Archeologia e Storia dell’Arte
Archeologia e Storia dell’Arte
contaminazioni, innesti e dissonanze
a cura di
Enrico Parlato, Massimo Pomponi, Claudia Valeri
Edizioni Quasar
Archeologia e Storia dell’Arte:
contaminazioni, innesti e dissonanze
Atti della giornata di studio (Roma, 4 dicembre 2018)
a cura di
Enrico Parlato, Massimo Pomponi, Claudia Valeri
Edizioni Quasar
La giornata di studio si è tenuta il 4 dicembre 2018 a Roma presso la sede dell'Istituto
Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte in Palazzo Venezia
Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Regione Lazio, Area Servizi Culturali, Promozione della Lettura e Osservatorio della Cultura,
L.R. n. 42/1997, artt. 13-16
© Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
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Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VII
Intenzioni e idee di questo tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Adriano La Regina
IX
Dopo Corrado Ricci: eredità e discontinuità in un secolo di storia dell’arte . . . . .
Bruno Toscano
1
La riscoperta seicentesca del Medioevo, tra antiquaria e storia dell’arte . . . . . . .
Fabrizio Federici
21
Winckelmann e l’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte. . . . . . . .
Carlo Gasparri
39
L’archeologia stratigrafica italiana nel Novecento: alcuni caposaldi. . . . . . . . .
Carlo Pavolini
51
Prospettive attuali dell’archeologia classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Maria Elisa Micheli
75
Il punto sull’archeologia universitaria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Paolo Liverani
89
Le indagini tecnico-scientifiche applicate ai dipinti e
l’emarginazione della storia dell’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Simona Rinaldi
99
Storia dell’arte al bivio? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Claudia Cieri Via
117
L’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte . . . . . . . . . . . . . . .
Massimo Pomponi
133
Appendice:
Disegno di Legge di iniziativa dei senatori Chiarante, Argan, Strehler e Altri (1989) . .
157
Introduzione
Nel 2018 l’Istituto ha compiuto cento anni, anche se la gestazione è stata davvero
lunga: dall’ottobre 1918 si è protratta al gennaio del 1922 e conclusa, in maniera definitiva, nel maggio 1926. La data iniziale quasi coincide con la fine del primo conflitto
mondiale, quelle che seguono con l’esplodere di pulsioni nazionaliste i cui drammatici
esiti sono ben noti. Esiti che ebbero rilevanti ricadute anche sull’archeologia e la storia
dell’arte, discipline che il neonato Istituto era chiamato a sostenere. Tuttavia le sue prime
vicende tradiscono orientamenti diversi. La ventilata confisca della Bibliotheca Hertziana e del Deutsches Archälogisches Institut (le cui raccolte sarebbero state incamerate
dalla nuova istituzione) non andò in porto grazie al decisivo intervento di Benedetto
Croce, consapevole sia della necessità di ricucire i rapporti tra studiosi di nazioni diverse, sia della ricchezza che nasce dallo scambio di idee e saperi, nella convinzione che la
presenza di élites cosmopolite a Firenze, Napoli e a Roma, costituisse un elemento di
arricchimento culturale.
Nel fondare l’Istituto è evidente la volontà di Benedetto Croce e di Corrado Ricci
di tenere insieme discipline che già allora avevano ormai maturato identità diverse. Vi
era coincidenza di obiettivi tra i nostri due padri fondatori, forse generata da presupposti
diversi; per Croce la sostanziale unità delle discipline dello spirito, per Ricci la sua esperienza a capo della Direzione Generale per le Antichità e Belle Arti.
A cento anni dall’inizio di questo esperimento, la necessità più ovvia consisteva
nel confrontarsi e verificare il rapporto e le identità del binomio archeologia e storia
dell’arte. Su questa base, sostenuti dal Presidente e dal Consiglio di Amministrazione
dell’Istituto, abbiamo chiamato a raccolta un gruppo di studiosi amici dell’INASA, ai
quali siamo profondamente grati. Non tutti hanno potuto aderire (si noterà la mancanza
di un intervento sui rapporti tra Croce e Ricci), altri si sono aggiunti per strada.
L’archeologia di cui qui si discute è quella classica o che comunque trae linfa da
quella tradizione di studi; l’arte quella che trova il suo nucleo generatore nel solco di
Vasari e che, pur guardando a esperienze, tempi e geografie diverse, tiene presente il
“modello italiano”, che peraltro storicamente costituisce la comune radice di entrambe.
A Carlo Gasparri è stato affidato il compito di evocare la figura di Winckelmann,
considerato il padre della moderna disciplina archeologica, tracciando un sintetico quadro dello sviluppo della storia dell’arte antica. Si accenna alle conseguenze che il pensiero
e gli scritti dello studioso sassone ebbero sullo sviluppo nostrano della storia dell’arte
VI Introduzione
antica, sottolineando come fu soprattutto recepita l’opera sua maggiormente ‘antiquaria’, i Monumenti Antichi Inediti, pubblicati a Roma, e in lingua italiana, nel 1767.
Nonostante fossero comparsi sulla scena personaggi come Ennio Quirino Visconti - il
primo a delineare con lucidità i principi metodologici che saranno alla base dell’analisi
delle copie, valorizzando anche il contesto di ritrovamento - e Georg Zoega che, impressionato dai marmi di Egina e del Partenone, era in grado di riconoscere un originale
greco, come il Reiterrelief Albani, di fatto, nel XIX secolo in Italia ancora ci si attarda
nella tradizione antiquaria. Il ‘timone della ricerca antichistica’ sarebbe rimasto in mani
tedesche, e il trasferimento della Kunstarchäologie in Italia avviene solo nel 1890, attraverso l’insegnamento universitario di Emanuel Löwy che, titolare della cattedra romana
di ‘Archeologia e storia dell’arte’ fino al 1915, ha molta parte nel successivo sforzo compiuto dall’archeologia italiana di ‘conferire alla ricerca storico artistica tradizionale una
dimensione storica’.
Il saggio di Carlo Pavolini compie invece una serrata ed efficace presentazione della
‘scienza stratigrafica’. Se per l’ambito storico artistico l’archeologia italiana è legata alla
sfera scientifica austro-germanica, quella di matrice britannica è alla base delle attività di scavo condotte da Giacomo Boni che, assai precocemente, importava il metodo
stratigrafico anglosassone. La saldatura tra archeologia e regime nel ventennio avrebbe
poi provocato un lungo oblio di questi embrionali principi della ricerca archeologica
sul campo. Se si eccettua la parentesi offerta dalle magistrali indagini condotte da Nino
Lamboglia nell’antica Albintimilium, bisognerà attendere la fine degli anni sessanta del
secolo scorso per la piena affermazione della scientificità dei criteri dello scavo e della
relativa documentazione.
Il presente e le sue prospettive vengono affrontate da Maria Elisa Micheli. Il suo
intervento nasce da una riflessione critica sui presupposti del convegno. Per l’autrice,
non si può parlare oggi di archeologia, ma di archeologie; un panorama nel quale quella
classica è diventata componente minoritaria in un vasto mosaico disciplinare. La perdita
di contatto con la filologia e il contesto storico letterario e dunque con le originarie motivazioni delle ricerche sull’antichità si riflette – sottolinea l’autrice – in maniera significativa nell’insegnamento universitario. I rapporti tra le varie discipline archeologiche
in ambito accademico ritornano nel contributo di Paolo Liverani, scritto che, pur non
previsto nella giornata di studio, proprio per questa ragione è stato accolto nel volume
degli atti, anche su sollecitazione del Consiglio dell’Istituto. In questo caso la discussione
è aperta e ci auguriamo che possa dare avvio a ulteriori riflessioni sullo statuto e sulle
prospettive delle discipline fondanti di questa istituzione.
La prolusione di Bruno Toscano ha dato il via ai lavori, offrendo un vasto e articolato panorama sulle vicende novecentesche della disciplina, prendendo avvio dalle
posizioni idealiste di Bernard Berenson e di altri studiosi per arrivare alla svolta anti-formalista del secondo dopoguerra, alla “scoperta” della committenza, fino agli esiti odierni. Per Toscano nella disciplina si è manifestata una tendenza a non separare la teoria dal
metodo e dalla storia, rimanendo così radicata alla conoscenza autoptica ed empirica dei
propri oggetti di ricerca.
Introduzione VII
Il legame, empirico appunto, tra antiquaria secentesca e storia dell’arte è stato discusso da Fabrizio Federici che è partito dallo scambio di informazioni e di idee della
cerchia barberiniana con le sue ramificazione europee. Cuore dell’intervento sono le
Memorie sepolcrali di Francesco Gualdi, redatte allo scadere del pontificato di Urbano
VIII. Qui le conoscenze epigrafiche, araldiche e sull’abbigliamento, di chiara matrice
antiquaria, si legano a oggetti che appartengono invece al mondo della storia dell’arte,
mettendo così in evidenza il legame tra le due discipline, almeno nella loro ‘giovinezza’.
Sconfinamenti, con esiti e oggetti diversi, sono stati invece presi in considerazione negli interventi conclusivi di Claudia Cieri Via e di Simona Rinaldi. Quest’ultima,
partendo da un caso di studio, l’infelice restauro di Madonna lippesca (Roma, palazzo
Barberini), ha messo in evidenza le opportunità, ma anche i limiti, delle ricerche diagnostiche applicate alle opere d’arte. Evidenziando come tali indagini scientifiche, nel
loro ‘interrogare’ l’oggetto, non solo non possono prescindere dalla conoscenza delle sue
vicende, ma soprattutto devono essere esse stesse sottoposte a storicizzazione. Anche il
risultato di un’analisi scientifica e la sua interpretazione, cambia e può cambiare anche
molto rapidamente, alla luce di nuove scoperte o di affinamento dei risultati. Insomma
anche la scienza va sottoposta alla critica storica.
Claudia Cieri, riprendendo il titolo di un celeberrimo saggio di Erwin Panofsky,
Ercole al bivio, ha ripercorso il cammino che stimolato dalle ricerche di Aby Warburg
sul Rinascimento fiorentino e la scoperta delle Pathosformeln e da lì si è aperto ai temi
propri alla antropologia e allo studio della percezione. È chiaro ad esempio come la linea
di ricerca tracciata da Ernst Gombrich abbia portato quell’intenso rapporto con le neuroscienze, campo quest’ultimo indagato da David Freedberg.
Anche se il titolo della giornata di studio (e quello del presente volume) mette
insieme archeologia e storia dell’arte senza aggettivi, durante lo svolgimento dei lavori
sono emersi con evidenza il carattere plurale e le molteplici identità assunte sia dall’archeologia, sia dalla storia dell’arte. Eravamo consapevoli di tale limite, sapendo che un
dibattito su archeologia e storia dell’arte, a 360 gradi, non sarebbe mai potuto essere
argomento di una sola giornata. Naturalmente le lacune e i limiti erano inevitabili,
ma ci auguriamo che le critiche, del tutto meritate, possano positivamente stimolare la
discussione.
I curatori