMANO TASSONE, Le fondazioni di diritto amministrativo: un nuovo modello, in
S. Raimondi-R. Ursi (a cura di), Fondazioni e attività amministrativa, cit., 33 ss.
8 In proposito v. A. VISCOMI, Le fondazioni universitarie, cit., §§ 7 e 8.
9 Al riguardo v., ad es., di recente, Cass., S.U, 10 marzo 2014, n. 5490 (in motivazione), in Foro it., 2015, I, 2482; e
già Cass., S.U., 3 novembre 2009 n. 23200, in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1534.
10 Cass., S.U., 1 dicembre 2016, n. 24591, in Guida al dir., 2017, 2, 19, secondo la quale «le azioni concernenti la
nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica sono
sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il
modello del cd. in house providing» Cass., S.U., 23 gennaio 2015, n. 1237, in Giur. comm., 2016, II, 1041; Tar Calabria
(Reggio Calabria), 15 gennaio 2015, n. 4, in Foro amm., 2015, I, 227; Tar Puglia (Lecce), 24 maggio 2011, n. 914, in
Foro amm. TAR, 2011, 1723; Tar Calabria (Catanzaro), 18 dicembre 2006, n. 1983, ivi 2006, 4043; Tar Liguria
(Genova), 13 maggio 2004, n. 756, ibidem, 2004, 1345. Nei richiamati precedenti si è sempre evidenziato, in
particolare, che quando il soggetto pubblico – non meno di quello privato – esercita poteri connessi alla sua qualità
(privatistica) di socio, non è sufficiente «la mera partecipazione al giudizio di un’amministrazione pubblica, così come
il generico coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia […] affinché si radichi la giurisdizione del
giudice amministrativo» (così come a suo tempo aveva precisato la notissima Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, che
si legge, ad es., in Giur. cost., 2004, 2181 ).
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3. Il riferimento della soluzione corrente anche alle fondazioni universitarie. Possibili
considerazioni critiche: a) sul versante civilistico.
Facendo – per vero (come di seguito si tenterà di dimostrare) assai malamente – applicazione di un siffatto
indirizzo11 al ben diverso caso della revoca di componenti del Consiglio di amministrazione di una
fondazione universitaria da parte dell'Università-fondatrice, un recente orientamento della giurisprudenza
amministrativa ha ritenuto che l'espressa qualificazione normativa delle fondazioni universitarie in termini
di enti di diritto privato, unitamente alla necessità di un fondamento legale richiesto (dall'art. 4 L. n. 70 del
1975) per l'istituzione di qualsiasi ente pubblico, e al rilievo che «il perseguimento di finalità di interesse
pubblicistico non è condizione sufficiente per la qualificazione del soggetto quale ente pubblico»,
varrebbero a rendere evidente l'assenza di uno spessore pubblicistico del soggetto fondazione universitaria. E
da questa premessa – già in sé, per vero, assai discutibile (come meglio emergerà dal prosieguo) – si è
infine tratta la conseguenza che se è quindi giudicata esistente «la natura di soggetto privato dell’ente di
cui si discute, non vi è ragione per ritenere che gli atti di nomina e revoca dei componenti del CdA posti
in essere dal fondatore non possano essere qualificati in termini privatistici», come atti regolati dal codice
civile, con conseguente declinazione della giurisdizione amministrativa, a vantaggio di quella del giudice
ordinario12.
L’orientamento appena riferito – considerato nella sua specificità (che è, esattamente, quanto qui
interessa) – appare (per più di un profilo) fortemente censurabile, approdando ad una conclusione
palesemente viziata da argomenti (fin troppo e del tutto) formalistici, i quali – unitamente all'assenza di
qualsiasi considerazione del dettato normativo specificamente dedicato alle fondazioni universitarie –
hanno impedito di cogliere l'effettiva sostanza del problema.
Una prima riflessione, intanto, potrebbe muoversi già sul versante più strettamente civilistico.
In proposito, l'art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 254/01 – che, in attuazione della legge n. 388 del 2000, reca
la disciplina di dettaglio delle fondazioni universitarie – precisa che alle stesse si applica, ove non
diversamente disposto, la disciplina del codice civile.
Che risulta, invece, senza dubbio da condividere nei suoi termini generali, ma soltanto – si badi – nei limiti rigorosi
in cui si è consolidato (e cioè, avuto riguardo ai casi in cui l’Amministrazione pubblica eserciti le prerogative ad essa
derivanti dalla qualità privatistica volta per volta rivestita, come, ad es. quella di socio di maggioranza).
12 A siffatta (discutibile) conclusione è giunta, in particolare, una decisione di qualche anno fa del Tar Calabria,
(Catanzaro), n. 655 del 12 giugno 2013 (in Foro amm. TAR, 2013, II, 2123) – che, ad oggi, costituisce l'unico
precedente specifico sul tema qui considerato – la quale non ha mancato di sollevare significative perplessità della
dottrina amministrativista (v., ad es., N. LONGOBARDI, Amministrazioni pubbliche e fondazioni di diritto privato, in
Amministrazione in cammino (rivista elettronica di diritto pubblico), consultabile on line all’indirizzo
www.amministrazioneincammino.luiss.it, p. 12, nt. 35).
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Potrebbe quindi sembrare naturale che la revoca degli amministratori, in quanto relativa a fondazione
qualificata come privatistica, sia da intendere alla stregua di un atto non autoritativo, regolato dal codice civile
(e, dunque, sottratto alla giurisdizione amministrativa), così come ha mostrato di intendere la richiamata
giurisprudenza amministrativa.
Sennonché – intanto (trattandosi di fondazione) – occorrerebbe anzitutto domandarsi se dal punto di vista
civilistico effettivamente competa al fondatore il potere di nominare (e revocare) – successivamente alla
costituzione della fondazione medesima (e, dunque, alla prima nomina) – amministratori.
In proposito, le più autorevoli voci dottrinali della civilistica italiana escludono pacificamente una simile
possibilità: infatti, si riconosce comunemente che «il fondatore, mentre può riservarsi all’atto della
fondazione la nomina a vita di membri del consiglio, non può attribuirsi il potere di nominare uno o più
o tutti gli amministratori ad ogni successiva rinnovazione dell’organo, né può riservarsi la facoltà di
sciogliere il consiglio di amministrazione»13; pertanto, «il fondatore non può, come non possono i suoi
eredi, ingerirsi in alcun modo nell’amministrazione»14.
Già questa considerazione, svolta sul versante civilistico, dovrebbe indurre a qualche cautela in ordine
alla configurabilità squisitamente privatistica – per contro, presentata (nel precedente appena richiamato)
in termini di apodittica certezza – della determinazione di revoca, dal momento che se, in termini generali,
un simile potere non è attribuito (e proprio sul piano civilistico) al fondatore, non può (ovviamente)
essere reputato espressione di una potestà privatistica spettante al Fondatore, soggetto pubblico, nel caso
considerato15.
P. RESCIGNO, Fondazione (dir. civ.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, § 13.
F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, 1996, 425; nel medesimo senso v. anche L.
BIGLIAZZI GERI-U. BRECCIA-F.D. BUSNELLI-U. NATOLI, Diritto civle. 1*. Norme, soggetti e rapporto giuridico, Torino,
1987, 240; A. TORRENTE-P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 20a, Milano, 2011, 166; D. VITTORIA, Gli enti
del primo libro del codice civile: l’attuale assetto normativo e le prospettive di riforma, in P. Rescigno (a cura di), Le fondazioni in
Italia e all’estero, Padova, 1989, 69 ss.
Nel medesimo senso, d’altra parte, si è espresso – in un celebre parere degli anni Sessanta del secolo scorso (relativo
alla Fondazione privata “Marzotto”) – anche il Consiglio di Stato, il quale, proprio con riferimento alla previsione
statutaria che riservava al Fondatore il potere di sciogliere il CdA, ebbe modo di osservare che «anche a voler
ritenere che un tale potere sia stato previsto in aggiunta e non in sostituzione di quello attribuito all’Autorità
governativa dall’art. 25 cod. civ. […] deve sempre tenersi per ferma l’illegittimità della disposizione in esame – che
va quindi soppressa – non essendo il fondatore un organo dell’ente; e dovendosi considerare lesivo dell’autonomia
dell’ente, ormai fornito di una propria soggettività, ogni intervento estraneo non previsto dalla legge» (Cons. Stato,
1 giugno 1960, n. 148, in Cons. St., 1961, I, 647).
15 Per una posizione giurisprudenziale di merito fondata su un simile presupposto v., ad es. TAR Lombardia, 13
giugno 2007, 5147, in Foro amm., 2008, 7 ss.; nonché, in dottrina, S. DE GÖTZEN, Le “fondazioni legali” tra diritto
amministrativo e diritto privato, cit., 423 ss., in quanto, ricorrendo una fondazione di diritto comune, l’Ente fondatore
che ha designato «i membri degli organi non dispone di ordinari strumenti privatistici per la sostituzione di componenti
di organi di amministrazione della fondazione» (così, testualmente, S. DE GÖTZEN, op. cit., 427; corsivo aggiunto)
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4. Segue: b) e su quello pubblicistico.
Nondimeno – anche in ragione dell’evoluzione più recente che il fenomeno “fondazione” ha conosciuto,
specialmente nella legislazione speciale16 – si rivelano egualmente utili alcune considerazioni sul piano più
propriamente pubblicistico, le quali univocamente indirizzano – a parere di chi scrive – verso una
connotazione marcatamente provvedimentale (e, dunque, in termini di atto amministrativo) dell'atto di
revoca (s’intende, nel solo caso oggetto delle presenti considerazioni: i.e., revoca di un componente del
CdA da parte del “fondatore” Istituzione universitaria designante).
Se è consentita una breve digressione, intanto, utili considerazioni potrebbero svolgersi già a partire da
un piano più generale: com’è noto, con specifico riguardo a nomine (e revoche) di amministratori da
parte di enti pubblici locali, di cui all’art. 50, comma 8, del D. Lgs. n. 267/2000, si è ormai consolidata,
nella giurisprudenza amministrativa, la distinzione dei casi in cui tali atti non rientrano “nelle categorie
intende fare qui particolare riferimento a quel modello di fondazione che – in alternativa, se non proprio in
contrapposizione, allo schema formale codicistico della fondazione di erogazione – viene ormai correntemente
identificato come "fondazione di partecipazione", su cui v., per tutti, E. BELLEZZA-F. FLORIAN, Le fondazioni di
partecipazione, Piacenza, 2006, passim.
Specialmente negli ultimi anni, infatti – e proprio con riguardo alla partecipazione di soggetti pubblici a strutture
(formalmente qualificate, ancora) di tipo fondazionale – si è diffusa la presenza di un modello particolare di
fondazione, c.d. di partecipazione, intesa come species particolare del genere “fondazione”, da collocare però al di
fuori dello schema codicistico, potendo semmai rientrare tra quelle “altre istituzioni di carattere privato” alle quali faceva
rinvio l’(abrogato)art. 12 c.c. e di cui è ora menzione nell’art. 1, comma 1, del D.P.R., n. 361/00, e che si caratterizza
per una certa commistione strutturale del modello tradizionale della fondazione codicistica con quello di tipo
associativo.
In questo ambito, in particolare, la legislazione speciale conosce strutture nelle quali al fondatore-ente pubblico
(diversamente che al fondatore del modello codicistico) sono attribuiti poteri di ingerenza sull'amministrazione
dell'ente strumentale, fino alla possibilità – in casi determinati – della revoca degli amministratori nominati. In questa
prospettiva, la fondazione di partecipazione si presenta, dunque, come una figura soggettiva assai ibrida, della quale
difetta, peraltro – come è stato da più parti segnalato – una disciplina unitaria di riferimento. Ciò che, però (per
quanto soprattutto qui di interesse), merita di essere segnalato è che – come assai di recente è stato autorevolmente
osservato con riguardo alle diverse tipologie di fondazioni di partecipazione caratterizzate dalla presenza, tra i
fondatori, di un ente pubblico – «le fondazioni di partecipazione costituiscono [...] allo stato dell'evoluzione giuridica,
un tipo alquanto eterogeneo in quanto se ne conosce una gamma variegata che va da figure giuridicamente assai
prossime alle pubbliche amministrazioni ad altre figure di impronta schiettamente privata, ove la presenza di soggetti pubblici
è solo eventuale e comunque non condizionante» (M. P. CHITI, La presenza degli enti pubblici nelle fondazioni di
partecipazione tra diritto nazionale e diritto comunitario, in Fondazioni di partecipazione (Atti del Convegno di Firenze del 25
novembre 2006). Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, Milano, 2007 (il saggio si legge anche on line, all’indirizzo
http://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=06/0604&mn=3 e a tale versione (citazione precedente a
p. 2) si riferiscono le citazioni che seguono); nella prospettiva evidenziata, l'illustre A. sottolinea altresì che «nei
casi di massima contiguità della fondazione con la parte pubblica», e cioè «quando si può parlare di una vera e
propria loro strumentalità, è» però «evidente che la forma giuridica privatistica è soltanto un guscio vuoto»; in quanto
siamo piuttosto di fronte a casi in cui attività in precedenza svolte dell'ente pubblico con i propri mezzi vengono
sostanzialmente esternalizzate, perché affidate ad altra struttura strumentale, con conseguente «perdurante rilevanza
pubblicistica di questa attività» (op. cit., 1 e 4; corsivo aggiunto); e non è un caso che proprio con specifico riguardo alle
fondazioni universitarie si sottolinei dalla citata dottrina che esse, seppure «costituite formalmente per convergente
volontà di vari soggetti», sono da intendere «nella sostanza" alla stregua di veri e propri « "organi indiretti" dell'ente
di riferimento (l'Università)» (op. cit., 9)).
16 Si
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individuate dalla norma invocata, caratterizzate da una connotazione eminentemente pubblicistica”, da quelli
assoggettati al regime della diposizione richiamata.
Nelle prime ipotesi17 si riconosce, appunto, trattarsi di atti di natura privatistica.
Per contro, negli altri casi – che sono quelli nei quali gli enti strumentali (società, fondazioni, etc.), i cui
organi amministrativi sono nominati (solo o anche) dall’ente pubblico, agiscono nel quadro degli indirizzi
politico-amministrativi dell’Istituzione di riferimento – ricorre pacificamente una connotazione pubblicistica,
con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa18.
La natura pubblicistica di tali atti viene massimamente in rilievo, poi, nel caso di costituzione, da parte
dell’Ente pubblico, di un soggetto che – pur se formalmente distinto (e ancorché strutturalmente
costituito, al limite, nella forma del soggetto “privato”) dall'Amministrazione – costituisce una sorta di
“delegazione interorganica” del soggetto pubblico: è questo, tra l'altro, il fenomeno c.d. dell’“in house
providing”, la cui ricorrenza richiede – secondo un’avvertenza ormai consolidata nella giurisprudenza
comunitaria – «un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto
partecipato da parte dell’ente controllante-affidante, che consenta cioè a quest’ultimo di dettare le linee
strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell’affidatario»19.
In casi di tal genere, si è registrata una tendenziale propensione a riconoscere che il (pur formalmente
distinto) soggetto affidatario costituisce (in realtà, una) struttura strumentale dell’Ente di riferimento,
caratterizzata dall’essere stata costituita o partecipata per la produzione di beni e servizi funzionali alle
attività istituzionali dell’Ente pubblico, operando a supporto diretto ed immediato di funzioni
amministrative di natura pubblicistica di cui l’Ente pubblico resta titolare per il perseguimento dei propri fini
istituzionali20.
Ricorrendo tale situazione, gli atti attraverso i quali l’Ente pubblico organizza il proprio distretto
interorganico, ancorché attinenti all’assetto del (pur formalmente distinto) soggetto “in house”, non possono
Sulle quali v., ad es., TAR Liguria, 30 maggio 2008, n. 1168; TAR Lombardia (Sez. Brescia), 16 ottobre 2009, n.
1755 e 26 febbraio 2010, n.1007: tutte in De Jure- Banca dati Giuffré
18 Come testimonia una copiosissima giurisprudenza dei TAR e del Consiglio di Stato formatasi sul presupposto
della giurisdizione amministrativa in casi di tal genere; ex multis v.: Tar Lombardia (Brescia), 21 ottobre 2011, n.
1444; Tar Abruzzo (Pescara), 9 febbraio 2011, n. 84; Tar Lombardia (Milano), 9 dicembre 2010, n. 7480; Tar Puglia
(Lecce), 24 febbraio 2010, n. 622; Cons. Stato, 12 novembre 2009, n. 7024; Tar Lazio (Latina), 4 agosto 2009, n.
767; T.A.R. Sicilia (Palermo), 5 marzo 2004, n. 459 (tutte reperibili nella banca dati richiamata nella nota che
precede).
19 Così, di recente, Tar Lombardia (Milano), 22 marzo 2012, n. 892 (in Foro amm. TAR, 2012, 693); per la necessità
(anche a prescindere da una partecipazione pubblica totalitaria) di una “influenza pubblica dominante” ai fini della
sussistenza dell’in house v. anche il Reg. CE 1370/07, art. 5, par. 2.
20 Cfr. Corte conti, Sez. reg. Veneto, parere 9 luglio 2012, n. 436 (in www.corteconti.it); Cons. Stato, 5 marzo 2010,
n. 1282, in Publica, 2010; Cons. Stato, 12 giugno 2009, n. 3766, in Foro amm. CDS, 2009, 6, 1481; Corte conti, Sez.
regionale di controllo per il Veneto, delibera 5/2009/PAR (in www.corteconti.it).
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allora considerarsi espressione di potestà privatistiche, costituendo anzi – indiscutibilmente – atti di
natura provvedimentale (amministrativa)21; non per caso, invero, ragionando in termini ancora più
generali – addirittura, con riguardo a semplici società a partecipazione pubblica, ove il soggetto pubblico
riveste la qualità non di "ente di riferimento", ma di "socio" tout court – si è di recente statuito che «le delibere
[…] con le quali sono decise […] le modifiche da adottarsi nello statuto rispetto alla nomina dei
componenti del consiglio di amministrazione costituiscono provvedimenti di natura autoritativa […]
espressione della funzione di indirizzo e di governo […] rispetto agli organismi preposti alla produzione,
gestione ed erogazione dei servizi pubblici di pertinenza del medesimo ente; ne consegue che le
controversie relative all’annullamento delle suddette delibere […] spettano alla giurisdizione del giudice
amministrativo»22. Ed ancora – questa volta con specifico peculiare riguardo a strutture (anche) di tipo
fondazionale – si è inoltre rilevato (muovendo dall’analisi delle tendenze normative più recenti) che «il
legislatore ha mostrato la preferenza per un concetto di pubblica amministrazione in senso oggettivo,
caratterizzato dall’impiego di risorse pubbliche a sostegno della gestione di un qualsiasi organismo partecipato
ed ha compiuto una decisa virata verso l’accreditamento della nozione di amministrazione pubblica in senso
sostanziale, nei confronti della quale la natura pubblica scaturisce dalla resa di un pubblico servizio o dal
perseguimento di funzioni amministrative in concreto esercitate dall’organismo partecipato, quale che sia la forma,
privatistica o pubblicistica, scelta per la concreta attuazione dell’interesse pubblico»23.
Anche a voler prescindere – comunque – dalle considerazioni che precedono (e ritornando al tema
specifico oggetto delle presenti riflessioni), mette conto evidenziare, d’altra parte, che le fondazioni
universitarie sono unanimemente considerate alla stregua di meri enti strumentali (cioè, stabili organizzazioni
21 Particolarmente
significativa, al riguardo, una recente decisione del Tar Puglia (Lecce), 24 febbraio 2010, n. 622
(in Guida al dir., 2010, 22, 88), la quale, proprio in un caso di struttura (nella specie: societaria):
- a totale partecipazione pubblica;
- con attività prestata esclusivamente a favore dell’Ente di riferimento;
- e soggetta a controllo sia “strutturale” (mediante nomine negli organi amministrativi e di controllo) che “funzionale”
(sull’attività svolta) da parte dell’Ente pubblico (nella specie: un comune), ha evidenziato che «gli estremi
dell’ingerenza pubblica sono tali da considerare la società alla stregua di parte integrante dell’amministrazione
controllante, la quale esercita i propri poteri (formalmente) di azionista mediante gli schemi di diritto amministrativo
dell’autoritatività e della unilateralità […] Risponde inoltre a canoni di coerenza e logicità il fatto che, se il rapporto
tra i due enti deve essere ricondotto ad un modello organizzativo di dipendenza organica (simile a quello che normalmente
si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione) e dunque di derivazione pubblicistica,
allo stesso modo gli atti organizzativi, ossia quegli atti attraverso i quali tale rapporto va regolato (e tra questi le
nomine dei membri della società), debbono essere concepiti secondo analoghi schemi di diritto pubblico» (nel
medesimo senso della richiamata decisione, in dottrina, v., di recente, F. PALAZZI, Alcune recenti questioni a proposito
di controllo delle società partecipate da parte degli enti pubblici soci, in Istituzioni del federalismo. Quaderni, 2011, n. 2, pag. 107
ss.).
22 Cass., S.U., 3 novembre 2009 n. 23200, cit.
23 Corte conti, Sez. reg. contr. Lombardia, 13 giugno 2011, in www.corteconti.it.
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amministrative) dell’Università di riferimento24, caratterizzati dalla presenza di una relazione tra enti di
riferimento e fondazione universitaria «del tutto unidirezionale, in guisa tale da attribuire alla fondazione – e
in concreto a tutti gli organi sociali, di gestione e di controllo – carattere servente rispetto all’ente di
riferimento»25. Esse, dunque, pur se formalmente strutturate come soggetti (di diritto privato) distinti
dall’Università-Ente di riferimento, di quest’ultima costituiscono, in realtà, uno strumento operativo, cioè una
mera struttura organizzativa, sulla quale l’Amministrazione universitaria esercita un controllo del tutto
analogo a quello che svolge in confronto dei propri servizi26.
Nella dimensione sin qui evidenziata, la prospettiva secondo la quale la revoca di amministratori del
soggetto strumentale da parte dell'Ente pubblico di riferimento esprima un potere sostanzialmente non
riconducibile a quella ordinaria capacità di diritto comune che, in termini generali, deve riconoscersi anche ai
soggetti pubblici inizia, allora, chiaramente a delinearsi.
5. Il rapporto tra l'Ente pubblico di riferimento (Università) e il soggetto (formalmente privato)
strumentale (fondazione).
È indispensabile verificare, a questo punto dell'indagine, in quali termini si ponga, sul piano strettamente
giuridico, la relazione esistente tra l'Università statale-Ente di riferimento e la fondazione universitaria
strumentale, per verificare quale sia l'esatta natura del potere di ingerenza che la prima può esercitare
Per tutti v. il ponderoso contributo di S. DE GÖTZEN, Le “fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato,
cit., 295 ss., e ivi ulteriori richiami.
25 Così, espressamente, A. VISCOMI, Le fondazioni universitarie: riflessioni critiche, cit., § 6. Di un «rapporto di
“strumentalità” fra fondazioni e università tale da assicurare che l’attività di queste ultime sia sempre e comunque
nella disponibilità e sotto il controllo degli atenei» parla D. MARCHETTA, Le nuove fondazioni universitarie, cit., 761 ss.,
§ 4.
26 Sì che ben si configura – massimamente in tal caso – quella situazione descritta da Corte Giust., 15 maggio 2003
(in causa C-214/2000; la quale si legge, ad es., in Giur. it., 2003, 2157 ss.), dell’organismo che può avere “sostanza di
diritto pubblico, pur rivestendo una forma di diritto privato”.
Proprio in considerazione di ciò si è osservato, in dottrina (D. FERRARA-M. A. REA, Le fondazioni universitarie in
Italia. Profilo istituzionale e modelli gestionali, cit.. 331) che «la Fondazione universitaria possiede ex lege» le caratteristiche
dell’in house providing, perché assoggettata a totale “controllo funzionale, gestionale e finanziario” da parte
dell’Università-Ente di riferimento. E non per caso, d’altra parte, nella più recente ed elaborata indagine scientifica sul
tema si è anche diffusamente osservato che i dati di diritto positivo riferibili alle fondazioni universitarie rivelano
sicuramente «elementi […] incompatibili con l’effettiva natura privata delle fondazioni universitarie strumentali»
(così, testualmente, S. DE GÖTZEN, Le “fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato, cit., 307 (e v. ID., op.
cit., 302 ss., per un’ampia rassegna delle numerose e assai sensibili deviazioni del modello “fondazione universitaria”
da quello (privatistico) di matrice codicistica, specialmente con riguardo alla netta soggezione degli amministratori
alle direttive degli Enti di riferimento; nonché ID., op. cit.,, 384 s., nt. 91, per molteplici richiami di dottrina sul tema
delle fondazioni legali, tra cui quelle universitarie, come “fondazioni di diritto amministrativo”); nel medesimo
senso anche l’autorevole conclusione di F. MERUSI, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in ID., Sentieri
interrotti della legalità. La decostruzione del diritto amministrativo, Bologna, 2007, 125 ss.; e proprio con specifico riguardo
alle fondazioni universitarie si è infatti sottolineata, al di là delle mere declamazioni formali, una reale ed esclusiva
natura pubblicistica del fenomeno, alla stregua di una “fondazione partecipativa succedanea dell’ente pubblico" (S.
DE GÖTZEN, Le “fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato, cit., 431 s.; e 437 ss., e ivi ulteriori richiami).
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sull'amministrazione della seconda (e, conseguentemente, su quale piano si collochi, correttamente,
l'esercizio di quel potere).
In questa prospettiva – aprendo, brevemente, una parentesi nel percorso logico-giuridico qui intrapreso
– può essere utile segnalare che nella decisione del Tar Calabria più sopra richiamata27 (che ha
indebitamente negato – almeno a giudizio di chi scrive – la rilevanza di uno spessore pubblicistico della
disciplina delle fondazioni universitarie) un peso di indubbio rilievo è stato esercitato dal richiamo ad un
precedente del quale, però, con tutta evidenza, è stata completamente fraintesa la portata.
Il riferimento è, in particolare, ad una decisione (non troppo remota) dell’organo supremo di giustizia
amministrativa28, che riguardava proprio la revoca, da parte del soggetto pubblico, di amministratori di
una fondazione di partecipazione comprendente, tra i propri fondatori, una Università pubblica, e che ha
portato il Supremo Consesso amministrativo ad affermare il principio (acriticamente recepito dalla
censurata giurisprudenza) secondo il quale «la revoca e la nomina dei componenti del Consiglio
d’amministrazione di un ente privato integrano […] atti di autonomia privata, che non partecipano della
natura dei provvedimenti amministrativi e sono regolati, quanto alla loro validità ed efficacia, dalle norme
privatistiche».
Sennonché, solo apparentemente il precedente richiamato – peraltro assolutamente condivisibile con riguardo allo
specifico caso regolato – aveva a che fare con il tema qui considerato; nel caso di specie, infatti, due soggetti
pubblici29 avevano dato vita, in veste di co-fondatori (e per la realizzazione di obiettivi comuni30), ad una
Fondazione regolata dal primo libro del codice civile, così come espressamente dichiarato nell’atto costitutivo:
si trattava, dunque, di una fondazione di partecipazione liberamente costituita da due soggetti pubblicifondatori (la Regione Calabria e l'Università di Catanzaro), nell'esercizio della loro generale capacità di diritto
comune. È del tutto conseguente, allora, che gli atti di esercizio dei poteri statutari – a prescindere da ogni
valutazione in merito al loro fondamento, validità, efficacia, etc. – chiamassero in causa questioni di natura
privatistica, la cui cognizione non poteva che spettare al giudice ordinario31.
Supra, nt. 12.
Cons. Stato, 28 giugno 2012, n. 3820, in Guida al dir., 2012, 31, 98.
29 In particolare, la Regione Calabria e l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro.
30 Nella specie, costituire e gestire un centro sanitario di eccellenza, con la prospettiva del suo successivo – e poi
mai realizzato – mutamento in IRCCS (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico).
31 Il precedente invocato riguardava, in effetti, una fattispecie che ha in comune con quella oggetto delle presenti
riflessioni solo il nomen (ma non anche l’essenza) del “caso” considerato (revoca di un componente del CdA di una
fondazione partecipata dall’Università), in guisa che, non appena si passi ad esaminare la sostanza del rapporto, si rivela
niente più che un dato suggestivo, ma del tutto inconferente. La fattispecie invocata (correttamente risolta, appunto, nel
senso del difetto di giurisdizione da parte del Giudice amministrativo) riguardava, infatti, la revoca di un
componente del CdA operata da uno dei fondatori-Ente pubblico (nella specie: la Regione Calabria) in seno alla
Fondazione di diritto privato T. Campanella; e il decisum (che – lo si ribadisce – deve senz’altro ritenersi, rispetto a quella
fattispecie, pienamente condivisibile) è stato nel senso che «la revoca e la nomina dei componenti del Consiglio
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d’amministrazione di un ente privato integrano […] atti di autonomia privata, che non partecipano della natura dei
provvedimenti amministrativi e sono regolati, quanto alla loro validità ed efficacia, dalle norme privatistiche» (così,
testualmente, tanto TAR Calabria, Catanzaro, n. 126/2012 (in www.dejure.it, che aveva conosciuto in prima battuta
della vicenda), che Cons. Stato, n. 3820/2012, cit.)
L’estensione del dictum giudiziale al caso delle fondazioni universitarie (operata da TAR Calabria, Catanzaro, n.
655/2013) risulta, però, del tutto improvvida, in quanto trascura di considerare la totale diversità di presupposti delle
due fattispecie: deve infatti accuratamente evidenziarsi che incorrerebbe in gravissima superficialità di giudizio chi
davvero ritenesse di poter accostare le due vicende, limitandosi a considerare la (pur) suggestiva assonanza dei
profili esteriori – guardando, così, alla superficie del fenomeno – senza scendere a considerare, come necessario, la diversità
radicale dei due casi (in tal modo, soltanto, penetrandone l’essenza).
Nel caso del precedente richiamato ("Fondazione Campanella"), invero, due Enti pubblici (nella specie: Regione
Calabria e Università di Catanzaro), nell’esercizio della propria autonomia privata – quale riconosciuta a tutti i soggetti
dell’ordinamento (in essi compresi, appunto, gli Enti pubblici: per tutti v. V. CERULLI IRELLI, Diritto privato
dell’amministrazione pubblica, Torino, 2008, p. 17) – avevano dato vita, in veste di co-fondatori, ad una Fondazione
regolata dal primo libro del codice civile, così come espressamente statuito dall’atto costitutivo (che all’art. 2 testualmente
disponeva: «la Fondazione […] è retta, oltre che dalle norme del codice civile, dallo Statuto sociale […]»);
successivamente (per quanto qui di interesse), uno dei due co-fondatori (nella specie: la Regione Calabria) – in
conformità a quanto previsto dallo Statuto (art. 12, comma 3: «la carica di consigliere è fiduciaria e non dà diritto,
in caso di revoca, ad indennità alcuna») – disponeva la revoca di un componente del CdA da essa nominato;
conseguentemente, il consigliere revocato impugnava la revoca dinanzi al giudice amministrativo, assumendone –
del tutto erroneamente (a ciò non rivelandosi sufficiente, evidentemente, la mera provenienza dell’atto dall’Ente
pubblico territoriale) – la natura di provvedimento amministrativo (nella fattispecie considerata, infatti, doveva
riconoscersi – all’evidenza – uno di quei casi nei quali il soggetto pubblico, alla medesima stregua di quello privato,
esercita poteri privatistici connessi alla sua specifica qualità (di diritto comune) di socio, associato, fondatore, etc, pur se
oltrepassando, nella specie (trattandosi di fondazione di partecipazione) i limiti che la disciplina codicistica disegna
con riguardo al (diverso) modello della fondazione di erogazione).
Ben diversamente, invece, come subito si dirà, deve essere considerata la fattispecie oggetto delle presenti
riflessioni, dal momento che la Fondazione universitaria costituisce una “fondazione legale di diritto speciale”, con una sua
specifica disciplina (oggi: art. 59, comma 3, L. n. 388/00; e D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254) e una connotazione che –
per comune riconoscimento – è senz’altro considerata di stampo marcatamente pubblicistico (e si badi che è proprio
Cons. Stato n. 3820/2012, cit., impropriamente invocata a sostegno della soluzione propugnata da Tar Calabria
(Catanzaro) n. 655 del 2013, a segnalare la rilevanza (anche ai fini della giurisdizione del G.A.) di «un regime
giuridico di spessore pubblicistico» (punto 2.1 della motivazione); lo stesso Consiglio di Stato, inoltre, evidenziava (nel
diverso caso della Fondazione Campanella, sopra richiamato) la peculiare rilevanza della libera scelta («non frutto di
un’opzione legislativa»), da parte dei fondatori, del modello privatistico “fondazione” (punto 2.2 della motivaz.), quale
indice rivelatore dell’esplicazione di autonomia privata.
In questa prospettiva, non può non considerarsi che i poteri (tra gli altri) di nomina e revoca (nei casi previsti dalla
legge) degli amministratori di una fondazione universitaria (così come altri, di carattere regolamentare, gestionale,
di governance, etc.) – che senz’altro fonderebbero la giurisdizione amministrativa se attribuiti nella “qualità di autorità pubblica
deputata al controllo e alla vigilanza”, piuttosto che nella “qualità di socio-fondatore” – sono dalla legge assegnati
alle Università non in quanto “fondatore”, ma nella sua caratteristica ed esclusiva veste di “Ente di riferimento”, autorità
pubblica.
Conseguentemente, nessun utile argomento – a dispetto di una pur (e per altri versi) suggestiva assonanza della
nomenclatura che contrassegna, sinteticamente, il caso in esame e il precedente del tutto ingiustificatamente ad esso
accostato – può essere tratto dal decisum di Cons. Stato n. 3820/2012 (o dalla sentenza n. 126/2012 del Tar Calabria
(Catanzaro) che l’ha occasionato), venendo in quella circostanza in rilievo una fattispecie del tutto diversa, nei
presupposti, da quella qui considerata.
Né (nonostante il contrario avviso della giurisprudenza qui contestata) alcun argomento contrario potrebbe infine
(davvero ingenuamente) ricavarsi dalla qualificazione normativa della fondazione universitaria come “fondazione
di diritto privato”, perché – anche a prescindere dall’effettiva “tenuta” di una simile qualificazione (non per caso,
come più sopra ricordato, concordemente negata dagli studiosi del tema) – non sono qui in discussione,
evidentemente, «le modalità» di azione «consentite» alle fondazioni universitarie «dalla [loro] natura giuridica» (art.
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L'estensione acritica di quella soluzione anche alla materia delle fondazioni universitarie tecnicamente
intese implica, però, un salto logico difficilmente giustificabile32.
Invero, le fondazioni universitarie di cui alla L. n. 388/00, pur se formalmente strutturate come soggetti
(di diritto privato) distinti dall’Università-Ente di riferimento, di quest’ultima costituiscono uno strumento
operativo, cioè una mera struttura organizzativa – sulla quale l’Amministrazione universitaria esercita un
controllo analogo a quello che svolge in confronto dei propri servizi – perché assoggettate, appunto, a
totale “controllo funzionale, gestionale e finanziario” da parte dell’Università-Ente di riferimento.
1, comma 6, D.P.R. n. 254/01), ma, più a monte, i poteri assegnati, rispetto alle fondazioni medesime, agli Enti di
riferimento (non essendo perciò possibile – del tutto semplicisticamente, ed in aperto contrasto con gli inoppugnabili
argomenti appena ricordati – dedurre da quella qualificazione una ipotetica natura privatistica, anziché
provvedimentale, degli atti di esercizio di quei poteri, alla stessa maniera in cui non potrebbe certamente negarsi la
natura amministrativa, ad es., di una determina a contrarre argomentando dal carattere negoziale dell’atto al quale quel
provvedimento amministrativo programmaticamente si riferisce).
32 In proposito, è anche il caso di sottolineare che:
a) proprio Cons. Stato 3820/2012, cit. – pronunciata nel (ben diverso) “caso Campanella” – ha avuto cura di
precisare che una rilevanza decisiva (per accertare il difetto di spessore pubblicistico del regime di una fondazione
partecipata (sia pure esclusivamente) da Enti pubblici) è destinata ad assumere l’esistenza di poteri di effettiva
autonomia dell’organo di gestione (CdA).
Ed infatti, tali poteri risultavano (statutariamente) presenti nella Fondazione Campanella (coerentemente ritenuta,
dal decidente, priva di connotazione pubblicistica) – nella quale il CdA, come ha rilevato il Consiglio di Stato, è
«chiamato, ai sensi dell’art. 12, a “definire gli indirizzi strategici e gli obiettivi mediante programmi annuali e
poliennali” e a “deliberare in ordine ad ogni attività programmatica ritenuta necessaria od opportuna per il
perseguimento degli scopi della Fondazione” […]» – laddove, esattamente all’opposto, essi sono totalmente assenti
nel caso delle Fondazioni universitarie, il cui CdA non definisce in alcun modo né gli indirizzi strategici né gli
obiettivi programmatici dell'ente, trattandosi di funzioni legislativamente riservate all’Università pubblica-Ente di
riferimento, che esercita ex lege in confronto della fondazione universitaria «funzioni di indirizzo e di riscontro
sull’effettiva coerenza dell’attività della fondazione» con i propri interessi (art. 1, comma 5, DPR n. 254/2001); ne
definisce «le linee guida dell’attività […] per tutta la durata del consiglio di amministrazione», aggiornandole di anno
in anno, e adottando le conseguenti determinazioni finanziarie (art. 12, comma 1, DPR 254/01); e ne approva,
inoltre, i piani programmatici annuali e pluriennali (art. 12, comma 2, DPR. cit.).
b) Inoltre, occorre certamente distinguere il caso in cui un determinato atto sia assunto da un Ente pubblico nelle
veste di soggetto dotato della generale capacità di diritto comune dal caso in cui un atto sia posto in essere, al contrario,
nella veste di autorità pubblica: solo nella prima ipotesi, infatti, si è di fronte ad atti di natura privatistica. Ma se così
è, appare allora evidente che gli atti adottati da un soggetto pubblico (nella specie: un’Università statale) per
l’organizzazione di una propria struttura amministrativa – strumentale alla realizzazione di obiettivi (predeterminati per
legge) di natura pubblicistica e dal primo interamente partecipata (fondazione universitaria) – nonché gli atti di
esercizio dei poteri che su quella struttura sono legalmente attribuiti al soggetto pubblico (e soltanto ad esso) non
altrimenti possono essere intesi che come estrinsecazione dei poteri autoritativi riservati dalla legge al soggetto pubblico
in tale sua specifica veste, come d’altra parte significativamente comprovato, nel caso che qui interessa (rapporto
Università fondatrice–fondazione partecipata) dalla qualificazione del soggetto pubblico considerato in termini
(non di mero fondatore o co-fondatore, ma) di Ente di riferimento, al quale spetta, per disposizione imperativa di
legge, esercitare speciali poteri di indirizzo, gestori, conformativi, di gradimento, coordinamento e controllo (cfr., nel
D.P.R. n. 254/2001, gli artt.: 1, comma 5; 3, comma 3; 4, comma 1, lett. b); 6, comma 2; 7, comma 2; 8, ult. inciso;
9; 10; 11, comma 1, lett. a) e b); 12; 13, comma 3; 15, commi 2 e 4) del tutto indipendenti dalla sua qualità di
fondatore (tanto che essi spettano sempre e comunque al solo Ente di riferimento, quale che sia la sua partecipazione
alla fondazione, e quale che sia il numero dei fondatori) e attribuiti, piuttosto, nella qualità di autorità pubblica (Ente
di riferimento).
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Un rapidissimo sguardo alla disciplina del D.P.R. n. 254/01 dà immediatamente conto di quanto appena
enunciato.
Si consideri, infatti, che (secondo il cit. D.P.R., al quale si riferiscono tutte le citazioni degli artt. che
seguono) – pur in presenza di altri, del tutto eventuali, “Fondatori” (v. art. 6, comma 1), la cui
individuazione spetta comunque, in via esclusiva, all’Università – l’Ente di riferimento: esercita nei confronti
della Fondazione le funzioni di indirizzo e di riscontro sull'effettiva coerenza dell’attività delle Fondazioni
con l’interesse dell’Università (art. 1, comma 5); approva in via esclusiva (previa acquisizione di parere del
MIUR) lo Statuto della Fondazione e le relative modifiche (art. 3, comma 3); esprime il gradimento sulla
partecipazione istituzionale di altri soggetti alla Fondazione (art. 6, comma 2); definisce in Statuto l’assetto
della Governance della Fondazione (artt. 7, comma 2; 9, comma 1; 10, e 11, comma 1); nomina il Presidente
della Fondazione e la maggioranza assoluta dei componenti del CdA (art. 9); definisce le linee-guida
dell’attività della Fondazione, aggiornandole di anno in anno; approva il “piano pluriennale delle attività”
e il “piano di attività annuale” (che devono, comunque, essere conformi alle linee-guida); verifica
l’attuazione delle linee-guida (art. 12); e, infine (solo «in caso di mancata o grave irregolarità nell’attuazione
delle linee guida di attività o di grave inadempimento delle […] convenzioni» stipulate con la Fondazione),
può «procedere alla revoca ed alla contestuale sostituzione dei componenti il consiglio di amministrazione dallo
stesso designati» (art. 12, comma 4).
Sotto altro profilo, ancora, deve anche essere segnalato che la Fondazione universitaria può operare
«esclusivamente nell’interesse dell’Ente di riferimento» (art. 1, comma 4), al quale deve annualmente
trasmettere, inoltre, copia del bilancio (art. 13, comma 3).
Dal complesso delle regole appena richiamate emerge allora con assoluta evidenza che:
a) la “fondazione universitaria” non è una qualsiasi fondazione di diritto comune, costituendo, invece, un
“modello legale” messo a disposizione (unicamente) delle Università statali come strumento per
contribuire alla realizzazione (di parte) dei fini istituzionali propri di esse (e che ad esse rimangono, comunque,
riservati);
b) la fondazione universitaria presuppone necessariamente, tra i suoi fondatori, (non un qualsiasi ente
pubblico ma) una Università statale (cfr. art. 1, comma 1, D.P.R. n. 254/01), sì che la sua costituzione è
sottratta alla “generale autonomia di diritto privato” dei soggetti pubblici, e può operare soltanto ad esclusivo
servizio dell’Università-Ente di riferimento (art. 1, comma 4, DPR n. 254/01);
c) i poteri (tra gli altri) di nomina e revoca (nei casi previsti dalla legge) degli amministratori di una fondazione
universitaria (così come altri di carattere regolamentare, gestionale, di governance, etc.) sono dalla legge
assegnati alle Università non in quanto “fondatore”, ma nella sua caratteristica ed esclusiva veste di “Ente
di riferimento”, tanto che essi competono esclusivamente all’Università-Ente di riferimento pur laddove
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eventualmente sussista la presenza di una (possibile, ma non necessaria) pluralità di fondatori (pluralità che
è espressamente consentita dall’art. 6, comma 1, D.P.R. n. 254/01, benché subordinatamente al
gradimento dell'Ente di riferimento). In tal caso, infatti, agli altri co-fondatori non spetta – secondo il
dettato legislativo – alcuno di quei poteri, i quali ultimi, conseguentemente, non possono essere intesi (quanto
all’Ente di riferimento) alla stregua dell’esplicazione degli ordinari poteri privatistici connessi alla qualità di
(co)fondatore: detti poteri, infatti, sono riservati dalla legge all’Università non in quanto fondatore, ma
nella sua singolare (e imprescindibile) veste di Ente di riferimento, cioè di autorità pubblica33.
La connotazione marcatamente pubblicistica delle fondazioni universitarie, d’altra parte, risulta
ampiamente confermata anche dal possesso, da parte di tali soggetti, di quegli “indici rivelatori” della
natura pubblica34 dell’ente che – di recente (in conformità ad un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale
convergente) – anche l’autorevole pronunciamento della Corte costituzional35 ha evidenziato,
sottolineando la piena «compatibilità della nozione di organismo di diritto pubblico con la forma giuridica
privata dell’ente («anche in forma societaria»), purché l’ente stesso risulti […] istituito per soddisfare
esigenze d’interesse generale, dotato di personalità giuridica e finanziato in modo maggioritario dallo
Stato o da altri enti pubblici» (così, testualmente, la cit. Corte cost. 153/2011)36.
Per quanto sin qui rilevato, è allora assolutamente evidente che il rapporto tra Università-Ente di riferimento
e Fondazione universitaria è tale che la seconda – a prescindere dal profilo meramente formale della
soggettività (e considerata, invece, nella sua esatta dimensione strumentale) – si configura non diversamente
da una stabile struttura amministrativa organizzativa della prima; sì che la gestione e il governo della struttura
A ciò si aggiunga, ancora, che le competenze oggi assegnate (nella loro qualità di Enti di riferimento) alle Università
(particolarmente in tema di vigilanza e controllo, anche sugli organi di amministrazione di simili fondazioni)
risultavano attribuite, nella disciplina previgente (cfr. artt. 111 ss. r. d. n. 1269 del 1938), al Ministero
(dell’educazione nazionale: oggi MIUR); e, certamente i relativi atti non costituivano esplicazione di autonomia
privata. Né occorrono particolare dimostrazioni per chiarire che se, nel diritto vigente, tali poteri sono ora
direttamente assegnati alle Università-Enti di riferimento ciò è semplicemente il portato – come agevolmente si
intuisce – della c.d. “autonomia universitaria” (quale attuata a partire dalla L. n. 168/1989); autonomia che – è persino
superfluo sottolinearlo – non è certamente la “generale autonomia di diritto privato” riconosciuta anche ai soggetti
pubblici, ma è piuttosto quella speciale autonomia riservata soltanto alle Università dall’art. 33 Cost.
34 Finanziamento pubblico del soggetto, ancorché formalmente privato; conseguente assoggettamento al controllo
della Corte dei conti; inclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico.
35 Corte cost., 21 aprile 2011, n. 153, in Giur. cost., 2011, 1925 ss.
36 Nella medesima direzione sostanziale, d’altra parte, anche il Consiglio di Stato (sent. 20 marzo 2012, n. 1574, in
Foro amm. CDS, 2012, 3, 696) ha chiarito, ancora con riguardo alla figura dell’organismo di diritto pubblico (nella specie,
in forma societaria; ma è chiaro che la nozione di organismo di diritto pubblico è riferibile a strutturazioni
soggettive differenti, tra le quali, ovviamente, quelle di tipo fondazionale: v., infatti, Cons. Stato, 12 ottobre 2010,
n. 7393, in Foro amm. CDS, 2010, 10, 2126), che – quando ricorrono determinati indici rivelatori dello svolgimento
di una attività che non implica l’assunzione del rischio di impresa (come usualmente avviene, appunto, per le
fondazioni universitarie) – la sua «attività […] è un’attività amministrativa soggetta, in quanto tale, allo statuto della
pubblica amministrazione», anche con riguardo ai profili di giurisdizione (punto 5.5 della motivazione).
33
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stessa da parte dell’Amministrazione universitaria (e, in questo ambito, la nomina, la revoca e la
sostituzione dei componenti degli organi statutari) – lungi dal configurarsi come esplicazione di una
generale potestà privatistica (in realtà inesistente già per il “fondatore” civilisticamente inteso) del soggetto
pubblico – danno luogo ad atti di organizzazione a valenza squisitamente ed esclusivamente pubblicistica,
cioè – deve ritenersi – a veri e propri provvedimenti amministrativi.
6. La connotazione tipicamente pubblicistica delle fondazioni universitarie alla luce della
normativa di riferimento
A quanto sin qui illustrato deve anche aggiungersi la necessaria considerazione delle basi normative sulle
quali si regge – in termini generali – la (possibilità della) costituzione di fondazioni universitarie, la cui
previsione di fondo si trova all’interno di un corpus normativo (legge finanziaria per il 2001) inteso
fondamentalmente a dettare «disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato», e precisamente in una disposizione (art. 59 L. 23 dicembre 2000, n. 388) – inserita nel Capo XII
(“Spese delle amministrazioni pubbliche”) della L. finanz. 2001 – significativamente intitolata all’“acquisto di
beni e servizi degli enti decentrati di spesa”, sì che lo “spessore pubblicistico” della fondazione universitaria
risulta già evidente sin dalle funzioni primarie (“realizzare l’acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni del
mercato”) ad essa positivamente riservate dalla legge (quale strumento in mano alle Università per contribuire
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica).
Né può trascurarsi, ancora, che la costituzione di fondazioni universitarie è dalla legge (art. 59, comma 3,
l. finanz. 2001, cit.) consentita in luogo di aggregazioni di stampo chiaramente pubblicistico (quelle di cui al
comma 2 dello stesso art. 59).
Non meno rilevante, d’altra parte, è la considerazione che la disciplina della nomina (composizione,
competenza, funzionamento) e revoca di componenti del CdA, rispetto a una fondazione universitaria –
una volta che essa sia stata costituita – è solo quella desumibile:
- o dalle disposizioni dettate dal DPR n. 254/01 (cfr. art. 1, comma 1, del cit. D.P.R.);
- o dalle previsioni statutarie (cfr. art. 9, comma 1, D.P.R. n. 254/01).
Il rinvio (residuale) alle regole del codice civile – dettato dall’art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 254/01 (e
usualmente ribadito nelle previsioni statutarie delle singole fondazioni universitarie) – non vale
certamente ad attribuire all’Ente di riferimento poteri (asseritamente civilistici) che non spettano, per
comune riconoscimento, neanche al fondatore tradizionalmente inteso.
Piuttosto, l’assetto regolamentare e le specifiche modalità costitutive e di partecipazione (pubblica)
riferibili alle fondazioni universitarie consentono (come già anticipato) di qualificarle – secondo una
classificazione ormai d’uso corrente – come “fondazioni di partecipazione”, intese queste alla stregua di
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una species particolare del genere “fondazione”37, da collocare al di fuori dello schema codicistico, sì da
farle rientrare tra quelle “altre istituzioni di carattere privato” alle quali faceva rinvio l’(abrogato)art. 12
c.c. e di cui è ora menzione nell’art. 1, comma 1, del cit. D.P.R., n. 361/0038. E poiché – come ampiamente
sin qui illustrato – secondo il modello e la normativa del codice civile al fondatore, una volta costituita la
fondazione, non competono più poteri di conformazione del soggetto al quale egli ha dato vita, appare
evidente che i predetti poteri (certamente spettanti, in forza del DPR n. 254/01, all’Ente di riferimento)
di nomina, sostituzione e revoca di componenti del CdA (o dell’intero CdA) non discendono in alcun
modo dal rinvio alla disciplina codicistica (e, correlativamente, dalla capacità di diritto comune degli Enti
pubblici) ma sono, bensì, unicamente quelli derivanti dalla disciplina speciale dettata appositamente per le
fondazioni universitarie (regolate come fondazioni di partecipazione), la quale assegna al solo Ente di
riferimento (in veste di autorità pubblica) – e non anche ad altri partecipanti – poteri autoritativi di
conformazione del soggetto “fondazione” (conformazione strettamente strumentale al perseguimento di
suoi fini istituzionali a connotazione interamente pubblicistica).
Al di là della mera declamazione formale (fondazione di diritto privato), dunque, emerge un insieme di dati
normativi che rende del tutto manifesta la connotazione sostanzialmente pubblicistica delle fondazioni
universitarie, conformente, del resto, alla stessa nozione comunitaria di amministrazione pubblica,
secondo la quale vanno considerate Amministrazioni pubbliche tutte le «istituzioni senza scopo di lucro
dotate di personalità giuridica che agiscono da produttori di […] beni e servizi non destinabili alla vendita»
e «che sono controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche» (§ 2.69, lett. b), del
Regolamento CE n. 2223/96).
D’altra parte, come è stato puntualmente evidenziato in dottrina, «carattere peculiare e decisivo della
persona giuridica pubblica va considerata la funzionalizzazione “ex lege” al perseguimento di un determinato
fine specificamente individuato dalla legge. Se ben si riflette, è questa deputazione per legge al perseguimento di
obiettivi fissati dalla legge stessa ad escludere l’autonomia privata, o comunque a limitarla alla (peraltro dovuta)
attività esecutiva del precetto legislativo e, quindi, a pubblicizzare l’ente, che, per tali caratteristiche, è parte
della pubblica amministrazione, a prescindere dalla veste e dalla regolamentazione giuridico-formali»39.
In ogni caso, poi, non può neppure trascurarsi che oggetto di apprezzamento, per quanto qui di interesse,
non sono né la natura – comunque, per quanto appena detto, sostanzialmente pubblicistica – delle fondazioni
universitarie, né, tanto meno, la connotazione (peraltro sostanzialmente amministrativa, come di seguito si
In tema v. A. SANTUARI, Le Onlus. Profili civili, amministrativi e fiscali, Padova, 2007, 134 ss.
In proposito v. M. V. DE GIORGI, Le fondazioni e i comitati, in Lipari-Rescigno (dir.), Diritto civile. I, Le fonti e i
soggetti, Milano, 2009, 416.
39 Così, testualmente, G. PAGLIARI, Il criterio discretivo tra persona giuridica privata e persona giuridica pubblica: verso una
legge sullo statuto della persona giuridica pubblica?, in Il diritto dell’economia, 2005, pp. 657 ss., § 5
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dirà) della sua attività, quanto, e piuttosto, (la natura de)gli atti di conformazione statutaria e di
strutturazione posti in essere dall’Università-Ente di riferimento: atti che – a prescindere dalla natura
giuridica della fondazione universitaria, da questo punto di vista non decisiva – costituiscono, per quanto
sin qui chiarito, una manifesta esplicazione di poteri autoritativi discrezionali attribuiti, ex lege, esclusivamente
all’Università-Ente di riferimento, nella sua specifica veste di soggetto pubblico, e non già in qualità di
fondatore o co-fondatore (ché, anzi, come precisato, in tale veste non spetterebbero proprio, in astratto,
secondo la normativa codicistica residualmente applicabile)40.
Infine (ma si tratta di argomento non ultimo per importanza), dovrebbe anche considerarsi che – giusta
quanto disposto dall’art. 7, comma 2, cod. proc. amm., dettato proprio in tema di (sussistenza della
generale) giurisdizione amministrativa di legittimità in confronto delle Amministrazioni pubbliche – «per
pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o
comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo»41; e non può sottacersi che la disposizione
– dettata sulla scorta dell’art. 1, comma 1 ter, della L. n. 241/90 (come novellata dalla L. n. 15/05) – va
intesa proprio come «reazione al proliferare dell’utilizzo di forme privatistiche in luogo dei tradizionali
modelli amministrativi», essendo non infrequente la possibilità di trovarsi «dinanzi ad un ente pubblico
mascherato da privato e, come tale, rientrante nell’organizzazione della pubblica amministrazione» 42.
A tale stregua, secondo un pacifico insegnamento, deve considerarsi attività sostanzialmente amministrativa
quella che, ancorché posta in essere da soggetto formalmente privato, è diretta alla realizzazione
dell’interesse pubblico, che ne costituisce il fine; per cui, ove ricorrano: un interesse pubblico
predeterminato; la funzionalizzazione ad esso dell’attività del privato; e l’affidamento al privato, per mezzo
Al riguardo, nessun rilievo avrebbe il richiamo (pur incidentalmente presente in Cons. Stato, n. 3820/2012, cit.) al
fatto che l’ingerenza pubblica su nomina e revoca degli amministratori esiste anche per le fondazioni di diritto
privato (per tentare di trarne argomento, per il caso di specie, nel senso che i poteri esercitati dall’Università-Ente
di riferimento si spiegherebbero nei termini anzidetti, senza evidenziare, perciò, alcuna specialità di disciplina). Invero,
basterebbe leggere per intero il D.P.R. n. 254/2001 per rendersi immediatamente conto che i poteri (di vigilanza,
controllo, nomina e revoca) corrispondenti a quelli di cui all’art. 25 c.c. sono autonomamente considerati (per essere
attribuiti alle Università), in quel testo normativo, nell’art. 15, comma 4, mentre i rimanenti poteri di indirizzo, gestori,
conformativi, di gradimento, coordinamento e controllo diffusamente attribuiti ai soli Enti di riferimento (e non anche agli
altri eventuali co-fondatori) dal D.P.R. citato sono diversi da quelli in genere attribuiti (ma, si badi, per il caso, qui
non rilevante, che non possano attuarsi le disposizioni contenute nell’atto di fondazione) al soggetto pubblico ex art. 25 del
codice civile, e si spiegano unicamente nella logica del rapporto tra Università (Ente di riferimento) e fondazione
universitaria come relazione tra Ente pubblico e sua struttura strumentale (cioè: apparato organizzativo di essa).
41 Per la generale riferibilità della norma citata, tra l’altro, agli organismi di diritto pubblico v. G. GIOVANNINI-R.
CAPONIGRO, in A. Quaranta-V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D. lgs. 104/2010,
Milano, 2011, sub art 7, p. 94.
42 Così, testualmente, R. DIPACE, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 178.
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d’idoneo titolo giuridico (normativo, provvedimentale o convenzionale), della cura dell’interesse pubblico43,
la relativa attività deve considerarsi sostanzialmente44 amministrativa45.
7. I riflessi processuali (in tema di giurisdizione) della ricostruzione proposta.
Se si volesse rappresentare metaforicamente – e con una battuta davvero conclusiva – quanto sin qui
detto, si potrebbe allora evidenziare che dovrebbe essere a tutti chiaro che, ad es., un uomo travestito da
donna rimane pur sempre, nella sostanza, un soggetto di sesso maschile, nonostante l’esteriorità dell’abito
formale indossato; alla stessa maniera, un apparato amministrativo di una pubblica amministrazione (come
certamente è a dirsi – per tutte le molteplici ragioni sin qui illustrate – delle fondazioni universitarie di cui
al DPR n. 254/01), pur se operante sotto la veste formale del soggetto privato, resta connotato da
un’essenza di marcato spessore pubblicistico, che non consente minimamente di assimilarla ad altre entità
semplicemente partecipate dal soggetto pubblico ma che di quest’ultimo non costituiscono minimamente
un apparato organizzativo (ente strumentale).
Conseguentemente, valutate le peculiarità delle fondazioni universitarie come enti strumentali della Pubblica
Amministrazione (universitaria), e dunque (conformemente, peraltro, al dato positivo e ai numerosissimi
indici rivelatori, sin qui segnalati, del loro spessore pubblicistico), la loro natura sostanziale di apparati
È persino superfluo evidenziare che si tratta di condizioni tutte presenti rispetto all’attività (strumentale al
perseguimento di fini istituzionali delle Università statali) posta in essere dalle fondazioni universitarie: attività che
deve considerarsi senz’altro sostanzialmente amministrativa, con conseguente riferibilità alle fondazioni universitarie
dell’art. 7, comma 2, cod. proc. amm. (sì che risulterebbe addirittura paradossale la soluzione che vorrebbe sottratta
alla giurisdizione amministrativa l’attività organizzativa spettante, rispetto alle fondazioni universitarie,
all’Università-Ente di riferimento, quando si consideri che la stessa attività della fondazione universitaria è, invece, in
sé, sostanzialmente amministrativa).
44 In tal senso cfr, ex multis: A. AZZENA, Esercizio privato di pubbliche funzioni e di servizi pubblici, in Dig. Disc. pubblic.,
VI, Torino, 1991, 171 s.; F. DE LEONARDIS, Soggettività privata ed azione amministrativa, Padova, 2000, 315; G. SCOCA,
Attività amministrativa, in Enc. dir., Agg. VI, Milano, 2002, 98 ss.; R. DIPACE, op. cit., 180.
45 D’altra parte, ad ulteriore e definitiva conferma di quanto sin qui diffusamente illustrato, deve infine considerarsi
un argomento ulteriore, offerto dall’art 6, comma 5, del D.L. n. 78/2010, conv. nella L. n. 122/2010 (norma che
ha imposto la limitazione a cinque unità dei componenti l’organo di Amministrazione). Invero, la richiamata
disposizione – inserita nel contesto di una regolamentazione diretta (come emerge dalla rubrica dell’art. 6, cit., e
dalla intitolazione del Capo II del D.l. n. 78/2010) alla “riduzione dei costi degli apparati amministrativi” –
espressamente prevede, infatti, che «le Amministrazioni vigilanti provvedono all’adeguamento della relativa disciplina
di organizzazione […] con riferimento a tutti gli enti ed organismi pubblici rispettivamente vigilati», adottando i
relativi «provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione». E risulterebbe persino superfluo sottolineare
che si tratta, all’evidenza, di materia totalmente estranea alla tematica della capacità negoziale di diritto comune degli
Enti pubblici, ove si consideri: a) l’indiscutibile applicabilità della disciplina riferita alla fattispecie considerata (tanto
che la vicenda che ha dato luogo all’indirizzo giurisprudenziale richiamato prendeva le mosse proprio da una
riorganizzazione della struttura amministrativa dell’Ente occasionata dalla normativa appena ricordata); b)
l’espressa e testuale considerazione di organismi quali quelli considerati nei termini di “apparati amministrativi”
(dell’Ente pubblico) vigilati dall’Amministrazione (pubblica) di riferimento; c) la considerazione dei poteri(-doveri)
di intervento attribuiti (dalla legge) agli Enti pubblici vigilanti in termini di poteri (non già civilistici ma, appunto,)
provvedimentali, attribuiti all’Amministrazione vigilante nella sua specifica qualità di autorità pubblica.
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amministrativi dell’Istituzione universitaria pubblica, non si può che concludere per la piena sussistenza
della giurisdizione amministrativa nel caso oggetto delle presenti riflessioni, poiché i poteri
(inderogabilmente attribuiti dalla legge) esercitati dalle Università-Enti di riferimento in ordine alle fondazioni
universitarie nulla hanno a che vedere con quella generale capacità negoziale di diritto comune che anche alle
amministrazioni universitarie occorre riconoscere sopra un diverso piano generale.
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