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L'apostasia del molteplice

Anno XXXIV - 2013 Fascicolo 1 ELENCHOS Rivista di studi sul pensiero antico fondata da Gabriele Giannantoni BIBLIOPOLIS 2 SOMMARIO «Elenchos». Rivista di studi sul pensiero antico fondata da Gabriele Giannantoni a cura dell'Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del C.N.R. «Elenchos» eÁ disponibile on-line presso il sito Internet: http://digital.casalini.it Direttore: Anna Maria Ioppolo Comitato direttivo: Enrico Berti, Aldo Brancacci, Riccardo Chiaradonna, Fernanda Decleva Caizzi, Anna Maria Ioppolo, Marwan Rashed, David N. Sedley Responsabile di redazione: Maria Cristina Dalfino Comitato di redazione: Michele Alessandrelli, Aurora Corti, Diana Quarantotto, Francesco Verde Editing: Maria Cristina Dalfino I contributi vanno indirizzati ad Anna Maria Ioppolo: ioppolo@uniroma1.it La Direzione di «Elenchos» ha sede presso l'Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee. Villa Mirafiori, via C. 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Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 5805/80 Direttore responsabile: Anna Maria Ioppolo 195 SOMMARIO STUDI E SAGGI Rafael Ferber: ,,Was jede Seele sucht und worumwillen sie alles tut`` Denis O'Brien: The Paradox of Change in Plato's Theaetetus. Part I. An Emendation of the Text (155b1-2) and the Origin of Error Francesca Alesse: La prescrizione nell'etica stoica. Un riesame Claudia Maggi: L'apostasia del molteplice nel trattato Sui numeri di Plotino p. 5 » 33 » 59 » 95 » 127 » » » 155 189 201 » 229 DISCUSSIONI, NOTE E RASSEGNE Francesca Guadalupe Masi: Le cause della fortuna: un'aporia. Aristotele, Fisica  5.197a20-25 Francesco Aronadio: Le azioni compiute sotto costrizione, le azioni ``miste'' e la nozione di volontarietaÁ (Eth. Nic.  1) John Glucker: Aristotelian Reminiscences in Philo Diego E. Machuca: Pyrrhonism, Inquiry, and Rationality RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE K.M. Vogt, Belief and Truth. A Skeptic Reading of Plato (M. Bonazzi) 4 SOMMARIO F.J. Gonzalez, Plato and Heidegger: A Question of Dialogue (F. Fronterotta) J. Giovacchini, L'Empirisme d'EÂpicure (A. Corti) J. Lallot, EÂtudes sur la grammaire alexandrine (A. Giavatto) p. » » 233 238 245 Claudia Maggi L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO * Abstract The Treatise On Numbers develops a typical Plotinian inquiry about oneness and intelligible plurality, in which the analysis is based on the problem of the infinite inside the intelligible realm, as it seems to be presented in the socalled generation of numbers in Plato's Parmenides, where numbers are linked to Being, identified by Plotinus with the hypostasis of Intellect, and produce a process of unlimited division. In order to avoid this interpretation, Plotinus finds in other Plato's dialogues the proof that number is an eidetic nature, encompassing all the intelligible entities, so that the infinite has to be interpreted as what is produced by calculus. Other arguments are rather depending on the model of the Old Academy, concerning the relationship between forms and numbers: Plotinus wonders if numbers come ontologically before forms and indeed he states right this position. Other aspects of Plotinus' investigation, which can be traced back to the Old Academy, are the distinction between two kinds of numbers and the doctrine of the unified number. This model of number, quite ambiguous, may be identified with the indefinite dyad, even though the former has to be conceived, differently from that of Old Academy, within a mono-polar framework, according to which the sole principle is the One. Keywords Indefinite dyad, intellect, ideal numbers, intermediates, soul * Ringrazio Riccardo Chiaradonna per avermi invitato a ritornare a piuÁ riprese sulla complessa interpretazione dello statuto dei numeri in Plotino. Un grazie particolare a Daniela Taormina, per la sua disponibilitaÁ a leggere ogni mio lavoro con filosofica e umana attenzione. ELENCHOS xxxiv (2013) fasc. 1 BIBLIOPOLIS 96 CLAUDIA MAGGI 1. La rifondazione della diade indefinita Scopo di questo intervento saraÁ presentare alcuni provvisori risultati delle mie ricerche, soprattutto con riferimento al trattato 34 delle Enneadi (vi 6) e alla possibilitaÁ di rinvenire in esso tracce della riflessione accademica sui principi e sul rapporto fra numeri e idee 1. Con questo non intendo affermare che, in maniera scevra da ambiguitaÁ, sia lecito attribuire a Plotino l'ideazione di un modello di ontologia matematica in parte equivalente a quelli che, forse, furono elaborati in seno all'antica Accademia; piuÁ semplicemente, mi sembra plausibile che determinati spettri speculativi siano a lui giunti, in forma di ``suggerimento'' e in maniera fortemente contaminata, per risultare poi rielaborati e ripensati all'interno di un ``sistema'' il cui orientamento eÁ decisamente metafisico e in cui ogni eventuale accenno allo statuto del numero ± una volta liberato dalle componenti aritmetiche o aritmologiche 2 ± incarna un modo, che eÁ tutto plotiniano, di indagare il rapporto fra l'Uno e i molti 3. Non si comprenderebbe, altrimenti, la domanda con la quale il trattato si apre, che, pur se attraverso domini lessicali che potrebbero risalire ad ambiti accademici o neopitagorici, si interroga su 1 Per una rassegna delle fonti di vi 6 cfr. Plotino. Sui numeri. Enneade VI 6 [34], Introduzione, testo, traduzione e commento a cura di C. Maggi, Napoli 2009, pp. 23 sg., 171 sg. Rinvio anche al capitolo ii della mia monografia Sinfonia matematica. Aporie e soluzioni in Platone, Aristotele, Plotino, Giamblico, Napoli 2010. Sull'anomalia del trattato plotiniano all'interno della riflessione antica sullo statuto dei numeri cfr. J.N. Findlay, The Neoplatonism of Plato, in R. Baine Harris (ed.), The Significance of Neoplatonism, Albany 1976, p. 39; M.L. Gatti, Sulla teoria plotiniana del numero e sui suoi rapporti con alcuni aspetti della problematica delle ``dottrine non scritte'' di Platone, «Rivista di filosofia neoscolastica», lxxv (1983) p. 384; J. Bertier-L. Brisson et al. (eÂds.), Plotin. Sur les Nombres (EnneÂade VI, 6 [34]), Paris 20032, p. 10. Cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 32 sg. e rinvii, 57 sg. e rinvii; Ead., Sinfonia matematica, cit., p. 93 sg. Per una rassegna sulla tradizione accademica e sul ruolo di mediatore svolto da Aristotele cfr. E. Cattanei, Enti matematici e metafisica. Platone, l'Accademia e Aristotele a confronto, Milano 1996. 2 Cfr. A. Charles-Saget, L'architecture du Divin. MatheÂmatique et philosophie chez Plotin et Proclus, Paris 1982, p. 160; J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 9-17. 3 Cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 21-2. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 97 quella che potremmo definire la cifra speculativa di ogni metafisica fondata sulla derivazione, ovvero il darsi della molteplicitaÁ dove ci sia una autoposizione assoluta dell'unitaÁ: La molteplicitaÁ eÁ una separazione (a\po*rsari|) dall'uno e l'infinitaÁ una separazione completa in virtuÁ del fatto che eÁ una molteplicitaÁ innumerabile (a\ma*qihlom) 4? L'argomento rivela, da un lato, la necessaria ``resa'' al ``fatto'' metafisico dell'emergere del molteplice; dall'altro, mira peroÁ a escludere che possa darsi una molteplicitaÁ assoluta ± tale sarebbe l'a\peiqi* a ±, una molteplicitaÁ, cioeÁ, che sia del tutto priva di uno stato unificato che, in qualche modo, provi la derivazione dall'unica fonte di tutto il reale. Indice di questa condizione di uni-ficazione eÁ, fin da queste prime linee, il numero, condizione, pertanto, di ogni ``apostasia'' metafisicamente concepibile. Ecco, allora, l'aporia da affrontare: Che cosa dovremmo dire del cosiddetto numero dell'infinitaÁ (e\pi+ sot& kecole*mot a\qihlot& sg&| a\peiqi* a|) 5? La domanda eÁ presentata come esigenza di un chiarimento ermeneutico della sezione del Parmenide (144a) in cui la serie numerica viene concepita come capace di generare una molteplicitaÁ infinita e, in aggiunta, come un'indagine attorno ad alcuni aspetti della critica aristotelica alla dottrina dei numeri ideali 6. Plot. vi 6, 1, 1-2. Per il contesto lessicale del primo capitolo di vi 6 cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 171-8. 5 Plot. vi 6, 2, 1. 6 Plat. Parm. 144a6. Cfr. Aristot. Phys. C 4.203b24; Metaph. L 8.1083b367; De cael. A 5.272a1-2. Per il ruolo di questa sezione del Parmenide in vi 6 e per la questione dell'infinito in Plotino cfr. A.H. Armstrong, Plotinus' Doctrine of the Infinite and its Significance for Christian Thought, in Id., Plotinian and Christian Studies, London 1979, p. 48; J.M. Charrue, Plotin lecteur de Platon, Paris 1978, pp. 65-8; A. Charles, Note sur l'APEIQOM chez Plotin et Proclus, «Annales de la Faculte des Lettres d'Aix», xliii (1967) pp. 147-61; Ch. Horn, Plotin uÈber Sein, Zahl und Einheit. Eine Studie zu den systematischen Grundlagen der Enneaden, Stuttgart-Leip4 98 CLAUDIA MAGGI Nel caso del Parmenide l'espressione, in parte diversa (a>peiqo| a\qihlo*|), eÁ inserita in un contesto che affronta la possibilitaÁ della divisione e molteplicitaÁ dell'essere: non dunque i numeri sembrano il vero nucleo dell'analisi platonica, ma la natura dell'essere intelligibile 7. Quanto ad Aristotele, ci troviamo, come detto, in un ambito che eÁ quello della critica ai numeri ideali. Lo Stagirita non chiarisce in modo conclusivo quale sia il rapporto fra idee e numeri, se cioeÁ sia possibile parlarne in termini di identificazione o di riduzione di queste a quelli 8. CioÁ che sembra certo eÁ che egli affronta in alcuni casi il modello accademico attraverso un riferimento ± autorizzato dalle stesse ascendenze pitagoriche dell'Accademia ± al tema della perfezione della decade; questo tema, a propria volta, risulta contaminato con una nozione, forse un po' ``semplificata'', di partecipazione, che parrebbe richiedere una moltiplicazione dei numeri a partire dall'innumerabile quantitaÁ di enti che, ai vari livelli, dovrebbero partecipare di essi. I numeri ideali, dunque, sono finiti e si arrestano alla decade o sono infiniti 9? EÁ ovvio che l'aporia ricava il proprio senso dalla continua oscillazione tra la nozione di partecipazione e quella di identificazione. EÁ infatti evidente che, se ogni ente, ideale o sensibile che sia, si identifica con un numero, nessuna serie numerica finita potraÁ bastare a garantire una relazione cosõÁ concepita. Il modello identificativo, a propria volta, realizza una sorta di inversione, secondo una direzione che dal basso procede verso l'alto, di uno dei possibili sensi dell'idea platonica di presenza. Questo accenno mi pare significativo, in quanto rinvia, circolarmente, a una sezione del Parmenide platonico, che, almeno in forma esplicita, non eÁ chiamata in causa da Aristotele in relazione alla questione dei numeri ideali. Tale sezione eÁ quella che potremmo zig 1995, pp. 152-4. Sulla questione del numero infinito e sul confronto PlotinoAristotele cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 25-8 e rinvii; Ead., Lineamenti di un'ontologia matematica in Plotino: il numero fra modello olistico e paradigma metastrutturale, «Giornale critico della filosofia italiana», lxxxviii (2009) pp. 539-54. 7 Cfr. la discussione in C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 34-7 e rinvii. 8 Cfr. Ead., Plotino. Sui numeri, cit., pp. 37-8. 9 Cfr. Aristot. Metaph. L 8.1083b36 sg.; J.E. Annas, Interpretazione dei libri M-N della Metafisica di Aristotele. La filosofia della matematica in Platone e Aristotele, trad. it., Milano 1992, pp. 208-10. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 99 definire ``del giorno'', sezione nella quale la partecipazione e la presenza si rinviano, fino a identificarsi, come problema speculativo. Parmenide contesta la lesa*kgwi| a partire dalla considerazione che la sua ammissione avrebbe come conseguenza il seguente paradosso: se cioÁ che eÁ uno e identico si trova al tempo stesso (a%la) nei molti tutto intero (o%kom), dovraÁ necessariamente essere separato (vxqi* |) da se stesso 10. Dunque, o andrebbe negata l'unicitaÁ dell'idea, ricadendo nel rischio di una moltiplicazione degli enti eidetici, che finirebbe con il farli equivalere per numero a quelli sensibili, oppure bisognerebbe salvaguardare la separazione a danno della presenza dell'intelligibile nel sensibile, sortendo cosõÁ il risultato di negare il perche epistemologico del modello eidetico. Ho altrove sottolineato che il tentativo socratico-platonico di soluzione pare ruotare attorno a un'allusione che non trova, peroÁ, ulteriori delucidazioni nel dialogo. L'invito ad ammettere che non sarebbe possibile che l'idea sia separata da se stessa [...] se fosse simile al giorno che, mentre eÁ uno e identico, al tempo stesso eÁ in molti luoghi e non eÁ per niente separato da se stesso 11 sembrerebbe rinviare alla possibilitaÁ di coniugare partecipazione e presenza solo a patto di insistere sull'aspetto non fisico e ``materiale'' della partecipazione, giacche l'esclusione della spazializzazione dell'idea vanificherebbe ogni ipotesi di ``parcellizzazione'' e sposterebbe il tema della presenza in una logica verticale alto-basso in cui il non fisico sarebbe in ogni aspetto del fisico proprio perche cioÁ che non eÁ fisico puoÁ essere ovunque 12. Che questo resti al livello di un suggerimento mi sembra peroÁ provato almeno da due ordini di ragioni: da un lato, la ``facilitaÁ'' con cui Aristotele, come accennato, inverte la presenza in termini di identificazione basso-alto, che assume il sensibile e corporeo a riferimento; dall'altro, il fatto che la piena esplicitazione del tema del Plat. Parm. 131b1-2. Ivi, 131b3-5. 12 Cfr. C. Maggi, L'g<le*qa di Parm. 131 B 3-6 e Enn. IV 3, 4, 19-21: un esempio di esegesi plotiniana, «Giornale critico della filosofia italiana», lxxxvii (2008) pp. 446-52. 10 11 100 CLAUDIA MAGGI non-fisico si avraÁ solo a partire da Plotino, con l'idea per cui l'Essere, in quanto incorporeo, eÁ dappertutto 13. Al di laÁ degli sviluppi plotiniani del tema, possiamo quindi affermare, pur se con qualche approssimazione, che il modello partecipativo platonico lascia aperte delle ``sacche'' aporetiche nelle quali diventa facile per lo Stagirita insinuarsi. La tematica dell'infinitaÁ eÁ una di queste sacche: sia che venga utilizzata nella forma dell'argumentum ad infinitum, sia che entri in causa come nodo problematico della duplicazione illimitata delle idee per rendere possibile l'identificazione del resto del reale con esse, veniamo a trovarci con una interessante intersezione ermeneutica che dal Parmenide ± con i suoi riferimenti alla divisione dell'essere, alla serie numerica e alle aporie partecipative ± rimanda ad Aristotele e alle sue critiche tanto al modello partecipativo, quanto a quello dei numeri ideali. Diventa lecito chiedersi, a questo punto, se la possibilitaÁ di usare il dialogo platonico come una delle principali ``fonti'' della dottrina dei numeri ideali sia il frutto di una forzatura del lettore a partire dai testi aristotelici o se non tragga origine da dibattiti accademici che, ben prima di Plotino, avrebbero orientato il Parmenide in una direzione esegetica eminentemente metafisica. Quest'ultima mi pare essere la proposta avanzata, fra gli altri, da John Dillon, che attribuisce a Speusippo la paternitaÁ di una interpretazione orientata metafisicamente della prima e della seconda ipotesi del Parmenide e, in particolare, del tema della divisione dell'Essere. L'Uno della seconda ipotesi verrebbe traslato da Speusippo fino a indicare la diade, generatrice per divisione dei numeri e, infine, dell'intero ordine del reale, grazie all'azione del primo Uno 14: Plot. vi 5, 3, 1 sg. Per un commento al passo cfr. J.S. Lee, Omnipresence and Eidetic Causation in Plotinus, in R. Baine Harris (ed.), The Structure of Being. A Neoplatonic Approach, Albany 1982, pp. 94-5. Sulla questione dell'esplicitazione plotiniana del ``suggerimento'' platonico cfr. C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 85-9. 14 Cfr. J. Dillon, Speusippus and the Ontological Interpretation of the Parmenides, in J.D. Turner-K. Corrigan (eds.), Plato's Parmenides and its Heritage, i: History and Interpretation from the Old Academy to Later Platonism and Gnosticism, Leiden-Boston 2011, p. 70. Ugualmente Gerald Bechtle ha sottolineato la possibilitaÁ che il metodo dicotomico generativo speusippeo risalga alla divisione dell'essere 13 L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 101 CosõÁ interpreta Speusippo, esponendoci l'opinione degli antichi. [...] Essi, considerando l'uno superiore all'essere e tale che da esso deriva l'essere, resero questo libero dalla condizione propria di un principio. Ma ritenendo in pari tempo che, se l'uno fosse stato considerato assolutamente isolato e di per se [...] non avrebbe potuto dare origine a nulla di ulteriore, posero anche, come principio delle cose esistenti, la dualitaÁ indefinita. PercioÁ anche costui attesta che questa era l'opinione degli antichi circa l'uno, che cioeÁ esso si innalza al di sopra di cioÁ che eÁ, e che dopo l'uno viene subito la dualitaÁ indefinita 15. Torniamo a Plotino. La molteplicitaÁ (numerica) infinita del Parmenide diventa in vi 6 la questione del numero dell'infinitaÁ. Abbiamo qui a confrontarci con una mera variazione lessicale o con il risultato di una ridefinizione ermeneutica? Plotino, cioeÁ, si sta chiedendo se Platone abbia ammesso, quale costituente dell'essere, l'infinito, se l'aporia aristotelica dei numeri finiti/infiniti abbia una sua fondatezza speculativa, o, piuÁ in generale, sta ``anche'' ripensando un lavoro esegetico, compiuto prima di lui sul dialogo platonico, circa la possibilitaÁ del darsi nel reale di due principi, generatori in primo luogo dei numeri e poi, per il tramite dei numeri, di qualunque cosa venga all'essere? Qual eÁ, in altri termini, l'interlocutore di Plotino: il Platone del Parmenide, che si interessa in primo luogo al problema della partecipazione, l'Aristotele della critica ai numeri ideali, lo Speusippo lettore del Parmenide o, ancora, un singolare ``ibrido'' che, arrivato a lui in forma giaÁ contaminata, eÁ stato ulteriormente attratto dallo specifico modello plotiniano delle ipostasi? Nell'edizione francese del trattato Sui numeri emerge la preferenza, nel tentativo di risoluzione di simili questioni, a rafforzare la linea Platone-Plotino. Perno del trattato sarebbe l'esclusione dell'infinito dall'Essere, tanto intelligibile, quanto sensibile 16. Questo eÁ vero. Ma, a mio parere, la stratificazione ermeneutica che conduce a respingere un di ascendenza platonica. Cfr. G. Bechtle, Speusippus's Neutral Conception of the One and Plato's Parmenides, ivi, pp. 37-58. 15 Speusippo. Frammenti, Edizione, traduzione e commento a cura di M. Isnardi Parente, Napoli 1980, p. 158 fr. 62. Cfr. anche L. TaraÂn (ed.), Speusippus of Athens. A Critical Study with a Collection of the Related Texts and Commentary, Leiden 1981, p. 152 fr. 48. 16 Cfr. J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 76-82. 102 CLAUDIA MAGGI ``certo modo'' di concepire l'infinito eÁ complicata anche da un gioco speculare di letture del testo platonico, di cui diventa spesso impossibile rintracciare l'originaria paternitaÁ, che tende a identificare l'infinito con l'a\o*qirso| dta*| della tradizione indiretta, ed entrambi con alcune caratteristiche dell'Essere della seconda ipotesi del Parmenide 17. EÁ plausibile che Plotino abbia preso a riferimento una tradizione di letture del dialogo. Credo, inoltre, che a tali letture egli abbia aggiunto un rafforzamento dell'asimmetria 18 partecipativa, in ragione della quale cioÁ che viene prima deve restare separato e, al tempo stesso, partecipato da tutto cioÁ che viene dopo, senza, peroÁ, condividerne le caratteristiche 19. Partirei dal primo aspetto, per poi affrontare il secondo nel paragrafo successivo. Assumiamo come possibile la lettura di Dillon e ammettiamo che a Speusippo risalga la prima interpretazione in senso metafisico del Parmenide. Se cioÁ eÁ vero, Speusippo avrebbe, per cosõÁ dire, ``sdoppiato'' la seconda ipotesi, in modo da rintracciare in essa sia il principio della diade, sia l'emergere dei numeri per risultato della sua divisione ad opera del primo Uno. Ne conseguirebbe una duplice modalitaÁ di concepire l'Essere: ci sarebbe un essere-prima-dell'essere, ovvero la diade quale principio non ancora diviso, e un essere-venutoall'essere, ovvero i numeri. Questa polaritaÁ eÁ quanto Plotino eÁ intenzionato a escludere, in ragione di un rafforzamento esegetico in direzione ``platonica'' dell'originale speusippeo, per cui prima dell'Essere c'eÁ solo il primo-Uno 20. Credo che in tale direzione vada letta l'affermazione per cui: Per il rapporto fra numero infinito e diade cfr. S. Slaveva-Griffin, Plotinus on Number, New York 2009, pp. 63-70; J. Dillon, Speusippus and the Ontological Interpretation of the Parmenides, cit., pp. 73-4. Sulla possibilitaÁ di identificare la serie infinita del Parmenide con la diade della tradizione accademica cfr. anche Th.A. SzlezaÂk, The Indefinite Dyad in Sextus Empiricus's Report (Adversus Mathematicos 10.248-283) and Plato's Parmenides, in J.D. Turner-K. Corrigan, Plato's Parmenides and its Heritage, cit., pp. 85-90. 18 Per la nozione di asimmetria cfr. Platone. Parmenide, Introduzione, traduzione e note a cura di F. Ferrari, Milano 2004, pp. 59-63. 19 Cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., p. 78 sg. 20 Per il ruolo dell'esegesi della Repubblica, oltre che del Parmenide, cfr. M. 17 L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 103 Non vi eÁ qualcos'altro di intermedio fra il limite e l'infinito che riceva la natura della definizione 21. Ammettere un intermedio tra il limite e l'illimitato comporterebbe l'inclusione di un principio che, assieme al primo-Uno, concorra al venire all'essere dell'Essere. CioÁ che, invece, Plotino vuole difendere eÁ l'idea che l'Essere sia il risultato della generazione di un solo principio, l'Uno. Ritengo, in conclusione, che si possa dire che l'infinito diventa un ``problema'' nella speculazione plotiniana in quanto il modello partecipativo di provenienza platonica eÁ inquadrato in una cornice monopolare: in un modello siffatto, nel quale la causalitaÁ assume anche caratteri genetici, non eÁ possibile che qualche aspetto del reale, intelligibile o sensibile che sia, si sottragga all'azione dell'unico principio, non essendo concepibile, neppure in una prospettiva logica e non temporale, che qualcosa si dia ab aeterno come esistente in modo autonomo da esso 22. Abbate, Il Bene nell'interpretazione di Plotino e di Proclo, in Platone. La Repubblica, Traduzione e commento a cura di M. Vegetti, v, Napoli 2003, pp. 625-78. 21 Plot. vi 6, 3, 13-5. 22 Dove nel modello assunto sia comunque garantita una qualche forma di dualismo, l'infinito potrebbe infatti ragionevolmente indicare o un secondo principio, o l'aspetto del sensibile che sfugge alla partecipazione e, dunque, alla possibilitaÁ di una definizione paradigmatica. Infinita in questo senso potrebbe essere la #$qa nel suo indicare uno stato privo di determinazione, o il molteplice sensibile negli aspetti estranei alla conoscenza. Il fatto che qualcosa del sensibile sfugga alla partecipazione equivale ad affermare, in un modello siffatto, che il rapporto che lega le idee alle realtaÁ sensibili non eÁ di tipo generativo, ancorche causale. Sul ruolo del ricettacolo nel Timeo cfr. Platone. Timeo, a cura di F. Fronterotta, Milano 2003, pp. 260-3 nn. 192-3 e rinvii, p. 266 n. 198; E. Berti, La filosofia del ``primo'' Aristotele, Milano 1997, pp. 198-9; F. Fronterotta, LEHENIR. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche. Dai dialoghi giovanili al Parmenide, Pisa 2001, pp. 66-79; J. Laurent, Note sur l'interpreÂtation ``mateÂrialiste'' de la vx*qa par Luc Brisson, «EÂtudes platoniciennes», ii (2005) p. 95; A. MaceÂ, Activite deÂmiurgique et correÂlation des proprieÂteÂs mateÂrielles, TimeÂe 55 e-56 b, «ivi», p. 98; A. Merker, Miroir et vx*qa dans le TimeÂe de Platon, «ivi», pp. 88-90; F. Ferrari, La chora nel Timeo di Platone. Riflessioni su ``materia'' e ``spazio'' nell'ontologia del mondo fenomenico, «Quaestio», vii (2007) pp. 3-23; L. Palumbo, LILGRIR. Rappresentazione, teatro e mondo nei dialoghi di Platone e nella Poetica di Aristotele, 104 CLAUDIA MAGGI Dunque, o l'infinito andraÁ escluso, o esso dovraÁ essere incluso sotto la condizione di una sua ridefinizione semantica. Questo eÁ cioÁ che accade in Plotino, dove l'infinito viene ad indicare: 1) in senso non relativo, la potenza generativa di cioÁ che non ha massa e gode di semplicitaÁ assoluta, per cui infinito in tal senso eÁ solo l'Uno 23; 2) in senso relativo e verticale dall'alto verso il basso, infinita eÁ una realtaÁ superiore rispetto a una da questa generata, dalla quale non puoÁ essere pienamente ``afferrata'' e compresa 24; 3) sotto il profilo della nozione di ``interezza'', una realtaÁ intelligibile eÁ infinita per il fatto di possedere in se stessa tutte le ragioni del proprio essere secondo una struttura totale 25; 4) in senso relativo e verticale dal basso verso l'alto, una realtaÁ inferiore eÁ infinita rispetto a una di rango superiore nel senso di essere maggiormente molteplice e ontologicamente dipendente da quella suNapoli 2008, p. 308 sg. Sul problema della causalitaÁ in Platone cfr. F. Ferrari, Separazione asimmetrica e causalitaÁ eidetica nel Timeo, in L.M. Napolitano Valditara (a cura di), La sapienza di Timeo. Riflessioni in margine al Timeo di Platone, Milano 2007, pp. 147-72; Id., Dinamismo causale e separazione asimmetrica in Platone, in F. Fronterotta (a cura di), La scienza e le cause a partire dalla Metafisica di Aristotele, Napoli 2010, pp. 33-72; F. Fronterotta, La critica aristotelica alla funzione causale delle idee platoniche: Metaph. A 9. 991 a 8-b 9, ivi, pp. 93-119. Per un approfondimento del tema del rapporto in Plotino fra intelligibile e sensibile cfr. M. Ninci, La cosa e il suo percheÂ. Intelligibile e sensibile in Plotino, in D.P. Taormina (a cura di), L'essere del pensiero. Saggi sulla filosofia di Plotino, Napoli 2010, pp. 139-212; R. Chiaradonna, Sostanze intelligibili e unitaÁ numerica in Plotino, ivi, pp. 123-35; P. Kalligas, The Structure of Appearances: Plotinus on the Constitution of Sensible Objects, «The Philosophical Quarterly», lxi (2011) pp. 762-82. Sul monopolarismo cfr. J.M. Rist, Monism: Plotinus and some Predecessors, «Harvard Studies in Classical Philology», lxx (1965) pp. 332-7. 23 Sull'Uno come potenza infinita in questo senso cfr. Plot. v 1, 7, 9-10; 4, 1, 36; 2, 2, 24-6. Cfr. C. D'Ancona Costa, Determinazione e indeterminazione del soprasensibile secondo Plotino, «Rivista di storia della filosofia», xlv (1990) pp. 44453; M. Ninci, Un problema plotiniano: l'identitaÁ con l'uno e l'alteritaÁ da lui, «Giornale critico della filosofia italiana», lxxx (2001) pp. 462-3. 24 Come argomenta Plotino in vi 6, 18, 1-6, le realtaÁ intelligibili sono infinite nel senso di non essere misurabili ad opera di cioÁ che eÁ sotto-ordinato. Cfr. J. Whittaker, Philological Comments on the Neoplatonic Notion of Infinity, in R. Baine Harris, The Significance of Neoplatonism, cit., pp. 155-6. 25 Cfr. in tal senso Plot. iii 8, 9, 3-4, dove l'infinitaÁ eÁ attribuita con l'accezione di totalitaÁ all'Intelletto. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 105 periore 26; 5) infinita eÁ l'ultima propaggine della derivazione, ovvero la materia, che non esiste in alcun modo per seÂ, ma solo per altro, essendo per se stessa solo privazione assoluta 27; 6) infinito puoÁ essere, infine, ogni prodotto dell'immaginazione psichica allorche questa si allontani da cioÁ da cui proviene e assuma una autonomia dianoetica ontologicamente infondata. La terza accezione, a ben vedere, incarna un tentativo di correzione di una certa lettura aristotelica della partecipazione. Questa ammette, con Aristotele, la maggiore molteplicitaÁ degli enti partecipanti rispetto a cioÁ di cui partecipano, cioÁ che mi pare risulti con evidenza dal seguente passo: Non vi eÁ ragione di temere l'infinito nei semi e nei  , giacche l'anima contiene saldamente tutte le realtaÁ dispiegate nel sensibile 28. Plotino intende qui con  il modo attraverso il quale le idee contenute nell'Intelletto diventano oggetto di pensiero da parte dell'Anima e, per il tramite di essa, sono trasmesse al sensibile 29: tale oggetto saraÁ evidentemente maggiormente ``dispiegato'', proprio in ragione dell'inferioritaÁ ontologica dell'Anima rispetto all'Intelletto 30. Tuttavia, diversamente dallo Stagirita, Plotino sottolinea come ogni realtaÁ inferiore sia sempre precontenuta in quella di ordine superiore, con questo ristabilendo un ordine ontologico verticalizzato dall'alto verso il basso che respinge sia l'aporia dell'esaurimento degli enti partecipati ± giacche questi giaÁ contengono in se tutto quanto andraÁ poi ad esplicarsi a un livello inferiore ±, sia la possibilitaÁ che a un qualche livello possa darsi Cfr. J.M. Charrue, Plotin lecteur de Platon, cit., p. 90; C. D'Ancona Costa, Determinazione e indeterminazione del soprasensibile, cit., pp. 454-69; M. Ninci, Un problema plotiniano, cit., p. 468. Cfr. anche C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., p. 93 sg. e rinvii. 27 Cfr. Plot. ii 4, 15, 10 sg. Sul complesso dominio semantico della nozione di materia, che puoÁ indicare anche, al livello intelligibile, lo stato di dipendenza ontologica, cfr. C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., p. 126 sg. e rinvii. 28 Plot. v 7, 3, 20-2. 29 Cfr. L. Brisson, LoÂgos et loÂgoi chez Plotin. Leur nature et leur roÃle, «Les Cahiers philosophiques de Strasbourg», viii (1999) pp. 89-92. 30 Cfr. C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 98-100. 26 106 CLAUDIA MAGGI una realtaÁ numericamente infinita, dal momento che tutto eÁ misurato e preposseduto dal livello sopraordinato. EÁ da queste considerazioni che deriva l'esclusione in vi 6, in un'ottica anti-aristotelica, dell'infinito tra le stesse realtaÁ sensibili, in quanto esse sono precontenute nei  come questi lo sono nelle idee: Le cose sensibili non sono infinite, cosõÁ che non eÁ infinito neppure il numero che le indica 31. La seconda e la sesta nozione di infinito sono altrettanto presenti in vi 6. Esse risultano, a mio parere, strettamente collegate, in quanto incarnano il duplice modo di intendere la struttura intelligibile: o nel suo essere correttamente colta in se stessa nella forma della simultaneitaÁ e pienezza o, al contrario, nel suo essere ``sgranata'' e concepita in successione dall'anima dianoetica, sõÁ da offrire l'impressione che possa darsi un infinito nel senso non dell'interezza, ma del rimandarsi incessante delle parti. Per cioÁ che riguarda il tema dell'inafferrabilitaÁ e quello della ``fantasmagoria'' dianoetica, basti ricordare alcune linee dei capitoli conclusivi del trattato: Ma come puoÁ esistere allora il cosiddetto numero infinito, dal momento che i discorsi fatti gli hanno conferito un limite? Invero correttamente, se saraÁ numero. L'infinito non puoÁ coesistere con il numero. E allora perche si dice ``il numero infinito''? Forse che, al modo in cui noi intendiamo la linea infinita ± e definiamo la linea infinita non perche ne esista una effettivamente cosõÁ, ma perche eÁ possibile pensarne una piuÁ lunga in aggiunta alla piuÁ lunga di tutte, quale eÁ quella dell'universo ± analogamente si puoÁ dire anche a proposito del numero? Se infatti si sa quanto eÁ un numero, eÁ possibile raddoppiarlo con il pensiero senza che di fatto il nuovo numero si combini a quello precedente. Il concetto e la rappresentazione che sono solo in te, come potresti attribuirli alle cose che sono? Diremo forse che tra gli esseri intelligibili c'eÁ una linea infinita? Se non eÁ infinita, la linea intelligibile deve essere una lunghezza determinata; ma se non eÁ una lunghezza determinabile da un numero, essa deve essere infinita. O puoÁ essere che l'infinito si intenda in un altro modo, e non nel senso di qualcosa che non puoÁ essere percorso 32. 31 32 190. Plot. vi 6, 2, 2-3. Ivi, 6, 17, 1 sg. e J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., p. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 107 Il numero nel mondo intelligibile eÁ definito. Siamo invece noi che possiamo concepirne uno piuÁ grande di quello proposto. L'infinito si ha cosõÁ, mentre noi contiamo. Ma nel mondo intelligibile non eÁ possibile pensare un numero maggiore di quello pensato, perche il numero giaÁ esiste e non gli manca ne gli mancheraÁ nulla sõÁ che un altro numero gli si possa aggiungere. Ma forse anche nel mondo intelligibile potrebbe essere infinito nel senso che non eÁ misurato. D'altra parte da chi potrebbe essere misurato? Il numero che esiste lõÁ eÁ tutto ed eÁ uno ed eÁ al tempo stesso un intero: non eÁ circondato da nessun limite, perche eÁ cioÁ che eÁ per se stesso. Nessuno degli esseri che esistono in modo completo si trova racchiuso in un limite; invece cioÁ che viene limitato e misurato eÁ cioÁ a cui viene impedito di correre nell'infinito e che ha bisogno di una misura 33. I due passi citati associano l'infinito ``dianoetico'' ± che recupera l'infinito potenziale nel senso aristotelico ± all'atto del contare. Il che permette di polarizzare i sei significati di infinito prima enunciati attorno a due sole modalitaÁ: 1) quella qualitativa (sensi 1-5); 2) quella quantitativa (senso 6). L'aspetto qualitativo rinvia, a propria volta, alla dimensione simultanea e non mereologica propria delle realtaÁ eterne; l'infinito quantitativo sembra, invece, incarnare la parzialitaÁ tipica delle realtaÁ soggette al tempo, divise, in ragione della presenza della massa corporea, le une dalle altre e produttrici, pertanto, di una visione ``distorta'' dell'intelligibile, quale sarebbe appunto quella accolta da Aristotele allorche ammette che possa darsi un infinito per successione, ancorche potenziale 34. I numeri, di cui Plotino accoglie, sulla scia di Platone, la radice Plot. vi 6, 18, 1 sg. e J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 79-82. 34 Cfr. Plot. vi 6, 2, 7-8 e C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., p. 31; A. Trotta, Il problema del tempo in Plotino, Milano 1997, pp. 215-7; V. Verra, Dialettica e filosofia in Plotino, Milano 1992, p. 59. L'idea che si possa pensare un numero maggiore rispetto a quello giaÁ pensato eÁ cioÁ a partire da cui Aristotele postula la possibilitaÁ che i numeri aritmetici possano generare l'infinito potenziale. Plotino, una volta ammessa, come approfondiroÁ oltre, la natura intelligibile del numero, esclude l'attribuzione ad esso delle caratteristiche associate al contare. Le nature eidetiche, infatti, non godono dell'infinitaÁ per successione, giacche que33 108 CLAUDIA MAGGI intelligibile, possono, in conclusione, essere infiniti solo se con cioÁ si intenda la loro natura di intero eidetico che non manca di nulla; possono essere infiniti rispetto alle idee o agli enti sensibili nel caso in cui si ammetta ± cosa che, come vedremo, Plotino sembra fare ± la loro prioritaÁ ontologica rispetto alle idee, perche questo accadrebbe nel rispetto del secondo senso di infinito elencato. Non possono, invece, essere infiniti secondo la sesta accezione, se non come risultato di un atto illusorio da parte dell'anima che conta. Ho volutamente tralasciato il quinto modo di intendere l'infinito, ovvero l'infinito come materia. Non perche tale accezione sia assente nel trattato in esame, ma, piuttosto, per la sua ``eccentricitaÁ''. Come opportunamente eÁ stato osservato, il terzo capitolo di vi 6, che ruota attorno al tentativo di confutare la possibilitaÁ che si dia un infinito per seÂ, in senso cioeÁ assoluto e altro dall'Uno e dall'Essere, riconosce all'a>peiqom, nel corso della costruzione degli argomenti, una serie di caratteristiche che rinviano ora alla nozione plotiniana di ``materia intelligibile'' ± nozione, questa, quanto mai complessa e che non eÁ possibile qui discutere per esteso, che recupera caratteri della t%kg mogsg* aristotelica coniugandoli con la vx*qa platonica, allo scopo di sottolineare la natura ``indeterminata'', e in tal senso ``materiale'', delle ipostasi, qualora se ne sottolinei il carattere di dipendenza ontologica rispetto ai livelli superiori ma, al tempo stesso, di somiglianza con essi 35 ±, ora a un tentativo di esegesi della coppia del Filebo limite-illimitato, ora a una qualche ripresa di alcuni aspetti delle ``dottrine non scritte'' per il tramite delle testimonianze aristoteliche 36. sta eÁ propria di cioÁ che eÁ dotato di parti quantitativamente intese allorche vengano erroneamente concepite come non precontenute nella struttura intelligibile. 35 Per una discussione piuÁ dettagliata cfr. C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 124-34. 36 Cfr. Ch. Horn, Plotin uÈber Sein, Zahl und Einheit, cit., p. 159 sg.; J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 149-53; Th. A. SzlezaÂk, Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino, trad. it., Milano 1997, pp. 124-5; L. Brisson, Entre physique et meÂtaphysique. Le terme o>cjo| chez Plotin, dans ses rapports avec la matieÁre (t%kg) et le corps (rx&la), in M. Fattal (eÂd.), EÂtudes sur Plotin, Paris 2000, p. 98; J.M. Charrue, Plotin lecteur de Platon, cit., pp. 89-90; M.L. Gatti, Sulla teoria plotiniana del numero, cit., pp. 366-7. Il problema del L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 109 Simili considerazioni credo bastino a comprendere in che senso il secondo principio della tradizione accademica, sia che lo si denomini infinito, sia che lo si concepisca come diade, molteplice o grande-epiccolo, debba essere sottoposto da Plotino a una riconsiderazione che reca con seÂ, parallelamente, un particolare inquadramento della serie infinita del Parmenide. Sullo sfondo agisce la persuasione, ricavata dal Sofista, che Platone avrebbe ammesso, quale carattere intrinseco dell'essere, la molteplicitaÁ, idea che viene assunta come ``correttivo'' del problema dell'infinito 37, per giungere ad affermare che, se l'essere molteplice eÁ interamente compreso nell'atto derivativo, ne seguiraÁ l'inclusione in questo anche dell'infinito, indistinguibile dalla molteplicitaÁ 38. Inoltre, poiche l'Essere in senso paradigmatico eÁ solo quello intelligibile, la molteplicitaÁ dovraÁ avere una radice eidetica. Qui si rapporto fra numero e infinito risulta, in sintesi, attratto da tre distinti argomenti: 1) nel primo la questione dell'infinitaÁ del numero viene affrontata a partire dalle realtaÁ che esso indica: poiche il numero degli esseri non eÁ infinito, ne consegue che non saraÁ infinito neppure il (loro) numero; 2) nel secondo viene escluso l'infinito dalle realtaÁ in quanto cioÁ implicherebbe che esse non vengano all'essere, ragion per cui ogni realtaÁ dovraÁ essere numerata nel senso di definita (cfr. Plot. vi 6, 3; 11, 24 sg.); 3) nel terzo l'infinito eÁ escluso dalle realtaÁ intelligibili (dunque anche dai numeri, se sono intelligibili), in ragione del fatto che il mondo noetico eÁ impercorribile solo nel senso di non essere afferrabile dalle realtaÁ inferiori, per cui ogni realtaÁ intelligibile eÁ, in se stessa, definita. 37 Cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 72-3 n. 174, p. 85 e n. 219. 38 Non eÁ da escludere qui, come mi pare suggerisca John Dillon, un confronto, diretto o indiretto, con Speusippo, rispetto al quale Plotino svilupperebbe diversamente la nozione di molteplicitaÁ. Speusippo, il cui modello resta dualistico, puoÁ ammettere e al tempo stesso escludere l'identificazione fra essere e molteplicitaÁ. Tale identificazione eÁ lecita, in quanto cioÁ che risulta dall'interazione fra i due principi eÁ molteplice; ma si puoÁ escludere, se con  intendiamo il secondo principio, concepibile come non-essere solo in quanto condizione verticale della derivazione dell'essere dai principi. Per Plotino la questione si presenta con caratteri non speusippei, in ragione del modello monopolare che obbliga a considerare come ``al di laÁ dell'Essere'', nel senso di principio dell'Essere, solo l'Uno. La nozione di molteplicitaÁ risulta cosõÁ attratta dal monopolarismo, e con essa anche quella di non-essere. Non-essere in quanto oltre l'Essere eÁ solo l'Uno; tutto il resto eÁ derivato dall'Uno e rientra quindi nell'essere. Cfr. J. Dillon, Speusippus and the Ontological Interpretation of the Parmenides, cit., p. 70 sg. 110 CLAUDIA MAGGI innesta, assieme alla revisione plotiniana dello statuto della diade indefinita, l'indagine sulla natura intelligibile dei numeri. L'a\o*qirso| dta*| eÁ da Plotino riletta in un sistema che intravede nei riferimenti ``platonici'' all'indeterminazione della diade l'anticipazione di un modello causativo fortemente verticalizzato: Il Pensiero, allorche vede l'intelligibile 39 e si volge verso di esso, eÁ come da esso reso compiuto: dunque in se eÁ indeterminato ± come la vista ± ma eÁ determinato dall'intelligibile. Per questo eÁ stato detto: `Dalla diade indefinita e dall'Uno nascono le forme e i numeri'. Questo eÁ l'Intelletto. In ragione di tale derivazione esso non eÁ una realtaÁ semplice [...], dal momento che rivela una composizione. Per quanto, naturalmente, si tratti di una composizione intelligibile 40. Idee e numeri non sono qui oggetto di un'indagine che riguardi, secondo la prospettiva accademica, la questione della prioritaÁ ontologica degli uni rispetto alle altre; obiettivo di Plotino eÁ rilanciare l'idea della costitutiva molteplicitaÁ dell'Intelletto, asserendo, al contempo, la sua dipendenza dall'Uno, dipendenza senza la quale il molteplice, di per se indeterminato, non riceverebbe la stabilizzazione, che si attua come 39 Mi pare fuor di dubbio che in simili contesti l'intelligibile indichi l'Uno e non il pensato da parte dell'Intelletto. Se, infatti, questo non si eÁ ancora strutturato come ipostasi, il suo oggetto proprio, cioeÁ le idee, non avraÁ ancora acquisito caratteri di oggetto esplicato. Naturalmente, l'intelligibilitaÁ dell'Uno eÁ, per cosõÁ dire, a parte subiecti, nel senso che l'Uno per se non eÁ un intelligibile, essendo al di laÁ del Pensiero; eÁ, piuttosto, lo sforzo del Pensiero di coglierlo che lo trasforma in un oggetto, per quanto improprio e non ``adeguato'', di pensiero. Cfr. A. Schniewind, OuÁ se situe l'intelligible? Quelques difficulteÂs relatives aÁ EnneÂade V 4 [7], 2, in D.P. Taormina, L'Essere del Pensiero, cit., pp. 36-41. 40 Plot. v 4, 2, 4-10. Cfr. Aristot. Metaph. A 6.987b21-2; L 7.1081a13-5. Per un commento al passo plotiniano cfr. Plotino. Il pensiero come diverso dall'uno. Quinta enneade, Introduzione, traduzione e commento a cura di M. Ninci, Milano 2000, pp. 392-4 nn. 18-20; Id., Un problema plotiniano, cit., pp. 473-4. Per il legame fra il passo plotiniano e Aristotele, si veda Ph. Merlan, Aristotle, Met. A 6 987 b 20-25 and Plotinus, Enn. V 4, 2, 8-9, «Phronesis», ix (1964) pp. 45-7. Per la nozione di composizione intelligibile cfr. Plot. vi 9, 2, 30-2 e M. Ninci, SemplicitaÁ e conoscenza di se in Plotino: Enn. V 3, 1, 1-15 (seconda parte), «Giornale critico della filosofia italiana», lxxxvi (2007) pp. 230-7. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 111 determinazione e unificazione del molteplice, necessaria per il suo venire all'essere 41. Ora, in quanto sia la diade, sia il numero incarnano l'Intelletto, se pure in due momenti logici distinti, ne consegue la tendenza a identificare diade e numero, pur nel loro essere ``divaricati'' fra la condizione dell'Intelletto indeterminato e quella dell'ipostasi determinata 42. L'indeterminazione, piuttosto che essere considerata una condizione imperfetta, eÁ, pertanto, cioÁ in virtuÁ di cui la molteplicitaÁ intelligibile preserva eternamente una traccia di somiglianza con l'Uno. La necessitaÁ della somiglianza dell'Intelletto all'Uno sotto il profilo dell'unitaÁ eÁ stata sottolineata da M. Ninci, Un problema plotiniano, cit., pp. 463, 468-70. Cfr. A. Pigler, De la nature de la surabondance du premier chez Plotin, «Revue de Philosophie Ancienne», xxi (2003) pp. 98-9. 42 Cfr. Plot. v 1, 5, 6-9. La diade indefinita, in altri termini, non costituisce qui un principio autonomo che concorre alla determinazione dei numeri e delle idee; essa indica, invece, quello stadio di derivazione ``immediata'' dell'Intelletto dall'Uno in cui quello, non ancora esplicatosi stabilmente come molteplicitaÁ, eÁ, per questo, somigliante alla fonte, e in tal senso uno e indeterminato, ma distinto da essa, per questo due e ``determinando''. EÁ in questo medesimo senso che Plotino altrove afferma che «nel mondo intelligibile ciascuno degli esseri che viene dopo il Primo possiede in se stesso come una forma di Lui [...]. Ne consegue che l'Essere eÁ traccia ( #  ) dell'Uno» (Plot. v 5, 5, 10-4; cfr. vi 6, 18, 48). La diversificazione si realizzeraÁ allorche il derivato, volendo afferrare l'intima natura della propria origine, non potraÁ farlo se non moltiplicandola e rifrangendola nell'atto stesso di provare a pensarla, giacche il pensiero reca in se il marchio della dualitaÁ (cfr. Plot. v 3, 11, 1 sg.). Idee e numeri indicano questo stadio della stabilizzazione ontologica del derivato, che acquista in modo permanente un oggetto adeguato al suo atto di pensiero, intrinsecamente molteplice. Per una discussione piuÁ approfondita del rapporto in Plotino fra Uno, diade e numero cfr. S. Slaveva-Griffin, Plotinus on Number, cit., pp. 68-70. Questo sottile confine che separa e, al tempo stesso, lega il tema dell'alteritaÁ e quello della somiglianza nasce dall'esigenza di preservare, attraverso il confronto con una soglia speculativa ``critica'', tanto la certezza dell'onnipresenza dell'Uno, quanto la consapevolezza della sua ``pervicace'' separazione che rende ogni realtaÁ che risieda nell'essere lontana da Lui. Vale la pena precisare che, qualora nell'Intelletto andasse del tutto perso il carattere dell'unitaÁ, di cui reca traccia la diade indeterminata, non sarebbe possibile per esso possedere stabilmente in se stesso gli intelligibili; qualora, d'altra parte, l'Uno non fosse separato, gli intelligibili non potrebbero venire all'essere. Se l'Uno fosse solo l'assolutamente Altro dall'Essere, ne conseguirebbe l'impossibilitaÁ di concedere a qualsivoglia altra realtaÁ una qualche forma di unitaÁ, con il risultato che l'Intelletto e le idee, privi della possibilitaÁ di unificarsi, si troverebbero, l'uno rispetto alle altre, 41 112 CLAUDIA MAGGI 2. I numeri ideali Sono probabilmente ragioni come quelle accennate cioÁ in virtuÁ di cui il trattato Sui numeri risulta attratto da due polaritaÁ speculative: quella mirante a dimostrare che non ogni molteplicitaÁ eÁ infinita e in tal senso ``male'', poiche l'ammissione di tale possibilitaÁ trascinerebbe nel nulla etico e metafisico ogni derivato intelligibile 43; quella avente per oggetto la difesa dello statuto eidetico dei numeri, non perche Plotino intenda prendere necessariamente posizione all'interno del dibattito accademico sui numeri ideali 44, ma perche la loro collocazione eidetica diventa sia l'ovvia precondizione per la nobilitazione della molteplicitaÁ, sia la premessa per il darsi di un fondamento ontologico del molteplice che sia preservato dai caratteri di dispersione propri di un  totalmente altro dall'Uno, condizione, questa, che Plotino potrebbe ammettere solo come umbratile assurditaÁ rispetto al darsi effettivo del reale. Non eÁ da dimenticare che una definizione di numero, stabilizzatasi con Aristotele, eÁ proprio quella secondo cui esso sarebbe una molteplicitaÁ che raggiunge una delimitazione 45; definizione, questa, in un rapporto di esterioritaÁ reale, idea, questa, che Plotino, in chiara polemica con certe proposte medioplatoniche e forse gnostiche, respinge. Se, al contrario, l'Essere venisse concepito come meramente coincidente con l'Uno, non risulterebbe possibile l'esplicarsi della molteplicitaÁ eidetica che identifica la natura dell'Intelletto come realtaÁ unimolteplice, giacche l'essere risulterebbe completamente compresso in unitaÁ e come ``inghiottito'' da essa. Anche nel caso in cui il molteplice si esplicasse, esso sarebbe in possesso di una forma di esistenza parvente, giaccheÂ, appartenendo il vero essere in forma autoidentitaria al solo Uno-che-eÁ, l'essere si predicherebbe della molteplicitaÁ eidetica attualmente separata dall'Uno solo per omonimia, secondo una modalitaÁ, pertanto, che sembra appartenere piuttosto al sensibile. Per tali questioni e per il loro rapporto con il Parmenide, il Sofista e il Timeo cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 78-81, 92-5, 201-2 e rinvii, 2101, 217, 231-3, 255-6, 267-9. Sui molteplici aspetti speculativi del tema dell'iperinclusione cfr. A. Schniewind, OuÁ se situe l'intelligible?, cit., pp. 29-44. 43 Per la possibile dipendenza da temi speusippei cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., p. 173; Ead., Sinfonia matematica, cit., p. 135 sg. e rinvii. 44 Ma cfr. infra, par. 3. 45 Cfr. Aristot. Metaph. , 13.1020a13 e E. Cattanei, Enti matematici, cit., pp. 17, 286 nn. 12-3. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 113 che, al di laÁ delle sue implicazioni aritmetiche, forse estranee a Plotino, ha caratteri di singolare tangenza con la nozione plotiniana della molteplicitaÁ intelligibile come  unificato e, per questo, simile all'Uno e non malvagio 46. La difesa dello statuto ideale dei numeri equivale, in tale prospettiva, alla ricerca del fondamento intelligibile di ogni molteplicitaÁ che, per il fatto stesso di possedere l'unitaÁ «in un modo o nell'altro» 47, rifugge dall'attribuzione di un possesso essenziale dell'infinitaÁ, qualora essa venga intesa come molteplicitaÁ completa, che nulla condivide con l'unitaÁ. Ora, se nulla puoÁ essere molteplicitaÁ completa, tutto eÁ numero, nel senso di delimitato, e, se tutto eÁ numero, questo deve avere carattere eidetico e non sensibile, giacche eÁ nell'intelligibile che risiede paradigmaticamente la condizione dell'essere del sensibile. Ma, se eÁ intelligibile, il numero, circolarmente, non puoÁ essere infinito. Ogni eventuale moltiplicazione numerica, che dia l'impressione che il numero possa tendere verso l'infinitaÁ, saraÁ il risultato, come si eÁ detto, di mere operazioni dianoetiche che, nel pieno spirito platonico, rendono molteplice cioÁ che eÁ in se uno perche stabilmente eÁ: Nel mondo intelligibile come sono definiti gli esseri cosõÁ anche il numero eÁ definito tanto quanto gli esseri. Noi, peroÁ, come rendiamo molteplice l'idea di uomo predicandola piuÁ volte e facciamo lo stesso con il bello e con le altre 46 Cfr. Plot. vi 6, 3, 4. Mi pare dunque significativo che, come ho anticipato, il trattato vi 6 sia inaugurato non da considerazioni aritmologiche relative alla natura dei numeri, ma da una piuÁ generale introduzione al problema della molteplicitaÁ, che fin dal principio viene articolata secondo una diversificazione che mira a individuare, all'interno dell'ambiguo genere del molteplice, due ``specie'' tra loro accomunate da un rapporto di mera omonimia, quella della molteplicitaÁ assoluta, l'a\peiqi* a, priva per cioÁ stesso di ogni possibilitaÁ di numerazione, e quella della grandezza, in cui il molteplice reca traccia di una coesione che rinvia alla necessitaÁ del possesso, per quanto reso instabile dalla materia, dell'unitaÁ (cfr. Plot. vi 6, 1, 1 sg.). L'accenno alla grandezza serve a Plotino come occasione per concludere, a fortiori, a favore della necessitaÁ che si dia l'unitaÁ in tutto cioÁ che eÁ: se, infatti, le realtaÁ dotate di grandezza sensibile non possono se non venire all'essere come realtaÁ unificate, a maggior ragione cioÁ dovraÁ avvenire per quanto non condivide con queste il possesso dei caratteri della spazialitaÁ e dell'estensione. 47 Cfr. Plot. vi 6, 1, 20. 114 CLAUDIA MAGGI idee, cosõÁ con l'immagine di ciascuna idea produciamo anche l'immagine del numero 48. Il problema dei numeri ideali viene quindi ricondotto all'esigenza di ammettere che quanto realmente eÁ, pur non mancando di quei caratteri intrinsecamente molteplici che, come sopra accennato, segnano la distanza del derivato dall'Uno, resti unitario. Come a dire che quanto ``fuoriesce'' dall'Uno non puoÁ se non essere unitario, in quanto somigliante all'origine, eppure distante da Esso, e dunque molteplice 49. Unimolteplice, cioeÁ numero, se davvero il numero eÁ concepibile come molteplicitaÁ unificata. Stabilmente unitario, dunque numero ideale, unico come eÁ, seguendo Platone, unica e indivisibile ogni idea: numero, in conclusione, non disperso in quella moltiplicazione di unitaÁ, indifferentemente uguali fra loro, che eÁ solo il contare che produce 50. Per cioÁ che riguarda l'aspetto eidetico del numero, esso sembra trovare sostegno nell'esegesi dei dialoghi platonici, piuttosto che nelle dottrine accademiche. Dopo avere valutato, nel capitolo 4, una serie di possibilitaÁ per cioÁ che riguarda la collocazione dei numeri nel mondo intelligibile 51, Plotino opta per una soluzione che gli pare maggiormente rispondente a una corretta lettura di Platone, che postula, sulla base della Repubblica e del Timeo, l'autonomia ontologica dei numeri e relega l'altro numero, quello, cioeÁ, ``apparentemente'' infinito, ai movimenti dianoetici dell'anima: Platone, quando afferma che gli uomini sono pervenuti alla nozione di numero per il succedersi dei giorni e delle notti ± per cui poggia il concetto di numero sulla differenza delle cose ± verosimilmente intende dire che le cose contate 48 Ivi, 6, 2, 9-13 e J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 147-8. Cfr. Plot. vi 6, 3, 1-9. Sul carattere indifferente delle unitaÁ che fondano il numero oggetto del contare cfr. C. Maggi, Lineamenti di un'ontologia matematica, cit., p. 541 e rinvii. 51 Per una presentazione delle varie ipotesi cfr. Plot. vi 6, 4, 1-10 e C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 186-9; J. Bertier-L. Brisson, Plotin. Sur les Nombres, cit., pp. 41-6, 154-5; D. Nikulin, Foundations of Arithmetic in Plotinus: Enn. VI 6 (34) on the Structure and the Constitution of Number, «MeÂthexis», xi (1998) p. 87. 49 50 L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 115 esistono prima e creano il numero a causa della loro differenza, o meglio che il numero viene di volta in volta a costituirsi quando l'anima oltrepassa e percorre una cosa dopo l'altra [...]. Ma altresõÁ, quando Platone dice ``nel vero numero'' e insegna che il numero eÁ nell'essenza, al contrario intende forse dire che c'eÁ un'esistenza del numero per se stesso e che esso non trova esistenza nell'anima che conta. Piuttosto in se stessa essa sente sollecitarsi la nozione del numero per il presentarsi alternato che riguarda le cose sensibili 52. CioÁ che merita infine di essere precisato, e che ci riporta ai problemi della partecipazione illustrati nel Parmenide, eÁ il continuo trapassare di Plotino dall'ipotesi della separazione ontologica dei numeri a quella della loro presenza negli enti, presenza che, a propria volta, non eÁ letta, alla maniera aristotelica, come il darsi, rispetto a una sostanza, di un attributo che solo la mente puoÁ separare, ma come possibilitaÁ, per cioÁ che possieda natura intelligibile, di essere presente negli enti ``proprio percheÂ'' da essi separato: Vi saraÁ ancora un'esistenza del numero, nel momento in cui esso eÁ solo un attributo delle cose? Che cosa peroÁ impedisce ± si potrebbe obiettare ± che, pur essendo il bianco una proprietaÁ delle cose, vi sia un'esistenza del bianco nelle cose stesse? [...] Una tale modalitaÁ di esistenza allontana il numero dalla condizione di essere sostanza e lo rende piuttosto un accidente. [...] La decade sta prima di cioÁ di cui eÁ predicata come decade. Questa che dico saraÁ la decade in seÂ, certo non la cosa di cui la decade eÁ un attributo saraÁ la decade in seÂ. [...] Se si ammette che la decade possa informare una data natura come se questa fosse materia e che detta realtaÁ saraÁ dieci e decade in virtuÁ della presenza della decade, dobbiamo ammettere che la decade in se esiste e che essa non eÁ altro se non solo decade 53. Che l'uso, da parte di Plotino, degli argomenti del Parmenide sia consapevole puoÁ essere ricavato da una serie di luoghi, come i seguenti: In conclusione: come il grande eÁ grande per la presenza della grandezza, ugualmente l'uno eÁ uno per la presenza dell'uno e il due eÁ due per la presenza della diade. Lo stesso discorso vale per tutto il resto. L'indagare poi come una natura comune abbia parte in relazione a tutte le cose equivale a indagare sulla dibat- 52 Plot. vi 6, 4, 11 sg. Cfr. Plat. Tim. 39b6-c1, 47a4-6; Resp. vii 529d2-3. Si veda anche Epinom. 978d1 sg. 53 Plot. vi 6, 5, 17 sg. 116 CLAUDIA MAGGI tuta questione della partecipazione delle forme. C'eÁ peroÁ da riconoscere che la decade si vede essere presente in un modo nelle realtaÁ discrete, in un modo diverso in quelle continue, in un modo ancora diverso nelle molte potenze di tale quantitaÁ ricondotte all'unitaÁ. Ora saliamo fra le realtaÁ intelligibili: lõÁ i numeri non si vedono piuÁ nelle altre cose, ma esistono in se stessi e sono i numeri verissimi: la decade in seÂ, non decade di alcuni esseri intelligibili 54. La realtaÁ separata eÁ per numero assolutamente la stessa e in questo eÁ diversa dal triangolo immanente che eÁ molto nei molti (    $  \ m pokkoi& | pkei* x o>m), ma eÁ piuttosto simile al triangolo separato dalla materia (a>tkom) 55. Ecco, dunque, la prima conclusione di Plotino. Il numero eÁ una realtaÁ eidetica. Esso puoÁ, pur restando separato, essere moltiplicato nei molti, cosõÁ producendo l'impressione, in chi tralasciasse il corretto senso della partecipazione, di una moltiplicazione infinita. 3. La prioritaÁ ontologica dei numeri Il dibattito accademico in merito al rapporto fra numeri e idee ± si identificano? E, se non si identificano, quale realtaÁ precede ontologicamente l'altra? Quanti tipi di numero esistono? ± puoÁ solo essere sfiorato in queste pagine. Grava, sull'esatta comprensione del problema, la mediazione di Aristotele, di Alessandro e, in generale, di quanti hanno provato a portare ordine in una serie di modelli che, forse tutti originati dal tentativo di confrontarsi con le aporie della partecipazione, hanno, infine, consegnato all'esegeta moderno il ``nodo di Gordio'' delle dottrine professate dall'antica Accademia. In questo ``magma'' ermeneutico pare che debba risalire a Platone tanto la distinzione fra idee e numeri, quanto la duplicitaÁ della nozione di numero, a Speusippo la derivazione dai principi del solo numero aritmetico, a Ivi, 6, 14, 40-50. Ivi, 5, 11, 31-3. Cfr. C. D'Ancona Costa, ALOQPGOM JAI AMEIDEOM. Causalite des formes et causalite de l'Un chez Plotin, «Revue de Philosophie Ancienne», x (1992) p. 94. Cfr. anche la discussione e i rinvii in C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., p. 85 sg. 54 55 L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 117 Senocrate, infine, l'esistenza del solo numero ideale 56. Quel che eÁ certo eÁ che tracce del dibattito sulla prioritaÁ ontologica dei numeri ideali sembrano accennate in vi 6 allorche Plotino si chiede se «il numero esista prima delle altre forme o dopo» 57. La superioritaÁ e anterioritaÁ del numero, difesa in vi 6, 10, 45-51, sembra ispirarsi al principio del  rtmamaiqei& rhai, per cui fra due concetti o enti eÁ ontologicamente anteriore quello che porta con se anche l'annullamento dell'altro; principio, questo, riconducibile al riduzionismo accademico, che postula l'anterioritaÁ degli enti matematici semplici rispetto a quelli complessi, per concludere a favore della superioritaÁ dei numeri rispetto alle figure e di queste rispetto ai corpi sensibili 58: Se eÁ possibile pensare una realtaÁ senza il suo atto, nondimeno esso sta con essa, anche se viene collocato dopo dal nostro pensiero. Se invece non eÁ possibile pensarli separatamente l'una dall'altro ± come pensare uomo senza uno ± allora l'atto non eÁ posteriore a quella realtaÁ, ma o le eÁ coesistente, oppure la precede, affinche quella certa realtaÁ possa esistere attraverso l'atto. Noi affermiamo che l'Uno e il numero vengono prima. L'atto di cui si parla eÁ concepibile, in termini aristotelici, come predicato o, in un senso piuÁ autenticamente platonico, come idea. La Cfr. E. Cattanei, Enti matematici e metafisica, cit., pp. 121 sg., 151-61. Plot. vi 6, 4, 10-1. 58 Cfr. Aristot. Metaph. B 5.1002a4 sg.; D 11.1018b37-1019a4; L 2.1076b1820; Alex. Aphrod. In metaph. 55, 20-56, 1. Per il ruolo di Alessandro nella trasmissione di tale dottrina cfr. J.-C. Dumoncel, La theÂorie platonicienne des ideÂesnombres. Essai sur l'origine de la MatheÂmatique Universelle, «Revue de Philosophie Ancienne», x (1992) pp. 6-7. L'idea di una subordinazione ontologica delle forme ai numeri eÁ resa esplicita da Teofrasto (Metaph. 6b11-4; cfr. Sext. Emp. Adv. math. x 258), e non eÁ da escludere che tali suggestioni, probabilmente per il tramite di Alessandro di Afrodisia, agiscano su Plotino. Sulla possibilitaÁ, nel modello plotiniano, di influssi neopitagorici cfr. A. Alexandrakis, Neopythagoreanizing Influences on Plotinus' Mystical Notion of Numbers, «Philosophical Inquiry», xx (1998) p. 103. Su tale questione nell'opera di Nicomaco cfr. Ch. Helmig, The Relationship between Forms and Numbers in Nicomachus' Introduction to Arithmetic, in M. Bonazzi-C. LeÂvy-C. Steel (eds.), A Platonic Pythagoras. Platonism and Pythagoreanism in the Imperial Age, Turnhout 2007, pp. 127-46. Sul modello del riduzionismo cfr. E. Berti, La filosofia del ``primo'' Aristotele, cit., pp. 208-9, 249-50. 56 57 118 CLAUDIA MAGGI sua autonomia deriverebbe dall'essere esso la ragione ontologica di cioÁ rispetto a cui si struttura come predicato in un ambito che non eÁ solo linguistico. L'autonomia dei numeri ± e la loro prioritaÁ rispetto alle idee ± sarebbe allora il risultato del loro costituirsi come predicato generalissimo di ogni realtaÁ nominata di cui si voglia attestare l'esistenza determinata: alla luce di tale prospettiva Plotino puoÁ concludere che «non eÁ quando nacquero che gli esseri furono contati; giaÁ si sapeva quanti dovevano nascerne. Ne consegue che il numero totale degli esseri era anteriore agli esseri stessi. E se il numero era prima degli esseri, allora non era gli esseri» 59. Quest'ultima idea, a propria volta, viene contaminata con il recupero della triade ``platonica'' essere-pensierovita, ricavata dall'esegesi del Timeo e del Sofista: Poiche dunque c'eÁ un vivente in senso primario ed eÁ per questo Vivente in se e c'eÁ un Intelletto e un Essere vero e affermiamo che contiene tutti insieme i viventi, il numero totale, il giusto in se e il bello e quante altre cose di tale natura [...] e se allora bisogna considerare l'Essere per primo poiche eÁ primo, secondo l'Intelletto, terzo il Vivente ± dal momento che questo risulta ormai abbracciare tutto mentre l'Intelletto eÁ secondo in quanto atto dell'Essere ± ne deriva che il numero non potraÁ esistere conformemente al Vivente, poiche prima di lui c'erano giaÁ l'uno e il due; ma non potraÁ essere neppure al livello dell'Intelletto, poiche prima di lui c'era l'Essere che eÁ uno-e-molti 60. Una volta collocato il numero al livello dell'Essere, giaccheÂ, «se l'Essere nasce dall'Uno, come l'Uno-era-Uno, cosõÁ eÁ necessario che l'Essere fosse numero» 61, Plotino giunge a una sorta di quadripartizione del numero: L'Essere eÁ allora numero unificato (% $  ), gli esseri numero svolto (\ nekgkicle*mo|), l'Intelletto numero che si muove in se stesso (e\m e<ats{& jimot*lemo|), il Vivente numero che circonda (peqie*vxm) 62. La definizione degli esseri intelligibili come numero esplicato e dell'Intelletto/Vivente quale numero che dinamicamente comprende Plot. vi 6, 9, 22-4. Ivi, 6, 8, 1 sg. 61 Ivi, 6, 9, 32-3. Cfr. Plat. Parm. 144a4. 62 Plot. vi 6, 9, 29-32. Per un'analisi del passo, anche con riferimento agli echi tratti dall'esegesi di Platone, cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 217-8. 59 60 L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 119 cioÁ che pensa allude alla natura molteplice e, insieme, unitaria della seconda ipostasi, oltre a recuperare, in questa idea di movimento unitario e totale, i generi del Sofista. PiuÁ complessa mi pare la nozione dell'Essere come numero unificato, che non trova immediata giustificazione ne nella relazione aristotelica sui numeri eidetici, ne nel modello di numero ideale offerto dai dialoghi, neÂ, almeno a prima vista, nell'esegesi plotiniana di questi ultimi 63. L'idea di un numero unificato rinvia invece, con tutta probabilitaÁ, alla sintesi esegetica realizzata da Plotino in una nuova ottica monopolare, che si confronta con il problema della diade indefinita intesa non piuÁ come principio autonomo che genera numeri ed esseri, ma come derivato, essa stessa, dall'Uno, numero (dunque molteplicitaÁ) unificato e, pertanto, essere non attualmente infinito 64. 4. Gli enti intermedi Nel suo commento alla Metafisica di Aristotele, Siriano afferma: Dice [scil. Aristotele] che vi sono di quelli che pongono due tipi di numeri, come Platone: ed eÁ chiaro che per essi il numero ideale eÁ diverso da quello matematico. [...] Altri li riconoscono entrambi, ma li considerano poi facenti tutt'uno: egli allude a Speusippo, forse, e a Senocrate 65. Abbiamo visto come, in merito alla possibilitaÁ di distinguere i numeri dalle idee, Plotino sembri seguire ``Platone'', piuttosto che gli altri rappresentanti dell'Accademia, ai quali tutti si avvicina, invece, per l'ammissione, pur revisionata, di un ruolo da accordare alla diade nello svolgimento del reale. Ancora piuÁ incerta appare in vi 6 la questione dell'esistenza di due tipi di numero. Se, infatti, come credo sia emerso da alcuni passi riportati, Plotino pare propendere a favore delSu questo problema cfr. ivi, pp. 87-91. Cfr. Ead., Sinfonia matematica, cit., pp. 130-4. 65 Senocrate ± Ermodoro. Frammenti, a cura di M. Isnardi Parente, Napoli 1982, pp. 203-4 fr. 115. 63 64 120 CLAUDIA MAGGI l'ammissione di una duplice natura del numero, non eÁ chiaro se l'altro dal numero ideale sia identificabile con gli intermedi della tradizione indiretta 66. In vi 6, 2 il filosofo parla di un  &$ a\qihlot& e il contesto lascia pensare che l'immagine del numero sia associata al contare 67. Questo, a propria volta, risulta lõÁ inserito in una prospettiva partecipativa 68, per cui, come si eÁ accennato sopra, eÁ reso molteplice cioÁ che per se eÁ uno. Nel capitolo 4 di vi 6 abbiamo trovato un altro riferimento alla possibilitaÁ che si dia una realtaÁ numerica di ordine inferiore rispetto a quella eidetica 69; anche qui, il secondo tipo di numero sembra associato al solo atto del contare da parte dell'anima; diversamente dal primo caso, ne viene inoltre sottolineato il carattere, per cosõÁ dire, ``occasionale'', il che sembrerebbe escludere che Plotino abbia in mente gli intermedi platonici che, nonostante l'inferioritaÁ ontologica rispetto ai numeri ideali, sono, tuttavia, enti autonomi. Al tempo stesso, il continuo ``sospetto'' esercitato da Plotino in merito alla validitaÁ epistemologica del calcolo credo permetta di escludere l'attribuzione alla sua indagine di un interesse matematizzante che, al contrario, sarebbe appartenuto a Speusippo 70. Quando in vi 6, 9 i due tipi di numero sono nuovamente posti in esplicito confronto questo di cui parlo eÁ il numero essenziale (ot\rix*dg|); di altra natura eÁ quello che viene chiamato monadico (lomadijo*|), immagine (ei> dxkom) di quello essenziale 71 66 Ho altrove sottolineato che non pare possibile ± a meno di non trovare sostegno in occorrenze e paralleli presenti, ad esempio, nei trattati Sui generi dell'Essere ± sostenere senza ambiguitaÁ che questo secondo numero coincida con gli intermedi della tradizione indiretta, giacche Plotino sembra interessato a sottolineare la parvenza del calcolo, incapace di cogliere l'essenza di cioÁ che conta, piuttosto che assumere una posizione precisa circa l'eventuale tripartizione ontologica di cui parla lo Stagirita. Cfr. C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 112-3. 67 Cfr. supra, n. 48. 68 Cfr. Plat. Phaed. 100e5 sg. 69 Cfr. supra, n. 52. 70 Cfr. E. Cattanei, Enti matematici, cit., pp. 154-5. 71 Plot. vi 6, 9, 34-5. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 121 sembra che, ancora una volta, non sia tanto il tema dell'autonomia ontologica di eventuali intermedi a interessare Plotino, quanto l'idea che il numero-immagine possa coincidere con quella visione erronea dell'a\qihlo*| che, una volta separata dalla propria radice eidetica, rischierebbe di produrre il fantasma dell'infinito. L'aggettivo lomadijo*| eÁ, infatti, mutuato da Aristotele 72 e serve a indicare la natura del numero aritmetico, che eÁ costituito da unitaÁ inestese e del tutto identiche l'una all'altra. Caratteristica, quest'ultima, che non necessariamente vale a indicare lo statuto ontologico degli intermedi, a meno che non si precisi una equivalenza fra la nozione di lomadijo*| e quella di lesant*. Quello che eÁ certo eÁ che abbiamo qui un chiaro esempio di contaminazione esegetica: mentre, infatti, la nozione di ei> dxkom si richiama nuovamente a un modello partecipativo, l'aggettivo lomadijo*| chiama in causa Aristotele e la valenza aritmetica del numero, con questo inducendo a chiederci se ci siano condizioni che rendano ontologicamente possibile l'atto del contare. Nel capitolo 15, dopo che sono stati sottoposti a confutazione i modelli del numero come affezione dell'anima e del numero come effetto di una relazione 73, troviamo una nuova, e in parte diversa, distinzione: Tali sono i primi numeri (pqx&soi a\qihloi* ), detti numerati. I numeri che invece sono giaÁ nelle altre cose (e\m soi& | a>kkoi|) hanno le seguenti due proprietaÁ: in quanto derivano da questi (paqa+ sot*sxm), sono numerati, ma in quanto secondo questi misurano (lesqot&ri) le altre cose hanno la duplice funzione di numerare i numeri e le cose numerate 74. Ai primi numeri eÁ riconosciuta la funzione di determinare la venuta all'essere di ogni ente. Circa i secondi, l'espressione e\m soi& | a>kkoi| lascia pensare alla possibilitaÁ, per una natura eidetica, di essere presente in cioÁ che da essa deriva e di essa partecipa, pur restando, per se stessa, Cfr. Aristot. Metaph. L 8.1083b16-7, 6.1080b19, b30, M 5.1092b20; Eth. Nic. E 3.1131a30; De an. A 4.409a20. Per un'analisi dei termini ot\rix*dg| e lomadijo*| cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 219-20 e rinvii. 73 Cfr. ivi, p. 241 sg. 74 Plot. vi 6, 15, 37-41. 72 122 CLAUDIA MAGGI separata 75. A questi numeri partecipanti, infine, eÁ riconosciuta la funzione di contare (a\qihlot&mse|) sia i numeri ± ovvero produrre i numeri monadici in un atto intransitivo che non eÁ immediatamente associato ad alcun oggetto ±, sia tutto quanto partecipa dei numeri (primi) ed eÁ per questo numerabile ± ovvero contare transitivamente gli esseri. Un tale esplicito legame fra l'atto partecipativo e il contare sembrerebbe conferire al numero aritmetico una stabilitaÁ ontologica altrove non riconosciuta in modo esplicito. Esiste, pertanto, la possibilitaÁ di una fondazione ontologica della ``logistica''? Nel capitolo 16 leggiamo: Quando tu, dopo aver preso un oggetto insieme ad un altro, dici ``due'' ± ad esempio intendendo un cane e un uomo o anche due uomini ± o prendendone di piuÁ dici ``dieci'' e intendi una decade di uomini, questo numero non rappresenta l'essenza neppure come essa si ritrova nei sensibili, ma eÁ pura e semplice quantitaÁ (poro*m) 76. Qui l'atto del contare eÁ mostrato, diversamente dal caso sopra presentato, nella sola modalitaÁ transitiva; ma, in questo caso, sembra che il legame rispetto al numero essenziale sia escluso, nello stesso momento in cui viene negata al contare la facoltaÁ di rinvenire l'essenza ``anche nel modo'' in cui essa eÁ nel sensibile. In realtaÁ, come a voler fornire un chiarimento, Plotino introduce una distinzione fra due modalitaÁ di contare da parte dell'anima: nel primo caso, eÁ rinvenuto negli esseri il numero che spetta loro essenzialmente; nel secondo, gli enti che l'anima trova di fronte a se vengono contati e raggruppati esteriormente, senza che si rintracci una vera proprietaÁ che li identifichi e, platonicamente, li accomuni 77. Tale atto esteriore sarebbe produttore 75 Cfr. ivi, 5, 3, 1 sg. e J.S. Lee, Omnipresence and Eidetic Causation in Plotinus, in R. Baine Harris, The Structure of Being, cit., pp. 94-5. Sulla distinzione fra numeri numerati e numeri numeranti cfr., in particolare, E. Amado, A propos des nombres nombreÂs et des nombres nombrants chez Plotin, «Revue Philosophique de la France et de l'EÂtranger», lxxviii (1953) pp. 423-5. Per un approfondimento della distinzione, anche con riferimento ad altre sezioni delle Enneadi, cfr. C. Maggi, Plotino. Sui numeri, cit., pp. 57-8, 272 e rinvii. 76 Plot. vi 6, 16, 14-8. 77 Cfr. ivi, 6, 16, 20 sg. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 123 della quantitaÁ numerica. Ora, se consideriamo che la ``quantitaÁ'' eÁ inserita da Aristotele fra le categorie e che queste, in quanto espressione di rapporti sensibili, non possono indicare in Plotino cioÁ che di vero eÁ presente anche nel sensibile, ma, al contrario, cioÁ che indica l'aspetto non intelligibile del sensibile 78, ovvero quanto eÁ essere solo per ``omonimia'' 79, dovremmo concludere che non vi sia possibilitaÁ per i numeri intermedi, qualora essi siano saldati al calcolo e alla produzione di ``quantitaÁ'', di essere inclusi nell'articolazione dell'intelligibile. Il che avvicinerebbe Plotino alla posizione di Senocrate e all'individuazione di un unico ``ente matematico'' che, di fatto, non eÁ in alcun modo matematico 80. Il fatto, inoltre, che il numerare essenziale e quello accidentale siano associati a un atto dell'anima, in un caso presentata nella condizione di appartenenza all'intelligibile, nell'altro di allontanamento, fa sõÁ che i numeri deputati al calcolo perdano la loro autonomia, risultando integrati nell'anima, numero incardinato nell'atto derivativo, numero produttore di numeri apparentemente infiniti nell'atto di obliare la propria dipendenza ontologica dai livelli superiori 81. Cfr. Ch. Evangeliou, The Ontological Basis of Plotinus' Criticism of Aristotle's Theory of Categories, in R. Baine Harris, The Structure of Being, cit., pp. 7382; Id., Aristotle's Categories and Porphyry, Leiden 1988, p. 93 sg.; Ch. Horn, Plotin uÈber Sein, Zahl und Einheit, cit., p. 32 sg.; R. Chiaradonna, Sostanza movimento analogia. Plotino critico di Aristotele, Napoli 2002, pp. 21 sg., 84 sg. 79 L'omonimia rappresenta in Plotino il modello a partire dal quale viene elaborata la natura della relazione fra intelligibile e sensibile secondo le nozioni di incorporeo e corporeo. Tale relazione eÁ reale, se procede dall'incorporeo al corporeo in quanto questo partecipi di quello; eÁ irreale, dunque equivoca, qualora si pretenda di prescindere dalla dipendenza ontologica del sensibile dall'intelligibile, come sembrerebbe avvenire nell'uso aristotelico delle categorie. Cfr. A. Longo, L'assimilation originale d'Aristote dans le traite VI. 5 [23] de Plotin, «EÂtudes platoniciennes», iii (2006) pp. 155-7. 80 Cfr. E. Cattanei, Enti matematici, cit., p. 155. Sulla possibilitaÁ di rinvenire in Plotino anche la nozione di quantitaÁ intelligibile cfr. Plotino. Enneadi VI 1-3. Trattati 42-44, Sui generi dell'Essere, Introduzione, testo greco, traduzione, commento a cura di M. Isnardi Parente, Napoli 1994, pp. 375-6. 81 Cfr. S. Slaveva-Griffin, Plotinus on Number, cit., pp. 112-8; C. Maggi, Lineamenti di un'ontologia matematica, cit., pp. 553-4. Per il rapporto fra anima e numeri nella tradizione accademica e per il probabile influsso del modello ploti78 124 CLAUDIA MAGGI Questo, ancora una volta, ci riconduce a Senocrate e, in parte, a un ``certo modo'' di leggere Platone. A proposito di Senocrate, lo Stagirita afferma: Ma poiche l'anima appariva essere al tempo stesso capace di movimento e capace di conoscenza, cosõÁ ci furono alcuni che unirono questi due concetti insieme, affermando che l'anima eÁ un numero che muove se stesso 82. Abbiamo visto come Plotino recuperi questa nozione giaÁ al livello dell'Intelletto, allorche parla di a\qihlo+| e\m e<ats{& jimot*lemo|. Egli, tuttavia, sembra tornare all'associazione fra numero e movimento anche in relazione all'anima, per quanto l'ascendenza senocratea sia contaminata da riferimenti platonici che, tralasciando il tema del movimento, insistono sul legame fra numero e essere: Platone afferma che l'anima partecipa del numero e dell'armonia ed eÁ anzi numero e armonia, dal momento che [...] non eÁ un corpo e non eÁ grandezza; allora l'anima eÁ numero, se eÁ vero che eÁ essenza 83. ``Se eÁ vero che eÁ essenza''. Della dottrina dei numeri viene recuperato, infine, soprattutto questo teorema, cioeÁ l'identificazione con cioÁ che veramente eÁ. FincheÂ, dunque, Plotino accoglie l'associazione aristotelica tra ente monadico, pensiero e calcolo gli eÁ difficile riconoscere agli intermedi statuto ontologico. D'altra parte, anche quando lo Stagirita presenta il modello ``platonico'' della tripartizione ontologica, tende a identificare gli enti matematici intermedi con i veri e propri enti aritmo-geometrici, quelli, cioeÁ, associati al calcolo, per cui non sembra che tale dottrina possa trovare spazio in Plotino. niano, anche se in forma critica, su Giamblico, nel quale il termine ei> dxkom indica con chiarezza gli intermedi (cfr. De comm. math. sc. 32, 13 sg.) e il rapporto fra questi e l'anima eÁ mantenuto in una condizione di non completa identificazione, cfr. la discussione in C. Maggi, Sinfonia matematica, cit., pp. 52-7 e rinvii, 178-83, 200-11 e rinvii. 82 M. Isnardi Parente, Senocrate ± Ermodoro. Frammenti, cit., p. 223 fr. 165. 83 Plot. vi 6, 16, 43-5. Cfr. S. Slaveva-Griffin, Plotinus on Number, cit., pp. 114, 118, 138. L'APOSTASIA DEL MOLTEPLICE NEL TRATTATO SUI NUMERI DI PLOTINO 125 A meno che l'intermedietaÁ non sia da intendersi diversamente e non sia possibile, pertanto, concepire una duplicitaÁ della realtaÁ numerica senza che cioÁ comporti l'appello alla funzione logistica dei numeri. EÁ probabile che i modelli accademici fossero, in realtaÁ, piuÁ complessi e rintracciassero negli intermedi non solo la condizione del calcolo strettamente inteso, ma anche la ``situazione'' ontologica attraverso la quale la presenza delle strutture ideali si estendeva all'intero ordine della realtaÁ, anche sensibile, forse a partire dall'esegesi di alcune sezioni del Timeo, nelle quali eÁ detto che il demiurgo plasma secondo forme e numeri 84. Tale ambigua complessitaÁ risulta incardinata da Aristotele in un modello che, per cosõÁ dire, diventa piuÁ fisso, e conferisce agli intermedi una collocazione ontologica netta ricavata dalla loro differenza specifica e rispetto alle idee, e rispetto agli enti sensibili. Egli, poi, salda tali intermedi al calcolo, piuttosto che alla produzione del sensibile e finisce con il ``salvarli'', proprio in quanto unitaÁ deputate al calcolo, attraverso un'opera di ``estrapolazione'' dai modelli accademici e una loro ricontestualizzazione all'interno di un paradigma esclusivamente logistico, che non cerca sostegno in un'ontologia forte ma, piuÁ semplicemente, nella ``naturale'' tendenza del pensiero umano a procedere senza soluzione di continuitaÁ in una successione ± tale sarebbe il fondamento dell'aritmetica ± o a ``separare'' dagli enti sensibili caratteri semplici e atti a diventare oggetto di una data scienza ± tale sarebbe la geometria 85. Plotino si muove in una zona ``grigia'' dell'esegesi, che rende estremamente difficile rispondere alla domanda se abbia o meno accolto il modello accademico degli intermedi, anche perche non eÁ possibile sapere fino a che punto tale modello gli sia giunto attraverso l'irrigidimento aristotelico o, invece, secondo tracce originarie. Quello che sembra certo eÁ che la tendenza plotiniana ad ammettere l'estensione a tutto il reale del numero essenziale e, parimenti, l'insistenza sulla possibilitaÁ, Cfr. Plat. Tim. 52d2 sg. e Platon. TimeÂe/Critias, Traduction ineÂdite, introduction et notes par L. Brisson, Paris 19952, p. 252 n. 386; F. KarfõÂk, Que fait et qui est le deÂmiurge dans le TimeÂe?, «EÂtudes platoniciennes», iv (2007) pp. 145-7. 85 Cfr. C. Maggi, Lineamenti di un'ontologia matematica, cit., pp. 541-2; Ead., Sinfonia matematica, cit., pp. 68-70. 84 126 CLAUDIA MAGGI per l'idea, di essere sia presente, sia separata, farebbe pensare a una lettura del tema dell'intermedietaÁ secondo una logica fluida, per cui intermedio sarebbe il numero essenziale nel suo essere partecipato. Se, infatti, attraverso l'estensione del modello partecipativo all'intero universo, il numero essenziale risulta ``onnipresente'' 86, quale realtaÁ dovrebbe essere deputata, meglio e piuÁ specificamente di ogni altra, ad essere ``intermedia''? enneadi@virgilio.it 86 rinvii. Cfr. la discussione di tale tesi in Ead., Plotino. Sui numeri, cit., pp. 238-9 e