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PARTE PRIMA
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 16 novembre 2020;
Giud. BIANCHI; Rappresentante comune degli azionisti di
risparmio della Banca Carige (Avv. MARVULLI, SPOLIDORO) c. Banca Carige (Avv. PAVESI, CIMINO, VERZONI).
Società — Società per azioni — Azioni di risparmio —
Delibera di raggruppamento — Sindacabilità nel merito — Esclusione (Cod. civ., art. 2328, 2377, 2437 sexies).
Società — Società per azioni — Azioni di risparmio —
Delibera di conversione facoltativa e successivo raggruppamento di tutte le categorie — Assemblea speciale — Necessaria approvazione — Esclusione (Cod. civ.,
art. 2376; d.leg. 24 febbraio 1998 n. 58, t.u. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi
degli art. 8 e 21 l. 6 febbraio 1996 n. 52, art. 92, 111, 145).
Società — Società per azioni — Azioni di risparmio —
Delibera di raggruppamento — Perdita dello «status
socii» — Diritto di recesso — Esclusione (Cod. civ., art.
2437).
Società — Società per azioni — Azioni di risparmio —
Facoltà di conversione — Delibera di raggruppamento
— Esclusione dalle negoziazioni — Diritto di recesso —
Esclusione (Cod. civ., art. 2437 quinquies).
Società — Società per azioni quotate — Rappresentante
comune degli azionisti di risparmio — Diritto di intervento in assemblea — Esclusione (D.leg. 24 febbraio
1998 n. 58, art. 147).
In ipotesi di società quotata che abbia emesso azioni di risparmio, la decisione di aumentarne il valore nominale
(c.d. raggruppamento) costituisce una scelta della società
insindacabile nel merito. (1)
La deliberazione di società quotata con la quale viene concessa agli azionisti di risparmio la facoltà di convertire le
proprie azioni in azioni ordinarie e che prevede un raggruppamento delle due categorie di azioni in base allo
stesso moltiplicatore, incidendo pariteticamente su entrambe le categorie, non deve essere approvata dall'assemblea speciale degli azionisti di risparmio. (2)
In ipotesi di delibera di raggruppamento di azioni non spetta
il diritto di recesso a chi, non possedendo la quantità di
azioni necessaria a ottenerne il raggruppamento, abbia
perso la qualità di socio, posto che detta perdita deriva
non dalla delibera di raggruppamento ma dalla decisione
del socio di non rendersi acquirente, sul c.d. mercato dei
resti, dei sottoavanzi necessari. (3)
In ipotesi di esclusione dalle negoziazioni di borsa di azioni
di risparmio conseguente a una delibera di raggruppamento delle azioni che riconosca anche la facoltà di convertire le azioni di risparmio in azioni ordinarie, non spetta agli azionisti di risparmio il diritto di recesso, in quanto
l'esclusione dalle negoziazioni consegue alla loro decisione di non convertire e non alla delibera di raggruppamento. (4)
Il rappresentante comune degli azionisti di risparmio può
assistere, ma non intervenire, alle assemblee degli azionisti ordinari. (5)
Ritenuto: che l'odierno procedimento cautelare è stato introdotto da Petrera Michele in qualità di rappresentante comune degli azionisti di risparmio di Banca Carige s.p.a., per
la sospensione della delibera assembleare assunta in data 29
maggio 2020, in relazione:
— alla conversione facoltativa delle azioni di risparmio in
azioni ordinarie (con rapporto pari a 20.500 azioni ordinarie
per ogni azione di risparmio);
— al raggruppamento delle azioni ordinarie e di risparmio
in circolazione (con rapporto di una «nuova» azione contro
1.000 azioni già detenute).
che il ricorrente lamenta:
a) la violazione dell'art. 147, 3° comma, t.u.f. per non essere stato consentito al ricorrente — in qualità di rappresentante comune — di intervenire in assemblea;
IL FORO ITALIANO — 2021.
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b) il raggruppamento renderebbe esiguo il numero delle
azioni di risparmio (da 25.542 a 25 in tutto) con impossibilità di ottenerne la quotazione, con conseguente diritto (non riconosciuto) di recesso dei soci ai sensi dell'art. 2437 quinquies c.c., comportante l'obbligatoria comunicazione del valore delle azioni ex art. 2437 ter c.c.;
c) mancata previsione del diritto di recesso per i soci titolari di un numero di azioni non corrispondente al multiplo di
mille, per i quali il raggruppamento comporta la perdita dello
status socii in relazione ai c.d. «resti» insuscettibili di raggruppamento (ad esempio, tale fattispecie corrisponde al caso della titolarità di 2.500 azioni di risparmio, dove il resto di
500 non è raggruppabile);
d) violazione dell'art. 146 t.u.f., in quanto la delibera
avrebbe dovuto essere sottoposta all'assemblea speciale degli azionisti di risparmio;
e) fissazione non trasparente del criterio di conversione
delle azioni di risparmio in azioni ordinarie;
che si costituiva Banca Carige s.p.a. resistendo alla domanda cautelare;
che venivano sentiti il presidente del consiglio di amministrazione e il presidente del collegio dei sindaci;
che il ricorso cautelare va respinto;
che, infatti, difetta il requisito del periculum in mora nella
sua più perspicua declinazione data dall'art. 2378, 4° comma, c.c., che notoriamente impone una valutazione comparativa tra il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dall'esecuzione della delibera e quello che subirebbe la società dalla
sospensione dell'esecutività della delibera stessa;
che nel caso in esame si ritiene che l'accoglimento del ricorso provocherebbe un pregiudizio per la banca grandemente superiore rispetto a quello ipoteticamente arrecabile agli
azionisti di risparmio per effetto del rigetto della presente
istanza cautelare;
che in tal senso valgono le seguenti considerazioni:
— il rigetto della presente istanza sospensiva pregiudicherebbe ipoteticamente l'interesse del ceto dei soli azionisti di
risparmio, che ad oggi rappresenta lo 0,000003 per cento del
capitale di Carige s.p.a. (detto altrimenti i tre milionesimi del
capitale sociale).
Ove poi si abbia riguardo al gruppo dei soli azionisti di risparmio che hanno approvato l'odierna iniziativa giudiziale
(gruppo rappresentativo del solo 20,11 per cento delle azioni
di risparmio Carige), si rileva che questi rappresentino appena lo 0,0000006 per cento del capitale sociale (detto altrimenti i sei decimilionesimi del capitale sociale) (cfr. doc. 3
Carige).
Deve quindi rilevarsi che la delibera qui impugnata viene
considerata pregiudizievole soltanto da parte di una quota infinitesima degli azionisti;
— per contro, la sospensione della esecutività della delibera in oggetto precluderebbe la realizzazione del raggruppamento delle azioni, e ciò:
1) renderebbe meno efficiente il momento decisionale in
sede assembleare;
2) impedirebbe la riammissione alle quotazioni borsistiche dei titoli Carige;
— in merito alla questione sub 1, deve infatti essere inoltre osservato che Banca Carige — con un numero di azioni
pari a 750 miliardi e 555 mila — rappresenta un unicum tra
le società quotate nella borsa italiana (cfr. tabella comparativa, doc. 13 Carige), e che tale ingentissima quantità comporta evidenti inefficienze amministrative in occasione di eventi
assembleari, di registrazione e raccolta di deleghe;
— inoltre, l'inusitata e pletorica quantità di azioni emesse
da Carige consente una estrema parcellizzazione dell'azionariato: ciò produce inevitabilmente l'effetto di rendere più difficoltoso il raggiungimento di maggioranze assembleari, con
conseguente rallentamento nella realizzazione di eventuali
obiettivi strategici da parte della società.
Proprio in relazione ad una operazione di raggruppamento
di azioni, la Corte d'appello di Milano ne ha ravvisato la
conformità con l'interesse sociale, «quale quello di una ge-
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stione azionaria flessibile, tale da consentire, in un mercato
fortemente concorrenziale, la realizzazione di operazioni
straordinarie, nonché in presenza dell'opportunità di rendere
meno onerosa la gestione amministrativa del titolo azionario» (App. Milano 14 gennaio 2013, Foro it., Rep. 2014, voce Società, n. 432).
Analogo orientamento è stato espresso da questo tribunale
in occasione del raggruppamento di azioni effettuato dalla
società Genoa calcio 1893 s.p.a., dove il raggruppamento è
stato giudicato coerente con l'interesse sociale in quanto volto ad «ovviare agli inconvenienti causati dalla partecipazione
alla società di soci titolari di azioni per un esiguo ammontare
di capitale» (Trib. Genova 27 febbraio 1984, id., Rep. 1984,
voce cit., n. 554);
— in merito alla questione sub 2, va rilevato che dalle
istruzioni al regolamento dei mercati organizzati e gestiti da
Borsa italiana s.p.a. (doc. 16 Carige) — la quotazione dei titoli viene sospesa ove i prezzi ufficiali delle azioni risultino
inferiori alla soglia minima di 0,01 euro (art. IA.4.3.7 pag.
212).
Ciò si giustifica evidentemente con il fatto che — ove le
quotazioni siano inferiori a detta soglia (e cioè inferiori ai
centesimi di euro) — eventuali acquisti a prezzi anche minimamente superiori a quelli correnti in borsa determinerebbero variazioni delle quotazioni percentualmente molto rilevanti, con conseguente sospensione delle stesse per eccesso di
rialzo.
Detto ciò, va rilevato che dal parere redatto dalla Sim
Equita e prodotta da Carige in corso di causa, gli ultimi prezzi registrati per le azioni ordinarie della banca prima della
sospensione delle quotazioni (avvenuta il 2 gennaio 2019:
doc. 5) risultavano essere pari ad euro 0,0015 per azione (cfr.
anche doc. 15 Carige).
Trattasi di quotazione ampiamente insufficiente al fine di
riottenere la quotazione.
A ciò si aggiunga che l'andamento borsistico del comparto
bancario ha registrato nell'ultimo anno — evidentemente per
effetto dell'epidemia in atto — una riduzione pari a - 26,57
per cento (doc. 15 Carige), cosicché tale ultima quotazione
registrerebbe — con ogni probabilità — una cospicua riduzione.
Conseguentemente, il raggruppamento deliberato (pari a
un'azione «nuova» ogni 1.000 azioni ad oggi detenute) risulta assolutamente necessario al fine di superare la soglia di
0,01 euro per azione ordinaria e quindi di riottenere l'ammissione alle negoziazioni in borsa.
A questo fine va precisato che la possibilità — ampiamente discussa in dottrina — di effettuare il raggruppamento limitato alle azioni ordinarie (il che renderebbe non necessario
— ai fini della riammissione in borsa dei titoli Carige — il
raggruppamento anche delle azioni di risparmio) non appare
rilevante ai fini della presente controversia, in quanto la decisione di effettuare un raggruppamento di tutte le azioni
(anziché delle sole azioni ordinarie) costituisce una libera
scelta di gestione degli organi sociali insindacabile nel merito (c.d. business judgement rule);
— da ultimo si osserva che la delibera qui impugnata (approvata dall'81,3 per cento del capitale sociale) risulta coerente e coessenziale all'operazione di risanamento avviata
dalla Bce in data 2 gennaio 2019 con la nomina dei commissari straordinari di Carige, a cui ha fatto seguito l'aumento di
capitale per 700 milioni di euro in data 20 settembre 2019 e
la recente approvazione da parte della Bce del bilancio redatto dai commissari (cfr. dich. Calandra Bonaura all'udienza
del 12 ottobre 2020);
che, conclusivamente, quindi si ritiene che — ai fini della
comparazione di cui all'art. 2378, 4° comma, c.c. — il pregiudizio prospettato dal ricorrente — rappresentante di una
porzione infinitesima dell'azionariato Carige — non possa
giustificare il sacrificio del preminente interesse sociale (c.d.
proper business purpose) all'efficacia della delibera impugnata, la quale:
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— garantisce un più agevole funzionamento assembleare
necessario alla realizzazione di operazioni strategiche (per
mezzo della riduzione del numero delle azioni, mediante
raggruppamento);
— consente la riammissione alle quotazioni borsistiche
del titolo Carige, con indubbi benefici quantomeno in termini
di immagine commerciale della banca e di ricollocazione
della stessa sul mercato finanziario;
che, da ultimo, va comunque osservato che l'eventuale
danno alle ragioni degli azionisti di risparmio apparirebbe
comunque pienamente reintegrabile in via risarcitoria, come
allegato dallo stesso ricorrente nell'avanzare domanda in tal
senso.
A tal fine è noto che «la sospensione della esecuzione di
delibere impugnate può essere disposta ex art. 2378, 4°
comma, c.c. dal giudice della relativa causa di merito valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla
sospensione della esecuzione della deliberazione, vale a dire
operando una comparazione di interessi di per sé autonoma
rispetto all'apprezzamento del fumus, nel senso che, anche in
presenza di fumus di fondatezza dell'impugnazione, laddove
il pregiudizio della società convenuta risulti più grave di
quello dell'impugnante, non dovrà essere accolta la richiesta
cautelare di sospensione, la tutela della posizione dell'impugnante restando comunque affidata, in caso di irreversibilità
della esecuzione della delibera, ai meccanismi risarcitori
previsti dal sistema normativo, il quale nella materia in esame prevede altri casi in cui la tutela reale — rappresentata
dall'annullamento della delibera — recede rispetto alla tutela
risarcitoria» (Trib. Milano 3 febbraio 2020);
che peraltro — al fine di ottenere una mera indicazione
approssimativa sull'ordine di grandezza degli interessi economici rappresentati dal ricorrente — va rilevato che le azioni di risparmio emesse (in numero di 25.542) da Banca Carige erano valutate — all'ultima quotazione (28 dicembre
2018) — euro 49,3 cadauna (cfr. relazione Equita, pag. 2),
per un valore borsistico complessivo di euro 1.259.220.
Ne discende che nella peggiore delle ipotesi (e cioè della
perdita totale dell'investimento, esito questo mai effettivamente allegato dal ricorrente), il danno ipoteticamente arrecabile da parte della delibera impugnata alle ragioni degli azionisti di risparmio sarebbe di entità invero contenuta rispetto
alle dimensioni patrimoniali di qualsiasi istituto bancario.
Detto pregiudizio quindi risulterebbe:
— finanziariamente sostenibile da parte della banca;
— incomparabile con il danno enormemente più esteso e
potenzialmente arrecabile all'interesse della società (e dei restanti azionisti) ad una solerte ripresa e piena funzionalità
della banca resistente;
che comunque — in subordine e per mere ragioni di completezza — non pare sussistere, allo stato e salva ogni miglior cognizione in corso di causa — neppure l'apparente
fondatezza del diritto fatto valere (fumus boni iuris);
che, infatti, non ha pregio la questione sub a), in quanto
l'art. 147, 3° comma, t.u.f. attribuisce al rappresentante comune la facoltà di «assistere» all'assemblea e non già di intervenire alla stessa: la portata semantica del verbo «assistere» (nella forma intransitiva) descrive infatti una condotta di
fruizione dell'oggetto di attenzione limitata alla visione e/o
all'ascolto (nel linguaggio corrente, «assistere» ad uno spettacolo teatrale non implica — anzi di norma esclude — la
partecipazione allo stesso);
che va disattesa anche la questione sub b), in quanto:
— preliminarmente va osservato che il diritto di recesso
discende da una elencazione di ipotesi di natura tassativa
(art. 2437 e 2437 quinquies c.c.), come ritenuto costantemente dalla giurisprudenza (in tal senso, cfr. App. Milano 16 ottobre 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 858; Trib. Orvieto 18
febbraio 1994, id., 1995, I, 3011; Trib. Milano 9 settembre
1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 716; Trib. Latina 9 luglio
1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 735);
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PARTE PRIMA
— detto ciò — contrariamente a quanto allegato dal ricorrente — la delibera impugnata non «comporta» l'esclusione
dalla negoziazione delle azioni di risparmio e quindi non integra la fattispecie di cui all'art. 2437 quinquies c.c., con
conseguente inapplicabilità dell'art. 2437 ter c.c.
Non va dimenticato infatti che la stessa delibera consente
— prima del raggruppamento — la conversione delle azioni
di risparmio, garantendo quindi all'azionista di risparmio di
ottenere n. 20.500 azioni ordinarie per ogni singola azione di
risparmio.
Ciò quindi:
— da una parte non consente di affermare che il raggruppamento determini necessariamente l'esclusione dalla negoziazione di dette azioni;
— dall'altra parte impone di concludere che l'esclusione
dalla negoziazione costituisca primariamente l'effetto della
libera decisione dei soci di non convertire le azioni di risparmio in azioni ordinarie.
Deve quindi concludersi che gli art. 2437, 2437 ter e 2437
quinquies c.c. non siano invocabili nel caso in esame;
che non è condivisibile quanto dedotto sub c), in quanto
— come già opportunamente osservato in giurisprudenza
(App. Milano 14 gennaio 2013, cit.) — «L'eventuale perdita
della qualità di socio da parte di coloro che non hanno integrato il numero delle azioni possedute fino ad un quoziente
intero in applicazione del rapporto di raggruppamento non
discende direttamente dalla delibera di raggruppamento, ma
dalla decisione del socio di non accedere al mercato dei resti,
realizzandosi così una situazione simile a quella del socio
che decida di non partecipare ad un'operazione di ricostituzione del capitale integralmente perduto».
Infatti, nel caso in esame nulla vieta ai detentori dei c.d.
«resti» di acquistare altri diritti frazionari al fine di raggiungere la soglia di mille azioni ed accedere così al raggruppamento, come peraltro espressamente previsto dalla relazione
illustrativa del consiglio di amministrazione al punto 2 dell'ordine del giorno dell'assemblea straordinaria del 29 maggio 2020 (doc. 9 Carige, pag. 7), in cui si legge che, «al fine
di facilitare le operazioni di raggruppamento per i singoli soci e la gestione di eventuali frazioni che dovessero derivare
dal raggruppamento, sarà messo a disposizione degli azionisti un servizio per il trattamento delle eventuali frazioni di
azioni non raggruppabili, sulla base dei prezzi ufficiali di
mercato, qualora intervenga, nel frattempo, un provvedimento di riammissione delle azioni della banca alla negoziazione
ovvero laddove ciò non avvenga sulla base di altro valore
che dovrà essere determinato»;
che non è condivisibile quanto illustrato sub d), in quanto:
— quanto alla conversione, questa non è obbligatoria —
bensì facoltativa — e quindi non è idonea — neppure in
astratto — a recare pregiudizio ai diritti degli azionisti di risparmio;
— con riguardo al raggruppamento, si ritiene che — conformemente alla posizione espressa dalla giurisprudenza
(Trib. Torino 22 dicembre 2017; Trib. Roma 20 marzo 1995,
id., Rep. 1995, voce cit., n. 619) — la violazione all'art.
2376 c.c. (e art. 146 t.u.f., che impone, appunto, l'approvazione da parte dell'assemblea speciale degli azionisti di risparmio) sia ravvisabile esclusivamente allorquando la delibera dell'assemblea concerna solamente gli azionisti di risparmio, «e non quando la delibera abbia inciso unitariamente su tutti i soci», come nel caso in esame, in cui vengono
raggruppate tutte le azioni Carige;
che va respinta anche la prospettazione sub e) in quanto —
in primo luogo e come sopra già rilevato — trattasi di conversione facoltativa, ben potendo quindi ogni azionista di risparmio preferire di conservare detti titoli, ove ritenga non
soddisfacente il rapporto di conversione (20.500 azioni ordinarie per ogni azione di risparmio).
In secondo luogo, il citato rapporto di conversione non appare viziato da evidenti incongruità, né il ricorrente ne ha
mai allegato alcuna, limitandosi ad eccepire l'opacità della
procedura di determinazione dello stesso.
IL FORO ITALIANO — 2021.
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Peraltro — su invito di questo giudice — è stato prodotto
in atti il relativo parere reso a Carige s.p.a. dalla Sim Equita,
che giudica «congruo dal punto di vista finanziario» (pag. 9)
il rapporto di conversione prescelto, sulla base di considerazioni apparentemente non irragionevoli (in particolare alle
pag. 5 e 8).
Infine, anche a prescindere da ciò, va comunque osservato
che — in via di prima approssimazione — il rapporto di
conversione fissato da Carige appare plausibile, in quanto:
— l'art. 35 dello statuto della banca prevede il diritto del
socio di convertire ogni singola azione di risparmio in azione
ordinaria, fissando così una presunzione generale di convertibilità paritaria, evidentemente meno favorevole all'azionista di risparmio rispetto al rapporto di conversione oggi proposto;
— ove si moltiplichi l'ultima quotazione delle azioni ordinarie (0,0015 euro) per il numero di azioni ordinarie
(20.500) ottenibili mediante la conversione di una singola
azione di risparmio, si ottiene euro 30,75, importo identificativo quindi dell'ipotetico valore attribuito ad ogni singola
azione di risparmio, ove convertita in azioni ordinarie.
Orbene, detto valore (euro 30,75) appare sostanzialmente
in linea con l'ultima quotazione delle azioni di risparmio
(euro 49,3), previo deprezzamento discendente dal già citato
andamento borsistico del comparto bancario (supra, sub punto 2) che registra una riduzione pari a -26,57 per cento
nell'ultimo anno.
Sottraendo infatti da euro 49,3 detto deprezzamento (26,57
per cento) si ottiene euro 36,20, ipotetico prezzo borsistico
attuale di ogni azione di risparmio non convertita.
Si tratta evidentemente di valore non distante da euro
30,75;
che quindi il ricorso va respinto.
————————
(1) La decisione in rassegna, resa in sede cautelare, affronta,
per escludere che ne ricorra la possibilità nel caso di specie, il tema della sindacabilità nel merito delle delibere di raggruppamento di azioni: tema oggetto di risalente attenzione in dottrina e di
(non numerose) pronunce giurisprudenziali. Con le delibere di
raggruppamento, adottate in purezza (raggruppamento c.d. diretto) o anche in occasione di altre operazioni sul capitale quali aumenti di capitale, fusioni, scissioni e trasformazioni (raggruppamento c.d. incidentale), si attua una modificazione statutaria che
sostituisce il valore nominale delle azioni con un nuovo, multiplo
di quello precedente. La fissazione di un multiplo, coefficiente o
quoziente di raggruppamento che non sia una frazione esatta (e
cioè senza resti) del numero delle azioni da raggruppare, comporta però che: i) tutti gli azionisti che posseggono azioni in un numero inferiore rispetto al multiplo perdono la loro qualità di soci
per effetto della delibera; ii) tutti gli azionisti che posseggono
azioni in un numero sufficiente al multiplo, ma non pari a una sua
moltiplicazione per un numero naturale (o, che è lo stesso, che diviso per il quoziente non dia resti), si trovano a detenere dei «resti» cui non corrispondono nuove azioni e, quindi, vedono la loro
partecipazione diluita per effetto della delibera.
L'opinione dottrinaria più risalente, ma che trova ancor oggi
seguito, era nel senso della illegittimità di ogni delibera di raggruppamento adottata a maggioranza, in quanto violativa del «diritto alla conservazione dello status di socio» e di quello «di parità di trattamento tra le azioni»: v. T. ASCARELLI, Sui poteri della
maggioranza nelle società per azioni ed alcuni loro limiti, in Riv.
dir. comm., 1950, I, 169 ss., spec. 177, nota 11; ID., Sul raggruppamento delle azioni, in Banca, borsa, ecc., 1950, I, 78 ss., ove
una dimostrazione del ragionamento nel senso che in presenza di
resti la società avesse l'onere di acquistare le proprie azioni, nei
limiti in cui le era concesso, per procedere essa stessa al loro raggruppamento, in mancanza avendosi la paradossale, e non concessa dall'art. 2348 c.c., conseguenza di azioni con valore nominale diverso; T. ASCARELLI., Indivisibilità dell'azione e aumento
di capitale, id., 1955, I, 42 ss.; V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell'azionista, Napoli, 1960, 212, seppur nel diverso e all'epoca dibattuto caso della riduzione del capitale a zero e conte-
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stuale reintegro; G. OPPO, Eguaglianza e contratto nella società
per azioni, in Riv. dir. civ., 1974, I, 629 ss., spec. 656; recentemente G. PLASMATI, Il problema dei resti nelle s.p.a., in Contratto e impr., 2007, 202 ss., il quale indica come possibili metodi per
evitare gli inconvenienti connessi al raggruppamento quello di
escludere l'emissione dei titoli (con emissione di soli «certificati
azionari», che potrebbero ben rappresentare anche i resti) o dematerializzare i titoli. In giurisprudenza v. Trib. Genova 22 gennaio
1951, Foro it., 1951, I, 890, con nota redazionale non sul punto;
App. Milano 7 agosto 1959, id., 1960, I, 1796; 30 aprile 1971, id.,
Rep. 1971, voce Società, n. 302; Trib. Milano 13 aprile 1970, id.,
1970, I, 2947, e Giur. merito, 1971, 38, con nota adesiva di D.
PETTITI, In tema di raggruppamento incidentale di azioni; Riv.
not., 1970, II, 449 ss., con nota critica di A. GIULIANI, Fusione,
rapporto di cambio e tutela dei minimi azionisti; 8 novembre
2012, Foro it., Rep. 2014, voce cit., n. 524, e Notariato, 2014,
422, con nota adesiva di V. MANZO, Raggruppamento di azioni
senza indicazione del valore nominale e controllo notarile; Società, 2013, 1299 (ma con data 13 novembre 2012), con nota adesiva
di M.C. LUPETTI, Inammissibile il raggruppamento di azioni se
comporta l'esclusione del socio di minoranza dissenziente.
L'opinione successivamente affermatasi, cui la decisione aderisce, è invece nel senso che il raggruppamento sarebbe in astratto
legittimo, anche in presenza di più categorie di azioni e di resti, a
tre condizioni: i) che sia fissato un unico coefficiente di raggruppamento per le varie categorie eventualmente esistenti; ii) che sia
ravvisabile un interesse della società al raggruppamento (ad es. di
consentire un più ordinato ed economico svolgimento delle assemblee in presenza, come nel caso di specie, di un notevolissimo
numero di azioni; oppure in presenza, come nel caso di specie, di
valori nominali risibili per effetto di perdite accumulate; agevolare nuovo capitale di rischio); iii) che, comunque, il raggruppamento in sé o la fissazione del coefficiente di raggruppamento
non abbiano l'unico scopo di estromettere (o ridurre la partecipazione sociale) di taluni azionisti, in tal caso ammettendosi la possibilità di esperire l'ordinario rimedio dell'annullamento della delibera per abuso della maggioranza; iv) che sia predisposto un
mercato regolamentato dei resti che consenta agli azionisti che lo
desiderino di incrementare la loro partecipazione sino a un quoziente intero ovvero di alienare le azioni in eccedenza, con
espressa ed incondizionata disponibilità dall'emittente a fornire o
a rendersi acquirente delle azioni necessarie (quest’ultima caratteristica non sembrerebbe essere invero stata prevista nel caso in
rassegna). In dottrina v. già B. VISENTINI, Sul frazionamento e sul
raggruppamento delle azioni, in Banca, borsa, ecc., 1960, I, 14
ss., spec. 32, a giudizio del quale sui resti creati dal raggruppamento si viene a generare una comproprietà di tutti gli azionisti di
essi titolari (spesso nella pratica rappresentata da «buoni frazionari»: v. i casi citati alla nota 32), con i gravosi effetti previsti dalla
legge, ma senza che si verifichi la perdita della qualità di socio o
la diluizione della partecipazione; F. TEDESCHI, Raggruppamento
delle azioni e conservazione della qualità di socio, in Giur.
comm., 1979, I, 33 ss.; P.G. MARCHETTI, Problemi in tema di
aumento di capitale, in AA.VV., Aumenti e riduzioni di capitale,
Milano, 1984, 72 s.; N. ROBIGLIO, Sul raggruppamento delle
azioni, in Riv. società, 1987, 808 ss., spec. 840 s., a giudizio del
quale nessun pregiudizio subirebbe l'azionista in quanto l'attribuzione di diritti a seguito del raggruppamento dipende dal coefficiente, che è uguale per tutti, sicché «il rispetto della parità di trattamento dipende … dal fatto che il coefficiente è fisso ed uguale
per tutte le azioni, sicché ciascuna incorpora il medesimo diritto
su quelle nuove»; M. BIONE, Le azioni, in Trattato delle s.p.a. diretto da G.E. COLOMBO-G.B. PORTALE, Torino, 1991, 2, I, 17 ss.;
M. STELLA RICHTER JR., «Collegamento» e «raggruppamento»
delle azioni di società, in Riv. dir. comm., 1991, I, 385 ss.; C.
ANGELICI, Della società per azioni. Le azioni, in Commentario
Schlesinger, Milano, 1992, 21 ss.; D. PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nella società per azioni, in
Trattato delle s.p.a. diretto da G.E. COLOMBO-G.B. PORTALE, Torino, 1993, 3, II, 1 ss., spec. 40, nota 15; A. CERRAI-A. MAZZONI,
La tutela del socio e delle minoranze, in Riv. società, 1993, 1 ss.,
spec. 46; F: GUERRERA, Abuso del voto e controllo di correttezza
sul procedimento deliberativo assembleare, id., 2002, 181 ss.,
spec. 247, nota 168; F.M. MUCCIARELLI, Sulla parità di trattaIL FORO ITALIANO — 2021.
3718
mento nelle società quotate, id., 2004, 181 ss., spec. 187. Per
quanto riguarda le società quotate, o comunque con azioni diffuse
tra il pubblico, è constatazione diffusa quella, sposata anche dalla
decisione in epigrafe, per cui l'esistenza di un mercato delle partecipazioni permetterebbe il «consolidamento» dei resti e, quindi,
la possibilità per i titolari di azioni (o di resti di azioni) in misura
insufficiente a raggiungere il quoziente di raggruppamento, di
venderle. In tal modo verrebbe meno quel carattere di dannosità
della delibera connesso al pericolo di perdere la qualità di socio, o
di veder diluita la propria partecipazione. Vedi, in tal senso, già
VISENTINI, Sul frazionamento, cit., 15; PREITE, Abuso, cit., 104,
nota 80; più diffusamente BIONE, Le azioni, cit., 23. In giurisprudenza v. già App. Genova 16 giugno 1952 (che riformò Trib. Genova 22 gennaio 1951, cit.), Foro it., 1952, I, 1089, e Foro pad.,
1953, I, 951, con nota critica di G. ROMANO-PAVONI, Aumenti di
capitale con nuovi conferimenti, aumento del valore nominale e
raggruppamento di azioni; Trib. Genova 27 febbraio 1984, cit. in
motivazione, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 554; da ultimo,
App. Milano 14 gennaio 2013, cit. in motivazione (che ha riformato Trib. Milano 8 novembre 2012, cit.), id., Rep. 2014, voce
cit., n. 432, e Banca, borsa, ecc., 2014, II, 433, con nota di N. DE
LUCA, Raggruppamento di azioni e riscatto obbligatorio dei resti,
ove riferimenti alla preferibile soluzione adottata dalla giurisprudenza statunitense in merito alla legittimità dell'operazione, che
pone al centro dell'indagine la correttezza del comportamento tenuto dalla maggioranza.
Con riferimento alla questione dei «resti» in ipotesi di raggruppamento (conseguente a riduzione del capitale) di azioni di risparmio, postergate nelle perdite rispetto alle altre azioni, l'art.
15, ultimo comma, l. 7 giugno 1974 n. 216 (di conversione del
d.l. 8 aprile 1974 n. 95) stabilisce che «le deliberazioni relative alla riduzione e alla reintegrazione del capitale debbono assicurare,
mediante i necessari raggruppamenti o frazionamenti, la parità di
valore nominale delle azioni», così imponendo, evidentemente allo scopo di impedire il formarsi di una contitolarità sui resti (resa
impossibile dall'ampia diffusione tra il pubblico dei titoli, peraltro
al portatore), la necessità di raggruppamento senza resti, seppur
nello specifico caso della riduzione e reintegrazione del capitale.
Per un'applicazione di tale previsione v. la controversia che interessò la ricapitalizzazione del Banco di Napoli ai sensi della l. 30
luglio 1990 n. 218, decisa da Trib. Napoli 25 febbraio 1998, Foro
it., 1999, I, 1026, con nota adesiva (che però non tocca il punto in
esame) di L. NAZZICONE, Principî consolidati sulla riduzione del
capitale per perdite, che reputò legittimo il riporto a nuovo di una
parte della perdita d'esercizio in quanto imposto dalla necessità di
assicurare, ai sensi del citato art. 15 l. 216/74, un accorpamento
senza resti delle azioni di risparmio. La decisione fu confermata
prima da App. Napoli 15 febbraio 2002, inedita, poi da Cass. 17
novembre 2005, n. 23269, id., 2007, I, 919, con nota, attinente ai
profili di conformità con il quadro europeo in tema di aiuti di Stato, di C. GIORGIANTONIO, Diritto comunitario, obbligo di «standstill» e illegittimità degli aiuti di Stato: «quid iuris» in caso di
aumento di capitale?, per la quale «il principio secondo cui l'assemblea è tenuta a deliberare la riduzione del capitale per perdite
in proporzione delle perdite accertate, è suscettibile di una limitata deroga nel caso in cui, occorrendo anche procedere al raggruppamento e al frazionamento di azioni, l'applicazione rigorosa della regola di riduzione del capitale in proporzione alle perdite farebbe emergere resti non suscettibili di attribuzione».
(2) La decisione in epigrafe si pone in linea con l'opinione secondo la quale un voto da parte dell'assemblea sociale è necessario tutte le volte in cui viene a mancare l'omogeneità di interessi
su cui si fonda il potere della maggioranza, ossia quando la decisione adottata dalla maggioranza non incide pariteticamente su
tutti i soci; per riferimenti sul punto, e sulla distinzione tra tale
criterio e quello, più diffuso, che distingue tra pregiudizi diretti e
indiretti, v. A. CAPIZZI, Operazioni straordinarie e tutela degli
investitori. Tra rimedi compensativi e rimedi ostativi, Torino,
2018, 81 ss., spec. 93 ss. Conformi Trib. Torino 22 dicembre
2017, cit. in motivazione, <www.onelegale.wolterskluwer.it>;
Trib. Roma 7 luglio 2011, Foro it., Rep. 2013, voce Società, n.
665, e Giur. comm., 2013, II, 274, con nota di A. CAPIZZI, Con-
3719
PARTE PRIMA
versione obbligatoria di azioni di risparmio in ordinarie, parità
di trattamento, alienazione di azioni di s.p.a. ante causam e perdurante titolarità del diritto al risarcimento ex art. 2377 c.c.;
Trib. Vicenza 10 febbraio 2003, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n.
1085, e Banca, borsa, ecc., 2004, II, 574, con nota critica di L.
PURPURA, Assemblee speciali e pregiudizio rilevante ai diritti di
una categoria di azioni; Trib. Milano 9 ottobre 2002, Foro it.,
Rep. 2003, voce cit., n. 1028, e Corriere giur., 2003, 206, con nota di G. LOMBARDI, Riflessioni a margine di un'operazione di fusione: conflitto di interesse, rapporto di cambio, assemblee speciali e merger leveraged buy out; Società, 2003, 863, con nota di
E. CIVERRA, Approvazione da parte degli azionisti di risparmio di
deliberazioni sociali; 26 settembre 1991, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 442, e Giur. comm., 1992, II, 492, con nota di M. DE
ACUTIS, Il diritto dell'azionista di risparmio di impugnare le deliberazioni invalide e l'emissione di azioni di risparmio con sopraprezzo; Trib. Torino 24 novembre 2000, Foro it., Rep. 2001,
voce cit., n. 818; Trib. Milano 9 marzo 2000, id., Rep. 2000, voce
cit., n. 652; Trib. Roma 20 marzo 1995, cit. in motivazione, id.,
Rep. 1995, voce cit., n. 619; Trib. Milano 26 maggio 1990, id.,
Rep. 1991, voce cit., n. 474, e Giur. it., 1991, I, 2, 590, con nota
di P. GROSSO; 25 maggio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n.
413; Trib. Genova 3 luglio 1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 351.
(3-4) Non constano precedenti in termini.
La decisione in rassegna si orienta nel senso che l'esclusione
dalla quotazione rilevante ai sensi dell'art. 2437 quinquies c.c. è
solo quella che sia direttamente oggetto di una delibera (c.d. delisting puro), peraltro di dubbia ammissibilità (v., in senso affermativo, M. NOTARI, Il recesso per esclusione dalla quotazione
nel nuovo art. 2437 quinquies c.c., in Riv. dir. comm., 2004, I,
529 ss., seguìto di recente da F. VELLA-V. CORRENTE, La quotazione nei mercati e la negoziazione sui sistemi, in Il testo unico
finanziario diretto da M. CERA-G. PRESTI, Bologna, 2020, 1036
ss., spec. 1085 ss.; per una sintesi delle varie opinioni pro e contra, A. DACCÒ, in Le società per azioni diretto da P. ABBADESSAG.B. PORTALE, Milano, 2016, II, sub art. 2437 quinquies, 2552
ss.) e non anche quando essa consegua, in via diretta e mediata, a
essa (c.d. delisting impuro). Contra v. S. CARMIGNANI, in A.
SANDULLI-V. SANTORO (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, sub art. 2437 quinquies, 898 ss., che porta proprio
l'esempio della conversione forzata di azioni privilegiate quotate
in azioni ordinarie non quotate; A. DACCÒ, Il recesso nelle s.p.a.,
in Le nuove s.p.a. diretto da O. CAGNASSO-L. PANZANI, Bologna,
2010, II, 1419, che ritiene ricomprese tutte quelle delibere che
«provocano» l'esclusione dalla quotazione; ID., Il recesso nelle
società con azioni quotate da esigenze dei mercati finanziari ed
esigenze dell'attività imprenditoriale, in Società, banche e crisi
d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014,
1361; ID., sub art. 2437 quinquies, cit.; L. DE ANGELIS, La perdita della quotazione in borsa: tutela dei soci e diritto di recesso,
in Società, 1996, 756 ss., spec. 758, che prende in considerazione
l'ipotesi di conversione obbligatoria; D. GALLETTI, in A. MAFFEI
ALBERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005,
II, sub art. 2437 quinquies, 1625 ss., spec. 1626, che parla di una
«qualsiasi operazione che comunque determini la revoca della
quotazione, secondo un criterio di pura causalità eziologica»; A.
GUACCERO, Interesse al valore per l'azionista e interesse della
società. Le offerte pubbliche in Italia e negli Usa, Milano, 2007,
171, che ipotizza una delibera di modifica dell'oggetto sociale;
G. MARASÀ, in Commentario romano al nuovo diritto delle società diretto da F. D'ALESSANDRO, Padova, 2011, II, 2, sub art.
2437-2437 quinquies, 787, che ritiene rientrare nella fattispecie
una delibera di acquisto di azioni proprie che faccia scendere il
flottante sotto il minimo consentito; A. PACIELLO, in Società di
capitali. Commentario diretto da G. NICCOLINI-A. STAGNO
D'ALCONTRES, Napoli, 2004, sub art. 2437 quinquies, 1140 ss.;
F. VELLA-V. CORRENTE, La quotazione, cit., 1086, nota 115, che
ritengono doversi guardare all'effetto della deliberazione e non
al suo specifico contenuto. Diversamente, nel senso della decisione riportata, M. VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, 30, nota 69, a
giudizio del quale il campo di applicazione del rimedio è limitato
alle sole delibere che prevedano il delisting come effetto immeIL FORO ITALIANO — 2021.
3720
diato e diretto. Per l'ipotesi in cui il delisting sia raggiunto esclusivamente tramite un'operazione di mercato (Opa seguita da sell
out o squeeze out ex art. 108 e 111 t.u.f.), in cui è strutturalmente
assente una deliberazione legittimante (in via diretta o mediata)
il recesso, v. A. CAPIZZI, Operazioni straordinarie e tutela degli
investitori: il caso della pressure to tender, in Giur. comm.,
2014, II, 96 ss., spec. 103.
L'operazione posta in essere nel caso di specie dall'emittente,
volta ad estromettere una minoranza secondo vari schemi (aumenti di capitale, conversioni forzose, Opa), è definita nella
prassi statunitense come di freeze-out, e spesso suscita problemi
di «coercitività», nel senso che i soci di minoranza sono portati
ad aderire a offerte di acquisto o di liquidazione della loro partecipazione che, pur non essendo rappresentative dell'intero valore
(soprattutto prospettico) in essa insito, sono in valore assoluto di
importo superiore rispetto a quello che otterrebbero se non accettassero. Nel caso di specie il tasso di coercitività era ancor maggiore, dato che, stando alla ricostruzione del fatto, l'emittente non
si era obbligata ad acquistare i resti. Vedi, sul punto, CAPIZZI,
Conversione, cit.; ID., Operazioni, cit., ove ulteriori riferimenti.
Pur non essendo stato il profilo oggetto di discussione nel caso
in esame, almeno a quanto emerge dal provvedimento in rassegna, si rammenta che in caso di esclusione dalle negoziazioni
delle azioni di risparmio l'art. 145, 2° comma, t.u.f. richiede che
l'atto costitutivo, tra le altre cose, determini «i diritti spettanti
agli azionisti di risparmio in caso di esclusione alle negoziazioni
delle azioni ordinarie e di risparmio», che spesso consistono proprio nella facoltà di conversione. Vedi, sul punto, Trib. Roma 7
luglio 2011, cit. In dottrina, per i rapporti tra «ulteriori diritti» ex
art. 145, 2° comma, t.u.f. e recesso ex art. 2437 quinquies c.c., v.
A. ABU AWWAD, in Le società per azioni, cit., sub art. 145, 4140
ss., spec. 4149; A. CAPIZZI, Delisting a seguito di Opa residuale
e inadempimento dell'obbligo di conversione di warrants (nota a
Cass. 7 maggio 2010, n. 11125, Foro it., 2011, I, 181), in Giur.
comm., 2011, II, 1299, spec. 1306, nota 7, e 1329, note 117-119;
ID., Conversione obbligatoria, cit., 307 ss.; C.F. GIAMPAOLINO,
in M. FRATINI-G. GASPARRI (a cura di), Il testo unico della finanza, Torino, 2012, II, sub art. 145, 1895 ss., spec. 1916, e nota
82, per esempi tratti dagli statuti.
(5) Non constano precedenti in termini.
Contra, v. C. COSTA, Il rappresentante comune degli azionisti
di risparmio, Milano, 1984, 88, nota 35, nel senso che la partecipazione all'assemblea del rappresentante comune degli azionisti
di risparmio non può essere limitata a un ruolo meramente passivo, ma deve includere anche la possibilità di svolgere interventi
nella discussione, adeguatamente verbalizzati, e di porre domande agli amministratori in merito alla gestione sociale, contribuendo così alla formazione della volontà sociale; analogamente,
C.F. GIAMPAOLINO, in M. FRATINI-G. GASPARRI (a cura di), Il
testo unico della finanza, Torino, 2012, II, sub art. 147, 1927 ss.,
spec. 1930; P.F. MONDINI, in Le società per azioni, cit., sub art.
147, 4174 ss., spec. 4185, il quale aggiunge che a tale conclusione, nel più ampio quadro della disciplina di trasparenza delle società quotate, non potrebbe opporsi un ipotetico diritto della società alla riservatezza.
Anche l'art. 2418 c.c. stabilisce che il rappresentante comune
degli obbligazionisti «ha il diritto di assistere all'assemblea dei
soci». A fronte di un orientamento che fa leva sull'interpretazione letterale per negare che la norma consenta anche un diritto
d'intervento (App. Milano 17 novembre 1998, Foro it., Rep.
1999, voce Società, n. 945), la maggior parte degli interpreti è
nel senso di ritenerlo ammissibile (v. la ricognizione in M.C. DI
MARTINO, in Le società per azioni, cit., sub art. 2418, 2098 ss.,
spec. 2101). [A. CAPIZZI]
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