Bioarcheology

La sepoltura fin qui descritta si presenta quale interessante incipit dell’An.hu.B.I project per molteplici aspetti: si è di fronte ad un contesto unico e chiuso, rappresentato dal mausoleo, che contraddistingue l’inumato per status sociale all’interno della comunità; tale contesto fornisce anche elementi di riflessione e indagine quali la necessità di verificare la compatibilità tra la persona ritratta nell’affresco e i resti repertati alla base dello stesso. Infine, il rinvenimento dei resti fetali, di cui si ha solo notizia scritta ma che vengono interpretati dagli scopritori come causa di morte del soggetto adulto (Teodosia?) spingono ad un’investigazione in tal senso. Per queste ragioni, si è scelto di presentare questi primi dati frutto
di un’analisi condotta facendo ricorso alle metodologie della Forensic Anthropology che connotano con pertinenza, affidabilità e validità il dato bioarcheologico, incrementandone e rafforzandone il valore e la portata scientifica.

Autorka prezentuje współczesne techniki badań mumii egipskich oraz ich rozwój, począwszy od badań inwazyjnych, polegających głównie na rozwijaniu mumii, poprzez nieinwazyjne badania radiologiczne, a skończywszy na laboratoryjnych analizach molekularnych mumifikowanych tkanek. Obecnie zaawansowane multidyscyplinarne badania obejmują m. in. analizy antropologiczne, medyczne, radiologiczne, fizyczne, chemiczne, biochemiczne, genetyczne, kryminalistyczne, których krótka charakterystyka i historia
została przedstawiona w niniejszej pracy.

Nell'ambito delle indagini archeologiche condotte tra il 2013 e il 2014 all'interno della chiesa duecentesca dei SS. Filippo e Giacomo di Nosedo (MI) - svolte in accordo tra la Soprintendenza Archeologia della Lombardia e l'Università Cattolica del Sacro Cuore - è stato riportato alla luce un sepolcreto in uso tra la metà del XV e gli inizi del XVII secolo, sviluppatosi attorno ad una tomba assai più antica. Tra le oltre 70 tombe indagate, è stata infatti messa in luce una sepoltura privilegiata in cassa strutturata, che accoglieva i resti di una donna di oltre 70 anni d’età, datati con analisi al 14C alla fine del IX secolo; anteriori al XIII secolo sono anche alcuni tratti murari precedenti alla chiesa di XIII secolo e che ne hanno condizionato l’orientamento non perfettamente est/ovest. Ben oltre il 40% delle inumazioni basso e post-medievali, rivenute in connessione anatomica, accoglieva subadulti, deposti in casse lignee o in semplici fosse terragne dotate, in alcuni casi, di laterizi in testata. Per alcuni degli individui più giovani, si sono riscontrati altri rituali deposizionali come una moneta bronzea tra le mani o presso il torace, e la collocazione di neonati entro o sotto un coppo. La topografia delle sepolture ha evidenziato che, nei pressi della tomba altomedievale, furono deposti corpi di bambini e subadulti: dapprima in addosso alla cassa ancora sigillata da lastre lapidee e, in seguito alla riapertura della stessa, anche all’interno, ma senza mai intaccare lo scheletro originario. Le dinamiche di deposizioni nei pressi della tomba privilegiata attestano, quindi, un rispetto quasi devozionale nei confronti della anziana donna che si mantenne fino al tardo Quattrocento, quando prende avvio l’intenso uso funerario dello spazio interno della chiesa, che però non comporta mai il disturbo dell’antica sepoltura. Sugli scheletri deposti in chiesa è stato condotto, inoltre, uno studio interdisciplinare tra archeologi e antropologi - poi approfondito mediante analisi archeometriche, paleonutrizionali, paleogenetiche e affondi di antropologia culturale – che ha consentito di tratteggiare le vicende di una piccola comunità gravitante nella campagna prossima a Milano e all’Abbazia di Chiaravalle tra bassomedioevo ed età moderna.

Archeologia e antropologia della morte: 1. La regola dell’eccezione, Atti del 3° Incontro Internazionale di
Studi di Antropologia e Archeologia a confronto [Roma, École française de Rome – Stadio di Domiziano, 20-
22 Maggio 2015] / a cura di Valentino Nizzo. Roma: E.S.S. Editorial Service System, 2018, pp. 552.
ISBN 978-88-8444-179-9

Per info sull'acquisto scrivere a info@diacultura.org

La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, come ha colto efficacemente Pirandello: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati».
L’antropologia ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione. I momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di un’esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura. In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine; di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. E, in quanto tale, un confine contribuisce a codificare e rafforzare – fittiziamente – l’“identità” delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte può contribuire a definire l’idea e la percezione dell’“identità” che ciascuno di “noi” (singolarmente e/o collettivamente) si attribuisce, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Ma la morte, ovviamente, è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a Confronto ha inteso affrontare queste complesse problematiche, cercando di offrire una panoramica dei più fruttuosi approcci teoretici e delle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera; per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla; come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.

VOL. 1: La regola dell’eccezione
VOL. 2: Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito
VOL. 3: Costruzione e decostruzione del sociale

Valentino Nizzo: Archeologo senza frontiere (Todi 1975). Da maggio 2017, in seguito a una selezione internazionale, dirige il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Dal 2010 è stato funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna e dal 2015 presso la Direzione generale Musei come responsabile della promozione, comunicazione e accessibilità culturale del sistema museale nazionale. Ha conseguito il PhD in Etruscologia presso la “Sapienza” Università di Roma e il Post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze pubblicandone i risultati nel volume Archeologia e antropologia della Morte: storia di un’idea (Edipuglia, Bari, 2015) da cui ha tratto ispirazione il presente convegno. È ideatore e direttore scientifico della Collana: Antropologia e Archeologia a Confronto edita dalla E.S.S. Editorial Service System per la Fondazione Dià Cultura.

The Corded Ware is one of the major archaeological traditions of Late Neolithic Europe. Its burial customs are characterized by single graves but multiple burials also occur. We present a detailed study of antemortem and perimortem trauma in a group of Corded Ware skeletons from four multiple graves and give the most probable interpretation of the site, based upon all available bioarchaeological evidence. The pattern of observed injuries in male, female, and subadult skeletons, including cranial trauma, arrow wounds, and fractures of the forearm and hands points towards a violent event that resulted in the death of all individuals, most probably a raid. In contrast to comparable Neolithic raid sites, there was no complete extermination of the local population and no use of mass graves. The burials have been arranged with care and detailed knowledge about biological kinship ties [Haak, W., Brandt, G., de Jong, H.N., Meyer, C., Ganslmeier, R., Heyd, V., Hawkesworth, C., Pike, A.W.G., Meller, H., Alt, K.W., 2008. Ancient DNA, strontium isotopes, and osteological analyses shed light on social and kinship organization of the Later Stone Age. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 105, 18226–18231]. The combination of clear causes of death and the proven biological relationships among some of the individuals, including a nuclear family, provides new and important insights into Corded Ware mortuary customs and the reasons why and how multiple graves have been utilised.

El objetivo de este trabajo es estudiar las variaciones en la frecuencia de cambios entesiales a través del tiempo en Portugal para evaluar el efecto del aumento de la urbanización y la especialización laboral, aplicando un método de registro biológicamente apropiado, el llamado nuevo método Coimbra (Henderson et al. 2016a). La muestra analizada está compuesta por 138 individuos adultos provenientes de ocho sitios arqueológicos del actual territorio de Portugal, y con cronologías medievales y modernas. Se realizaron cálculos de prevalencias y de odds ratios, así como un test exacto de Fisher para los cambios registrados en once entesis de miembros superiores e inferiores. Los resultados sugieren que la actividad es un factor explicativo de los cambios entesiales registrados, pero que asimismo se deben considerar otros factores, ya que los diferentes perfiles de sexo y edad también contribuyen a las distintas tendencias. Además, el tamaño variable de las muestras de cada subgrupo también aporta a las altas frecuencias de algunos cambios. Sin embargo, este enfoque es fundamental para entender las tendencias temporales de los cambios entesiales.

English abstract: Since the discovery in 1860 of La Pastora, one of the most beautiful and outstanding megalithic constructions of Iberia, the Copper Age and Bronze Age site of Valencina de la Concepción – Castilleja de Guzmán has provided an unceasing series of archaeological finds of the utmost significance. Today, a hundred and fifty years after the earliest discoveries, this volume offers an up-to-date and comprehensive review of the research carried out at this site, which underlines, first and foremost, its importance as a scientific and cultural resource. Among the contributions to this volume the reader will find some of the keys to the human occupation of the lower Guadalquivir basin 5000 years ago, the process of social aggregation that gave way to the formation of the city of Seville itself. In addition, this book reflects some of the current discussions that dominate today’s scientific agenda on Iberian Copper Age (c. 3200-2200 cal BC), a period of fascinating social and cultural dynamism that laid the basis for the consolidation of social ranking, long-distance contact and exchange, as well as metallurgy and productive specialization.

Spanish abstract: Desde que en 1860 se produjera el descubrimiento de La Pastora, una de las construcciones megalíticas más bellas y singulares de España, el yacimiento de la Edad del Cobre y de la Edad del Bronce de Valencina de la Concepción – Castilleja de Guzmán no ha cesado de deparar hallazgos arqueológicos de la mayor significación. Hoy, 150 años después de los primeros descubrimientos, este volumen ofrece una puesta al día de las investigaciones que están revelando la extraordinaria importancia de este yacimiento como recurso científico y patrimonial. Entre las colaboraciones de esta obra el lector encontrará algunas de las claves de la ocupación de la desembocadura del río Guadalquivir hace 5000 años: el proceso de agregación humana que representa el origen de la misma ciudad de Sevilla. Igualmente, en las páginas de este libro encuentra reflejo el debate que en la actualidad preside el estudio de la Edad del Cobre (c. 3200-2200 antes de nuestra era), un periodo de apasionante dinamismo social y cultural en el que se consolidaron las bases de la jerarquización social, las relaciones comerciales a larga distancia, la metalurgia y la especialización productiva.

Mystery Magazin Nr. 4 Juli/August 2022
Die Geheimnisse einer Mumie (Schepenese)
https://www.kopp-verlag.de/a/mystery-ausgabe-nr.-4-juli%2Faugust-2022
Die Mumie der Schepenese begeistert seit 1820 und bis heute konnten nicht alle Geheimnisse gelöst werden.
LITERATUR
Habicht, Michael E., Francesco M. Galassi, Elena Varotto, und Renate Siegmann. 2022. The Forensic Facial Reconstruction of Shep-en-Isis. Herausgegeben von Michael E. Habicht. 1. Aufl. Berlin: epubli. doi:ISBN: 978-3-754938-32-4.
HABICHT, M.E., C. MORAES., F.M. GALASSI., E. VAROTTO. & R. SIEGMANN. 2022. Die forensische Gesichtsrekonstruktion von Schepenese. Berlin: epubli. https://www.amazon.de/dp/3754943227/.

Video

Shep-en-Isis (Schepenese) in St. Gallen, forensische Gesichtsrekonstruktion FAPAB Research Center
https://www.youtube.com/watch?v=OdQBCinRV9I

Shep-en-Isis Presentation
https://www.youtube.com/watch?v=HsdEUnsenUE

Rekonstruktion des Gesichts der Mumie von Schepenese
https://blog.selket.de/aus-der-forschung/rekonstruktion-des-gesichts-der-mumie-von-schepenese

https://de.wikipedia.org/wiki/Schepenese

Gesicht der Schepenese rekonstruiert
https://www.st-galler-nachrichten.ch/st-gallen/detail/article/gesicht-der-schepenese-rekonstruiert-00208600/

From the 6th century onwards, plague caused recurring mortality crises in the Western world. Such epidemics had profound biological, cultural, economic and political impacts on European societies. Some aspects of the history of plague epidemics are currently well known, but many questions remain unanswered, such as the precise epidemiological pattern of the disease in ancient times. It is unclear whether plague killed people indiscriminately or whether this disease was selective with respect to age, sex and health. This research contributes to this debate. It consists of an anthropological and paleopathological study of skeletal remains of 1090 individuals, including plague victims from four medieval and post-medieval burial grounds, and individuals from two parochial cemeteries in use during periods of normal mortality. Results from the four plague-related assemblages reveal a peculiar demographic signature. Age and sex distribution differs clearly from what is expected in non-epidemic periods, when it is shown to correspond closely to the demographic structure of the living population. Moreover, the study of various non-specific skeletal stress markers shows that plague victims were in a better health before they passed away than people who died in non-epidemic periods. The results demonstrate that individuals who suffered stress and disease had a reduced chance of survival in non-epidemic periods, whereas they were not at a higher risk to die during plague epidemics. This study provides evidence that plague was not selective, and that it killed regardless of sex, age, and preexisting health.

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Génératrice depuis le VIe siècle de notre ère de crises épidémiques récurrentes en Occident, la peste a profondément marqué l’histoire des sociétés européennes, tant sur le plan biologique que culturel, économique et politique. Si l’histoire des épidémies qu’elle a engendrées est aujourd’hui relativement bien connue, un certain nombre de questions sur ses caractéristiques épidémiologiques passées demeurent pour partie irrésolues. En particulier, le caractère sélectif ou non de la mortalité par peste à l’égard de l’âge, du sexe et de l’état de santé préexistant des individus fait actuellement débat. À partir d’une approche anthropobiologique, le présent travail se propose de contribuer à cette discussion. Il livre les résultats de l’étude d’un corpus de 1090 squelettes provenant, d’une part, de quatre sites d’inhumation de pestiférés de la fin du Moyen Âge et du début de l’époque moderne et, d’autre part, de deux cimetières paroissiaux médiévaux utilisés hors contexte épidémique. Cette étude révèle en premier lieu l’existence d’une signature démographique commune aux séries en lien avec la peste. Leur composition par âge et par sexe, distincte de celle caractérisant la mortalité naturelle, est au contraire en adéquation avec la structure théorique d’une population vivante préindustrielle. L’examen de divers indicateurs de stress suggère par ailleurs que les victimes de la peste jouissaient, à la veille de leur décès, d’un meilleur état de santé que les individus morts en temps normal. Les résultats obtenus concourent à démontrer que les facteurs causals de ces lésions squelettiques, d’accoutumé responsables d’une diminution des chances de survie, n’eurent au contraire qu’une influence mineure, si ce n’est nulle, sur le risque de mourir de l’infection à Yersinia pestis. Ce travail livre in fine un faisceau d’arguments convergents qui tendent à prouver que les épidémies de peste anciennes furent à l’origine d’une mortalité non sélective, la maladie frappant indistinctement les individus des deux sexes, de tous âges et de toutes conditions sanitaires.

Burn Ground, Hampnett, Gloucestershire was excavated by W. F. Grimes in the early 1940’s. It is a multi-period site with a Neolithic long barrow, six Bronze Age round barrows and an Anglo-Saxon cemetery containing four cremations and ten inhumations. This report discusses the results of a reassessment of the Anglo-Saxon inhumations and presents a new analysis of the cemetery organisation. It also includes comparisons with the findings from two contemporary sites, Lechlade, Gloucestershire and Berinsfield, Oxfordshire.
The assemblage comprises five females aged 17-45 years, three males aged 35-59 years and one sub-adult aged 9.5 years (unsexed). There were only two infants/ young children represented and no adolescents, which together with the small amount of total burials, raises the possibility that the full extent of the cemetery has not been found or they were buried elsewhere. The stature range for the females is 155-172cm (mean 163cm) and for the males 159-187cm (mean 173cm) which falls within the normal range for the period. High rates of caries and calculus were noted in the dentitions, and unusually for the period there is no evidence of linear enamel hypoplasia and little evidence of trauma. There is tentative evidence for familial relationships based on non-metric traits and osteological evidence of an inherited genetic disease, indicating that Burn Ground may have been a small family cemetery. The funerary practices identified at Burn Ground concur with the general trends seen at other Anglo-Saxon cemeteries, except for two graves containing females buried with spearheads. Female weapon burials are rare in the Anglo-Saxon period which makes these two graves significant. This report also puts forward an argument for a social and/ or chronological divide between the burials on the north and the south sides of the Bronze Age barrows, based on cemetery organisation, artefact and burial distribution.

Archeologia e antropologia della morte: 3. Costruzione e decostruzione del sociale, Atti del 3° Incontro Internazionale di Studi di Antropologia e Archeologia a confronto [Roma, École française de Rome – Stadio di Domiziano, 20-22 Maggio 2015] / a cura di Valentino Nizzo. Roma: E.S.S. Editorial Service System, 2018, pp. 588.
ISBN 978-88-8444-183-6

Per informazioni sull’acquisto scrivere a info@diacultura.org

La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, come ha colto efficacemente Pirandello: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati».
L’antropologia ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione. I momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di un’esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura. In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine; di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. E, in quanto tale, un confine contribuisce a codificare e rafforzare – fittiziamente – l’“identità” delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte può contribuire a definire l’idea e la percezione dell’“identità” che ciascuno di “noi” (singolarmente e/o collettivamente) si attribuisce, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Ma la morte, ovviamente, è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a Confronto ha inteso affrontare queste complesse problematiche, cercando di offrire una panoramica dei più fruttuosi approcci teoretici e delle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera; per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla; come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.

VOL. 1: La regola dell’eccezione
VOL. 2: Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito
VOL. 3: Costruzione e decostruzione del sociale

Valentino Nizzo: Archeologo senza frontiere (Todi 1975). Da maggio 2017, in seguito a una selezione internazionale, dirige il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Dal 2010 è stato funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna e dal 2015 presso la Direzione generale Musei come responsabile della promozione, comunicazione e accessibilità culturale del sistema museale nazionale. Ha conseguito il PhD in Etruscologia presso la “Sapienza” Università di Roma e il Post-dottorato presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze pubblicandone i risultati nel volume Archeologia e antropologia della Morte: storia di un’idea (Edipuglia, Bari, 2015) da cui ha tratto ispirazione il presente convegno. È ideatore e direttore scientifico della Collana: Antropologia e Archeologia a Confronto edita dalla E.S.S. Editorial Service System per la Fondazione Dià Cultura.

The ancient concepts of death as duration and the practices of secondary burial, first analysed by Robert Hertz, still survive in many areas of southern Italy. According to these beliefs death was perceived not as a sudden event, but as a long-lasting process, during which the deceased person had
to go through a transitory phase, passing from one state of existence to another. Recent archival research about the terresante, the funerary hypogea reserved to the members of Confraternities in the ecclesiastic
underground of Naples, documents the persistence of secondary burial rites in Southern Italy during the Modern Age. Furthermore, a survey conducted in the province of Messina in Eastern Sicily has identified two surviving architectural structures appointed for the treatment of the bodies: the ‘sitting
colatoio’ aimed at favouring the skeletonisation and the ‘horizontal colatoio’ used to obtain mummification by dehydration. Both these structures controlled the corpse’s decay and transformed the body in a stable and durable simulacre of the dead.

El presente trabajo se refiere al análisis e interpretación de los entierros del salvamento arqueológico del sitio de Soblonké, derivados de las exploraciones arqueológicas previas a la construcción del megaproyecto habitacional denominado Ciudad Caucel. La información contextual del análisis bioarqueológico se realizó con la finalidad de obtener información sobre los habitantes del sitio mediante la integración de datos osteológicos y sus componentes biológicos y sociales.

The practice of cremation is often interpreted as an alternative to inhumation, taking place shortly after an individual's death. However, cremation could be a final stage in complex mortuary practices, with previous steps that are obscured due to the heating process. This project reports on experimental scoping research on a set of experimentally heated femoral fragments from modern and archaeological collections of the University of Coimbra. Sixteen recent femur samples from eight individuals, as well as five femur samples from an archaeological skeleton from the medieval-modern cemetery found at the Hospital de Santo António (Porto), were included in this research. Samples presented five different conditions: unburnt, and burnt at maximum temperatures of 300°C, 500°C, 700°C and 900°C. Each sample was prepared to allow observation using binocular transmitted light microscopes with ×10, ×25 and ×40 magnifications. Results indicated that, if burial led to bioerosion, this will r...

Early Eneolithic multiple burial discovered in 2005 at Alba Iulia-Lumea Nouă (Transylvania, Romania) revealed various traumatic injuries on both adult and non-adult crania. The aim of this paper is to present the traumatic injuries on adult skulls and establish sex differences regarding type, location and shape of the skeletal lesions. Radiocarbon data indicates a timeframe 4621-4483 BC for this particular event. The minimum number of individuals based on cranial elements was established as being approximately 50, within this, 34 being represented by adult individuals. 23 restored skull caps were macroscopically determined as belonging to female individuals the rest being represented by male specimens. Multiple traumatic injuries were observed on several skull caps, but no postcranial injuries were identified.

During the early medieval period in Ireland, Dublin was established as the largest Viking settlement on the island in the ninth century AD. A previous biodistance study has suggested that the population of the town consisted of a polyethnic amalgam of immigrant and indigenous. In this study, we use biogeochemistry to investigate paleomobility and paleodiet in archeological human remains from the ninth to eleventh century levels at the sites at Fishamble Street II (National Museum of Ireland excavation number E172), Fishamble Street III (E190) and John’s Lane (E173), as well as twelfth-century remains from Wood Quay (E132). Through radiogenic strontium isotope, stable oxygen, carbon, and nitrogen isotope, and elemental concentration analyses, we investigate the origins of the individuals who lived and died in early and late Viking Dublin. Mean archaeological human enamel and bone isotope values from Dublin are 87Sr/86Sr = 0.70975 ± 0.00139 (2σ, n = 22), δ13Ccarbonate(V-PDB) = −14.8‰ ± 0.8‰ (1σ, n = 12), and δ18Ocarbonate(V-PDB) = −7.2‰ ± 1.0‰ (1σ, n = 12). Archaeological human bone samples exhibit mean δ13Ccollagen(V-PDB) = −20.8‰ ± 0.5‰ (1σ, n = 12) and mean δ15Ncollagen(AIR) = +10.0‰ ± 1.7‰ (1σ, n = 12). Comparing these data with archaeological faunal data from Dublin and published data from northern Europe, we argue that there are no clear immigrants from other parts of the North Atlantic, although there is one clear outlier in both origins and diet. Overall, the relative homogeneity in both paleomobility and paleodiet may support models of acculturation in Viking Dublin, rather than a high number of first-generation immigrants or continued migration from Scandinavia.

Resumo: No Brasil, esqueletos humanos do início do Holoceno são raros, impedindo um estudo detalhado das práticas funerárias desse período. O sítio arqueológico Lapa do Santo é uma exceção. Entre 2001 e 2009, foram exumados 26 sepultamentos do Holoceno Inicial, que são aqui descritos e distribuídos em sete padrões distintos. A inumação dos mortos na Lapa do Santo tem início entre 10300-10600 cal AP, com enterros simples e articulados (Padrão 1). Entre 9400-9600 cal AP, as práticas funerárias caracterizavam-se pela manipulação perimortem e o subsequente enterro dos ossos desarticulados de múltiplos indivíduos (Padrão 2). Entre 8200-8600 cal AP, esqueletos desarticulados de um único indivíduo, cujos ossos longos comumente apresentam fraturas perimortem, eram depositados em covas circulares (Padrão 3). Os demais padrões incluem esqueletos cujos membros foram removidos (Padrão 4), enterro de esqueleto completo desarticulado na forma de feixe (Padrão 5), cremação (Padrão 6) e enterro em cova circular, recoberto por blocos de arenito (Padrão 7). Caracteriza uma diversidade de sepultamentos desconhecida para o Holoceno Inicial, que contrasta com a homogeneidade tecnofuncional e de hábitos alimentares atribuída a esses grupos. Indica também constantes transformações ao longo do tempo, contradizendo a visão de que esses grupos seriam avessos a inovações culturais. Palavras-chave: Arqueologia da morte. Práticas mortuárias. Ritos funerários. Lagoa Santa. Bioarqueologia. Caçadores-coletores. Abstract: Human skeletons dating from the early Holocene are rare, preventing a detailed study of the funerary practices of that period. The archeological site Lapa do Santo is an exception. Between 2001 and 2009, 26 burials dated to the early Holocene were exhumed. Here they are described and classified into seven distinct burial patterns. The site started to be used as a burial ground between 10300-10600 cal BP with simple articulated burials (Pattern 1). Between 9400-9600 cal BP, funeral practices are characterized by the perimortem handling of the corpse and subsequent burial of disarticulated bones of multiple individuals (Pattern 2). Between 8200-8600 cal BP, disarticulated skeletons of single individuals, whose long bones show perimortem fractures, were deposited in circular pits (Pattern 3). The other burial patterns include skeletons whose members were removed (Pattern 4), burials of complete skeletons in bundles (Pattern 5), cremation (Pattern 6) and disarticulated burials covered with sandstone blocks (Pattern 7). This assemblage characterizes a unique diversity of funerary practices for the early Holocene. It contrasts sharply with the homogeneity traditionally attributed to the lithic technology and dietary habits of these groups. It also points to constant changes over time, contradicting the view that these groups were averse to cultural innovation.

This book extends the coverage of studies of skeletal trauma related to violence and warfarewith much of it attributed to the latter circumstance through historical records and/or archaeological context. The context, the scale of involvement based on the number of individuals with traumatic weapon injuries, and the recurrent pattern of those injuries seem to be the most pertinent diagnostic features to distinguish intermittent violence from warfare. The geographic coverage of the volume is less good than its temporal coverage, where event-based, mainly mass graves, can be pinned down to the day in some cases. This means that there are two types of study that contribute to this volume that differ in context and interpretive scope, one relating to events and another relating to longer-term accumulations of those bearing evidence for violent confrontation. Event-based contexts contain considerable peri-mortem trauma, while the trauma is more often of an ante-mortem (healed) form in diachronic study samples from attritional cemeteries that develop over a variable number of generations. While event-based samples tend to be linked to episodic conflict between groups, longer-term studies offer insight into intragroup conflict that may be of longer duration but is more commonly non-lethal, with individuals bearing healed scars of violence who did not die in such encounters. Those who did perish in violent circumstances may not be found in such burial grounds, but were buried close to where they were killed, as demonstrated in the historical examples from documented conflicts from medieval Europe, the early modern period, and recent examples included in this volume. If this study were based only on those sites with high prevalence of conflict-related traumatic injuries, one would have a picture very much like that proposed by Steven Pinker (2011 and see Introduction). Violence would appear to be more common in the recent past, and this would be due to better documentation, which clearly influences Pinker's view, by his own admission. This trajectory of increasing detail and clarity with which human aggression has become widely reported and highly visible has gained impetus over the last century and a half or so, among the earliest being Alexander Gardner's (an associate of celebrated nineteenth-century photographer Mathew Brady) photographs of wartime scenes and casualties during the American Civil War (1861-5 AD), those from the Battle of Antietam (September 1861), near Sharpsburg, Maryland, USA, being the first graphic battlefield imageswith bodiesever

Numerosos agentes intrínsecos y extrínsecos afectan
de diferentes formas los grados de preservación de restos
óseos humanos. La observación de la forma e intensidad en
las que tales factores inciden en las características del registro
osteológico de una muestra contemporánea con información
fehaciente de referencia (sexo, edad, fecha y causa de muerte),
ofrece la posibilidad de aportar datos locales para contribuir a
la comprensión de la compleja dinámica del proceso de descomposición
cadavérica y preservación del esqueleto. En este
trabajo se analizan y comparan estadísticamente variables contextuales
(anegabilidad y saturación del terreno, alcalinidad y
presencia de adipocira, de raíces de árboles y de envoltorio) y
tafonómicas (porcentaje de completitud, índice de fragmentación
y deterioro óseo) en 20 coxales humanos con objeto de
analizar, desde una perspectiva osteológica, de qué forma la
variación en el impacto de esos factores afecta los grados de
preservación de los esqueletos. Se identifican tendencias que
sugieren la acción de algunos agentes específicos, al mismo
tiempo que la ausencia de asociación de numerosas variables
aporta información relevante para contrastar con modelos previamente
generados. Se describen algunas asociaciones estadísticas
entre variables que afectan a los individuos femeninos
y otras que indican una tendencia hacia la preservación ósea
por parte de la acción de las raíces, en oposición a lo habitualmente
planteado en las investigaciones tafonómicas. Por
último, se enfatiza la necesidad de considerar variables poco
exploradas desde una perspectiva bioarqueológica, como la
saturación del terreno, la presencia de algún tipo de envoltorio
y la acción de la adipocira, como aspectos que afectan significativamente
la preservación ósea y por lo tanto, el potencial del
registro analizado para ofrecer información de interés osteológico.

La méthode utilisée pour cet ensemble de recherches thématiques procède d’une problé­matique historique (quelles sont les grandes phases de peuplement et d’aménagement du paysage dans les terroirs étudiés et quels en sont les modalités et les facteurs déclenchant ?) et d’une mé­thodologie archéogéographique : étude des archives publiques ou privées, étude du bâti, microtoponymie, archéomorphologie, utilisation de la rétrogression par la carto- et la photo-interprétation, enquête orale auprès des « anciens », prospection archéologique terrestre en labours ou en sous-bois, prospection aérienne, dépouillement des rapports de fouilles et des ouvrages historiques régionaux, analyse des objets d’art du terroir, dépouillement des rapports d'études bioarchéologiques (palynologie, malacologie…) ou géoarchéologiques (paléoclimatologie, géomorphologie, sédimentologie, pédologie)……). Dès lors que l’on sort du domaine de la simple nomenclature (établis­sement de listes, distinction des types de bâti par le vocabulaire issu des sources), dès que l’on dépasse le seul objectif d’un inventaire des sites, pour tenter d’approcher une véritable « géographie » du peu­plement, le travail de terrain devient indispensable