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Migrazioni minori. Vulnerabilità, salute e pratica educativa

2020

Nota iniziale Come curatori del presente numero, più che mai, ci pare doverosa una nota iniziale. L'avremmo fatta comunque, per introdurre i contributi che, secondo diverse prospettive e posizioni, si addensano attorno alla proposta che fa da titolo a questo volume monografico di Health Care Education in Practice, rivista di studi ed esperienze sull'educazione e le sue pratiche nei contesti della salute e della malattia: "Migrazioni Minori. Vulnerabilità, salute e pratica educativa". Ci è parso stimolante e provocatorio l'accostamento del binomio iniziale, "migrazioni" e "minori". Alludiamo certamente "ai minori", spesso parte dei percorsi migratori e altre volte addirittura protagonisti, come nel caso dei non accompagnati. Ma in questa chiave, il binomio intendeva avere anche un tono di denuncia, per come troppo di frequente i minori nei percorsi migratori spariscano, non abbiano voce né peso, come se-per l'appunto-questo aspetto delle migrazioni, fosse un aspetto "minore". Ed invece, proprio per questa apparente lateralità, per questo aspetto di margine che rappresenta la minore età, tali migrazioni meritano speciale attenzione pedagogica, per la vulnerabilità che espongono e che richiede-di conseguenza-assunzione educativa. Ma la nota introduttiva si rende ulteriormente necessaria stante il momento "storico" nel quale questo numero esce, momento nel quale-al di là di ogni possibile immaginazione-la pandemia mondiale di Covid-19, che così duramente ha colpito il nostro Paese, ci ha fermati, sospendendo molti aspetti della nostra quotidianità, senza troppa distinzione tra quelli superflui e quelli-ahinoiessenziali. Qualsiasi rivista scientifica, come il lettore di certo saprà, è frutto di un percorso lungo, di cui l'uscita a stampa (cartacea o online, come nel nostro caso) è solo l'ultimo passo. Esso è preceduto, andando a ritroso, dalla sistematizzazione dei contributi, dalla loro revisione da parte dei Referee, dall'acquisizione degli stessi tramite le Call, e ancor prima-ovviamente-dalla loro elaborazione secondo traiettorie di indagine (teoretica ed empirica) che li hanno a loro volta preceduti. Ecco quindi che i tempi dell'attualità e dell'emergenza non sono quelli di una rivista scientifica, e ci troviamo come curatori ad aver confezionato un numero che non può che prescindere dall'urgenza pandemica che così fortemente caratterizza l'epoca della sua uscita. Oppure no? La domanda non è retorica. Perché in qualche modo è la stessa pedagogia che racchiude in sé la cifra dell'attualità, misurandosi con la realtà finita della condizione umana. Ecco allora cheassumendo nel profondo l'umano-la lettura pedagogica tocca corde costitutive di tale condizione, come quelle che oggi sono sotto i nostri occhi: la vulnerabilità. Era questo il nocciolo della nostra Call, ed è questo il cuore di ciò che questa attualità nuovamente ci svela, sebbene illuminandola da diversa luce. Forse allora il tema della vulnerabilità, della "cura" come risposta esistenziale e educativa alla fragilità umana nell'emblematicamente precaria condizione migratoria, tema espresso in varie forme in queste pagine, è tutt'altro che inattuale, ma al contrario ci aiuta a (ri)pensare anche l'attualità,

Migrazioni minori

Ci preme prima di tutto riprendere una parte del titolo pensato e attribuito a questo numero della rivista, ci riferiamo nello specifico, al binomio "migrazioni minori", con il quale intendiamo e prendiamo in considerazione l'esperienza migratoria riguardante i minori stranieri non accompagnati.

Abbiamo a che fare con un fenomeno che, come ben sappiamo, è stato e continua ad essere oggetto di ricerca e di studio all'interno di più ambiti disciplinari, da quello giuridico, attento alle norme, ai decreti e alle leggi di settore, scenario imprescindibile per ogni progettualità d'intervento; a quello sociologico, preoccupato di monitorare i flussi migratori e i cambiamenti che, via via, li connotano, a quello antropologico, di volta in volta, focalizzato su pratiche culturali, ecc., per arrivare all'alveo psicologico che si fa carico maggiormente dei fattori di fragilità, di vulnerabilità e di vero e proprio disagio legati al transito migratorio dei minori non accompagnati; così come, allo sguardo pedagogicoeducativo che non può, in questo caso, non essere anche sguardo che mette in gioco, come vedremo, la dimensione più ampia e globale della cura educativamente orientata.

La questione pertanto è nota, è indagata e il fenomeno è in crescita costante. Con il binomio linguistico "migrazioni minori", quindi, non vogliamo e non possiamo intendere migrazioni di minore importanza e significatività, come se fosse possibile distinguere migrazioni maggiori e minori, significative o meno significative. Il lemma utilizzato vuole assumere un tono intenzionalmente provocatorio che porti all'attenzione, viceversa, la particolare complessità, problematicità e delicatezza dell'esperienza di chi lascia il proprio paese, i propri affetti, la propria cultura, etc., nella fascia di età pre-adolescenziale e/o adolescenziale potendo contare solo su di sé come compagno di viaggio.

Un viaggio periglioso, pieno di insidie, di ostacoli, di eventi e situazioni propriamente traumatiche, dove spesso, gli adulti, via via, incontrati, non possono di certo essere ritenuti come figure di supporto e di accompagnamento. Alla nostra mente balenano subito fatti e immagini che rimandano ai campi della Libia, alle torture lì subite, ai viaggi per mare organizzati dagli scafisti, alle esperienze di sfruttamento, di vario tipo; e l'elenco, purtroppo, potrebbe drammaticamente continuare.

In più, i minori non accompagnati non scelgono di loro volontà e in autonomia di venire in un altro paese, essi subiscono l'esperienza della migrazione a differenza di quanti arrivano con l'intero nucleo famigliare o per ricongiungimento, e che possono provare, senza dubbio, sentimenti e vissuti ambivalenti e contraddittori rispetto alla migrazione, esperienza alla quale prendono parte, tuttavia, con un margine maggiore di motivazione soggettiva, condivisa, tra l'altro, con i genitori e/o con i fratelli o le sorelle.

I minori non accompagnati non prendono parola fin dall'inizio del loro doloroso percorso, e per lungo tempo continueranno a non avere parola, non solo e non tanto, perché non possiedono ancora la lingua del paese che li accoglie, ma perché, privati -almeno, nel breve tempo -di un contesto educativo e al contempo di cura (e, viceversa) che li "contenga", come una sorta di "mente adulta" , per dirla con Bion.

Essi necessitano, molto di più, dei loro coetanei autoctoni, di un contesto, o meglio ancora, di più contesti -formali, non-formali, informali -che facciano rete sistemica tra loro, nei quali e tramite i quali, poter tenere insieme i pezzi della loro identità, della loro storia, di quello che sono, non sono, potranno essere, il che implica lo sforzo progettuale continuo e monitorato da parte dei servizi coinvolti, al fine di tenere insieme i pezzi della cura, facendo sentire questi ragazzi sempre più attivi dentro il percorso-processo che stanno vivendo.

Porre attenzione ai tanti pezzi della cura significa che l'intervento rivolto ai minori stranieri non accompagnati, non può essere sempre e soltanto inteso, pensato, progettato e agito come cura sanitaria e/o terapeutico-psichiatrica, secondo modelli tecnico-lineari che, inoltre, tengono in poca considerazione i saperi, l'idea di salute e di malattia, così come, le pratiche di cura culturalmente connotate, di cui il minore è portatore.

La presenza, pertanto, dei minori non accompagnati, soprattutto, nella nostra contemporaneità che paradossalmente cerca di semplificare ciò che è complesso, lancia una doppia sfida che chiama in causa sia l'educazione e i luoghi ad essi predisposti, sia i modelli e le pratiche di cura e, di conseguenza, i vari servizi che erogano cura.

Ancora una volta, raccogliere questa duplice sfida significa per gli esperti, i ricercatori, gli studiosi, gli educatori, gli insegnanti e i professionisti della cura, interrogare l'educazione e la cura stesse, recuperandone le strette reciproche connessioni e i profondi significati esistenziali, oltre che, interdisciplinari e transculturali.

Lungo questa direzione, ad interrogarsi sono gli educatori e i curanti stessi, nonché, la scuola, i servizi educativi e le organizzazioni che curano dentro il più ampio e globale tessuto sociale e collettivo che non può restare a guardare ma che necessita di azioni formative che lo facciano crescere come contesto educante, protettivo e capace di porsi come cornice resiliente che, a sua volta, generi, sviluppi e sostenga atteggiamenti e comportamenti resilienti nei minori migranti che hanno il diritto di educarsi, di crescere, di evolvere, di continuare a svilupparsi, di migliorare, di stare bene, di vivere, e non solo, di sopravvivere. Non dimentichiamoci il profondo e intrinseco significato politico della cura.

Punti di attenzione, questi, brevemente accennati in questo spazio, che vengono trattati e sviluppati da coloro che hanno scritto nel numero di questa rivista -e che ringraziamo per i loro preziosi contributi -sia tramite apporti teorici sia attraverso la rilettura a posteriori di attività svolte sul campo.

Per un percorso di lettura

Un'ultima nota di chiusura, prima di lasciare spazio ai singoli autori, vorrebbe tracciare un percorso di lettura del numero monografico che vogliamo presentare, per guidare il lettore attraverso gli approfondimenti e gli sguardi riflessivi che abbiamo raccolto e selezionato in quanto particolarmente capaci di gettare una nuova luce su di un fenomeno che la situazione pandemica ha solo apparentemente posto in secondo piano. Se, così come giustamente sottolinea Agostinetto poco sopra, questo numero è stato pensato e programmato prima che la pandemia da Coronavirus colpisse le nostre vite, oggi, con la consapevolezza che questa esperienza ci ha lasciato, forse questo numero monografico della rivista potrà contribuire in qualche modo a riportare la giusta attenzione sulle molte persone che hanno incontrato e appreso prima e più profondamente di noi che cosa significhi essere vulnerabili di fronte alle sfide dell'esistenza.

Ritorniamo quindi ai contributi, vero nucleo di interesse dell'edizione di maggio 2020 di HCEinP. Il numero si apre con alcune riflessioni sui percorsi che questi giovani migranti devono affrontare nel diventare appunto e-migranti dai loro paesi non sempre per scelta volontaria, più spesso per imposizione di altri avvenuta secondo traiettorie diverse, talvolta amorevoli altre volte rifiutanti; tale esperienza li espone, una volta giunti nel nostro paese, a dover affrontare un passaggio di vita fondamentale, quello dall'infanzia, più spesso dall'adolescenza, alla maturità privi di un accompagnamento familiare: i contributi di Luisa Pandolfi, Marta Salinaro e Federico Zannoni si soffermano ad approfondire proprio questi aspetti, sia in termini teorici che attraverso riflessioni sulle pratiche empiriche osservate nei rispettivi contesti di vita e lavoro. Giuseppa Cappuccio, Lucia Maniscalco e Martina Albanese, invece, introducono la figura del tutore volontario, come possibilità di mediazione tra una famiglia che non c'è e una presa in carico istituzionale che talvolta mostra tutta la sua incoerenza nell'originarsi da un doppio mandato, politico e sociale insieme.

L'accoglienza dei minori stranieri giunti soli nel nostro paese pone un'altra fondamentale questione, relativa alla loro salute, intesa come benessere fisico, psichico e sociale, che nelle loro storie di vita diventa esito di numerosi e diversi fattori sinergicamente intersecati: le ferite subite nel corpo e nell'anima che generano condizioni patologiche organiche e disturbi nella sfera psicologica e psichiatrica (si pensi solo alla frequenza di diagnosi di PSTD), si compenetrano con la difficoltà di definire una rappresentazione o concezione del benessere come mediazione tra la nostra cultura (troppo spesso medicalizzante e assistenziale) e la loro, più spesso fatta di accettazione passiva di un destino vissuto come inevitabile che, meglio di noi, sa dare equilibrio ad un esistenza più volte assalita dalle prove della vita. L'osservazione e l'analisi delle modalità con le quali avviene una visita medica, nella quale il medico sia un italiano e il paziente un minore non accompagnato, può generare importanti riflessioni dense di ricadute per la formazione degli operatori sanitari, specie se impegnati nella medicina territoriale, così come suggerito nel contributo di Letizia Caronia, Federica Ranzani e Vittoria Colla. Alessandra Augelli e Lisa Bugno invece si soffermano maggiormente a cogliere l'importanza di una mediazione culturale tra l'idea di salute e di malattia che questi giovani portano con sé dalle loro terre di nascita e la nostra, per poter intravvedere in loro una possibilità di resilienza e non un solo bisogno di cura come assistenza.

Chiude la parte dedicata ai contributi scientifici l'articolo di Valeria Toniolo che tenta di aprire una breccia sulla situazione di quei minori che, pur se giunti in Italia accompagnati dalle loro famiglie, si trovano comunque in una situazione di vulnerabilità dettata da una parte dalla presenza di una disabilità, dall'altra dalla condizione di incertezza che i loro stessi genitori vivono in merito a scelte educative di tipo linguistico e culturale dalle quali dipenderà il loro futuro di cittadini partecipi delle nostre società o di continui esuli.

La parte dedicata invece ai contributi esperienziali, vede la partecipazione di Raffaele Zabotto e Carlo Vetere che presentano il progetto I Care per l'accoglienza di minori non accompagnati realizzato in provincia di Venezia. Quello di Emanuela Bini che si focalizza sulla presa in carico degli alunni migranti con certificazione di disabilità che hanno affrontato con la famiglia il viaggio dal Paese di origine in Italia. Margherita Cestaro invece tenta di porre in risalto i fattori di vulnerabilità e le condizioni di resilienza che possono caratterizzare l'esperienza di adolescenti "G2" con lo scopo di evidenziare alcune possibili "strade" lungo le quali l'agire educativo può "prendersi cura" del "malessere/benessere" dell'adolescente.

L'ultimo contributo di Giuseppe Milan e Simonetta Milan, a chiusura del numero, pur se uscendo dal tema generale della monografia, offre interessanti e stimolanti riflessioni sulla presa in carico della vulnerabilità adolescenziale, così spesso trans-culturale, e, perché no, sul rapporto tra un padre pedagogista e una figlia psicologa. Vorremmo che la pubblicazione di questo ultimo contributo divenisse anche un modo per salutare e ringraziare un pedagogista che sta per iniziare un meritato, e auspichiamo molto lungo, periodo di riposo dopo una vita dedicata a trasmettere ai suoi studenti (io tra loro), il suo sapere e il suo amore per la cura educativa. Sappiamo non sarà per lui un riposo privo di riflessione e attività educativa, data una passione pedagogica che non può estinguersi.