MELCHIORRE TRIGILIA
I FLAGELLANTI
I FLAGELLANTI DEL GIOVEDÌ SANTO A ISPICA
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MELCHIORRE TRIGILIA
I FLAGELLANTI
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FLAGELLANTI
Con la denominazione di Flagellanti o Battuti, Frustati, Disciplinati, sono designate
le sette religiose di chierici e laici, diffuse in Italia ed altri Paesi europei dal Sec. XIII
al XV, caratterizzate da un’intensa mortificazione del corpo mediante forti e continui
colpi di frusta o flagello eseguiti pubblicamente, in forme penitenziali, dette
“disciplina”. Ampliandosi questi gruppi, in manifestazioni e pellegrinaggi, diedero
luogo a movimenti di masse ingenti che si diffusero in terre e contrade d’Italia e di
Europa.
LE ORIGINI
Le origini della pratica penitenziale della flagellazione si riporta alle penitenze e
mortificazioni praticate dai monaci sin dai primi secoli del cristianesimo e continuate,
ma in forme regolate e temperate nei secoli seguenti fino ai nostri giorni. Secondo
l’ascetica e mistica cristiana, la mortificazione volontaria, mediante disciplina con
flagelli, cilici, catenelle, digiuni ed altre austerità è più perfetta della semplice
accettazione passiva delle croci che Dio ci manda ed è stata praticata da tutti i santi,
in scala maggiore o minore, secondo le proprie forze e condizioni di vita. Le
penitenze sono utili e preziose per espiare i peccati, sottomettere la carne allo spirito;
distaccano dagli affetti e passioni terrene, purificano l’animo e lo santificano,
rendono simili al Signore Gesù, specie nella sua crudele flagellazione e passione.
Questo è l’insegnamento di S. Paolo con il suo l’esempio e la sua parola, che è parola
di Dio, fatta propria dai più grandi mistici, Santa Teresa e S. Giovanni della Croce:
“Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, perché non avvenga che mentre predico
agli altri io diventi reprobo”(1 Cor. 9,27); “Per me non c’è altra gloria se non nella
croce del Signore Nostro Gesù Cristo...”(Gal. 6, 14). E per gli altri cristiani: “Quelli
che veramente sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le
concupiscenze”( Gal. 5,24).
“Il corpo suole ferire e rovinare chi è schiavo dei piaceri”, scrive Esichio (sec. V),
“perciò bisogna colpirlo duramente sul dorso con flagelli e pugni, come un servo
infingardo”. S. Benedetto prescrive la disciplina corporale nella sua regola ma per
punire i monaci ribelli e colpevoli (cap. 2, 28,30). Nel sec. XI S. Pier Damiani,
Dottore della Chiesa, e S. Domenico Corazzato, suo discepolo difesero questa usanza
nei monasteri e se ne fecero propagatori (v. De Laude Flagellorum, PL 145, 679686); pratica adottata anche dai Camaldolesi e dai Benedettini di Monte Cassino.
Anche nel monastero di Cluny, Pietro il Venerabile (1145 ca.) dispose che i suoi
monaci durante la notte colpissero il corpo con flagelli per accrescere i meriti con la
penitenza. E San Francesco, che piangeva pubblicamente a calde lacrime la passione
del Signore, mentre ai frati diceva che “si deve provvedere a frate corpo con
discrezione”, “soggiogava il suo corpo, assolutamente innocente, con flagelli e
privazioni e gli moltiplicava le percosse”. Eppure, malgrado, anzi grazie a questi
flagelli, “il calore dello spirito aveva talmente affinato il corpo, che come l’anima
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aveva sete di Dio, così ne era sitibonda in molteplici modi anche la sua carne”
(Celano, Vita seconda, cap. XCII). La disciplina con flagelli, ma in modo moderato,
viene ammessa nelle costituzioni dei Domenicani e dei Francescani, e dei loro terzi
ordini secolari.
I santi, come S. Ilarione, vissuto a Cava d’Ispica e S. Francesco, hanno sottomesso
la carne allo spirito coi rigori della penitenza (cfr. S. Paolo, Gal. 5, 24), proprio come
si tratta un asino: “Foraggio, bastone e pesi per l’asino; pane, disciplina e lavoro per il
servo [il corpo]” (Sir. 33, 25). Alcuni però, spinti da eccessivo zelo, per non farlo
recalcitrare, lo hanno frustato e caricato oltre misura, rischiando di renderlo inabile.
In queste severe penitenze però la debolezza dell’umana natura era sostenuta dalla
grazia di Dio, secondo quelle parole di S. Paolo: “Il Signore mi ha detto: ti basta la
mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta nella debolezza: Mi vanterò quindi
delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo... Quando sono debole
è allora che sono forte” (2Cor. 12, 9-10).
Certo in queste asprezze i santi penitenti sono al più da ammirare e non da imitare;
ma insegnano ai comuni cristiani a “non vivere in mezzo a gozzoviglie ed
ubriachezze, non fra impurità e licenze, e a non seguire la carne nelle sue passioni e
desideri” (Rom. 13, 13-14). Riguardo all’aspetto morale delle pratiche penitenziali,
perché siano virtuose, bisogna regolarle secondo la retta ragione e la scienza (cfr. 2
Pietr. 1, 5-6), come insegna il sommo S. Tommaso coi suoi consigli pieni di sapienza,
prudenza e temperanza (S. Th. 2,2 q. 146-147).
NEL SEC. XIII
Al grande movimento dei Flagellanti, diede inizio l’eremita Fra Raniero Fasani a
Perugia nel 1260. Vestito di sacco, cinto di fune e con una disciplina di corregge in
mano, con la predicazione e l’esempio mosse il popolo a disciplinarsi pubblicamente
formando una numerosa Compagnia, detta dei Disciplinati di Cristo, ben presto dalla
città si estese nelle campagne e nelle regioni circonvicine: Imola, Bologna, Modena,
Reggio, Parma, Piacenza, Tortona, Genova, Aquileia e poi in tutto il Friuli. Gli
uomini si flagellavano in pubblico di giorno, altrettanto facevano di notte le donne
nelle loro case o nelle chiese.
Dall’Umbria il movimento si estese e subito si diffuse nella Toscana, in Liguria, nel
Veneto per penetrare poi in Francia, Austria e Germania, con punte estreme nelle
Fiandre e in Polonia.
Interessante è la descrizione che fa un monaco padovano del tempo di queste
processioni. “Nobili e plebei, vecchi e giovani, a due a due, scalzi andavano in
processione preceduti dai gonfaloni e da Cappellani con la croce, piangendo e
flagellandosi a sangue le spalle; di giorno e di notte e anche nel più freddo inverno.
Cento, mille, diecimila giravano per le città portando la pace fra le fazioni dei Guelfi
e dei Ghibellini, invitando tutti a pentirsi dei propri peccati e facendo restituire agli
usurai e ai ladri quanto avevano mal sottratto”. La flagellazione avveniva di regola
due volte al giorno e una volta la notte per 33 giorni. A torso nudo i flagellanti si
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battevano in circolo, mentre il capo intonava un cantico, ripreso in coro dagli altri.
Talora però avvenivano disordini e abusi, oltre alla gran confusione; inoltre poiché il
moto predicava anche l’abbandono delle contese dei partiti e la pacificazione delle
città, divenne poco accetto ai governanti ghibellini; Manfredi le proibì in Sicilia e
Uberto Pallavicino minacciò la forca ai Flagellanti che muovevano verso il
Piacentino. Anche la Chiesa era preoccupata perché alcuni gruppi di Flagellanti
credevano che la flagellazione senza i sacerdoti e i sacramenti della Chiesa poteva
dare il perdono dei peccati e la salvezza; inoltre nel movimento si infiltravano influssi
delle vecchie e nuove eresie.
SEC. XIV
Una vivace ripresa si ebbe nella prima metà del sec. XIV in tutta Europa e anche in
Italia. Ma questa volta i pellegrinaggi erano guidati da sacerdoti e si svolgevano
secondo norme precise. Nel 1333 il Beato Vittorino da Bergamo condusse a Roma un
pellegrinaggio di flagellanti, ordinandolo secondo lo schema penitenziale.
Invece durante la peste nera che devastò l’Europa negli anni 1348-50 ci furono
irregolarità e disordini e per questo il Papa Clemente VI, che era ad Avignone,
intervenne il 20 ottobre 1349. Ma questi gruppi di flagellanti furono condannati dal
Pontefice a motivo delle dottrine eretiche che essi propagavano e non perché
praticavano la flagellazione. Invero il suo abuso può presentare gravi inconvenienti,
di cui la storia dei Flagellanti porta le testimonianze; resta comunque vero che il suo
uso moderato e controllato è stato approvato e lodato dalla Chiesa e praticato da
grandi Santi.
LA LETTERA DI PAPA CLEMENTE VI
La lettera di Papa Clemente VI, Inter sollecitudines, indirizzata ai vescovi di
Francia, Germania, Svizzera, Polonia, dichiara: “In alcune regioni del Regno di
Germania e dei paesi vicini, sotto pretesto di praticare la devozione e la penitenza, ma
invero sotto l’ispirazione del Maligno, autore di tutti i mali, una sorta di religione
vana e di invenzione superstiziosa, per la quale un gran numero di uomini semplici
hanno cominciato a vilipendere il potere della Chiesa e la disciplina ecclesiastica,
commettendo degli atti del tutto estranei alla vita, ai costumi e all’osservanza dei
fedeli. I regolamenti e statuti che essi hanno abusivamente e temerariamente adottato,
non sono affatto esenti da errori e si oppongono alla ragione. Più grave è il fatto che
alcuni religiosi, specialmente dell’Ordine dei Mendicanti, che avrebbero dovuto
distogliere gli altri e ricondurli nel cammino della verità, si servono della loro parola
per condurli nell’errore”. Perciò il Papa ordina ai vescovi di dichiarare che la Santa
Sede considera queste associazioni e le loro pratiche come illecite e commina loro
una proibizione perpetua. “In conseguenza a tutti i chierici, sia regolari che secolari e
a tutti i laici ingiungiamo di evitare e condannare totalmente queste associazioni e di
non entrare in queste sette, né di osservare i loro riti, sotto pena di censure
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ecclesiastiche. Quanto ai religiosi poi, devono rifuggire da queste pratiche così
inique, se non per l’amore di Dio, almeno per la confusione umana. Ma se persistono,
saranno incarcerati , facendo ricorso, se necessario, al braccio secolare.”
Papa Clemente aggiunge però una precisazione importante, distinguendo quello che
l’uso della flagellazione può avere di bene e lodevole. “ Noi però affermiamo che non
intendiamo affatto interdire ai fedeli né la pratica della penitenza, sia se è stata loro
prescritta, sia se è spontanea, nelle loro case in privato o fuori in pubblico – eccetto
che nelle associazioni, società e gruppi summentovati – a condizione che sia animata
da retta intenzione e da una devozione sincera; né l’esercizio di atti meritori di virtù
per servire il Signore con devozione ed in spirito di umiltà, secondo quello che Egli
stesso avrà ispirato” (Mansi, t. 25, coll. 1153-55).
ASPETTI POSITIVI DEL MOTO DEI FLAGELLANTI NEI SECC. XIII - XV
In Italia il comportamento delle diverse compagnie dei Flagellanti fu in genere
regolato secondo le norme stabilite dalla Chiesa e sotto la protezione e la guida dei
maggiori Ordini Mendicanti, Francescani e Domenicani (ben diversi da quelli
condannati da Papa Clemente); e questo fatto contribuì a tenerle lontane da
infiltrazioni eretiche. con l’eccezione, agli inizi, di qualche manifestazione di
fanatismo anche per influsso di elementi della predicazione di Gioacchino da Fiore,
che annunziava l’avvento della terza era dello Spirito Santo.
Furono queste Compagnie Penitenziali che per prime presero i tre elementi
distintivi delle moderne Confraternite: l’insegna, il vessillo e la veste. Questa
consisteva in un lungo abito di lino a colori diversi, con un cappuccio che talora
copriva la faccia, lasciando solo due fori davanti agli occhi.
Il Movimento dei Flagellanti nei secc. XIII-XV apportò notevoli benefici alla
Chiesa e alla società civile: la confessione severa della penitenza si accompagnava al
bene da restaurare: la pace, l’ordine, l’armonia, il superamento delle lotte e delle
fazioni, la vittoria sul male e sul peccato attraverso la professione di fede e l’impegno
alle opere di carità; ci fu miglioramento dei costumi, pacificazione negli animi,
ritorno di esuli, restituzione del mal tolto.
I membri delle C. provenivano in genere dalle varie classi sociali: nobili,
professionisti, artigiani, contadini, operai. La fede e l’amore per Dio e i fratelli faceva
superare le barriere sociali e legava i membri col vincolo dell’unità. Talora potevano
appartenere allo stesso mestiere; ma anche in questo caso si distinguevano dalle
Associazioni di Arti e Mestieri, che avevano solo uno scopo socio-economico. Erano
perciò laici nella massima parte, si radunavano nelle loro chiese o cappelle o nelle vie
per cantare le loro lodi e attendere agli esercizi di pietà ed opere di carità ed
elemosina ai bisognosi; visitare infermi e carcerati, accompagnare e suffragare i
defunti; ed anche per profondere lasciti e rendite di beni per queste opere di
misericordia. I membri delle C. provenivano in genere dalle varie classi sociali:
nobili, professionisti, artigiani, contadini, operai. La fede e l’amore per Dio e i fratelli
faceva superare le barriere sociali e legava i membri col vincolo dell’unità. Invero
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talora potevano appartenere allo stesso mestiere; ma anche in questo caso si
distinguevano dalle Associazioni di Arti e Mestieri, che avevano solo uno scopo
socio-economico. Si può ben affermare che tali sodalizi diedero un valido contributo
per ridestare la religione quando stava affievolendosi e apportarono un gran bene alla
società, fondendo le varie classi, affratellando gli uomini per la tutela e l’aiuto
reciproco, promuovendo opere di carità e assistenza per i poveri, ammalati, pellegrini
e forestieri e anche per i carcerati. Essi furono certamente un tramite importantissimo
della beneficenza in quei secoli.
Speciale importanza ebbero gli ospedali fondati e diretti da esse in varie città
d’Italia, alcuni dei quali sussistono ancora e portano nel loro stemma le discipline”.
Le più importanti furono quella del Gonfalone e quella del SS.mo Sacramento a
Roma. A Siena fu affidato alla cura dei Disciplinati il celebre ospedale di S. Maria
della Scala.
I PELLEGRINAGGI DEL SEC. XV
Malgrado il divieto pontificio e le condanne di principi e re, il movimento non si
estinse né nel mondo cattolico né in quello eterodosso. In Italia ci furono altri
pellegrinaggi nel 1379 e 1392. Ma quello più importante, che fu approvato dal Papa,
si svolse nell’anno giubilare del 1400. Ne abbiamo testimonianza nelle cronache del
Senese Giovanni Sercambi e del fiorentino S. Antonino. Fu un giubileo speciale
perché preceduto dal caratteristico moto dei Bianchi. La Confraternita dei Bianchi
Battuti, sorta probabilmente nella Provenza, in Italia fece la prima comparsa pubblica
a Chieri, nei primi mesi del 1399. Popolani d’ambo i sessi, coperti di mantelli e
cappucci bianchi, vanno in piazza, pregando ad alta voce, percuotendosi a sangue con
flagelli e gridando: “Pace e misericordia”.
La Chiesa, la società e gli Stati d’Italia erano lacerati da discordie e da guerre
incessanti, che rendevano intollerabile l’umana convivenza. Generale era il desiderio
di pace, perciò le popolazioni assecondarono l’opera pacificatrice dei Bianchi. Questi
aumentavano di numero a mano a mano che procedevano di città in città. Il fervore e
l’entusiasmo religioso si destavano al loro passaggio; dovunque avvenivano scene
edificanti di riconciliazione di famiglie e di città: Come per incanto cessavano le
ostilità e tutti si abbracciavano fraternamente.
Parteciparono al moto anche principi e vescovo. A Genova l’arcivescovi Freschi,
vecchio e pieno di acciacchi, cavalcando un cavallo con la gualdrappa bianca, si
associò alla processione dei penitenti, che sommavano già a 3000. Dappertutto
sorgevano entusiaste guide dei Flagellanti. A Venezia il Beato Giovanni Dominaci, a
Ferrara il Marchese Nicolò D’Este, a Padova Francesco Carrara, a Rimini Carlo
Malatesta e Carlo Gonzaga. Per vie diversi e in vari sensi, procedevano per le regioni
d’Italia le colonne dei Bianchi, e per le grandi vie maestre, la massa dei pellegrini si
avviava verso Roma. Le prime colonne vi giungevano alla metà di settembre.
Bonifacio IX, dapprima prudentemente dubbioso di quella novità, quando ebbe
constatato lo spirito di sincera pietà che animava i pellegrini, prese a favorirli in ogni
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modo. Anche i Romani si vestivano di bianco e sulle pubbliche vie si flagellavano.
Secondo il Sercambi, a Roma erano convenuti 120000 pellegrini dei quali 20000
tedeschi. Principi e Cardinali di Roma, a piedi scalzi, si misero a seguire la croce che
i Bianchi inalberavano. Il Pontefice, tenerissimamente commosso da quelle
dimostrazioni, li benediceva con effusione di cuore e largheggiava nel concedere loro
indulgenze, fino a quella plenaria dell’anno santo.
Il Sercambi ci ha tramandato anche saggi delle laudi sacre che i Bianchi andavano
cantando:
Misericordia eterno Dio
Pace pace Signor pio.
Non guardare il nostro errore.
Misericordia andiam gridando,
Misericordia non sia in bando.
Misericordia Iddio chiamando
Misericordia al peccatore.
Misericordia Iddio verace
Misericordia manda pace,
Misericordia se ti piace.
Misericordia alto Signore.
O dolce Vergine Maria,
Di noi guardia e compagnia,
Preghiam che in piacer ti sia
Che preghi per noi il Salvatore,
Lo tuo Figliuolo somma potenza,
Quando sei con Lui in presenza,
Che revochi tal sentenza.
Pregal, Madre, pel tuo amore.
In Aragona nel 1399 San Vincenzo Ferreri permise e favorì le flagellazioni
pubbliche, regolate e guidate da sacerdoti; processioni che nel 1416, nei momenti
critici dello scisma e della guerra dei 100 anni, furono particolarmente frequenti ed
importanti. Lo stesso avviene in Italia ad opera del Beato Giovanni Dominici e San
Bernardino da Siena.
Anche nelle cd. Compagnie del Divino Amore, fondate alla fine del 1400 a Genova,
Roma, Vicenza, Venezia e Napoli, la disciplina fu in uso secondo il modo stabilito
dalle autorità ecclesiastiche.
IL SEC. XVI
Nel 1500, mentre in alcuni paesi europei le Compagnie dei Flagellanti si staccarono
dalla Chiesa Cattolica per seguire i Riformatori, in Italia San Carlo Borromeo,
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seguendo le direttive del Concilio di Trento, nel secondo concilio provinciale di
Milano del 1568 stabiliva: 1) Il Vescovo visiterà tutte le società “dette dei
Flagellanti” e, se necessario, correggerà tutte le loro costituzioni, meditazioni e
preghiere. 2) Tutti i Confrati dovranno partecipare alle processioni abituali, in cui si
flagellano con pietà. 3) Le loro regole dovranno essere approvate dal vescovo e
adattate alle esigenze del tempo presente, ma tenendo conto della tradizione. 4) Se
questo non sarà possibile queste associazioni saranno soppresse. San Carlo dava per
primo l’esempio, usando la disciplina in privato, perché le sue disposizioni non
restassero lettera morta. E nel 1572 fece approvare da Papa Gregorio XIII le regole
di una Confraternita di Disciplinati da lui fondata, simile a quella del Divino Amore.
Queste regole , sapienti e prudenti, erano conformi alle direttive della Chiesa,
all’esempio e all’insegnamento dei santi e all’ascetica cristiana. Vi è detto: Di tutte le
Confraternite della nostra diocesi, quella dei Disciplinati è certamente la più devota e
la più esemplare, perché vi si esercita la disciplina della milizia cristiana, che consiste
nell’imitazione della Vita di Cristo, mostrando il vero cammino della bontà, che è
quello di fuggire le delizie del mondo, di sottomettere la carne allo spirito e di
soddisfare per i peccati con salutare esercizi di penitenza e di mortificazione.... Tutti
useranno le stesse discipline fatte con verghe simili a quelle con le quali il Signore
stesso legato alla colonna fu flagellato per le nostre iniquità; essi si mostreranno
pronti ed energici nel flagellarsi non solamente per i loro peccati ma anche per quelli
del mondo intero..
La flagellazione sarà fatta tutte le domeniche durante l’Avvento e la settuagesima, il
giovedì santo e certi giorni, come quelli del Carnevale, in cui Dio è più
particolarmente offeso. E inoltre nelle processioni generali.
La disciplina si fa in ginocchio nel tempo di un Miserere, dopo che il sacerdote avrà
letto il Vangelo della Passione di Cristo”.
Nello stesso secolo XVI, Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di
Gesù, nei suoi Esercizi Spirituali, consiglia di praticare la disciplina, senza
nominarla. “Bisogna colpire il corpo” egli dice, “cioè infliggere un dolore sensibile,
ma senza penetrare nelle ossa, in modo da causare dolore ma non malattia”.
S. Francesco di Sales (1567-1622) nella sua Filotea, è più prudente e moderato:
“La disciplina”, egli scrive, “è un meraviglioso mezzo per risvegliare il desiderio
della devozione, ma se usato con moderazione; in ogni caso non bisogna
intraprendere austerità corporali senza il permesso del direttore spirituale.
Ma nei secc. XVII e XVIII la disciplina non è più usata nelle Confraternite e anche
le processioni penitenziali, in particolare nel Venerdì Santo sono in genere
abbandonate, per timore che degenerassero in pericolose esaltazioni.
Nei nostri tempi la disciplina, negli ordini e congregazioni religiose, ha perduto il
suo carattere di punizione del corpo e, se ancora rimane negli statuti (è praticata
anche dai membri dell’ Opus Dei) è inflitta in modo molto lieve e simbolico, come un
esercizio ascetico e un mezzo per testimoniare il dominio dello spirito sulla carne e
l’amore a Dio.
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L’INFLUSSO NEL CAMPO LETTERARIO
Non va trascurato l’influsso che le C. ebbero nel campo letterario. Nel XIII e XIV
sec. vengono composte molte poesie liriche dette Laudi, in latino e soprattutto in
volgare, che si recitavano o cantavano durante le processioni, nelle feste e negli uffici
di disciplina, nei riti per il ricevimento dei Novizi e nei funerali dei soci. I canti
durante la flagellazione volevano dimostrare che il dolore della sferza era dolce
perché a gloria di Dio e in espiazione dei propri e degli altrui peccati. In chiesa i
Confrati si recavano nella propria cappella, davanti all’immagine di Gesù, della
Madonna e dei Santi protettori e, a candele accese, intonavano in coro le laudi, talora
inframezzate dal ritornello o dialogate. Il canto collettivo divenne poi obbligatorio e
questo fece sì che ogni Compagnia si provvedesse di un suo laudario. Più tardi si
aggiunsero le Laudi drammatiche e le Devozioni che spiegavano al popolo la predica
del sacerdote. Dal XV sec. in poi la lauda non fu più soltanto cantata e declamata e
diventò propriamente drammatica e per essere eseguita aveva bisogno di attori, vesti,
attrezzi e meccanismi scenici. Questa evoluzione diede origine alle Sacre
Rappresentazioni su argomenti tratti dalla Bibbia e dalle Vite dei Santi, fatte
all’aperto e assai realistiche. Una ne compose anche Lorenzo il Magnifico. Il dramma
preferito fu la Passione del Signore; famose quelle della notte del Venerdì Santo al
Colosseo dell’Arciconfraternita del Gonfalone. In un inventario della Confraternita
dei Disciplinati di San Domenico in Perugia si legge: Doie veste nere de zendado
nero da Angnole e una camicia dal Signore del Venerdì Santo e una veste nera da
Madonna e tre berrette, l’una bigia, l’altra bianca, l’altra gialla, ciascuna con le
capeglie e doie barbe de pelo, l’una biancaccia e l’altra nero e uno mantello bianco
da devozione per sancto Giovangne de panno de lana e XIIII mantiglie da Apostoglie
e uno mantoda Giudeo vecchio e doie paia d’ale fornite da Angnole e una tonacella
per Cristo e lo stropiccio e la cacioppa chollo velo e la faccia del Demonio e la
palomba e una stella dei Magie e una croce e colonna de la devozione.
Ancora oggi questi drammi sacri vengono rappresentati in varie città e paesi del
mondo cristiano.
LA FLAGELLAZIONE NELL’ANTICHITA’
La F., come mezzo di punizione fu molto usato nell’antico Egitto e nell’Assiria con
gli operai addetti alle opere di costruzione. Passò in Grecia con gli schiavi rematori e
portatori di pesi. A Sparta i giovani, anche di famiglie distinte, andavano fieri di
sopportare i colpi delle verghe e dei flagelli senza mandare un lamento. A Roma
diventò molto comune, come provano le mansioni degli schiavi che la infliggevano
(flagriones, verberones, lorari ecc.) e dai cenni che ne fanno alcuni autori (Ciceronio,
Svetonio, Orazio, Giovenale, Prudenzio). Lo strumento usato era il flagrum o
flagellum e per gli schiavi il supplizio era orribile e atroce, senza limite di colpi e
spesso causava la morte del condannato. Anche la Legge mosaica prescriveva la
flagellazione (Deut. 25,2); il numero dei colpi variava secondo la gravità del delitto,
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ma mai doveva superare i quaranta.
Per i cristiani di ogni tempo, il pensiero della F. richiama il supplizio inflitto a Gesù
da Pilato, come mezzo per sottrarlo alla morte (Mt.27,26; Mc. 15,15; Gv. 19,1).
Certamente la pena inflitta al Signore fu quella riservata agli schiavi, senza alcuna
limitazione di colpi.
LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO
Gesù predice la sua F. e passione, che affronta volontariamente e non costretto, per
obbedire al Padre; e la predice pure per i suoi Apostoli, i quali, infatti la subirono per
ordine del Sinedrio. Anche S. Paolo dichiara di averla subita cinque volte da parte dei
suoi connazionali israeliti.
Il Flagello Romano
Abbiamo numerose testimonianze relative a questi flagelli negli scrittori latini e
qualcuno, usato contro i martiri cristiani, è stato rinvenuto nelle catacombe romane.
Tenuto conto che il flagello aveva in genere tre fruste con due piombini ciascuna
detti taxilli, nella Sindone sono state contate 40 frustate anteriori e 80 posteriori, dal
tronco fino alle caviglie, e ca. 660 ferite dei taxilli!
Ministri della Flagellazione erano due “lictores”, che portavano i “fasci”o flagelli, i
quali erano simbolo e strumento di giustizia punitiva. Mentre secondo la legge
giudaica (Deut. 25,2-3; II Cor. 11,24) non si dovevano superare le 40 frustate, e se ne
davano al massimo 39, per i Romani non era prescritto alcun limite.
Fu rivelato a S. Brigida di Svezia (1303-73) che Cristo si spogliò da sé delle vesti e
abbracciando spontaneamente la colonna, vi fu legato; i flagelli non solo colpivano
ma solcavano e laceravano tutto il suo corpo, il sangue sgorgava a rivi e si vedevano
le costole scoperte”.
Queste rivelazioni ebbero certamente grande influsso sulle Confraternite dei
Flagellanti.
LA FLAGELLAZIONE NELLA TRADIZIONE POPOLARE.
In alcune località delle regioni italiane, specialmente in Calabria e Sicilia,
sopravvivono ancora le antiche Compagnie dei Flagellanti o Battuti, e rimane l’uso,
tra i fedeli animati da più caldo fervore religioso di battersi con fruste, specialmente
durante la Settimana Santa. Invero queste manifestazioni fanno parte più del folclore
che della pietà religiosa. Anche in altre regioni del mondo cristiano si svolgono
queste flagellazioni pubbliche, con lievi ferite e sangue (Spagna, America latina,
Filippine).
A Nocera Torinese, in Calabria, il Giovedì Santo si svolge il rito della F., con la
partecipazione di numerosi devoti, che si percuotono non le spalle ma le gambe.
Simile processione penitenziale, accompagnata da canti sacri l’abbiamo avuto
anche nel nostro paese di Ispica, unico in provincia, introdotta chi sa quando e da chi,
ma certo diversi secoli fa e durata fino alla fine del 1800. Probabilmente fu introdotta
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nel sec. XIII o XIV, al tempo delle prime Confraternite dei Flagellanti, quando forse
il Cristo Crocifisso della Chiesa della Cava fu mutato in Cristo Flagellato alla
Colonna.
Secondo lo studioso calabrese Antonio Basile (in Folclore di Calabria, IV, 1959) il
rito di Nocera Torinese avrebbe le sue origini negli antichi riti misterici di Osiride,
Adone e Attis, in onore dei quali i fedeli si flagellavano a sangue per propiziare la
fecondità della terra, in relazione alla morte e resurrezione del Dio.
Questa ipotesi viene ora riproposta da L. Blanco (Il Dies Sanguinis, in “Le Muse di
Ispica”, Anno 1 n. 0, maggio 2013), in relazione alla processione dei Flagellanti di
Ispica.
Secondo il mito, Adone, il bellissimo giovane amato da Afrodite, viene ucciso da un
cinghiale. Della sua resurrezione favoleggiò qualche tardo scrittore. Secondo Claudio
Claudiano (Inni Orfici, secc.IV-V), Afrodite scese nell’Ade e ottenne che Adone fosse
riportato alla luce per metà o due terzi dell’anno.
Il culto di Attis ebbe origine in Anatolia, da dove passò in Frigia, Grecia e Roma.
Questo mito si fonde con quello della Gran Madre Cibele e di Zeus giovinetto, figlio
ed amante della Dea, che muore e rinasce. Attis, come Adone è una divinità della
vegetazione, che muore nel periodo invernale e rinasce nel periodo primaverileestivo, con la ripresa della vita vegetativa.
Nel mito egiziano di Osiride c’è solo un cenno alla sua rinascita. La sua sposa,
Iside, trova le membra disperse del marito e le fa rivivere; o secondo una variante,
reca a terra il suo corpo gettato in mare (si vedano i relativi articoli nell’Enc. It.).
Del culto di questi dei e dei devoti che si flagellavano in loro onore, divinità
inventate dalla fantasia dei popoli antichi, parlano oltre agli autori classici pagani
greci e latini, anche alcuni autori cristiani dei primi secoli: Tertulliano, Clemente
Alessandrino, Firmico Materno, Arnobio (vedi le singole voci in E.I.T.), ma solo per
irridere e condannare questi falsi culti idolatrici e i loro riti (come dice il titolo
dell’opera di Firmico, De errore prophanarum religionum). Furono anche condannati
da imperatori e Papi e abbattuti dalla nuova fede in Cristo, vero uomo e vero Dio, che
con la sua vera passione, morte e resurrezione ha redento l’umanità. Il richiamo ai
culti pagani per i Cristiani era non solo irriverente, ma sacrilego e blasfemo.
Perciò nella flagellazione cristiana non c’è né ci può essere alcun legame e ricordo
di questi falsi miti, ma solo della Flagellazione e passione di Gesù Cristo, come
confermano tutte le fonti cristiane di tutti i secoli. D’altronde le flagellazioni
pubbliche cristiane iniziano più di mille anni dopo il periodo greco-romano, quando
ormai non c’era più nemmeno il ricordo dei culti pagani. Inoltre, non c’è traccia di
questi culti in Sicilia nel periodo greco-romano, né di sopravvivenza di essi in
periodo paleocristiano. Infatti fra le numerose (presunte e inventate dalla fantasia
erudita degli studiosi, - Pitrè, Ciaceri, Lo Presti ed altri - ma in gran parte “assai
dubbie” (Biagio Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, vol. IV, p. 77, Roma 1949),
identificazioni e sopravvivenze di divinità e culti pagani in Sicilia, non c’è cenno a
questi culti di Iside, Adone e Attis, con le flagellazioni e la mitica rinascita.
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LA PROCESSIONE DEI FLAGELLANTI A ISPICA
Nel 2013, è stata ripresa la processione dei Flagellanti durante la Settimana Santa,
che era stata proibita 140 anni fa nel 1873, perché “la crudele costumanza dei
penitenti che a dorso nudo si percuotevano a sangue offendeva il sentimento civile
del pubblico”. L’iniziativa e l’organizzazione è stata della Confraternita di S. Maria
Maggiore, alla quale lo scrivente ha dato il suo contributo storico-sacro. I flagellanti,
in abito bianco, volto coperto, corona di spine in capo, piedi nudi e flagelli in mano
con cui davano lievi colpi alle spalle, assieme ai confrati coi loro abiti, in lunga
processione, hanno preceduto il Cristo alla Colonna, la notte del Giovedì Santo, dalla
Chiesa di S. Maria di Gesù lungo la via Roma, illuminata, in modo suggestivo, come
nell’Ottocento, con lampade ad olio e cera. Se la sacra processione si svolgerà anche
l’anno prossimo, potrà essere resa più conforme allo spirito penitenziale, con la recita
del miserere e di altri salmi e passi dei profeti Isaia e Geremia, riguardanti la passione
e morte di Gesù Cristo.
1873 – 1876
SONO PROIBITE LE FLAGELLAZIONI.
ROMANZESCA DESCRIZIONE DI LUIGI CAPUANA
Già nel comunicato del Regio Giudice Castagna del 1850, con cui si permetteva di
nuovo la Processione del SS. Cristo, il Governo aveva “espressamente ordinato di
non permettersi di andare presso le strade né in Chiesa uomini nudi le spalle
percuotendosi a sangue o in altro modo.” Malgrado ciò i “Flagellanti” continuarono
di nascosto la loro pratica di penitenza e pietà1.
Nel 1873, Il Prefetto di Siracusa autorizzò le processioni della Settimana Santa
sotto condizione, ancora una volta, che “nella processione non si facciano gli atti di
disciplina, flagellazioni ecc. praticati negli anni addietro, non potendosi tollerare
cotali costumanze proprie di altri tempi e che offendono il sentimento civile del
pubblico.1” La stessa proibizione veniva rinnovata con ordinanza del Sottoprefetto
Morelli in data Modica addì 8 marzo 18762.
La processione dei flagellanti viene descritta come realmente si svolgeva da R.
Fronterrè Turriti, secondo la narrazione di anziani che l’avevano vista e praticata (La
Basilica di S. Maria Maggiore ad Ispica. Ispica 1975; La Chiesa di S. Maria della
Cava di Ispica, Ispica 1978). Essa partiva dall’edicola detta del “Santissimo” nel
Vignale di S. Giovanni nelle prime ore del mattino del Giovedì Santo. I Flagellanti in
lunga fila, scalzi, col dorso nudo, il capo cinto da giunco, una corda al collo,
procedevano battendosi le spalle a sangue con i flagelli. La turba di popolo procedeva
mormorando versetti del Miserere e cantando il seguente ritornello: “Lu cunigghiu
avi la tana – lu surciddu ha lu purtusu – E pi Vui, Patri amurusu nci fu tana né
purtusu. – Lu pigghiaru, l’attaccaru – lu purtaru ni Pilatu cumu ’n cuccu
spinnacchiatu. – Catalobi [maledizione?] a li Juriei – Pietati Domini, miserere mei”.
Li accompagnava una gran folla di paesani e forestieri, ma non seguiva né il Cristo
morto né il Clero né le Confraternite. Giunti in chiesa i Flagellanti andavano a baciare
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l’altare del SS. Cristo gridando: “Viva lu Patri! Viva Culonna!” 3
Riportiamo ora i passi più significativi della suggestiva descrizione fatta da Luigi
Capuana che la arricchisce e ne colorisce il folclore con la sua geniale fantasia e la
sua raffinata arte. Essa è contenuta nel Romanzo Profumo, pubblicato nel 1892 e
ambientato proprio a Spaccaforno, chiamata dallo scrittore Marzallo4.
“Dice papà se vogliono vedere i flagellanti la sera del venerdì santo. …Gran
spettacolo! Sono sei anni che la processione non si fa più…A questa processione, che
si fa soltanto a Marzallo, accorre tanta gente da lontano…” Già risonava in fondo
alla via il sordo rullo dei tamburi che precedevano le confraternite. Laggiù la folla si
apriva e spuntava un gran stendardo, che pareva fendesse il cielo coi luccicori della
sua stoffa tramata a lamine d’argento e ricca di ricami d’oro. Indi, a due a due,
brillavano a un tratto, tra il nero della calca, le torce accese, protette da lanternini di
carta bianchi, rossi, gialli, verdi, che illuminavano i candidi cappucci e le mantelline
color porpora dei confrati.
…La folla rumorosa si mescolava, si agitava per l’avvicinarsi della processione. I
rulli dei tamburi, abbassati di tono, ora si sentivano più distinti, a intervalli, simili a
quelli d’un convoglio funebre. A ondate, arrivavano le lamentose note della marcia
funebre della Jone, suonata dalla banda musicale dietro il corteo e il salmodiare dei
preti che non si vedevano ancora, perché la via faceva gomito presso la chiesa del
Rosario [S. Anna]…La processione continuava a sfilare, lenta, interminabile;
stendardi e confraternite…Sfilavano le bandiere di seta a due colori…Appresso, in
lunghe file, chierici e preti, in cotta e cappa nera, con la torcia in mano…Al rumore
della tràccola… la barella dorata del Cristo morto, a foggia di tumulo, barcollava con
i lanternini che la circondavano, quasi surnuotante su quel fiume di teste; e non
riusciva ad aprirsi un passaggio. Gran rumore, misto di voci urlanti e di scrosci, come
di catene sbattute insieme…
I flagellanti! I flagellanti! Eccoli! Eccoli!
A due a due, ignudi, ricinti i fianchi da larga fascia bianca di tela, essi s’avanzavano,
battendosi le spalle con le discipline laceranti e urlando: - Pietà, Signore, pietà!
Misericordia Signore! Su per le braccia abbronzite e le ignude spalle, larghe righe di sangue scorrevano;
piaghe, già nere pei grumi formatisi lungo la via, si riaprivano sotto i colpi. Misericordia, Signore! Pietà, Signore, pietà! E le discipline agitate per aria, incessantemente colpivano quasi con rabbia, aprendo
nuove ferite, facendo sprizzare altre righe di sangue su quei corpi che già mettevano
orrore. Coi capelli in disordine, con la faccia sanguinolenta per le lacerazioni prodotte
alla testa e alla fronte dalla corona di pungentissime spine conficcate nella pelle e
scossa dall’agitarsi di tutta la persona ricurva, essi non sembravano più creature
umane, civili, ma selvaggi sbucati improvvisamente da terre ignote, ebbri di sacro
furore pei loro riti nefandi…”
____________
1 Cfr. L. Arminio, op. cit. p. 32.
2 Cfr. G. Calvo, op. cit. p. 243.
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3La Basilica…Op. cit. pp.162-165.
4 Cito dall’edizione dei “Classici della Narrativa”, Armando Curcio Editore, pp. 91,
100-104, Milano 1977.
Bibliografia essenziale
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Enc. Catt., Città del Vaticano, 1950ss.
Enc. delle Religioni, Firenze 1970
Enc. Generale « Le Nove Muse », Torino 1967
Dictionaire de Theologie Catholique, Paris, 1912 ss.
Dictionaire de Histoire et Geographie Catholique , Paris 1912ss.
Dictionnaire de Spiritualitè, Ascetique et Mystique, Paris 1937ss.
Castiglioni Carlo, Storia dei Papi, Utet Torino 1957
Rouet De Journel et J. Dutilleul, Enchiridion Asceticum, Roma 1965.
A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 1965.
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BREVE STORIA DELLE CONFRATERNITE
Secondo il precedente Codice di Diritto Canonico, le Confraternite sono dei
sodalizi che hanno per scopo l’incremento del pubblico culto e l’esercizio di opere di
pietà e carità (can. 707). Il nuovo Codice al canone 298 parla in genere di
associazioni pubbliche, erette e sotto la vigilanza della competente autorità
ecclesiastica, di fedeli cristiani, chierici o laici, o miste, che insieme tendono a una
vita più perfetta e a promuovere il culto e la dottrina cristiana o ad altre opere di
apostolato, cioè all’evangelizzazione, all’esercizio di opere di pietà e carità e ad
animare il mondo con lo spirito cristiano.
Nell’antichità sono esistite associazioni simili alle Confraternite, fondate sul
sentimento di fratellanza e che avevano come scopo il culto degli dei. Si può
accennare alle eterie o fratrie dei Greci e ai numerosi collegi dei Romani; anche gli
Ebrei fuggiti a Roma ai tempi di Pompeo e Cesare ebbero i loro collegi.
Fratellanza ed amore di Dio sono alla base delle “ecclesiae” o comunità dei
cristiani. Il fondamento lo possiamo trovare nelle parole del Signore: “Dove due o più
sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matt. 18,20).
Se perciò intendiamo le C. cristiane in senso largo come riunioni di fedeli,
possiamo farle risalire alle origini del Cristianesimo, alle riunioni attorno alle mense
eucaristiche, le agapi, di cui fanno menzione gli Atti, le Lettere Apostoliche e gli
scrittori Ecclesiastici dei primi secoli. Nel 336 a Costantinopoli si costituisce un
asceterio i cui membri dovevano accompagnare e seppellire i morti. Nel Codex
Thedos. Del 418, si parla dei Caraboloni, chierici che si dedicavano alle cure dei
malati. Nelle “Novelle” di Giustiniano, sono nominati i “Lecticari”, dediti
all’inumazione dei fedeli. Ma secondo il Muratori (Diss. Sopra le Ant. Ital., Diss. 75),
l’origine delle moderne C. va fatta risalire all’’800, ai tempi di Carlo Magno. Nella
XII Legge Longobardica si parla infatti di Gildonie, che pare proprio siano C. di
laici, istituite con licenza del Re e confermate dal Vescovo; i quali laici mettevano
del denaro in comune, per opere pie, per conviti e aiuti ai poveri e a chi avesse subito
incendio e naufragio. Nei capitoli diretti dal Vescovo Lomaro di Reims ai suoi preti,
dell’852, si parla di Confratrie e Confrati, che facevano offerte di lumi e vini per il
culto durante le messe, provvedevano ai funerali dei membri, facevano elemosine e
altri uffici di pietà; vengono però condannati gli abusi nei banchetti e le risse talora
sanguinose. Un’importante testimonianza l’abbiamo nell’XI Concilio Ecumenico
Lateranense 3° del 1179, dove si stabilisce l’autorità dei Vescovi sulle “Fraternità”,
come sugli altri parrocchiani, per correggere gli eccessi (Can. 9, CO.E.D., pp. 21617). Risalgono al 1100 ca. la “Scola” di S. Stefano, che aveva sede nel Monastero di
S. Giorgio a Venezia e la C. della Chiesa di S. Restituta a Napoli. E’ certo che dal XII
sec. in poi furono erette in varie parti d’Italia molte C. Ognuna aveva una cappella o
una chiesa dove compiere le pratiche religiose (messe, processioni, preghiere) e un
luogo di raduno, sotto la guida di un capo e l’assistenza di un sacerdote. Gli scopi
erano, oltre alle suddette pratiche di pietà, l’assistenza ai fratelli malati, i funerali e i
suffragi per i defunti, i soccorsi ai bisognosi e la dotazione delle fanciulle povere,
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l’assistenza ai condannati a morte e ai carcerati.
Nel 1400 grande diffusione ebbero le C. specie per opera dei Santi Vincenzo Ferreri
domenicano e Bernardino da Siena francescano. Diverse C. che avevano per scopo
precipuo la cura di infermi e pellegrini, si mutarono in veri Ordini Ospedalieri. A
Roma ebbero particolare importanza le C. costituite fra i membri delle diverse
nazioni e regioni, per l’assistenza dei loro poveri e pellegrini. Nel 1500, prima e
soprattutto dopo il Concilio di Trento, che riconfermò l’autorità e la cura dei Vescovi
sulle C. (De Ref. Sess. XXII, cann. 8-9), molto contribuirono al rinnovamento della
vita cristiana le Compagnie della Carità, specie quelle del Divino Amore, che
promuovevano una più intensa vita cristiana, per mezzo di una sincera e operosa
carità vcrso il prossimo. Ad esse si deve la fondazione di Ospedali per gli incurabili,
di ricoveri per le prostitute pentite e le pericolanti, di orfanotrofi, di mense e soccorsi
per i poveri vergognosi. Esclusivo scopo di promuovere l’adorazione della SS.ma
Eucaristia ebbero le Compagnie del SS.mo Sacramento, propagate all’inizio con
grande zelo dai francescani Cherubino da Spoleto e dal Beato Bernardino da Feltre.
Arricchite poi da Paolo III di particolari privilegi nel 1539, si diffusero in quasi tutte
le città e parrocchie d’Italia. Importanti anche le C. della Dottrina Cristiana, sorte ad
opera di S. Carlo Borromeo, che lavorò molto per la diffusione delle C., nello spirito
di fede, pietà e carità del Concilio di Trento. Le Confraternite rifiorirono “e fu
veramente uno spettacolo di fede il vedere tutte le domeniche i confrati assistere alle
sante messe, accostarsi con le loro insegne alla santa comunione, incedere al
completo nelle processioni coi loro labari e distintivi. In tempi di gravi calamitò,
epidemie e carestie, vestiti di sacco, a piedi nudi, in processione di penitenza,
propiziavano il Signore e si prodigavano per sovvenire i malati e i bisognosi. In tempi
di guerriglie continue fra le città si adoperavano per portare la pace. Esse ebbero
anche un altro grande merito: aver innalzato quei templi sontuosi che sono una
meraviglia di arte e di fede, e l’averli arricchiti di decorazioni e di arredi sacri
artistici, provvedendo anche con fondazioni sapienti ad assicurarne il culto divino con
decoroso splendore”.
Le Confraternite avevano come fine anche l’istruzione cristiana dei fanciulli e del
popolo. Il precedente Codice di Diritto Canonico ne consiglia l’istituzione a tutti i
parroci, assieme a quelle del SS.mo Sacramento e anche il Concilio Vaticano II le
raccomanda, e così ha fatto Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso giubilare alle C.
Molte altre C. sorsero legate ai primi e terzi ordini religiosi: così quelle dei Cordigeri
dei Frati Minori Conventuali e Osservanti; quelle del Rosario, diffuse ovunque dai
Domenicani, quelle della Cintura dei PP. Agostiniani, della Madonna del Carmine dei
Carmelitani.
Com’è comprensibile, le più numerose e benemerite C. e Arciconfraternite sorsero
a Roma soprattutto nel 1500. Ricordiamo solo quelle legate all’opera di grandi santi.
Quella già nominata del Gonfalone si dice fondata da S. Bonaventura nel 1263.
Quella della Pietà in S. Giovanni dei Fiorentini e quella della Carità in S. Girolamo
ebbero come cappellano S. Filippo Neri dedito alla cura degli infermi e all’assistenza
dei carcerati. Questo gran santo ne istituì un’altra nel 1548: l’Arciconfraternita della
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SS.ma Trinità dei Pellegrini, ancora oggi esistente, che acquistò grandi meriti durante
i pellegrinaggi degli anni santi. L’Arcic. degli Amanti di Cristo e Maria al Monte
Calvario o della Via Crucis fu fondata nel 1751 da S. Leonardo da Porto Maurizio,
per la Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo; in tempi recenti è stata ripresa dai
Sommi Pontefici. Ancora ricordiamo l’Arcic. del Preziosissimo Sangue fondata da S.
Gaspare del Bufalo nella prima metà dell’’800.
Nel 1604 il Papa Clemente VIII regolò con la Costituzione “Quaecumque” (rimasta
in vigore fino al precedente Codice) l’erezione e l’attività delle C. Paolo V, nel 1607,
arricchì di indulgenze e grazie, ancora oggi valide le C. del tempo. L’indulgenza
plenaria per sé e i propri defunti, a condizione che ci si confessi e comunichi e si
preghi per la pace e il bene della Chiesa, si acquista nel giorno dell’ingresso nella C.
ed in quello della festa principale e se si partecipa alle processioni pregando con
devozione. In punto di morte, se non è possibile confessarsi e comunicarsi, per la
remissione delle colpe e delle pene ad esse dovute, basta il sincero pentimento e
l’invocazione con la bocca o, se non si può, almeno col cuore del SS.mo Nome di
Gesù. Altre importanti indulgenze erano concesse se si accompagnavano alla
sepoltura i Confrati, si soccorreva ai bisogni dei poveri e si metteva pace fra i nemici.
Le C. ebbero ben presto patrimoni notevoli in beni e opere d’arte, il che attirò su di
esse gli appetiti dei vari governi che, ispirandosi al giurisdizionalismo del Settecento,
cercarono di inserirsi nella loro vita in modo sempre più invadente. Dopo la
Rivoluzione Francese le C. furono in gran parte distrutte e i loro beni confiscati; delle
rimaste lo Stato volle disporre a suo talento. Così avvenne anche in Italia, ma con
notevole diversità nelle varie regioni. Il Concordato del 1929 stabilisce che le C. con
scopo di culto sono lasciate libere e dipendono dalle autorità ecclesiastiche; quelle
invece a scopo di beneficenza sono soggette a controlli governativi. Il nuovo
Concordato non ne parla; quindi, o rimangono le precedenti disposizioni o saranno
presi nuovi accordi, specie per i beni e le opere sociali, con lo Stato e con le singole
Regioni.
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Francisco de Goya y Lucientes 1746-1828 – I Flagellanti
I Flagellanti – Xilografia – Sec. XV