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Lavorare insieme in un mondo digitale

2017

Thanks to the world wide web, we now have at our disposal a huge mass of information and a large number of research tools on line. But what we do need is to put all these resources together in order to transform accessible data into real knowledge.

Archeologia e Calcolatori Supplemento 9, 2017, 21-23 LAVORARE INSIEME IN UN MONDO DIGITALE Negli ultimi mesi, ha fatto il giro del web una mappa dell’Impero Romano, visualizzabile all’indirizzo http://db.edcs.eu/epigr/epimap.html, in cui ad ogni punto sulla carta corrisponde un’iscrizione lì rinvenuta. L’immagine così ottenuta (Fig. 1), benché non sempre precisa, è abbastanza impressionante, e rende bene la capillare distribuzione delle epigrafi in tutto il territorio dell’Impero, con comprensibili picchi di concentrazione nell’Italia centrale e in alcune delle province più romanizzate come la Spagna, la Gallia Narbonese e la Dalmazia. Quel che sorprende, piuttosto, è la presenza di testimonianze epigrafiche anche nelle zone più remote e impervie dell’Impero, dalle isole del Nord alle zone desertiche dell’Africa, e addirittura oltre i limiti geografici del territorio amministrativamente controllato dallo Stato romano, nel cosiddetto Barbaricum. Se, ad esempio, spinti dalla curiosità, si clicca sul punto rosso che campeggia isolato al centro del subcontinente indiano, vicino alla città di Agra, si viene reindirizzati alla scheda EDCS-65000153 della banca dati epigrafica on-line Clauss/Slaby (EDCS; http://www.manfredclauss.de/), corrispondente a un’iscrizione pubblicata nell’«Année Epigraphique» (AE 1992, 1708 e AE 1993, 1634). Si tratta di un bollo su un’anfora, noto da diversi esemplari provenienti da varie zone dell’Impero, la cui lettura più recente e convincente è M(arci) Livi Caustr(i). André Tchernia ha infatti proposto di riconoscervi la menzione in genitivo di un personaggio che portava un cognomen derivato dal nome del fiume Cayster, che si ritrova unicamente – e forse non è un caso – nell’onomastica di un liberto sepolto a Roma nel Monumentum Liviae: Olympus, Caustri l(ibertus), noto dall’iscrizione CIL, VI 4077 = 33065, con foto e bibliografia disponibili nella scheda EDR119545 dell’Epigraphic Database Roma (EDR; http://www.edr-edr.it/). L’estrema rarità del cognomen e la coincidenza cronologica delle testimonianze epigrafiche suggeriscono la possibilità che il M. Livius Causter menzionato su bolli anforici degli ultimi anni del I sec. a. C. e l’omonimo patrono del liberto sepolto nel colombario degli schiavi e dei liberti di Livia, siano la stessa persona. Il bollo anforico, rinvenuto presso la città indiana di Mathura, a 150 km da Delhi, nello stato di Uttar Pradesh, è una delle sempre più numerose testimonianze archeologiche relative alle rotte commerciali che, attraverso il Mar Rosso e il Mar d’Oman, portavano prodotti dell’Occidente romano, in particolare vino, nel lontano Oriente (in proposito Tchernia 1992). Se, invece, andiamo a vedere a cosa corrisponde il punto rosso posto nella parte più meridionale della penisola arabica, in una zona corrispondente all’attuale Yemen, troveremo che si tratta di un’iscrizione sepolcrale su pietra 21 S. Orlandi (cfr. i record EDCS-003300881 e EDCS-24500537 che si riferiscono ad un’unica epigrafe), in latino e greco, relativa a un P(ublius) Cornelius (il testo, pubblicato più volte, si trova schedato in AE 1980, 890, AE 1995, 1608, SEG 27, 1005 e SEG 31, 1479-1480). Un recente studio (Speidel 2015, 241-249) vi ha riconosciuto l’epitaffio di un soldato di cavalleria che doveva far parte di una guarnigione romana di stanza nell’Arabia meridionale, anche dopo la spedizione nell’antico regno dei Sabaei guidata da Elio Gallo e menzionata da Augusto nelle Res Gestae, 26, in Arabiam usque in fines Sabaeorum processit exercitus ad oppidum Mariba. Questi due esempi, scelti tra i molti possibili, mostrano chiaramente come il significato del ritrovamento di un bollo anforario in una località, sia pure lontana, raggiunta da rotte commerciali, che non implica necessariamente la presenza in quella località delle persone che hanno prodotto il contenuto dell’anfora, sia ben diverso da quello di una sepoltura, in una regione remota, di un cittadino romano, accompagnata da un’epigrafe che idealmente si rivolgeva a una comunità parlante latino e greco. Ma tutto questo non si ricava dalla semplice osservazione della mappa, sulla quale le due testimonianze corrispondono solo a due punti, che a loro volta rinviano a schede epigrafiche limitate ai dati essenziali (testo, bibliografia e luogo di rinvenimento). Solo un approfondimento che porti alla considerazione della tipologia del materiale, del contesto in cui è stato rinvenuto e delle altre fonti storiche ad esso correlate consente una reale comprensione del valore storico di queste testimonianze epigrafiche: non più due punti su una mappa, ma due elementi di un mosaico che si ricompone sotto i nostri occhi, se sappiamo disporre al posto giusto le tessere che lo compongono. In realtà, gli elementi essenziali per questa operazione sono ormai in gran parte disponibili in rete. La mappa, come abbiamo visto, rinvia alle schede della banca dati epigrafica on-line Clauss/Slaby. Qui, le iscrizioni in questione sono citate con il riferimento ai volumi dell’«Année Epigraphique», oggi quasi completamente disponibili alla consultazione in linea via JSTOR (http://www.jstor. org/). Per il bollo rinvenuto in India, dall’AE 1992, 1708 si risale all’articolo di André Tchernia pubblicato nei «MEFRA», periodico interamente digitalizzato e accessibile attraverso il portale Persée (http://www.persee.fr/). Anche l’iscrizione di Roma che troviamo qui citata per confronto, CIL, VI 33065, è reperibile online, con ulteriore bibliografia e immagini, nella banca dati EDR. Per l’iscrizione della penisola arabica, invece, nel record della EDCS troviamo un link alla banca dati bibliografica del Corpus Inscriptionum Latinarum (http://cil.bbaw. de/dateien/datenbank.php), da cui apprendiamo l’esistenza del recente articolo di M.A. Speidel nella «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» (Speidel 2015). Questo periodico è disponibile on-line solo per i numeri fino al 2000, ma l’autore ha già provveduto a caricare il suo lavoro su Academia.edu, rendendolo così facilmente consultabile da parte dell’intera comunità accademica. 22 Lavorare insieme in un mondo digitale La mole di dati presenti nel web, cioè, è veramente immensa, ma sta a noi mettere in relazione queste informazioni perché si trasformino in conoscenza, e perché dalle risorse tecnologiche che abbiamo a disposizione vengano delle reali risposte alle nostre domande. Georeferenziazione e accessibilità dei dati sono divenuti ormai dei presupposti imprescindibili per qualunque progetto che intenda utilizzare e mettere a disposizione degli studiosi le tecnologie digitali per la ricerca archeologica. Ma da sole esse non bastano a garantire un reale avanzamento nei nostri studi e nella nostra conoscenza del mondo antico. Quel che serve è soprattutto la possibilità di “lavorare insieme”, mettendo in relazione tra loro le informazioni esistenti per elaborarne di nuove. È per questo che apprezzo molto il lavoro che in questi anni sta portando avanti il Progetto SITAR – anche attraverso l’organizzazione di questo convegno e di quelli che l’hanno preceduto – per sottolineare questa esigenza e favorire la ricerca di soluzioni comuni, rese possibili da sempre nuove tecnologie, ma anche dalla nostra intelligenza e generosità. Silvia Orlandi Dipartimento di Scienze dell’Antichità Sapienza Università di Roma silvia.orlandi@uniroma1.it BIBLIOGRAFIA Speidel M.A. 2015, ‘Almaqah in Rom? Zu den Beziehungen zwischen dem kaiserzeitlichen Imperium Romanum und Südarabien im Spiegel der dokumentarischen Überlieferung, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», 194, 241-258. Tchernia A. 1992, Le dromadaire des Peticii et le commerce oriental, «MEFRA», 104, 293-301. ABSTRACT Thanks to the world wide web, we now have at our disposal a huge mass of information and a large number of research tools on line. But what we do need is to put all these resources together in order to transform accessible data into real knowledge. 23