Papers by Livio Cinardi
Obiettivo di questo elaborato, aldilà dell’approvarla o meno, è cercare una risposta a questi int... more Obiettivo di questo elaborato, aldilà dell’approvarla o meno, è cercare una risposta a questi interrogativi, drammatici, e perciò esistenziali, senza neanche azzardarsi a dare una risposta sintetica a un problema vecchio come l’uomo. Occorre divenire esperti, affermiamo con Gadamer, per poter esprimere un giudizio accorto su un tema tanto delicato e problematico.
Mi soffermerò, in modo puntuale, su un’opera del corpus schmittiano: Le categorie del nemico (originale tedesco Der Begriff des Politischen), edito per la prima volta nel 1927, riveduto e ripubblicato dallo stesso Carl Schmitt nel 1963, quasi un ventennio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. A quest’ultima edizione, in traduzione italiana, noi abbiamo preferito far riferimento. Nel suo apparato complessivo, essa rivela più autenticamente il pensiero del pensatore che viene da molti assai superficialmente definito come il teorico di Hitler e del nazional-socialismo, della teoria della “guerra giusta” e dello “spazio vitale”.
Nell’invito ad accettare con consapevolezza le nostre precomprensioni, e a far luce sui nostri pregiudizi circa questo periodo storico tanto oscuro e drammatico, si vuol proporre al lettore una diversa chiave interpretativa, che forse lo porterà a rivedere il giudizio sul teoreta hitleriano e a scoprirne l’attualità del pensiero nel nostro modo di procedere contemporaneo.
Il momento critico della decisione, la ponderazione, il discernimento, sono generati dalla saggez... more Il momento critico della decisione, la ponderazione, il discernimento, sono generati dalla saggezza pratica, dalla phronesis, non ingenua (nel senso etimologico di originaria) come quella aristotelica, ma critica. Come si dimostrerà in questo elaborato, la phronesis critica elaborato da Ricoeur prepara ad un metodo, quello proprio del discernimento, e si significa in processi. Per questo le metafore dello studio medico e del tribunale ben rendono quanto il filosofo intende per giudizio ponderato in situazione: entrambi individuano momenti dinamici e procedurali, per l’appunto il processo clinico e giudiziario. Guarigione e attribuzione della pena sono cammini che dovrebbero mirare entrambi alla riabilitazione del paziente e del condannato (specie se detenuto), ove la riabilitazione è ammessa specie nel campo dei diritti morali degli stessi, mediante il riconoscimento. Ciascuno di noi possiede la facoltà di elaborare giudizi ponderati in situazione, previa accettazione del momento critico di riflessione e analisi, di interpretazione ed argomentazione. L’applicazione di una regola a un caso, diciamo con Gadamer, è tutt’altro che un puzzle da ricomporre: è un momento creativo, che spesso sconvolge il punto di partenza incipiale.
Seguiremo all’inverso KUHN [1970], il cui indice generale sarà invertito. Se Kuhn dalle rivoluzio... more Seguiremo all’inverso KUHN [1970], il cui indice generale sarà invertito. Se Kuhn dalle rivoluzioni giunge alle caratteristiche della conoscenza scientifica, dalle caratteristiche della conoscenza scientifica noi giungeremo ad accennare appena l’evento-rivoluzioni. Il perché sarà ampiamente motivato nella trattazione. Tuttavia, già da ora, occorre esplicitare quanto segue: si parla di conoscenza, e non di conoscenze scientifiche. È un distinguo epistemologico che il lettore dovrà sottolineare. E la ragione è bene esporla subito, onde evitare ambigui fraintendimenti.
Indagare sulla conoscenza, impone un’esposizione articolata e approfondita sull’attività del conoscere. Questa attività è l’oggetto di indagine. In realtà, paradossalmente, occorre ammettere che, purificando sempre più tale attività dalle incrostazioni speculative più invadenti, emergerà chiara e distinta un’esigenza teoretica: non è possibile considerare l’oggetto come oggetto puramente materiale; l’oggetto, in realtà, è un soggetto, sebbene non logicamente. L’indagine sull’attività conoscitiva è indagine sul soggetto conoscente: i due ambiti non possono essere scissi nettamente. Si apre, già nelle premesse, il conflitto fra epistemologia e le pseudoscienze, in particolare la sociologia e la psicologia. Possono quest’ultime fornire un contributo nell’analisi del progresso della conoscenza scientifica? Ancora una volta: il progresso è epistemologico-filosofico o storico-sociale? Le difficoltà maggiori, in corso d’opera, hanno condotto a queste domande, accettando la sfida kuhniana a riscrivere il suo pensiero in ordine inverso. È emersa, limpidamente, la particolarità indiscussa dell’attività scientifica: essa non è mai squisitamente individuale, tantomeno perciò solo materiale. È il singolo scienziato ad elaborare teorie e a condurre esperimenti e ad accogliere o escludere osservazioni fenomeniche. Tuttavia, il sostrato teorico e socio-psicologico che costituisce la sua attività normale, quotidiana, è più che determinante e, sorprendentemente, determinato. Occorre allora chiedersi quali elementi distinguano l’attività scientifica da altre imprese conoscitive e pratiche. Per quali vie procede questa attività: teoriche o pratiche?
La situazione emotiva è struttura dell’esserci, il quale, in quanto situato, gettato, rimesso, è ... more La situazione emotiva è struttura dell’esserci, il quale, in quanto situato, gettato, rimesso, è emotivamente intonato. Ogni situazione emotiva, ogni essere-situato dell’esserci è già fenomeno. Nella fenomenologia ontologica, o ontologia fenomenologica heideggeriana (ovvero, fondamentale: fondamento è il fenomeno, la cosa stessa), manifestazione del fenomeno dell’esserci in quanto essere-emotivamente-situato è la tonalità emotiva, ovvero, “lo stato d’animo”. Precisa il filosofo: vi sono tonalità emotive sorgive dall’autenticità dell’esserci, e tonalità emotive sorgive dall’inautenticità dell’esserci. L’esserci percepisce l’autenticità o l’inautenticità dell’essere del proprio esserci già sempre secondo le tonalità emotive che vive: la vita, l’esserci, è già sempre tonalità emotiva. A tal guisa, Heidegger riporta due ex-empla, dai quali appunto comprendere cosa egli intende per tonalità emotive: la paura e l’angoscia. Molta è la confusione intorno a tali stati d’animo, ragionevole data l’ambiguità caratteristica di entrambi. L’indagine attorno alle tonalità emotive dell’esserci costituirà il corpo centrale del presente elaborato.
Avanzeremo così nella “notte” dell’esserci: non più perso nel mondo ma preso, assalito2 dall’angoscia, proprio dentro il più familiare dei mondi circostanti, l’esserci non si trova più a casa, neanche nell’ambiente più vicino e fidato. Allora, si scoprirà come possibilità: scoprirà il proprio essere, l’autenticità del proprio essere, come possibilità. Una possibilità massima solo apparentemente contradditoria: l’essere-per-la-morte dis-vela all’esserci il proprio essere, come ni-ente, come non-ente. Per l’appunto, oltre l’ente, ovvero ex-sistenza. In una parola: leben.
Thesis Chapters by Livio Cinardi
BA Thesis, Università degli studi di Messina, 2019
Nel campo dell’estetica in genere, si è soliti definire l’estetica di Gadamer come anti-kantiana,... more Nel campo dell’estetica in genere, si è soliti definire l’estetica di Gadamer come anti-kantiana, e ancor più, anti-idealista. Il Gadamer ermeneuta è prigioniero dei pregiudizi propri della filosofia fenomenologico/esistenzialista novecentesca, ed in particolar modo della scuola heideggeriana. Nel Capitolo I si analizzerà il pensiero gadameriano contenuto in Verità e metodo (1960), la prima opera sistematica di Gadamer dedicata all’ermeneutica, non più intesa come mera metodologia, ovvero come prassi/tecnica logico/formale (al modo cartesiano, come si vedrà), ma piuttosto come autonoma filosofia, o più appropriatamente, come filosofia della filosofia, come fondamento per ogni ricerca/indagine delle scienze dello spirito. Il Capitolo II esporrà il pensiero estetico kantiano, la vocazione unitaria (e perciò sintetica) della Critica della facoltà di giudizio, i genuini propositi e contenuti della riflessione estetica trascendentale. L’accusa mossa alla teoresi trascendentale (l’assolutizzazione del soggetto nel processo estetico, non conoscitivo, pur tuttavia comunque sintetico) sembra non comprendere le ragioni di quel necessario approdo kantiano. La controproposta gadameriana, esposta nel Capitolo III, svela il profondo e strumentale fraintendimento che segna la lettura gadameriana dell’estetica kantiana e idealista. Quella di Gadamer non è infatti, meramente, una nuova teoria della razionalità e della conoscenza. Può esserlo, certo, ma solo nella misura in cui ad epistemologia si sostituisca la nozione di ermeneutica. Ma un approccio epistemologico in senso stretto non può fare a meno di considerazioni logico/formali, ovvero della riflessione sul modo in cui le nostre facoltà conoscono il reale. Per quanto intenzionale, fenomenologico si predichi, il processo conoscitivo è tale in nome di un soggetto conoscente. La relazione soggetto-oggetto non può superarsi in una dimensione dialogica logico-formalmente indefinita. La nozione di verità propria delle scienze dello spirito (differente, ma complementare alla nozione di verità propria delle scienze della natura – ovvero scientifiche) sarà affrontata nel Capitolo III e tuttavia rimane incompiuta nella sua elaborazione.
La critica più volte mossa a Gadamer è quella di esser stato il fondatore del relativismo, della nozione di verità intesa come punto di vista. Gadamer non è mai riuscito a proporre una chiarificazione tale da smentire tale obiezione una volta per tutte. In realtà, la maggiore divergenza fra Kant e Gadamer non si dà in termini concettuali, ma ontologici. Intenzione di Kant è rintracciare formalmente le condizioni di possibilità della ragione umana, in quanto conoscenza e comprensione. Intenzione di Gadamer, invece, è fare a meno dei limiti della ragione. In qualche modo, l’estetica gadameriana semplicemente li omette. Estesa la nozione di verità (e con essa di oggettività/scientificità), emancipata dai vincoli logico-formali della tradizione filosofica moderna (cartesiano-leibniziana), è la stessa condizione di possibilità del concetto come prodotto della mente con contenuto di verità ad essere soppiantata dalla condizione di possibilità dell’esperienza in genere, più che della conoscenza o comprensione. Ciò che conta è il dato esperito/esperibile, non il dato conoscitivo/intelligibile. Tacciando così radicalmente l’illuminismo e l’idealismo di ingenuità, Gadamer si è inconsapevolmente lasciato influenzare dal neo-positivismo novecentesco, che in larga misura desiderava avversare. In conclusione, l’ermeneutica gadameriana risulta più immediatamente affine ad un utilizzo pratico-etico nella vita umana. L’aderenza alla filosofia esistenziale heideggeriana e gli influssi di autori a Gadamer contemporanei (si pensi ad Habermas) nell’elaborazione del modello riflessivo-dialogico della comprensione umana da una parte fondano e dall’altra affondano le novità epistemologiche gadameriane. La nuova “idea” di pluralità (impossibile riferirci ad essa come “nozione” o “concetto” in quanto pluralità in sé rimanda all’indeterminazione sotto concetto) riduce gli universali ad universali relativi o contestuali. Quale differenza intercorre tra l’universale relativo proprio della verità plurale dell’ermeneutica gadameriana e l’universale soggettivo proprio dell’estetica kantiana? Che l’uno attiene all’esperienza, l’altro alla conoscenza. Secondo il modello riflessivo-dialogico, la comprensione è già sempre conoscenza ed agisce non in un particolare dominio/territorio, ma nell’intero campo dell’esperibile.
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Mi soffermerò, in modo puntuale, su un’opera del corpus schmittiano: Le categorie del nemico (originale tedesco Der Begriff des Politischen), edito per la prima volta nel 1927, riveduto e ripubblicato dallo stesso Carl Schmitt nel 1963, quasi un ventennio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. A quest’ultima edizione, in traduzione italiana, noi abbiamo preferito far riferimento. Nel suo apparato complessivo, essa rivela più autenticamente il pensiero del pensatore che viene da molti assai superficialmente definito come il teorico di Hitler e del nazional-socialismo, della teoria della “guerra giusta” e dello “spazio vitale”.
Nell’invito ad accettare con consapevolezza le nostre precomprensioni, e a far luce sui nostri pregiudizi circa questo periodo storico tanto oscuro e drammatico, si vuol proporre al lettore una diversa chiave interpretativa, che forse lo porterà a rivedere il giudizio sul teoreta hitleriano e a scoprirne l’attualità del pensiero nel nostro modo di procedere contemporaneo.
Indagare sulla conoscenza, impone un’esposizione articolata e approfondita sull’attività del conoscere. Questa attività è l’oggetto di indagine. In realtà, paradossalmente, occorre ammettere che, purificando sempre più tale attività dalle incrostazioni speculative più invadenti, emergerà chiara e distinta un’esigenza teoretica: non è possibile considerare l’oggetto come oggetto puramente materiale; l’oggetto, in realtà, è un soggetto, sebbene non logicamente. L’indagine sull’attività conoscitiva è indagine sul soggetto conoscente: i due ambiti non possono essere scissi nettamente. Si apre, già nelle premesse, il conflitto fra epistemologia e le pseudoscienze, in particolare la sociologia e la psicologia. Possono quest’ultime fornire un contributo nell’analisi del progresso della conoscenza scientifica? Ancora una volta: il progresso è epistemologico-filosofico o storico-sociale? Le difficoltà maggiori, in corso d’opera, hanno condotto a queste domande, accettando la sfida kuhniana a riscrivere il suo pensiero in ordine inverso. È emersa, limpidamente, la particolarità indiscussa dell’attività scientifica: essa non è mai squisitamente individuale, tantomeno perciò solo materiale. È il singolo scienziato ad elaborare teorie e a condurre esperimenti e ad accogliere o escludere osservazioni fenomeniche. Tuttavia, il sostrato teorico e socio-psicologico che costituisce la sua attività normale, quotidiana, è più che determinante e, sorprendentemente, determinato. Occorre allora chiedersi quali elementi distinguano l’attività scientifica da altre imprese conoscitive e pratiche. Per quali vie procede questa attività: teoriche o pratiche?
Avanzeremo così nella “notte” dell’esserci: non più perso nel mondo ma preso, assalito2 dall’angoscia, proprio dentro il più familiare dei mondi circostanti, l’esserci non si trova più a casa, neanche nell’ambiente più vicino e fidato. Allora, si scoprirà come possibilità: scoprirà il proprio essere, l’autenticità del proprio essere, come possibilità. Una possibilità massima solo apparentemente contradditoria: l’essere-per-la-morte dis-vela all’esserci il proprio essere, come ni-ente, come non-ente. Per l’appunto, oltre l’ente, ovvero ex-sistenza. In una parola: leben.
Thesis Chapters by Livio Cinardi
La critica più volte mossa a Gadamer è quella di esser stato il fondatore del relativismo, della nozione di verità intesa come punto di vista. Gadamer non è mai riuscito a proporre una chiarificazione tale da smentire tale obiezione una volta per tutte. In realtà, la maggiore divergenza fra Kant e Gadamer non si dà in termini concettuali, ma ontologici. Intenzione di Kant è rintracciare formalmente le condizioni di possibilità della ragione umana, in quanto conoscenza e comprensione. Intenzione di Gadamer, invece, è fare a meno dei limiti della ragione. In qualche modo, l’estetica gadameriana semplicemente li omette. Estesa la nozione di verità (e con essa di oggettività/scientificità), emancipata dai vincoli logico-formali della tradizione filosofica moderna (cartesiano-leibniziana), è la stessa condizione di possibilità del concetto come prodotto della mente con contenuto di verità ad essere soppiantata dalla condizione di possibilità dell’esperienza in genere, più che della conoscenza o comprensione. Ciò che conta è il dato esperito/esperibile, non il dato conoscitivo/intelligibile. Tacciando così radicalmente l’illuminismo e l’idealismo di ingenuità, Gadamer si è inconsapevolmente lasciato influenzare dal neo-positivismo novecentesco, che in larga misura desiderava avversare. In conclusione, l’ermeneutica gadameriana risulta più immediatamente affine ad un utilizzo pratico-etico nella vita umana. L’aderenza alla filosofia esistenziale heideggeriana e gli influssi di autori a Gadamer contemporanei (si pensi ad Habermas) nell’elaborazione del modello riflessivo-dialogico della comprensione umana da una parte fondano e dall’altra affondano le novità epistemologiche gadameriane. La nuova “idea” di pluralità (impossibile riferirci ad essa come “nozione” o “concetto” in quanto pluralità in sé rimanda all’indeterminazione sotto concetto) riduce gli universali ad universali relativi o contestuali. Quale differenza intercorre tra l’universale relativo proprio della verità plurale dell’ermeneutica gadameriana e l’universale soggettivo proprio dell’estetica kantiana? Che l’uno attiene all’esperienza, l’altro alla conoscenza. Secondo il modello riflessivo-dialogico, la comprensione è già sempre conoscenza ed agisce non in un particolare dominio/territorio, ma nell’intero campo dell’esperibile.
Mi soffermerò, in modo puntuale, su un’opera del corpus schmittiano: Le categorie del nemico (originale tedesco Der Begriff des Politischen), edito per la prima volta nel 1927, riveduto e ripubblicato dallo stesso Carl Schmitt nel 1963, quasi un ventennio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. A quest’ultima edizione, in traduzione italiana, noi abbiamo preferito far riferimento. Nel suo apparato complessivo, essa rivela più autenticamente il pensiero del pensatore che viene da molti assai superficialmente definito come il teorico di Hitler e del nazional-socialismo, della teoria della “guerra giusta” e dello “spazio vitale”.
Nell’invito ad accettare con consapevolezza le nostre precomprensioni, e a far luce sui nostri pregiudizi circa questo periodo storico tanto oscuro e drammatico, si vuol proporre al lettore una diversa chiave interpretativa, che forse lo porterà a rivedere il giudizio sul teoreta hitleriano e a scoprirne l’attualità del pensiero nel nostro modo di procedere contemporaneo.
Indagare sulla conoscenza, impone un’esposizione articolata e approfondita sull’attività del conoscere. Questa attività è l’oggetto di indagine. In realtà, paradossalmente, occorre ammettere che, purificando sempre più tale attività dalle incrostazioni speculative più invadenti, emergerà chiara e distinta un’esigenza teoretica: non è possibile considerare l’oggetto come oggetto puramente materiale; l’oggetto, in realtà, è un soggetto, sebbene non logicamente. L’indagine sull’attività conoscitiva è indagine sul soggetto conoscente: i due ambiti non possono essere scissi nettamente. Si apre, già nelle premesse, il conflitto fra epistemologia e le pseudoscienze, in particolare la sociologia e la psicologia. Possono quest’ultime fornire un contributo nell’analisi del progresso della conoscenza scientifica? Ancora una volta: il progresso è epistemologico-filosofico o storico-sociale? Le difficoltà maggiori, in corso d’opera, hanno condotto a queste domande, accettando la sfida kuhniana a riscrivere il suo pensiero in ordine inverso. È emersa, limpidamente, la particolarità indiscussa dell’attività scientifica: essa non è mai squisitamente individuale, tantomeno perciò solo materiale. È il singolo scienziato ad elaborare teorie e a condurre esperimenti e ad accogliere o escludere osservazioni fenomeniche. Tuttavia, il sostrato teorico e socio-psicologico che costituisce la sua attività normale, quotidiana, è più che determinante e, sorprendentemente, determinato. Occorre allora chiedersi quali elementi distinguano l’attività scientifica da altre imprese conoscitive e pratiche. Per quali vie procede questa attività: teoriche o pratiche?
Avanzeremo così nella “notte” dell’esserci: non più perso nel mondo ma preso, assalito2 dall’angoscia, proprio dentro il più familiare dei mondi circostanti, l’esserci non si trova più a casa, neanche nell’ambiente più vicino e fidato. Allora, si scoprirà come possibilità: scoprirà il proprio essere, l’autenticità del proprio essere, come possibilità. Una possibilità massima solo apparentemente contradditoria: l’essere-per-la-morte dis-vela all’esserci il proprio essere, come ni-ente, come non-ente. Per l’appunto, oltre l’ente, ovvero ex-sistenza. In una parola: leben.
La critica più volte mossa a Gadamer è quella di esser stato il fondatore del relativismo, della nozione di verità intesa come punto di vista. Gadamer non è mai riuscito a proporre una chiarificazione tale da smentire tale obiezione una volta per tutte. In realtà, la maggiore divergenza fra Kant e Gadamer non si dà in termini concettuali, ma ontologici. Intenzione di Kant è rintracciare formalmente le condizioni di possibilità della ragione umana, in quanto conoscenza e comprensione. Intenzione di Gadamer, invece, è fare a meno dei limiti della ragione. In qualche modo, l’estetica gadameriana semplicemente li omette. Estesa la nozione di verità (e con essa di oggettività/scientificità), emancipata dai vincoli logico-formali della tradizione filosofica moderna (cartesiano-leibniziana), è la stessa condizione di possibilità del concetto come prodotto della mente con contenuto di verità ad essere soppiantata dalla condizione di possibilità dell’esperienza in genere, più che della conoscenza o comprensione. Ciò che conta è il dato esperito/esperibile, non il dato conoscitivo/intelligibile. Tacciando così radicalmente l’illuminismo e l’idealismo di ingenuità, Gadamer si è inconsapevolmente lasciato influenzare dal neo-positivismo novecentesco, che in larga misura desiderava avversare. In conclusione, l’ermeneutica gadameriana risulta più immediatamente affine ad un utilizzo pratico-etico nella vita umana. L’aderenza alla filosofia esistenziale heideggeriana e gli influssi di autori a Gadamer contemporanei (si pensi ad Habermas) nell’elaborazione del modello riflessivo-dialogico della comprensione umana da una parte fondano e dall’altra affondano le novità epistemologiche gadameriane. La nuova “idea” di pluralità (impossibile riferirci ad essa come “nozione” o “concetto” in quanto pluralità in sé rimanda all’indeterminazione sotto concetto) riduce gli universali ad universali relativi o contestuali. Quale differenza intercorre tra l’universale relativo proprio della verità plurale dell’ermeneutica gadameriana e l’universale soggettivo proprio dell’estetica kantiana? Che l’uno attiene all’esperienza, l’altro alla conoscenza. Secondo il modello riflessivo-dialogico, la comprensione è già sempre conoscenza ed agisce non in un particolare dominio/territorio, ma nell’intero campo dell’esperibile.