Arte Barocca

L'antico monastero delle Agostiniane di San Paolo è sede della Biblioteca dell'Istituto Giuridico dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Il San Paolo fu uno dei monasteri più prosperi di Modena capitale estense, grazie alle monacazioni di fanciulle di illustri famiglie. Crescevano il Chiostro monumentale noto come Cortile del Leccio, vari cortili come quello della Meridiana e il vastissimo orto verso la via Caselle. La chiesa, a struttura romanica a tre navate, fu rinnovata fra il 1653 e il 1654 nello stile del barocco estense.
The Ancient Augustinian Monastery of San Paolo is home to the University's Law Library. San Paolo was one of the most prosperous monasteries in Modena capital of Este. The monumental cloister as "Cortile del Leccio", the various courtyards like "Cortile della Meridiana" and the vast garden was confined towards "via Caselle" were increasing. San Paolo Church mantains the Romanesque structure with three naves. Between 1653 and 1654 the church was renewed in the Este's Baroque style.

La foggia vestimentale in voga nella corte dei Pico di Mirandola, quale è tramandata dalla ritrattistica compresa fra l'ultimo quarto del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, si uniforma ai modelli dell'area imperiale. All'epoca, infatti,  si evidenziano in Europa due differenti strutture d'abbigliamento che rispecchiano le due sfere d'influenza politica, francese e ispano-imperiale. E' soprattutto l'abito femminile a palesare tale diversità; in particolare la moda ispano-imperiale impone abiti accollati e piatti corpetti. Alla foggia vestimentale femminile è affidato anche un messaggio religioso: le sue forme austere e rigide, che nascondono il corpo, si uniformano ai severi dettami del Concilio di Trento, la cui diffusione divenne uno degli obiettivi dell'azione politica della corte spagnola e di Filippo II in primis. Le sontuose vesti delle dame di casa Pico, analogamente a quelle indossate dalle nobildonne delle corti filoimperiali padane, dei Gonzaga ad esempio , si uniformano alla moda spagnola. Anche i gioielli, a cui spesso si affidano significati simbolici, attestano la gravitazione verso il polo spagnolo, con vasta diffusione dei pendenti a tema sacro, dei reliquiari portatili, delle croci. Così tramandano le testimonianze ritrattistiche di autori quali il veneziano Sante Peranda alla corte di Mirandola, il mantovano Teodoro Ghisi, Frans Pourbus il Giovane e lo stesso Peter Paul Rubens, attivi per i Gonzaga.

Dopo i gravissimi danni causati dal sisma del maggio 2012, il Gruppo Studi Bassa Modenese ha voluto fermare sulle pagine dei tre volumi dedicati alla chiese sanfeliciane - di cui questo è il primo - la nobile storia e i valori d'arte di questi edifici sacri, non soltanto per tramandare memoria del passato ma anche come auspicio e sollecitazione per la ricostruzione e il restauro futuri. Nella parrocchiale di San Felice, brillava in particolare un capolavoro del Rinascimento: il trittico dell'Incoronazione della Vergine di Bernardino Loschi, pittore del principe umanista Alberto Pio da Carpi, datato al 1500. Tra gli auspici, che il trittico, fortunosamente tratto in salvo, possa rientrare nella sua originaria sede.
(per gentile concessione del Gruppo Studi Bassa Modenese)

Di famiglia originaria di Digione, Francesco Guienotti (Guyenot) nacque con molta probabilità a Modena in data a tutt’oggi ignota, presumibilmente attorno al 1630, in quanto la sua prima opera si data al 1656. Il padre Filiberto (doc. 1641-1693) si era trasferito a Modena in gioventù per servire i duchi estensi come gioielliere. Sono documentate di lui commissioni da parte di Francesco I d’Este e del principe Foresto del ramo dei marchesi di Montecchio. Il fratello di Francesco, Pietro Felice, serve la corte come miniatore. La vicenda personale di Francesco Guienotti si svolge per certi aspetti con analogie rispetto a quella di Bartolomeo Fenis (m. 1669 post), altro incisore di origine francese operoso in Modena, il cui padre Michele è orologiaio ducale e un altro congiunto, Giovanni, orologiaio e orefice. Le competenze incisorie di Francesco, come di Bartolomeo, si dovettero costituire anche grazie alla consuetudine familiare con strumenti quali il bulino e il cesello, richiesta tanto dall’oreficeria che dall’arte incisoria. E sia Guienotti che Fenis andarono ad arricchire la schiera degli incisori, sovente “forestieri”,  impiegati nell’editoria e, in generale, nella produzione grafica modenese, rispondendo all’esigenza politica di divulgare e promuovere tramite il medium della stampa l’immagine della corte estense. E’ del 1656 la prima incisione di Francesco Guinotti sinora nota, l’antiporta dell’edizione delle Poesie del signor commendatore dell’Inoiosa il co. D. Fulvio Testi, stampata a Modena per Bartolomeo Soliani nel 1656, dedicata al duca Alessandro II Pico della Mirandola. Nel 1677 firma l’incisione nell’antiporta al trattato di Giuseppe Candrini Teriaca d’Andromaco, stampato in Modena per i tipi di Viviano Soliani con dedica al principe Foresto d’Este. Ma soprattutto, Francesco legò il suo nome a incisioni in cui traspone all’acquaforte mappe, piante prospettiche e paesaggi delineati con grande accuratezza dai geografi. Così l’illustrazione del volume L’Ungheria compendiata dal sig. conte Ercole Scala, stampato in Modena da Demetrio Degni” nel 1685, che comprende un Ritratto dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo. Ne seguirà un’edizione ampliata, sempre per i tipi di Degni nel 1686. Guienotti illustrò anche L’Egeo Redivivo, o’ sia chorographia dell’arcipelago, del napoletano Francesco Piacenza, edito a Modena dagli Eredi Soliani nel 1688, sembra realizzato su commissione del duca Francesco II, qui ritrattato. Considerando anche soltanto la produzione incisoria di Guienotti, si dovrà guardare alla cartografia uscita dai torchi dello Stato modenese come a uno dei campi in cui si esprime la cultura del regno di Francesco II. Guienotti, assieme ad altri incisori, partecipò all’illustrazione dei Disssegni (sic) d’Architettura civile et ecclesiastica inventati & delineati dal Padre D. Guarino Guarini modonese, stampato in Torino, per Domenico Paulino, nel 1686, opera postuma del grande architetto modenese. Guienotti firmerà la lastra IX del Trattato III, che diverrà la lastra XIII della Architettura Civile di Guarini, stampata in Torino da Gianfrancesco Mairesse nel 1737.

La preghiera metodica e il suo compimento visionario presentano un'affinità sostanziale con l'arte muta dei pittori MARC FUMAROLI U na testa senz'occhi non è una testa che non vede. Uno sguardo negato può essere, anzi, la forma più compiuta di veggenza. Esiste un ribaltamento -lo ha insegnato Mino Bergamo -per cui la visione interna ha meno vincoli e limiti di quella esterna 1 . La mistica della Controriforma insiste su questo paradosso; e la pittura, tra la fine del Cinque e la prima metà del Settecento, esonda di trasalimenti luminosi, d'improvvisi squarci celesti, di visioni terribili o consolanti, di tenebre densissime 2 . La tela suggerisce agli occhi profani quello spazio illimitato dell'interiorità redenta che supera i vincoli della spazialità feriale, contraddicendone il giogo delle norme. La stoltezza della croce, meditata nell'ascesi, diviene la scienza dei Santi. A volte la visione si raccoglie nel bulbo oculare, lì dove si schiude alla visione estatica e, uscendo da sé, si rovescia verso il cielo, fino a consumarsi nel deliquio. Le Madonne, i Beati, gli eroi biblici e classici di Guido Reni condensano fino alla più squisita perfezione formale questa teologia della visio. Il divino Guido la ha appresa dal Perugino, da Raffaello, dal Barocci; l'ha ponderata sulle prediche francescane nutrite dalla teologia mistica di san Bonaventura, dove balugina il Sole ultrasensibile di Platone e Plotino, Agostino e Dionigi 3 . L'istinto platonico, a dir così "archetipico", del pittore bolognese è confessato con le sue stesse parole, in una celebre lettera riportata dal Bellori, dove Reni ammette: «Vorrei aver avuto pennello angelico, o forme di Paradiso per formare l'Arcangelo, o vederlo in Cielo; ma io non ho potuto salir tant'alto, ed invano l'ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma che nell'idea mi sono stabilita» 4 .

Nel saggio si ripercorrono le fasi salienti della confraternita bitontina di san Giuseppe, la cui prima notizia risale al 1679. Fra i manufatti cultuali legati alla committenza confraternale resta nella chiesa di San Gaetano di Bitonto (già di San Giuseppe) un pregevole manichino raffigurante san Giuseppe col Bambino, il quale presenta testa, mani e piedi in legno, mentre l'interno è costituito di paglia e altri materiali leggeri. Ricondotto dalla tradizione alla mano di Enrico Pedace, allievo del ben più noto scultore napoletano Francesco Citarelli (Napoli, 1790-1871), è assai più probabile che il simulacro vada ascritto a una loro collaborazione.

Il saggio indaga la figura del pittore Joseph Heintz il Giovane, suggerendone il ruolo di mediatore fra la cultura veneziana e romana di epoca barocca. Come interprete della pittura di genere si evidenzia il carattere peculiare della sua rappresentazione del quotidiano e del mondo basso e ignobile, individuando nella cifra comico-caricaturale che gli è propria un ponte tra la tradizione veneta, risalente a Nicolò Frangipane, e quella dei Bentvueghels e Caravaggio. Si pone, inoltre, in evidenza la predilezione per l'arte di Heintz dell'ambasciatore imperiale Humprecht Jan Černín, che gli commissionò una serie di "Dodici Mesi" ed acquistò altri suoi tipici soggetti di genere, di cui oggi rimane memoria grazie ai disegni dell' "Imagines Galeriae", l'eccezionale catalogo illustrato della sua collezione.

Neila buia notte, ii suo occhio fu colpito da una luce chiara, sulla parete di fronte al letto; guardando bene s'accorse che proprio il quadro della Madonna, da lui ancora non finito, stava appeso al!a parete, e ora, illuminato da on dolcissimo raggio di luce, non solo era diventato un quadro del tutto compiuto, ma pareva vivo. E Ìl senso deiia divinità di questo dipinto io colpì talmente che Raffaello scoppiò in lacrime. L'immagine lo fissava con un'espressione degli occhi indescrivibilmente dolce; pareva che a ogni momento volesse muoversi, e alla fine pensò davvero che si muovesse. Ma, cosa ancor piii meravigliosa, gii sembrava che questa immagine fosse proprio quella clic egli aveva sempre cercata, benché fino allora ne avesse avuta un'idea oscura. In qual maniera pO! si riaddormentasse, non riusciva a ricordare. A! mattino seguente, si svegliò come se fosse un uomo nato allora: l'apparizione gii si era impressa per sempre nello spirito e nei sensi e da quei momento in poi gli riuscì di dipìngere ìa Madre di Dio così com'eia apparsa alla sua anima; ed egli stesso sentì in seguito, costantemente, diivanii ai propri quadri un certo senso di devozione'.

Exhibition at the Papal Basilica of Santa Maria Maggiore in Rome
- Museo Liberiano, of the ADORATION OF THE SHEPHERDS, wax work by Melchiorre Cafà (Malta 1635 - Rome 1667) on the occasion of the 350th anniversary of his death.

Esposizione presso la Basilica Papale di santa Maria Maggiore a Roma
- Museo Liberiano, della ADORAZIONE DEI PASTORI, opera in cera di Melchiorre Cafà (Malta 1635 - Roma 1667) in occasione del 350° anniversario della morte.

En el período que va de 1643 a los años finales del siglo XVIII, la Catedral de Santiago de Compostela, centro de peregrinaciones y a la vez santuario de carácter nacional, vivió, gracias al mecenazgo del rey Felipe IV, un momento de renovación figurativa que, habiéndose iniciado en el gran baldaquino de la capilla mayor, alcanzó a todo el exterior del conjunto religioso. Coincide esta época con el período Barroco que fue capaz de reinventarse en la ciudad de Santiago para adquirir formas únicas que querían exaltar e identificar al antiguo Reino de Galicia. El estudio concluye con el posterior período académico vinculado a la Ilustración, donde las formas libres y exuberante del Barroco son sometidas a las normas clásicas, identificadas con el nuevo orden político centralista que quisieron imponer los dos últimos monarcas dieciochistas de la Casa de Borbón/ In the period from 1643 to the end of the 18th century, the Cathedral of Santiago de Compostela, a center of pilgrimages and at the same time a national sanctuary, experienced, thanks to the patronage of King Philip IV, a moment of figurative renewal that, having begun in the great baldachin of the main chapel, it reached the entire exterior of the religious complex. This time coincides with the Baroque period that was able to reinvent itself in the city of Santiago to acquire unique forms that wanted to exalt and identify the ancient Kingdom of Galicia. The study concludes with the subsequent academic period linked to the Enlightenment, where the free and exuberant forms of the Baroque are subjected to classical norms, identified with the new centralist political order that the last two eighteenth-century monarchs of the House of Bourbon wanted to impose.

, che hanno incoraggiato questo lavoro editoriale. Un particolare riconoscimento è riservato a Laura Pirrelli per la preziosa attività di coordinamento. Notevole anche la collaborazione offerta con il prestito delle immagini a corredo del volume, ed in particolare il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turi

Dalla documentazione d'archivio appare attestato fra i pezzi conservati nella Cattedrale di Castellaneta una scultura di rame che ripropone in dimensioni ridotte il busto angioino di San Gennaro, custodito nella Reale Cappella del Tesoro del Duomo di Napoli. Ma il pezzo, donato dal vescovo Montesoro, è ormai scomparso senza lasciare traccia alcuna.

Raccolta  degli studi che hanno accompagnato la mostra omonima, a cura di Antonio Cassiano. Si delineano le peculiarità del Barocco leccese e salentino nelle arti maggiori come in quelle minori, sottolineandone il carattere di esclusiva originalità, resistenza alla romanizzazione, sentimento religioso, carattere popolare. Grande attenzione è riservata alle maestranze locali, spesso anonime, ma capaci di geniali e inedite soluzioni formali. In particolare, il saggio qui presentato deriva dall'opera di catalogazione e schedatura della Pinacoteca Franciscana Salentina, costruita all'interno del convento dei frati minori di S. Antonio da Padova in Fulgenzio, a Lecce.

[Pubblicato su Arte e Critica,

L’isolamento pittorico di alcuni particolari del corpo umano rende le opere astratte nella misura in cui la raffigurazione stessa rifiuta la sua possibile completezza; ciò mostra l’elevata incertezza nella sua totalità. Il tentativo di descrivere – oggi e nella storia – un soggetto sensitivamente immerso nella contemporanea elaborazione culturale non poteva che scheggiarsi, sdoppiarsi, sgretolarsi nel particolare, lasciando sospeso il discorso sull’unicum in pennellate laceranti e grumose – in altre parole, la tecnica pittorica precipita tra i frammenti di un discorso incompiuto. Il particolare diventa perciò movimento e motivo necessario nella trama narrativa delle opere dell’artista; una trama che si inerpica attendendo e aspirando la propria autonomia in uno spazio espositivo che avrebbe potuto, con la sua accecante tormentata bellezza, soffocarla senza redimerla. Un martirio non documentato perché mutilo, un dolore sordo e familiare: non restano che le macerie, che solo un occhio plagiato dalla gentilezza retorica, come quello di Castelli, può raccogliere e assimilare.