Appunti Esame Igiene Scolastica
Appunti Esame Igiene Scolastica
Appunti Esame Igiene Scolastica
L’IGIENE è una disciplina facente parte delle scienze mediche ed è l’unica di queste scienze che si
occupa, non di curare il paziente, ma di evitare che il paziente si ammali. Quindi, mentre tutte le
altre discipline mirano a curare il paziente già in uno stato di malattia sul quale bisogna intervenire,
con l'igiene si punta alla difesa e alla tutela della salute del soggetto, affinché lo stato di benessere
del singolo individuo e dell’intera comunità venga adeguatamente tutelato o addirittura migliorato.
Si interviene in quella che è la fase precedente per cui il soggetto potrebbe finire in una condizione
di malessere.
In particolare, l'IGIENE SCOLASTICA rappresenta tutti quegli interventi di prevenzione che
bisogna mettere in atto per evitare uno stato di malattia e quindi tutelare lo stato di salute del
singolo nell'età scolare, insegnando ai bambini e ai docenti che cosa significa prevenire uno stato di
malattia ovvero portare tra i banchi di scuola la conoscenza dell’igiene, della salute e della
prevenzione.
Nella mitologia greca, Igea era venerata come dea della salute e dell'igiene dell’individuo. Era figlia
di Asclepio e Lampeggia. Oltre che dea della salute (o del risanamento in generale), era la divinità
di ogni cosa pulita. A differenza del padre, associato esclusivamente alla cura delle malattie, Igea
veniva associata alla prevenzione dalle malattie e al mantenimento dello stato di salute.
La salute è un concetto estremamente ampio che l'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1946
ha modificato, nel senso che fino a quella data quando si parlava di salute si faceva riferimento ad
uno stato di benessere organico, ma a partire dal ‘46 questo concetto si amplia considerando uno
stato completo di benessere non soltanto fisico (organico), ma anche mentale e sociale.
L’ OMS, agenzia delle Nazioni Unite fondata il 22 luglio 1946 ed entrata in vigore il 7 aprile 1948
con sede a Ginevra, è composta da 194 stati membri di tutto il mondo divisi in 6 regioni (Europa,
Americhe, Africa, Mediterraneo orientale, Pacifico occidentale e sud-est asiatico), che si sono uniti
per condividere tutti quei sistemi per il controllo delle malattie. L’Italia ha aderito ufficialmente
all’OMS in data 11 aprile 1947. Secondo la Costituzione dell’OMS, l’obiettivo dell’Organizzazione
è “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”,
definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente
“assenza di malattie o infermità”. Si parla anche di benessere mentale perché man mano che
passano gli anni ci si accorge sempre più come le malattie psichiche rappresentino un problema
sempre più gravoso soprattutto nei paesi industrializzati, sia per il numero dei soggetti colpiti
(inizialmente solo l’adulto, oggi la fascia d’età tende ad abbassarsi) sia per l’elevato carico di
disabilità e di costi economici e sociali che comportano per le persone colpite e per i loro familiari.
Dai dati forniti dall' OMS è emerso che circa 450 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di
disturbi neurologici, mentali e comportamentali di tipo transitorio o anche più impegnativo. Il tasso
di mortalità per suicidio in Italia, dietro cui c'è sicuramente una profonda problematica di natura
psichica, è pari al 6% su 100.000 abitanti, più basso rispetto alla media europea dell’11% su
100.000 abitanti.
L’OMS, che agisce a livello mondiale, gode in Italia di un servizio sanitario nazionale (SSN) che si
basa su tre principi fondamentali: l'universalità, l'uguaglianza e l'equità.
Universalità: estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione. La salute è stata intesa non
soltanto come bene individuale, ma soprattutto come bene universale: quando si tutela lo stato di
benessere del singolo individuo automaticamente si tutela l'intera comunità perché se si sta male ne
risente la famiglia impegnata a curare, l’ambiente di lavoro in quanto qualcuno deve sostituire
qualcun altro nel lavoro, il sistema sanitario stesso in quanto impegnato ad offrire dei servizi più o
meno costosi. I servizi sono erogati dalle aziende sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere e da
strutture private convenzionate.
Uguaglianza: I cittadini devono accedere alle prestazioni del SSN senza nessuna distinzione di
condizioni individuali, sociali ed economiche.
Equità: A tutti i cittadini deve essere garantita parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute
(se noi abbiamo una stessa malattia dobbiamo essere curati nella stessa maniera, se noi abbiamo
malattie più gravi o meno gravi dobbiamo comunque essere entrambi curati ma in base al bisogno
di salute che fa la differenza).
L’importanza dello stato di salute viene riportata nella Costituzione Italiana, precisamente nell’art.
32 in cui si recita che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Così com’è importante nella
Costituzione Italiana l'art. 34 in cui si recita l'importanza del diritto all'istruzione: “La scuola è
aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I
capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”
L’art. 34 così come l'art. 32 per l’igiene scolastica rappresentano dei capisaldi fondamentali.
Questi due concetti sono applicati in una sfera della scuola, la scuola in ospedale, riconosciuta dal
Ministero dell’Istruzione. La scuola in ospedale è la scuola che viene svolta per bambini o
adolescenti che a causa di una patologia di base, malattie croniche, non possono frequentare la
scuola ordinaria diritto alla salute ma anche diritto all’istruzione.
La salute rappresenta, secondo l’OMS, quel benessere psico-fisico e sociale che deve essere
garantito nel tempo. Per questo bisogna puntare sulla promozione della salute, sulla prevenzione,
per ottenere una condizione di benessere.
La salute deve essere garantita perché vi sono diversi FATTORI che condizionano e minano lo stato
di salute:
fattori strettamente individuali, che ci si porta dietro per familiarità o per caratteristiche legate al
sesso o all'età;
fattori di tipo ambientale, legati per esempio all’ inquinamento tipico dei paesi industrializzati
oppure all’inquinamento per le catastrofi naturali;
fattori di tipo strettamente genetico, legati all’ereditarietà del soggetto perché ad esempio ci
sono soggetti più predisposti alle malattie rispetto ad altri in cui la prevenzione può solo
intervenire per poter rallentare l’insorgenza di una malattia;
fattori come le condizioni socio-economiche, perché quanto sono maggiormente carenti più
sono associate a una condizione di occupazione precaria, alla mancanza di un’abitazione e di
un’assistenza sanitaria adeguate, ecc. (è risaputo che oggi circa l’80% dei decessi per patologie
croniche, che persistono per lungo tempo, si verificano soprattutto nei paesi con un reddito
medio-basso e questo perché le condizioni di vita e di assistenza sono alquanto carenti);
stili di vita, ovvero il comportamento di ciascuno ad esempio l'abuso di alcol, fumo, droghe così
come la malnutrizione in difetto, per scelta dell’individuo che sfocia nella sfera psicologica, o
malnutrizione in eccesso in cui i bambini in età pediatrica tendono ad una condizione di
sovrappeso o obesità (è in questa fase della vita che viene stabilita la predisposizione dell’adulto
obeso in futuro).
Se ciascuno di questi elementi incide così negativamente sull’uomo, si pensi quando più fattori si
uniscono quanto il problema si possa amplificare più fattori si uniscono più è facile che la salute
possa essere danneggiata.
La scuola è l’ambito in cui più facilmente si può intervenire con la promozione della salute perché è
l'ambito in cui l’individuo è in fase di crescita, per tanto così come viene insegnato a leggere e
scrivere allo stesso bisogna insegnare a tutelare lo stato di salute; solo in questo modo è possibile
che il bambino, che poi sarà adulto, cresca con la volontà intrinseca di voler tutelare il suo stato di
benessere.
Esistono dei fattori che invece promuovono la salute, i cosiddetti FATTORI SALUTOGENI. Si
tratta di promuovere gli stili di vita corretti; promuovere la salute, però, non significa soltanto
intervenire quando si è sani e quindi evitare che si sfoci in una condizione di malessere, piuttosto
anche RIABILITAZIONE perché riabilitare vuol dire intervenire affinché nei soggetti che abbiano
già avuto uno stato di malattia o disabilità la promozione della salute permetta di portarli a
recuperare quella salute, fin dove è possibile, così da consentire le attività e la partecipazione nelle
varie aree di vita (domestica, lavorativa, sociale, ecc.).
La salute individuale è un diritto fondamentale ed inalienabile ma è anche un interesse collettivo, in
quanto le spese sanitarie e quelle relative alle assenze dallo studio e/o dal lavoro, hanno costi
materiali e sociali molto alti e sono a carico della collettività.
Per comprendere qual è lo stato della popolazione bisogna fare riferimento a degli INDICATORI
DI SALUTE, dei parametri, che permettano di valutare in quali condizioni si trova la popolazione
quindi il suo stato di salute, la diffusione delle malattie, il grado di efficienza, di efficacia e di
qualità dei servizi sanitari, ecc. Gli indicatori di salute si possono distinguere in:
indicatori diretti, che fanno immediatamente capire qual è la condizione (stato di salute o di
malattia) della popolazione in esame come i parametri demografici (natalità, fecondità, speranza
di vita alla nascita), sanitari (mortalità, letalità), biometrici (indici di massa corporea), ecc.
indicatori indiretti, che in maniera indiretta fanno capire qual è la condizione (stato di salute o
malattia) della popolazione in esame come i parametri socio-economici (reddito medio pro
capite), socio-sanitari (stili di vita come alcol o fumo, disponibilità strutture sanitarie), ecc.
L’istituzione deve tenere sotto controllo gli indicatori di salute perché soltanto così si può capire
se si sta verificando un problema e quindi si può intervenire precocemente in quanto più
precocemente si interviene più i risultati sono raggiungibili e soddisfacenti.
Per poter mettere in atto questi sistemi di promozione della salute bisogna avvalersi di alcune
discipline che si intersecano tra loro per fornire delle informazioni su cui poi basare gli interventi: la
statistica, la demografia e l’epidemiologia.
La statistica studia una serie di dati provenienti dall’osservazione di popolazioni. Il concetto di
“popolazione” in statistica è profondamente diverso da ciò che abitualmente si intende per
popolazione: in statistica per popolazione si intende una qualunque aggregazione di elementi che
generano dati. Ci si può riferire, infatti, a una popolazione di soggetti, di automobili prodotte in un
anno da uno stabilimento, ecc. È una scienza esatta che si basa su leggi matematiche (precisione dei
dati), però nello stesso tempo è una scienza probabilistica perché fornisce una serie di dati che
scaturiscono dall'osservazione di CAMPIONI rappresentativi della “popolazione” in esame e non
sull’ “intera popolazione”.
La demografia è una scienza che studia le popolazioni descrivendone alcune caratteristiche:
numerosità, densità abitativa, distribuzione in età e sesso, frequenza di nascite, morti, matrimoni,
divorzi, migrazioni, ecc. Ciò è fondamentale perché se non si conosce com’è fatta dal punto di vista
demografico una popolazione non si può capire quanto il problema sia presente. Tale studio è
soprattutto finalizzato a chiarire gli effetti che tali fattori possono avere sulle condizioni
economiche, sociali e culturali della popolazione. Lo scenario demografico va, infatti,
modificandosi nel tempo. Molti sono i cambiamenti in atto nello scenario demografico italiano: si
assiste ad un calo della fecondità, un allungamento della vita media, un aumento dell’incidenza
della popolazione anziana, un incremento e adattamento della presenza straniera, sorgono nuove
forme di famiglia, ecc. Questo cambiamento si ripercuote inevitabilmente sulla collettività su cui si
deve lavorare per fare promozione della salute.
In particolare, nell’arco degli ultimi dieci anni, le nascite sono diminuite di 136.912 unità, quasi un quarto (il 24%
in meno) rispetto al 2008. In Italia, infatti, si ha una riduzione della popolazione del 4%.
La percentuale di nati fuori dal matrimonio è del 32,2%, invece, nel 1995 era dell’8% e nel 2008 del 19%. Si ha
una riduzione dei matrimoni, sebbene comunque ci siano lo stesso le nascite. Il fatto che diminuiscano i
matrimoni non è solo un dato oggettivo finalizzato a sé stesso, ma dietro al concetto del matrimonio ci sono altri
elementi che andrebbero analizzati da un punto di vista demografico.
Così come per la quota di nati con almeno un genitore straniero è del 22%, anche questa in diminuzione dal
2012.
Il dato su cui ci si deve soffermare è che fino a qualche anno fa si aveva una riduzione delle nascite ma non
esisteva il concetto della culla vuota cioè almeno un figlio per coppia era garantito perché veniva comunque
soddisfatta la necessità di genitorialità che è, generalmente, innata in ciascuno di noi. In passato, si assisteva a
famiglie numerose dove c'erano 5,6,7 figli, poi si è passati ad avere 3,4 figli, poi 2,3 figli e, infine, si è passati alla
famiglia di 2 figli. Quindi già il terzo figlio cominciava ad essere un lusso. Poi si è passati ad avere un solo figlio
perché 2 cominciavano ad essere troppo impegnativi per una famiglia. Adesso, siamo in una fase in cui c'è un calo
per i primogeniti. Questo significa che non si procrea proprio, quindi aumenta il numero di coppie senza figli. Al
2018 si registrano 439.000 bambini, oltre 18.000 in meno rispetto all'anno precedente e quasi 140.000 in meno
rispetto al 2008. Questo fa pensare che andando avanti di questo passo non ci saranno più coppie che metteranno
al mondo figli.
Anche la fecondità in Italia è in calo. La fecondità sarebbe il numero medio di figli per donna, che è attualmente
dell’1,29%. Nel 2010 era del 1,46%.
Altro dato importante è l'età media a cui si arriva ad avere il primo figlio che è attualmente di 32 anni rispetto ai
31,2 del 2018.
Nel corso degli anni non si ha mai un cambiamento catastrofico da un anno all'altro, ma ci sono sempre dei piccoli
cambiamenti che apparentemente sembrano minimi. E non bisogna aspettare che si noti un'inversione di tendenza
per poter intervenire, ma si deve intervenire già quando si cominciano a vedere i piccoli cambiamenti.
Un altro dato importante, che incide sulle nascite e sul fatto che ci sono meno matrimoni, è che c'è anche una
riduzione della fascia della popolazione femminile in età feconda. Nel gennaio 2019 le donne tra i 15 e i 29
anni sono poco più della metà di quelle tra i 30 e i 49 anni e che sono, rispetto a 10 anni fa circa, oltre un milione
in meno.
Nel 2018 il tasso di natalità più basso è di 7,3 per mille e si assiste ad un numero del tasso di mortalità, che ha
superato quello delle nascite. Questo è un altro dato che va interpretato, un aumento delle morti
indipendentemente dalle cause e dalla fascia di età, considerando solo il decesso (morti in generale).
La maggior parte della popolazione è anziana, infatti, un altro dato demografico che si è andato modificando nel
corso degli anni è la speranza di vita alla nascita ovvero la vita media che un soggetto si presume viva all'interno
della popolazione. In Italia nel 1880 era di 35,4 anni.
Nel 1900 la vita media era di 42,8 anni.
Nel 1930 era di 54,9 anni.
Nel 1959 era di oltre 65 anni.
Col passare del tempo la vita media è aumentata.
Nel 2005 l'età media dell'uomo era di 78 anni e per le donne 83,7.
Nel 2011 79,4 per gli uomini e 84,5 per le donne.
Nel 2014 80,2 per l'uomo e 84,9 per le donne.
Nel 2015, però, si assiste ad una diminuzione della speranza di vita alla nascita sia per gli uomini (80,1) che per le
donne (84,7). Sono delle deflessioni minime, quasi impercettibili. Nel 2016 c'è stata una ripresa della situazione:
80,6 per l'uomo rispetto all’ 85,1 della donna. Quindi, il 2015 è stato un evento eccezionale che ha fatto allarmare
perché in realtà poteva rappresentare anche un inizio della diminuzione della vita media, ma fortunatamente così
non è stato. Attualmente, secondo i dati dell’ISTAT, aumenta ancora la speranza di vita: nel 2018, infatti, per gli
uomini è di 80,9 per le donne è di 85, 2.
Questo aumento di vita media modifica l'indice di vecchiaia ovvero il rapporto tra la popolazione degli
ultrasessantacinquenni cioè quelli che sono considerati anagraficamente soggetti anziani rispetto alla popolazione
con età inferiore a 15 anni. Al 31 dicembre del 2014 l’indice di vecchiaia è del 157,7%, che è arrivato nel 2018 al
168,9%. Nel 2019 è pari a 173,1 per 100 giovani. Questo fa capire che nel corso del tempo l’indice di vecchiaia è
aumentato rispetto all'anno scorso in cui si avevano 173 anziani per 100 giovani. Perché è aumentata la vita
media? Perché è aumentata la popolazione degli anziani? Perché sicuramente è migliorato il sistema sanitario, il
sistema di cura della popolazione, le condizioni di benessere sono migliori e quindi si vive più a lungo.
L’epidemiologia per studiare la frequenza delle malattie si avvale di due concetti base: l'incidenza e
la prevalenza.
La PREVALENZA è il numero di persone che sono interessate da una malattia o un evento
sanitario rispetto all’intera popolazione in esame a rischio in un preciso momento, moltiplicato per
il fattore K (100, 1000, 10000, ecc.). La prevalenza è una proporzione con la quale si descrive
un’immagine statica, una fotografia della situazione di malattia o evento sanitario, non
considerando il momento in cui i soggetti si sono ammalati. Uno studio particolare di prevalenza è
il “one day study” letteralmente “studio di un giorno”, in cui si verifica il numero di soggetti
ammalati in un’unica giornata. La fotografia dei soggetti ammalati in una giornata è diversa dalla
fotografia dei soggetti ammalati in un interno mese o anno. Il risultato del one day study è, quindi,
variabile a seconda del giorno in cui si fa lo studio. Allora qual è la sua attendibilità? Esso permette
di avere una fotografia statica del numero di persone che hanno la malattia. Ma se si vuole dare
un'importanza epidemiologica al one day study, allora ogni anno bisognerebbe ripetere questo
studio nella stessa giornata perché bisogna riproporre la stessa probabilità di errore nella stessa
giornata, altrimenti facendolo prima o dopo si risentirebbe di alcuni fattori che potrebbero
condizionare questo studio. In questo modo si avrà la possibilità di creare una curva dell’andamento
negli anni di questa malattia (andamento positivo o negativo). Il dato di prevalenza può risentire di
alcuni fattori che fanno aumentare o diminuire il caso della malattia:
la maggiore durata della malattia ovvero di fronte ad una malattia che persiste per diversi giorni
si ha una maggiore probabilità, andando a fare lo studio di prevalenza, di trovare le persone
ammalate, mentre di fronte ad una malattia che ha una durata molto breve la probabilità di
trovare persone ricoverate di quella malattia si riduce;
l’aumento della vita dei malati senza guarigione ovvero il fatto che i soggetti, pur non guarendo
completamente, vivono comunque più a lungo;
l’aumento dei nuovi casi di malattia;
l’immigrazione di casi;
l’emigrazione di persone sane ovvero, essendo una proporzione, se si ha un denominatore
rappresentato dalle persone malate e sane (ed esposte a rischio di malattia) e vanno via le
persone sane, il denominatore diminuisce e il dato di prevalenza aumenta;
l’immigrazione di persone suscettibili ovvero rientrano persone che possono ammalarsi e quindi
aumenta il rischio di malattia;
il miglioramento delle capacità diagnostiche ovvero se le tecniche permettono di fare una
diagnosi corretta si avrà un aumento dei casi di prevalenza perché è stata fatta diagnosi, magari
per altre malattie si ha una prevalenza che non aumenta semplicemente perché non viene fatta
una diagnosi adeguata in quanto le metodiche a disposizione non sono sufficienti.
A termine di uno studio bisogna adeguatamente analizzare il risultato ottenuto, indagare perché
si è avuto quel risultato, ponendosi una serie di interrogativi per poterlo interpretare in maniera
corretta. Questi fattori permettono di avere più probabilità di trovare il soggetto con la malattia
e, quindi, sono utili a misurare i bisogni assistenziali e pianificare i programmi sanitari.
L’INCIDENZA è il numero dei nuovi casi di malattia in un preciso periodo di tempo nell’ambito
della popolazione a rischio presa in esame, moltiplicato per il fattore K (100, 1000, 1000, ecc.);
l’incidenza fornisce delle informazioni sul rischio di sviluppare una malattia o evento sanitario.
Essa ha un significato estremamente importante dal punto di vista epidemiologico perché molto
precisa rispetto alla prevalenza, in quanto quest’ultima fa capire la situazione generale mentre
l’incidenza fa capire quanto si stia evolvendo la malattia.
Queste informazioni epidemiologiche sono utili per poter conoscere al meglio tutte le malattie e
intervenire per rimuovere le cause e i fattori che ne favoriscono l’insorgenza, potenziare i fattori di
benessere e promuovere comportamenti vantaggiosi per la salute.
Quando si parla di uno stato di malattia si tratta di una condizione di malessere nel soggetto e si
possono distinguere un gruppo di malattie infettive e un gruppo di malattie non infettive.
Le MALATTIE INFETTIVE sono causate da microrganismi viventi mentre le MALATTIE NON
INFETTIVE sono determinate da alcuni fattori definiti cronico-degenerativi inanimati (vedi il
diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori, ecc.). Nelle malattie infettive i microrganismi sono
agenti di piccole dimensioni visibili esclusivamente al microscopio ottico o elettronico come i
batteri, i virus, i miceti, i protozoi. Essi sono oltre 1407 specie e tendono sempre ad aumentare. Ce
ne sono circa 177 che vengono considerati come microrganismi emergenti o riemergenti. Quelli
emergenti sono microrganismi responsabili di malattie che compaiono per la prima volta nella
popolazione e che determinano una malattia nuova (vedi il sars cov 2). Mentre i microrganismi
riemergenti sono responsabili di una malattia che prima esisteva, poi è scomparsa e infine è
riemersa (vedi la tubercolosi).
L’anno scorso in media ci sono stati 57 milioni decessi per malattie, di cui 15 milioni per malattie
infettive. Nei paesi sottosviluppati le malattie infettive sono la prima causa di morte, mentre nei
paesi sviluppati la prima causa di morte sono altre patologie, prevalentemente non infettive e
paradossalmente correlate ad uno stato di benessere come le malattie cardiovascolari, subito dopo i
tumori. Le cause che determinano questo elevato numero di malattie infettive e quindi di decessi
sono:
l’aumento dei flussi migratori e degli scambi di merci;
le modifiche del comportamento dell’uomo (spostamenti, urbanizzazione);
i cambiamenti demografici (aumento della popolazione, impoverimento);
l’aumento della suscettibilità dell’uomo alle infezioni ovvero il soggetto ha una sensibilità nei
confronti del microrganismo e magari questa sensibilità è correlata ad una condizione di
malnutrizione;
i cambiamenti del serbatoio di infezione quindi degli ambienti naturali in cui questi
microrganismi si trovano;
le mutazioni genetiche del microrganismo magari anche per pressioni farmacologiche e quindi
per adattamento del nuovo microrganismo (vedi il virus dell’influenza che è un virus che di
anno in anno subisce dei cambiamenti genetici);
la situazione politica e sociale soprattutto legata a condizioni di guerra (distruzione di
infrastrutture o assenza di rete idrica e fognaria), di malnutrizione, di fenomeni migratori, del
crollo di sistemi sanitari e sociali e di diffusione di malattie.
Si ha un aumento della MORTALITÀ DIRETTA o INDIRETTA. Per mortalità diretta si intende
che si muore direttamente a causa del microrganismo, mentre per mortalità indiretta si intende che il
microrganismo, pur non essendo stato responsabile del decesso, ha favorito altre condizioni che
hanno portato alla morte. Si ha una diminuzione della natalità e un aumento della morbosità quindi
c’è un ritorno della condizione di invecchiamento della popolazione.
Gli AGENTI MICROBICI si distinguono in:
saprofiti ambientali, quei microrganismi che vivono normalmente nell’ambiente come habitat
naturale, non creando alcun danno all'uomo e all'ambiente. Sono quei microrganismi che
rientrano molto spesso nel ciclo dell’azoto, nel ciclo del fosforo, ecc. che si impegnano anche
nella degradazione della sostanza organica che si trova nell’ambiente e che facilitano la
liberazione di quelle sostanze che saranno poi assorbite dalle piante, mantenendo in equilibrio
l’ecosistema con le sue caratteristiche naturali microrganismi innocui;
saprofiti commensali, microrganismi altrettanto innocui ma che vivono normalmente a livello
dei tegumenti, delle mucose, dell’intestino, della pelle, quindi dell’organismo: vivono con
l’uomo senza arrecare danno, creando così un commensalismo cioè un reciproco vantaggio sia
per l’uomo che li ospita sia per il microrganismo. Per il microrganismo perché esso ha un
ambiente in cui vivere adeguatamente, mentre per l’uomo perché la presenza di quei
microrganismi diventa essenziale in quanto proteggono l’uomo da altri microrganismi dannosi;
parassiti propriamente detti, dei batteri che si comportano da parassiti cioè esseri viventi
microscopici (ordine dei micron) osservabili soltanto con i microscopi. Questi si comportano da
parassiti perché una volta che attaccano l’ospite determinano l’insorgenza di una malattia,
arrecando così un danno all’uomo.
I BATTERI sono organismi di dimensioni microscopiche non visibili ad occhio nudo e hanno
dimensioni che oscillano da 0,5 a 10 μm (micrometri). I batteri sono una miriade con caratteristiche
specifiche, quindi si tende a distinguerli in base alla colorazione che questi assumono e in base alla
loro forma. I batteri vengono coltivati in laboratorio e osservati esclusivamente al microscopio: una
cellula batterica, che si divide ogni 30 minuti, dopo 15 ore di replicazione dà origine ad un miliardo
di batteri che formano una colonia o clone. Ogni colonia o clone, che deriva da una singola cellula,
la si sottopone ad un tipo di colorazione il primo colorante è il violetto di genziana, l’altro è il
fucsia. Alcuni batteri, trattandoli con l’alcool, trattengono il violetto e quindi significa che sono
batteri gram positivi; al contrario se non sono in grado di trattenere questo violetto, si utilizzerà
l’altro colorante fucsia e se questi assorbono il colorante fucsia significa che sono dei gram negativi.
I batteri si distinguono anche, sempre osservandoli al microscopio, in cocchi e bacilli.
I cocchi hanno forma rotondeggiante e si possono presentare in maniera disordinata: gli
stafilococchi si presentano come fossero un grappolo d’uva e sono sempre gram positivi (la nostra
pelle è stracolma di stafilococchi come nella mucosa del cavo orale); gli streptococchi si presentano
uno dietro l'altro formando un filamento e sono sempre gram positivi; i diplococchi si presentano
uniti a due a due cioè a coppie quasi come fossero una collana di perle e possono essere sia gram
positivi che gram negativi (vedi il microrganismo responsabile della meningite), così come i cocchi
singoli. Quindi la gran parte dei cocchi sono gram positivi, ma ci sono anche alcuni gram negativi.
I bacilli hanno forma allungata e si possono presentare in maniera differente: in forma bombata e
sono solitamente gram negativi, in forma lineare e possono essere sia gram positivi sia gram
negativi, ma anche in forma curva (vedi il microrganismo del tetano che è un gram positivo mentre
il microrganismo del tifo è un gram negativo).
Queste distinzioni vengono effettuate per restringere sempre più il campo in cui andare a ricercare
l'identità del microrganismo in questione.
Quindi si ha una diversa morfologia associata ad una diversa colorazione.
Una caratteristica importante dei batteri è il fatto che sono organismi completi e questo li rende
indipendenti, quindi si possono trovare dappertutto nell'ambiente, nell’uomo, sulle superfici, ecc.
sono capaci di vita autonoma. Un batterio ha una parete cellulare, una membrana cellulare che
avvolge il citoplasma in cui si trovano tutti gli organuli liberi come i ribosomi, i mitocondri, ecc. e,
infine, un nucleotide che non è un vero e proprio nucleo ma presenta un’organizzazione semplice in
grado comunque di contenere il DNA, l’acido nucleico a doppia catena che porta il corredo genetico
(utile a verificare la familiarità).
Alcuni batteri al di fuori della parete hanno anche una capsula, un involucro di protezione.
I batteri possono presentare dei piccoli filamenti che permettono il movimento, quindi alcuni batteri
sono capaci di muoversi; questi filamenti possono trovarsi o alle estremità apicali del corpo
batterico o in alcuni casi distribuiti su tutto il resto del corpo.
Un'altra caratteristica dei batteri è la presenza di SPORE cioè delle forme di resistenza che
sviluppano alcuni batteri quando le condizioni ambientali gli sono sfavorevoli: questi batteri sono
gli anaerobi obbligati che vivono normalmente in assenza di ossigeno. Se il batterio può vivere
soltanto quando non c'è ossigeno, nel momento in cui si dovesse verificare la presenza di ossigeno il
batterio muore e nel tentativo di sopravvivere si trasforma in spora che gli permette di resistere alla
presenza di ossigeno. La spora raccoglie tutto il materiale genetico che permetterà la riproduzione e
si distacca dal corpo batterico, tutelando il materiale genetico attraverso un involucro protettivo;
dopodiché si ritrova libera ed entra in una condizione di latenza, in cui non fa nulla. Quando le
condizioni ambientali saranno “favorevoli”, dalla spora prende nuovamente origine il batterio e
ricomincia il ciclo. La condizione della spora è essenziale affinché la malattia si verifichi e quindi
bisogna prevenire anche e soprattutto sulla spora.
Altri batteri producono delle TOSSINE che sono delle sostanze tossiche liberate durante le fasi di
moltiplicazione. Queste tossine possono essere delle esotossine che una volta prodotte vengono
liberate all’esterno e quindi si allontanano dal corpo batterico (vedi il bacillo del tetano), o delle
endotossine che invece restano attaccate al corpo batterico.
I microrganismi vivono e si moltiplicano in modo variabile e sulla base di alcuni fattori:
la temperatura, perché i vari tipi di microrganismi gradiscono temperature diverse per il proprio
habitat ottimale, come i microrganismi psicrofili che prediligono il freddo pertanto si riescono a
riprodurre in un intervallo di temperatura compreso tra i 0-25° raggiungendo la temperatura
ottimale intorno ai 10° (nella nostra vita quotidiana si possono riprodurre nei frigoriferi); poi ci
sono i mesofili che invece si riescono a riprodurre in un intervallo di temperatura compreso tra i
20-45° raggiungendo la temperatura ottimale tra i 30-37° quindi sono quelli che più facilmente
possono attaccare l'uomo proprio perché si adattano bene alla sua temperatura corporea; infine
ci sono i termofili che prediligono il caldo pertanto si riescono a riprodurre in un intervallo di
temperatura tra i 45-70° raggiungendo la temperatura ottimale tra i 50-55°. Se si trasferiscono le
caratteristiche della temperatura su una scala di termoresistenza, quindi un termometro, accade
che tra i 0-25° si ha lo sviluppo massimo degli psicrofili perché sono quelli che prediligono la
basse temperature, tra i 20-37° si ha lo sviluppo massimo dei mesofili perché sono quelli che
richiedono temperature più elevate e man mano che aumenta la temperatura quelli più di tutti
che riescono a sopravvivere sono i termofili che sopportano temperature molto elevate (45-70°);
ma oltre i 60° anche i termofili riducono la possibilità di resistenza. Se si superano gli 80-120°
vengono distrutte anche le spore. Se invece si va al di sotto dei 0° si ha una riduzione
progressiva della vita dei batteri, quindi a temperature molto basse i batteri non si riproducono.
Essi si possono congelare, restando sempre comunque vivi. Quando si scongelano, quindi
quando aumenta la temperatura, i batteri riprendono nuovamente a moltiplicarsi;
il tempo, perché più tempo passa più i microrganismi si riproducono in quanto la riproduzione è
di tipo esponenziale;
l’ossigeno, che ci permette di distinguere i microrganismi in aerobi cioè la stragrande
maggioranza dei batteri che vivono solo in presenza di ossigeno come l’uomo e gli animali, in
anaerobi che riescono a vivere solo in assenza di ossigeno perché esso è dannoso, e infine in
aerobi o anaerobi facoltativi che hanno una maggiore capacità di adattamento e quindi possono
vivere in presenza o in assenza di ossigeno;
il nutrimento;
l’umidità;
l’acidità.
I VIRUS sono degli organismi molto piccoli tanto che, a differenza dei batteri che sono visibili con
il microscopio ottico, per i virus invece si deve ricorrere al microscopio elettronico. La caratteristica
principale dei virus è di essere parassiti endocellulari obbligati ovvero dei microrganismi che
riescono a moltiplicarsi soltanto se penetrano all’interno di una cellula ospite. Questo perché i virus
sono dei microrganismi incompleti, infatti alcune scuole di pensiero non li definisce nemmeno dei
veri e propri microrganismi, perché presentano un solo acido nucleico semplice di DNA o RNA.
Significa che, non essendo in grado di vivere in maniera autonoma perché se manca uno dei due
acidi nucleici i virus non sono più in grado di riprodursi e svolgere le loro funzioni, devono
necessariamente ricorrere ad altre cellule da cui usufruire degli elementi necessari alla loro
replicazione. Pertanto ognuno di questi virus presenta una propria cellula ospite in cui trovare il
proprio habitat naturale; ciò comporta che alcuni virus hanno una preferenza per le cellule vegetali e
quindi vanno a determinare delle infezioni alle piante (virus del tabacco, della patata, ecc.), alcuni
per le cellule animali e quindi vanno a determinare delle infezioni a esseri viventi di maggiori
dimensioni (mammiferi, pesci, uccelli, insetti, ecc.), alcuni per altri batteri penetrando nella cellula
batterica e quindi prendono il nome di batteriofagi tropismo di un microrganismo è la
preferenza che ha per un determinato habitat quindi una determinata cellula o organo (vedi il virus
dell’epatite A che ha una preferenza per le cellule del fegato). Un virus è la forma più semplice di
microrganismo proprio perché è costituito da un solo acido nucleico di DNA o RNA, poi è rivestito
da un capside cioè un involucro di natura proteica che protegge l'acido nucleico di cui si compone
(nucleocapside). In alcuni virus vi è ancora un’ulteriore matrice di natura proteica e, infine, una
copertura di natura glicoproteica (contiene glicoproteine), costituita da protuberanze, delle
estroflessioni, che agganciano ad un recettore della cellula ospite per le quali hanno il loro tropismo.
Raggiunta questa cellula ospite, comincia la replicazione del virus. In alcuni casi, una volta che
l’acido nucleico del virus è penetrato all’interno della cellula ospite, esso resta latente per un
periodo anche molto lungo (vedi il virus dell’AIDS che colpisce le cellule del sistema immunitario,
penetra all'interno e resta lì per anni senza dare alcun tipo di problema perché trovato il suo
ambiente naturale è come se si fosse tranquillizzato restando in una condizione latente, poi di colpo
si risveglia e comincia a creare problemi; mentre normalmente i virus come il virus dell’epatite A, il
virus dell’influenza, il coronavirus, ecc. una volta che penetrano nella cellule ospite cominciano
subito a replicarsi tanto che la malattia si manifesta in tempi brevi). Se la cellula ospite muore, il
virus muore (se le particelle di sangue le cui cellule sono state infettate da un virus sono ormai
morte perché il sangue è esiccato, passando circa 120 giorni, di conseguenza è morto anche il
virus); ecco perché mentre i batteri si possono trovare ovunque, i virus si possono trovare soltanto
se associati a delle cellule di natura organica che provengono dall’ospite.
I FUNGHI sono degli organismi molto grandi e appartengono al regno dei funghi dove funghi è
esattamente sinonimo del termine scientifico “miceti”. Questi organismi sono costituiti da una sola
cellula quindi sono detti unicellulari oppure pluricellulari ovvero costituiti da più cellule. Quelli
formati da una sola cellula sono i lieviti che generano delle vere e proprie colonie assemblate l’una
accanto all'altra visibili ad occhio nudo (vedi il lievito di birra chiamato saccharomyces cerevisiae,
il lievito responsabile della candidosi vaginale o il lievito responsabile del mughetto nella bocca dei
neonati). Quelli formati da più cellule sono le muffe, in cui vi sono ife (cellule a filamenti) deputate
alla riproduzione e ife deputate a raccogliere le sostante nutrizionali dal substrato su cui aderiscono.
Nei funghi queste funzioni sono svolte entrambe dall’unica cellula esistente. Poi ci sono i funghi
dimorfi che si comportano un po' da lieviti e un po' da muffe a seconda della temperatura a cui si
sviluppano, quindi se si trovano a temperature tra i 35-37° si sviluppano sottoforma di lieviti mentre
se si trovano a temperature tra i 22-25° si sviluppano sottoforma di muffe. I funghi sono organismi:
eucarioti, ovvero hanno un’organizzazione della cellula completa e complessa che ricorda molto
la cellulare animale;
eterotrofi, ovvero assorbono le sostanze nutritive prodotti da altri esseri viventi (a differenza
delle piante che sono organismi autotrofi), quindi sono anche privi di clorofilla;
aerobi, quindi vivono bene in presenza di ossigeno;
ubiquitari, quindi si ritrovano dappertutto soprattutto dove c’è materia di degradazione;
il contagio interumano è raro ovvero la trasmissione da un soggetto all'altro è più difficile (vedi
la candidosi vaginale) rispetto a quella che accade con altri microrganismi;
patogeni opportunisti.
Nella trasmissione della malattia non è coinvolta solo l’aria ma anche le mani: di qui l’importanza
di lavarsi le mani, che deve prevedere un lavaggio frequente ma non continuo. Quando si lavano le
mani, solitamente, si sfregano i palmi delle mani e basta, ma in questo modo si tralasciano delle
zone che non vengono lavate e che quindi diventano un accumulo di microrganismi (una parte di
essi sono normalmente presenti e devono esserci perché rientrano nella flora microbica di
protezione nei confronti dell'attacco di altri microrganismi). I microrganismi sono estremamente
piccoli, pertanto, anche se le mani sono apparentemente pulite non significa che siano prive di
microrganismi: di qui l'importanza del lavaggio corretto delle mani, non solo l'importanza di lavarsi
le mani. L’OMS nel 2015, durante la giornata mondiale del lavaggio delle mani, ha emanato un
messaggio fondamentale in cui si sostiene che il lavaggio corretto delle mani con il sapone è in
grado di ridurre del 40% la mortalità per diarrea nei bambini al di sotto dei 5 anni e del 23%
l’incidenza delle polmoniti, quindi una riduzione di oltre 3,3 milioni di decessi l'anno
semplicemente con il lavaggio delle mani con acqua e sapone. L’OMS raccomanda che il lavaggio
delle mani si debba eseguire in 6 movimenti fondamentali per poter raggiungere una precisa pulizia
delle mani ovvero un lavaggio palmo su palmo e del dorso delle mani, degli spazi interdigitali, del
dorso delle dita, dei pollici e della punta delle dita. Questo meccanismo di lavaggio richiede però
che prima vengano tolti tutti i monili o oggetti indossati in quanto si lascerebbe quello spazio non
lavato adeguatamente, questo proprio perché al di sotto degli oggetti si possono annidare i
microrganismi. Le mani possono rappresentare quindi un temibile veicolo di trasmissione dei
microrganismi. La trasmissione dei microrganismi avviene attraverso una vera e propria catena di
contagio che parte da un serbatoio ovvero l’ambiente naturale in cui il microrganismo si trova e che
dal serbatoio raggiunge una sorgente ovvero un uomo o un animale che viene contagiato e che può
eliminare microrganismi attraverso le vie previste; dal serbatoio, a sua volta, vengono eliminati
microrganismi che raggiungeranno il soggetto recettivo, continuando così la catena.
Le modalità di contagio si possono distinguere in:
omogenea e omonima, ovvero la malattia viene trasmessa esclusivamente da uomo a uomo (solo
una razza), da un individuo infetto ad un individuo recettivo, senza che ci sia l’interposizione di
alcun tipo di vettore (vedi il morbillo, la febbre tifoide);
omogenea ed eteronima, ovvero la malattia può interessare non solo l'uomo ma anche l'animale
(più razze), sempre passando da un soggetto infetto ad un soggetto recettivo senza
l’interposizione di alcun tipo di vettore (vedi la rabbia, malattia trasmessa all’uomo ad opera
degli animali, che avviene per contatto diretto cioè con la trasmissione della saliva infetta
dell'animale che passa nell’ospite in seguito ad un morso);
eterogenea e omonima, ovvero la malattia avviene per l’interposizione di un vettore quindi non
c'è il passaggio diretto del microrganismo da un individuo infetto ad un altro ma c’è il trasporto
del microrganismo ad opera di un vettore, e nello stesso tempo questa trasmissione eterogenea
può essere omonima perché interessa solo ed esclusivamente l'uomo (vedi la malaria, malattia
che interessa esclusivamente l'uomo, in cui affinché l’agente eziologico possa passare da un
individuo malato ad un individuo recettivo è necessario che ci sia una zanzara che trasporti il
microrganismo); NB. non tutti i microrganismi sono trasportabili dai vettori, soprattutto i virus,
perché molti vettori hanno un apparato digerente che distrugge il virus (forse le zecche
potrebbero);
eterogenea ed eteronima, ovvero la malattia interessa sia l'uomo che l'animale (vedi la peste
bubbonica, provocata da un microrganismo che generalmente si trova sulla cute dei ratti di
fogna, in cui il microrganismo passa dal ratto all’uomo attraverso il morso della pulce del ratto
quindi siamo di fronte ad una trasmissione di malattia eterogenea ed eteronima perché di peste
si ammala sia l'uomo che il ratto); NB. una persona ammalata di peste può infettare un'altra
persona ma è estremamente difficile.
Ci sono dei fattori che favoriscono la circolazione di una malattia infettiva, indipendentemente
dall’aggressività, la virulenza o la patogenicità del microrganismo:
fattori di tipo individuale:
biologici, caratterizzati da una condizione di immunodeficienza, che può essere primaria cioè
innata o secondaria cioè legata ad altre patologie, ovvero le difese immunitarie sono deficitarie,
ma il sistema immunitario deve proteggerci dall’azione di qualsiasi microrganismo esterno, di
conseguenza se c'è una carenza delle difese immunitarie c'è una maggiore predisposizione ad
ammalarci;
comportamentali, caratterizzati dal comportamento di ciascuno ovvero la scarsa igiene che
rappresenta un terreno favorevole per l'attacco da parte di microrganismi (non è un caso che nei
paesi sottosviluppati, in cui le condizioni sono favorevoli, c'è una scarsa igiene, malnutrizione,
ecc. che favoriscono la condizione di immunodeficienza perché c'è un indebolimento organico
del soggetto);
fattori di tipo ambientale, caratterizzati dal sovraffollamento di persone in cui diventa più facile
la circolazione del microrganismo (nei paesi sottosviluppati c'è una sovrappopolazione che
insieme ad altri fattori amplificano il rischio infettivo). La scuola, infatti, deve permettere una
continua areazione delle aule, permettendo così ai microrganismi che sono stati immessi
nell’ambiente di essere veicolati all'esterno. Un altro fattore favorente è il basso livello socio-
economico ovvero le condizioni sociali ed economiche sono correlate ad una scarsa condizione
igienico-sanitaria favorendo la circolazione dei microrganismi (nei paesi sottosviluppati le
malattie infettive rappresentano ancora la prima causa di morte rispetto invece ai paesi
sviluppati dove le malattie infettive pur circolando e pur essendo responsabili di situazioni di
allarme in realtà non sono attualmente la prima causa di morte).
I SISTEMI DI PREVENZIONE possono intervenire su tre livelli, anche se tutti puntano allo
stato di salute del soggetto, in momenti e situazioni diverse:
prevenzione primaria: il suo obiettivo è quello di impedire l’insorgenza di nuovi casi di malattia
nell’ambito della popolazione, quindi è un tipo di prevenzione che si attua su soggetti sani. Di
conseguenza, più è efficace l'intervento meno sono i casi di malattia che si verificano. Questo
significa che l'incidenza della malattia deve essere tenuta bassa o addirittura azzerata perché si
parla di nuovi casi di malattia. L'intervento è più o meno efficace o più o meno rapido a seconda
delle caratteristiche della malattia in quanto con la prevenzione primaria si vuole che il numero
dei casi si riduca sempre più fino ad arrivare a un numero pari a 0. Ci sono molte malattie che
hanno dei periodi di incubazione molto lunghi e richiedono ovviamente degli interventi o
comunque delle attese più lunghe. Nel caso della febbre tifoide che viene trasmessa con gli
alimenti, affinché non si verifichino più casi di malattia stessa, si deve intervenire per
proteggere le persone che ancora non si sono ammalate, pertanto inizialmente si presume quale
sia stato il problema (l'acqua ad esempio) e si blocca immediatamente la sua erogazione; ci si
aspetta che avendo bloccato l’erogazione di acqua non ci siano più casi di malattia, tuttavia però
nei giorni successivi si continuerà ad avere i casi di malattia perché si tratta di tutti quelli che si
sono infettati precedentemente e che nel momento in cui si chiude l’erogazione di acqua essi
avevano già la malattia in incubazione e dopo la chiusura hanno manifestato i sintomi. Quindi
per verificare che l’intervento sia stato realmente efficace, c’è bisogno di tempo affinché
appunto possa dimostrare che bloccando l’erogazione di acqua non si verifichino più casi.
Questo avviene anche per le malattie non infettive, ad esempio un tumore ai polmoni che ha un
periodo di incubazione molto lungo perché il soggetto ha fumato per lungo tempo e quindi la
malattia impiega del tempo per insorgere (eliminazione Brucellosi dopo sei mesi, riduzione
cancro del polmone per fumo dopo 30 anni, tifo per acqua inquinata poche settimane).
Nei sistemi di prevenzione primaria si può intervenire in diversi modi: potenziando le difese
immunitarie, eliminando i comportamenti nocivi, sollecitando sempre più la popolazione a
mettere in atto comportamenti positivi e protettivi per la propria salute, intervenire non solo
nell’ambiente sociale ma anche nell’ambiente di lavoro. Quindi, per esempio, se si riconosce nel
fumo di tabacco un fattore di rischio o addirittura un fattore causale di tumore ai polmoni
bisogna intervenire con le campagne di sensibilizzazione affinché questo comportamento nocivo
venga eliminato e nello stesso tempo stimolare il comportamento positivo.
prevenzione secondaria: si tratta di un intervento che si attua nell’ambito della popolazione su
soggetti che sono apparentemente sani ma che hanno già un inizio di malattia non ancora
clinicamente manifestata. Mentre nella prevenzione primaria si agisce su una popolazione
sana, nella prevenzione secondaria si interviene su una popolazione che in realtà non ha
ancora mai professato i segni della malattia ma è apparentemente sana. La prevenzione
secondaria, in realtà, si identifica perfettamente con quella che comunemente chiamiamo
“diagnosi precoce” ossia si interviene precocemente nel fare la diagnosi di una malattia che
ancora non manifesta i suoi segni e questo soprattutto per alcune malattie non infettive, che più
precocemente vengono riconosciute più possibilità si avrà di poterle arginare (vedi le malattie
oncologiche). Spesso accade però che questo tipo di prevenzione può essere messa in atto solo
se si conoscere bene la malattia e se il periodo di incubazione sia sufficientemente lungo per
avere il tempo di pensare che possa esserci quella malattia e poter intervenire e risolvere. La
prevenzione secondaria si consiglia fortemente per quelle malattie dove c'è una possibilità di
risoluzione perché altrimenti si peggiorerebbe solo la condizione psicologica del paziente. Se si
ha possibilità di risoluzione si effettuano dei test che devono essere particolarmente sensibili e
specifici: essi sono riconosciuti come SCREENING. Il test deve essere sensibile perché deve
permettere di individuare all’esordio la malattia e specifico perché deve permettere di
identificate quella malattia e non altre senza avere dei falsi positivi.
Questo screening può essere di tipo:
- individuale, effettuato su singole persone perché magari hanno un rischio in più rispetto ad
altri soggetti della stessa età, della stessa razza, ecc. (vedi la familiarità nel diabete o
nell’ipertensione, per cui è molto probabile che i figli possano essere a rischio);
- di massa, fortemente consigliato ad un’elevata fetta della popolazione perché più a rischio
rispetto ad altre di sviluppare una determinata malattia (mammografia per il tumore al seno
o pap-test per il tumore all’utero fortemente consigliati a tutte le donne sopra i 25/30 o 40
anni, ma ciò non significa purtroppo che oggi non si muoia più di tumore al seno però
sicuramente i casi si sono ridotti in maniera significativa rispetto al passato);
- di gruppo, effettuato per valutare la condizione di salute dei soggetti più a rischio rispetto ad
altri in una stessa area geografica oppure in un determinato tipo di lavoro.
prevenzione terziaria: si interviene su una popolazione di soggetti che già è stata interessata
dalla malattia quindi sono soggetti che si sono già ammalati a livello organico, fisico e psichico
e l’intervento mira ad evitare che ci siano ulteriori complicanze di questa situazione. Bisogna
cercare di riabilitarli e quindi permettere di recuperare quelle condizioni che sono ancora
recuperabili. Gli interventi sono la riabilitazione fisica, psichica, sociale su soggetti che hanno
subito un trauma e quindi bisogna riabilitarli in società (riabilitazione sociale), soggetti che
hanno subito un trauma psichico (incidente stradale molto grave) affinché quello stato di
malattia che ha vissuto non peggiori ulteriormente la sua condizione (riabilitazione psichica) o,
ancora, su soggetti che hanno subito un danno fisico (ictus, danno agli arti) (riabilitazione
fisica).
La prevenzione primaria è prioritaria e fondamentale. Nelle malattie infettive, essa interviene
affinché non si verifichi un contagio o comunque un’infezione e affinché si possa agire a livello
della sorgente o del serbatoio di infezione, ovvero interventi che vanno a rompere quelle catene di
trasmissione che favoriscono la circolazione delle malattie. In particolare, si interviene per rendere
inattive le sorgenti di infezione, per interrompere le catene di trasmissione e per aumentare la
resistenza della popolazione presa in esame. L’utilizzo dei VACCINI è il mezzo principale di
intervento di prevenzione delle malattie infettive. Parlando di vaccini, protagonisti sono gli antigeni
e gli anticorpi. Gli ANTIGENI sono delle sostanze che una volta introdotte nell'organismo vanno a
stimolare la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario. Gli ANTICORPI sono delle
sostanze che, in seguito appunto allo stimolo dell’antigene, vanno a neutralizzare lo stesso antigene
che ne ha stimolato la produzione. Il SISTEMA IMMUNITARIO è un sistema del nostro
organismo che interviene per proteggerci dall’attacco di microrganismi esterni ed estranei (sistema
di protezione). Esso protegge l’organismo in diversi modi, infatti, ci sono diverse cellule deputate a
questo compito come quelle, per esempio, che colpiscono il corpo estraneo e lo inglobano. Allo
stesso modo il corpo estraneo può essere di diversa natura, può essere il granello di polline o di
polvere, può essere il virus o il batterio, può essere qualunque cosa che il soggetto non riconosce (i
soggetti che fanno un trapianto di organo devono assumere dei farmaci immunosoppressori cioè
farmaci che deprimono l'azione del sistema immunitario perché esso è organizzato e costituito in
modo tale da riconoscere che quell'organo non appartiene all’organismo quindi fisiologicamente
sarebbe portato ad aggredirlo; quelle persone quindi devono assumere quei farmaci che mantengono
sotto controllo il sistema immunitario evitando che aggredisca l’organo trapiantato e quindi che ci
sia il cosiddetto “rigetto”). Il sistema immunitario agisce perché stimolato dall’antigene che fa parte
del microrganismo ovvero questa sostanza che una volta che viene a contatto con il sistema
immunitario, quest’ultimo capisce che c'è qualcosa di diverso e quindi produce anticorpi, sostanze
specifiche per quell’antigene (reazione specifica tra antigene e anticorpo), che andranno a
neutralizzare l’antigene che ne ha stimolato la produzione. Gli anticorpi così prodotti vengono
anche definiti come immunoglobuline Ig o Ac, mentre l’antigene è indicato con Ag. Le
immunoglobuline possono essere di diversi tipi: IgG, IgM, IgA. Quelle lgA sono quegli anticorpi
che vengono prodotti nel sito dell'infezione, magari a livello delle mucose. Quelli invece generali
che interessano in maniera significativa per la protezione nei confronti delle malattie infettive sono
le immunoglobuline G e le immunoglobuline M. La differenza sta nella tempistica di produzione di
questi anticorpi, più precisamente, le IMMONUGLOBINE M sono quelle che vengono prodotte
immediatamente quando c'è un’infezione quindi sono i primi anticorpi che vengono prodotti, però
proprio perché sono i primi ad essere prodotti sono anche quelli che poi vengono eliminati
dall'organismo dopo che hanno svolto la loro funzione (hanno una durata breve e li troviamo
quando è in corso la malattia). Le IMMONUGLOBINE G, invece, sono anticorpi che vengono
prodotti più tardi rispetto all’infezione, dopo di che persistono per lunghi periodi anche quando il
soggetto è guarito (anche per tutta la vita).
Quando parliamo di immunità bisogna parlare di immunità specifica e aspecifica. L’IMMUNITÀ
ASPECIFICA è un'immunità naturale perché fa parte dell’organismo, è
fisiologicamente/costituzionalmente presente nell’organismo e rientra nell’organizzazione del
sistema immunitario. È aspecifica perché rivolta agli anticorpi, ma è una protezione nei confronti di
qualsiasi corpo estraneo indipendentemente dalla sua natura, indipendentemente che si tratti di
polvere, di polline, di pelo di animale, di batteri o di virus. Essa è rappresentato dalle barriere
chimico-fisiche in corrispondenza delle vie di ingresso dei microrganismi o dalle difese cellulari ed
umorali aspecifiche (“fagocitosi” ovvero la presenza di alcune cellule che inglobano qualsiasi corpo
estraneo, “lisozima” ovvero la presenza di enzimi a livello della saliva per l’apparato orale, delle
lacrime per l’apparato visivo, del cerume per l’apparato uditivo, tutti esposti all’aria, che sono in
grado di distruggere i microrganismi fungendo in qualche modo come un antibiotico). L’immunità
aspecifica è rappresentata, in particolare, dalla cute che è la prima forma di difesa del nostro
organismo dato che è stracolmo di microrganismi e la presenza di questi protegge dall'azione
aggressiva di altri microrganismi mantenendo integra la cute (l’esagerazione nel lavaggio delle
mani altera la flora microbica oppure i lactobacilli presenti a livello vaginale sono fondamentali per
mantenere la flora microbica in modo tale da proteggere dall’attacco di altri microrganismi anche
intestinali); e poi vi sono anche i meccanismi mucosali. Tra questi, la flora commensale (intestino,
apparato genitale, ecc.) deve esserci tant’è che quando assumiamo antibiotici per lunghi periodi
accade che viene meno la flora batterica commensale e di conseguenza cominciano tutte le infezioni
opportunistiche per cui si prescrivono fermenti lattici al fine di ripristinare questa flora batterica.
L’acidità gastrica è una forma di protezione perché i succhi gastrici a livello dell'apparato gastro-
enterico, oltre alla digestione, permettono di neutralizzare i microrganismi che potrebbero essere
ingeriti per via orale (alimenti, bevande), anche se comunque ci sono dei microrganismi (vedi il
virus dell’epatite A, il batterio della salmonella typhi della febbre tifoide) che sono in grado di
superare la barriera gastrica e determinare l’infezione. A livello respiratorio, ci sono delle cellule
caratterizzate dall'avere dei filamenti nella parte terminale ovvero cellule ciliate che si muovono in
continuazione permettendo la continua fuoriuscita di microrganismi che potrebbero penetrare;
anche le sopracciglia, hanno la funzione di evitare che eventuale sudore possa raggiungere gli occhi
e, ancora, le ciglia hanno la funzione di evitare che microrganismi penetrino negli occhi.
Questa è un’immunità non sempre efficace perché altrimenti non ci sarebbero le malattie.
L’IMMUNITÀ SPECIFICA, invece, interviene soltanto se si viene a contatto con l’antigene, senza
cui non ci sarebbe la produzione di anticorpi. Essa viene riconosciuta anche come immunità
“acquisita”, che diversamente da quella naturale, è specifica. È acquisita nel senso che sopraggiunge
dopo la formazione dell’organismo ed è specifica perché è mirata ad un determinato
microrganismo. Questa immunità acquisita specifica può essere di tipo naturale o artificiale. Quella
naturale è quella che avviene in maniera fisiologica e può essere di tipo attiva o passiva. È attiva nel
senso che il soggetto viene a contatto con il microrganismo che genera un’infezione/una malattia ed
il sistema immunitario è indotto a produrre attivamente anticorpi; mentre è di tipo naturale perché
naturalmente l’organismo produce questi anticorpi essendo venuto a contatto con un determinato
agente eziologico che ha provocato l’infezione/la malattia. È passiva, invece, nel senso che
l’organismo riceve passivamente gli anticorpi già pronti e, in questo caso, è di tipo naturale perché
vengono trasmessi dalla madre al figlio durante la gestazione oppure durante l’allattamento
naturale.
Per quanto riguarda l'immunità acquisita specifica artificiale, essa non avviene in maniera spontanea
perché indotta dall'esterno e, come quella naturale, può essere di tipo attiva o passiva. Quella attiva
è una vaccinazione che induce il sistema immunitario a produrre attivamente degli anticorpi
specifici (vaccino-profilassi); mentre, è di un tipo artificiale perché avviene qualcosa dall'esterno
il sistema immunitario si attiva per immunizzare. È passiva, invece, in quanto c’è l'utilizzo di sieri
immuni (siero-profilassi) ovvero che contengono anticorpi già pronti che vengono somministrati al
soggetto il sistema immunitario non si attiva (in genere i sieri immuni vengono somministrati per
prevenire malattie molto pericolose per le quali se non si interviene immediatamente si rischia di
morire, quindi per prevenire una malattia).
La VACCINO-PROFILASSI è una procedura (somministrazione) attraverso cui si raggiunge uno
stato di immunità nel soggetto, mentre il VACCINO è preparato biologico e il mezzo attraverso cui
avviene la vaccino-profilassi. Essa si propone di creare nell’ospite un'immunità attiva specifica nei
confronti di una determinata malattia. Con questa si vuole raggiungere la “herd immunity” ossia
immunità di gregge ovvero una resistenza collettiva a un determinato patogeno mostrata da parte di
una collettività o di una popolazione (far sì che oltre il 95% della popolazione risulti essere
immunizzata nei confronti di un determinato microrganismo). Il vantaggio è che si induce
un’immunità in tante persone. Nell’ambito della popolazione non tutti i soggetti possono essere
sottoposti alla vaccino-profilassi, pertanto questi sarebbero suscettibili di malattia; si vuole, quindi,
immunizzare oltre il 95% della popolazione in modo tale che queste persone suscettibili, che non si
possono proteggere, verranno protette dalla barriera immunitaria che si crea intorno ad esse
(siccome quasi tutti vengono immunizzati questo permetterà la circolazione del microrganismo).
Quando si ha una herd immunity si riduce drasticamente il numero dei contagi perché il caso indice
(caso da cui parte la malattia) va a contagiare altre persone, però se c'è uno stato di immunità
generale accade che le persone immuni pur venendo a contatto con l’agente eziologico non si
ammalano e soltanto una parte invece si ammalerà e di conseguenza trasmetterà l’infezione ad altri,
riducendo però nettamente la possibilità di andare incontro ad una malattia. Le persone suscettibili
sono potenzialmente esposte alla malattia ma, essendo in mezzo a persone immuni, non hanno
possibilità di venire a contatto con il microrganismo. Naturalmente, il microrganismo tende a
scomparire. Dunque, quante più persone sono protette tanto questo diventa una barriera alla
circolazione del microrganismo.
La procedura della vaccino-profilassi è sempre stata attaccata, sia in passato che oggi, da gruppi di
persone riconosciuti come anti-vax che non condividono l'idea di doversi vaccinare come forma di
prevenzione (una scelta soggettiva che ricade automaticamente sulla collettività perché il primo
principio è che tutelare la salute di un individuo significa tutelare quella della collettività e, al
contrario, se si mette a rischio la salute di un singolo individuo questo si ripercuote anche sulla
collettività per svariati motivi). L'importanza del vaccino l’ospite, che è soggetto suscettibile
esposto a rischio di malattia, ha due possibilità: la prima possibilità è quella di venire a contatto con
un agente patogeno ossia un microrganismo che è in grado di impiantarsi nell’individuo e di
determinare o uno stato di infezione, quindi la sua presenza stimola la produzione di anticorpi ma il
soggetto non ha alcun tipo di reazione, oppure può passare ad uno stato di malattia cioè il soggetto
si ammala per cui ha una sintomatologia più o meno grave a seconda del tipo di malattia. In ogni
caso o semplicemente facendo l’infezione o la malattia, l’organismo dà una risposta immunitaria
alla presenza dell’agente eziologico. Dopodiché accade che o il soggetto guarisce completamente
senza nessun tipo di conseguenza oppure può guarire ma con degli esiti invalidanti in maniera
permanente (vedi la poliomielite che in passato sviluppava un deficit agli arti) oppure, ancora, può
arrivare al decesso. In tutti i casi, il paziente ha raggiunto il suo stato di immunità nel senso che ha
prodotto anticorpi, anche se questi non sono stati sufficienti ad evitare lo stato di malattia (è diverso
dall’essere immune da una malattia in cui sono protetto dagli anticorpi!!!).
L’altra possibilità è quella che l’ospite venga a contatto con un vaccino, così l’ospite senza
attraversare lo stato di infezione o malattia, giunge comunque a dare una risposta immunitaria.
Senza passare per uno stato di guarigione, perché non si è mai ammalato, l’ospite raggiunge
comunque uno stato di immunità.
L’immunità è più o meno lunga a seconda del tipo di malattia o del tipo di vaccino (richiami del
morbillo).
Quando il sistema sanitario mette in campo un programma di vaccinazione punta sull'eradicazione,
sull’eliminazione o sul contenimento della malattia.
L’optimum sarebbe l’ERADICAZIONE ovvero un tipo di strategia vaccinale in cui sia la malattia
che l’agente eziologico vengono definitivamente eliminati cioè significa che non si hanno più casi
di malattia e nello stesso tempo non si ha nemmeno un microrganismo che circola nell’ambiente
siamo di fronte ad una malattia eradicata (vedi il vaiolo).
Nel caso dell’ELIMINAZIONE, vi è la scomparsa della malattia in un’area geografica a seguito
della rilevante riduzione della circolazione dell’agente eziologico cioè significa che non ci sono più
casi di malattia, tuttavia l'agente eziologico circola ancora nell’ambiente e, finché circola, il rischio
di imbattersi in soggetti suscettibili è sempre presente e quindi c'è sempre il rischio di potersi
ammalare siamo di fronte ad una malattia eliminata (vedi la tubercolosi nel passato, la
poliomielite nel passato, l’aids oggi).
Il CONTENIMENTO, invece, è un intervento di riduzione della malattia attraverso
l’immunizzazione, tale da contenere la circolazione del microrganismo in una determinata area
geografica quindi tale da non rappresentare più un importante problema di sanità pubblica siamo
di fronte ad una malattia contenuta (vedi l’influenza). Affinché una malattia possa rientrare nei
programmi di eradicazione, essa deve rispondere a tre requisiti principali: l’uomo deve essere
l’unico serbatoio della malattia cioè il microrganismo deve nascere e morire esclusivamente
nell’uomo, non devono esserci serbatoi animali o ambientali perché altrimenti il microrganismo
continuerebbe a circolare nell’ambiente; non devono esserci portatori cronici altrimenti
continuerebbero ad essere a vita una sorgente di infezione; infine, deve esserci la disponibilità di un
vaccino efficace (vedi il vaiolo, la poliomielite, il morbillo).
Tra le malattie non eradicabili o difficilmente eradicabili ci sono il tetano (il serbatoio è l’intestino
dei cavalli) e l’epatite B (ci sono portatori cronici).
I VACCINI sono dei preparati biologici ad elevato potere antigenico in grado di indurre uno stato di
immunità attiva nei confronti di un determinato agente patogeno proteggendo il soggetto
dall’infezione o dalla malattia.
Prima di essere messo in commercio, il vaccino deve rispondere a due requisiti: l’innocuità e
l’efficacia. Innocuo significa che il principio attivo di questo vaccino non deve subire delle
mutazioni tali da far prendere la virulenza dell’agente presente (il vaccino contro la malattia non
deve determinare quella malattia) e non deve avere degli effetti tossici (far ammalare di altre
patologie). Nello stesso tempo, il vaccino è necessario che risulti efficace cioè significa che deve
essere in grado di stimolare la produzione di anticorpi, ma non basta, perché nell’efficacia abbiamo
un’efficacia immunizzante e un’efficacia protettiva. L’EFFICACIA IMMUNIZZANTE significa
che il vaccino una volta iniettato stimola la risposta immunitaria; l'EFFICACIA PROTETTIVA,
invece, è che questa risposta immunitaria che viene stimolata deve essere sufficiente a proteggere
dalla malattia, pertanto non basta che il sistema immunitario produca anticorpi ma è necessario che
gli anticorpi che vengono prodotti proteggano effettivamente dalla malattia nel momento in cui si
viene a contatto con l’agente eziologico. Prima di essere messo in commercio, quindi, bisogna
essere sicuri che quel vaccino indipendentemente dalla modalità di preparazione risulti essere
immunizzante in maniera protettiva.
I vaccini sono di diverse tipologie:
vaccini costituiti da microrganismi vivi e attenuati, in cui si trova il microrganismo vivo in
grado pertanto di replicarsi ma che è un microrganismo attenuato cioè privato del suo potere
patogeno quindi il microrganismo in laboratorio è stato trattato in modo tale da far perdere la
sua virulenza mantenendo però tutte le caratteristiche vitali e soprattutto il suo potere antigenico
(vedi i vaccini anti-morbillo, anti-rosolia, anti-poliomielite, anti-parotite che durano anche
molto nel tempo quindi non c'è neanche necessità di fare richiami ravvicinati in quanto il
microrganismo si replica continuamente);
vaccini costituiti da microrganismi uccisi, in cui il microrganismo è morto perché trattato con
mezzi fisici (calore, raggi UV) o mezzi chimici (sostanze chimiche come formolo, fenolo,
acetone) in modo tale da ucciderlo, tuttavia mantiene sempre il suo potere antigenico di
stimolare la risposta immunitaria (vedi i vaccini antiinfluenzale, anti-poliomielite);
vaccini costituiti da frazioni di microrganismi, in cui il microrganismo viene ucciso quindi viene
inattivato e deframmentato, e per allestire il vaccino viene preso solo un frammento dell’intero
microrganismo che ha il potere antigenico quindi questo permette di evitare una serie di effetti
collaterali soprattutto per quei soggetti per i quali spesso viene riscontrata una reazione allergica
(vedi il virus dell’influenza, endoparassita obbligato fatto crescere su delle cellule embrionate di
pollo, che quando lo si preleva si trascinano dietro anche le proteine delle uova, quindi i soggetti
che hanno un'allergia alle uova non potrebbero fare quel tipo di vaccino, invece in questo modo
non si trascina dietro tutte le proteine della uova (un solo frammento) e si permette di bypassare
il rischio);
vaccini contenenti antigeni purificati, in cui di tutto il corpo microbico si va a selezionare
esclusivamente l’antigene quindi solo le componenti proteiche che sono in grado di interagire
con il sistema immunitario che vengono isolate da tutto il corpo microbico, purificate da
componenti tossiche e impiegate per la produzione del vaccino (vedi i vaccini antiinfluenzale,
anti-meningococco, anti-pertosse);
vaccini contenenti anatossine, dato che in alcune tipologie di malattie l'azione patogena è
determinata dalla tossina prodotta dal microrganismo di conseguenza bisogna allestire un
vaccino che contenga l’antigene della tossina (la tossina viene privata del suo potere patogeno
senza perdere l’azione antigenica perché trattata con formolo ad alte temperature divenendo così
anatossina) in grado di stimolare degli anticorpi che agiscono contro la tossina (vedi il vaccino
anti-tetano la cui azione patogena è determinata da un’esotossina che raggiunge il sistema
nervoso centrale, di conseguenza bisogna stimolare la produzione di anticorpi che vadano a
neutralizzare la tossina prima che possa raggiungere il cervello);
vaccini ottenuti tramite tecniche di manipolazione genetica, in cui si ha la produzione di un
nuovo microrganismo che porta un antigene in grado di stimolare la produzione di anticorpi
estrapolando il DNA del microrganismo che viene manipolato (ricombinato) geneticamente in
modo tale da ottenere un microrganismo non patogeno che vada a stimolare il sistema
immunitario (vedi il vaccino anti-epatite B). Questi vaccini sono molto complessi da creare.
Ecco che a seconda delle malattie si hanno diverse tipologie di vaccini, tutte però con lo stesso
obiettivo (come gli antibiotici). Nessun vaccino ha un’efficacia del 100%; in termini di
popolazione questo significa che un certo numero di persone vaccinate rimarranno suscettibili,
come quelle non vaccinate.
Ci sono due MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE dei vaccini, a seconda delle caratteristiche e
della capacità di assorbimento del microrganismo:
per via orale (vedi il vaccino anti-poliomielite);
per via parenterale:
- intramuscolare, generalmente iniettati nei bambini sulla coscia o sul braccio;
- sottocutanea, più profonda sotto la cute;
- intradermica, più superficiale sotto il derma.
Una caratteristica dei vaccini è quella di poter essere combinati ossia di unire più vaccini insieme in
una stessa somministrazione: ciò implica che con un’unica fiala si iniettano più antigeni
contemporaneamente stimolando la produzione di anticorpi di protezione da diversi microrganismi
e quindi da diverse malattie (vedi la trivalente DTP= difterite, tetano, pertosse; la tetravalente DTP
a-HB= difterite, tetano, pertosse e anti-epatite B; la trivalente antipolio con 3 diversi virus polio con
antigene diverso tra di loro il cui microrganismo richiederà per essere debellato un anticorpo
specifico perché ad ogni antigene deve corrispondere un proprio anticorpo; la trivalente MPR=
morbillo, parotite, rosolia; la tetravalente anti-meningococcica= A, C, W135, Y il cui batterio pur
essendo sempre responsabile di meningite-meningococcica presenta sulla sua superfice antigeni
diversi).
Un’altra caratteristica dei vaccini è di poter essere coniugati ossia ci sono dei vaccini che sono
scarsamente immunogeni cioè che una volta iniettati non sono in grado di stimolare una risposta
immunitaria che sia anche protettiva che, coniugati a proteine di supporto, si permette di
aumentarne la capacità.
Le CONTROINDICAZIONI (condizioni del soggetto) ad un vaccino possono essere:
temporanee, ossia quando per un breve periodo di tempo c'è un rialzo febbrile maggiore di 38
ma il soggetto deve aspettare a sottoporsi alla vaccinazione;
permanenti, ossia quando c’è uno stato di immunodepressione nell’individuo nel quale il
sistema immunitario non funziona bene e non è il caso che si sottoponga a vaccinazione. Gli
immunodepressi sono quei soggetti che fanno parte di quella parte della popolazione fragile che
si può protegge solo quando si raggiunge l’immunità di gregge;
correlate a stati di immunodepressione:
- primitiva (immunodeficienze congenite che non permettono di produrre anticorpi);
- secondaria (conseguenza di altre patologie come HIV, leucemie, linfomi, tumori);
- in seguito a trattamenti immunosoppressori farmacologici (antimetaboliti, radiazioni,
corticosteroidi a dosaggi elevati per cui il sistema immunitario non riesce più a reagire).
allergia a costituenti di vaccini (possibili reazioni locali o sistemiche) come:
- componenti (antigeni proteici) del vaccino (vedi il vaccino antiinfluenzale che non va
somministrato a soggetti allergici alle uova);
- antibiotici (neomicina) aggiunti o residuati dalle colture cellulari;
- conservanti e stabilizzanti.
Gli EFFETTI AVVERSI (situazioni che possono verificarsi) di un vaccino possono essere:
Locali (non si hanno necessariamente o frequentemente):
- Lievi (dolore, rossore, edema, indurimento nel punto in cui c’è stata la puntura);
- Gravi (rossore esteso, edema esteso, indurimento esteso, contrattura muscolare, lesioni del
tronco nervoso, ascessi batterici, emorragie intramuscolari, ulcerazioni, necrosi tissutale).
Generali:
- Lievi (febbre 38°C-39°C, cefalea, inappetenza, vomito, diarrea, stipsi, esantemi, tumefazioni
dei linfonodi, pallore, irritabilità e pianto);
- Moderate (febbre >39°C, pianto persistente > 3 h, convulsioni);
- Gravi (collasso momentaneo, paralisi flaccida (dopo vaccino anti-poliomielite con
microrganismo vivo anni fa), manifestazioni da ipersensibilità generalizzata (anafilassi)).
Un VACCINO contiene l’antigene immunizzante che è il principio attivo senza cui non ci sarebbe
la produzione di anticorpi; questo antigene è immerso all’interno di un liquido che può essere una
soluzione fisiologica o acqua sterile; poi ci sono delle sostanze stabilizzanti ossia il monossido di
glutammato, che mantiene inalterato il vaccino in caso di cambiamenti di temperatura, di acidità o
di umidità dell'ambiente in cui viene conservato, e il solfato, che si trova in alcuni cibi e bevande
alcoliche. Poi ci sono degli antibiotici per poter prevenire il rischio di contaminazione microbica e
batterica prevalentemente durante le fasi di preparazione e di conservazione; poi, ancora, ci sono gli
adiuvanti che sono delle proteine che permettono di aumentare il potere immunogeno (alluminio); e
infine, ci sono dei conservanti ossia sostanze che hanno fatto scatenare le reazioni avverse dei no-
vax.
Fino a qualche anno fa all’interno di alcuni vaccini era presente come conservante il thiomersal a
base di mercurio; questo mercurio qualcuno lo ha voluto associare ad una reazione nei bambini e,
quindi, ha imputato alla presenza del mercurio la manifestazione di alcune forme di autismo,
soprattutto per quanto riguarda la vaccinazione anti-morbillo. Di qui sono emerse tutta una serie di
reazioni contro la vaccinazione anti-morbillo perché “la presenza di mercurio creava questi
problemi”. Oggi, l’OMS ha ormai stabilito che non c'è alcun tipo di legame tra la presenza di questo
mercurio e lo sviluppo di autismo ma, al di là di questo, dimostra che il mercurio presente in
bassissime quantità all’interno di questi vaccini veniva, una volta introdotto, metabolizzato
producendo una frazione di mercurio chiamata etilmercurio che non ha una grande capacità di
accumulo nell'organismo e che viene facilmente smaltito; al contrario, esiste il metilmercurio che è
una frazione di mercurio che si ottiene dal metabolismo del mercurio principale e che è quella che
va ad accumularsi nell’organismo creando dei problemi neurologici. Questo metilmercurio si
assume con il pesce, soprattutto pesce di grossa taglia; sebbene si sappia di questo problema del
mercurio, continua ad esserci la produzione e il consumo di pesce. Mentre per quanto riguarda i
vaccini, nonostante non si tratti di metilmercurio è stata la parola mercurio a far trovare il cavillo
per poter attaccare il processo dei vaccini, pur avendo dimostrato che non c'è alcun tipo di
correlazione con l’insorgenza di malattie croniche neurologiche. Così, il mercurio è stato rimosso
dai vaccini per far sì che la popolazione non avesse più dei sospetti.
In particolare, nel 1998 ci fu un medico britannico, Andrew Wakefield, che insieme ad altri autori,
pubblicò sulla rivista scientifica “Lancet” uno studio in cui dimostrava che i bambini che erano stati
vaccinati contro il morbillo avevano poi manifestato una particolare forma di autismo, correlando
quindi l’autismo alla somministrazione del vaccino; di conseguenza nessuno più si sottopose alla
vaccinazione, problema che ha portato dopo qualche anno ad un aumento significativo e
preoccupante di casi di morbillo. Nel 2004 un giornalista britannico, Brian Deer, pubblicò sul
“Sunday Times” un articolo più dettagliato sulla correlazione tra autismo e vaccini, facendo delle
sue indagini; nel fare queste indagini fece emergere un problema enorme ossia che, innanzitutto, il
medico che aveva pubblicato quei dati aveva manipolato i risultati, poi questo era un medico che tra
l’altro stava lavorando con un’azienda farmaceutica per la produzione di un vaccino anti-morbillo e
di conseguenza quella sua dichiarazione aveva proprio lo scopo di screditare il vaccino attualmente
in commercio per poter farlo sostituire con quello su cui stava lavorando e, infine, c'era anche un
gruppo di avvocati pronti a tutelare e risarcire il danno che le famiglie avevano subìto, danno
secondo loro correlato al vaccino. Nel 2010, anno in cui l’indagine del giornalista britannico venne
pubblicata anche sul “British Medical Journal”, il medico fu radiato dall'albo dei medici, il lavoro
che aveva pubblicato sul “Lancet” fu ritirato con tutte le scuse alla comunità scientifica e, intanto,
l’OMS si attivò con tanti studi per dimostrare che questa correlazione non esisteva. L’autismo è una
malattia multifattoriale e non si manifesta al momento della nascita ma dopo qualche anno ed è
proprio il momento che coincide con la somministrazione del vaccino anti-morbillo immunizzare
da piccoli significa proteggere anche la fascia d’età più grande in cui si manifestano complicanze a
livello del sistema nervoso centrale.
Nel 2017 entrò in vigore una nuova legge, fortemente voluta dall’allora Ministro della salute
Lorenzin, che impone l’obbligo vaccinale di alcune malattie per le quali fino ad allora non era
previsto, o meglio, le vaccinazioni erano disponibili e fortemente raccomandate ma non imposte per
legge (fino al 2017 alcune erano vaccinazioni obbligatorie mentre altre erano solo fortemente
raccomandate). In altri paesi d’Europa, ormai da anni, non c'è più l’obbligo vaccinale, nel senso che
non c'è la vaccinazione in quanto c'è una forte sensibilizzazione della popolazione che induce
spontaneamente a sottoporsi a vaccino-profilassi, pertanto lo Stato non ha necessità di imporlo
perché la gente è talmente sensibile al problema che spontaneamente si sottopone alla vaccino-
profilassi. Da noi, invece, questa sensibilizzazione non sembra esserci, motivo per cui si è stati
costretti ad ampliare il numero di vaccini obbligatori. Questi vaccini obbligatori fanno parte
dell'offerta gratuita che il servizio sanitario nazionale offre alla fascia di età 0-16 anni. Fino al 2017
erano solo 4 le vaccinazioni obbligatorie:
1. Anti-difterica: ciclo di base 3 dosi nel primo anno di vita e richiamo a 6 anni (obbligatoria per i
nati dal 2001)
2. Anti-poliomielite: ciclo di base 3 dosi nel primo anno di vita e richiamo a 6 anni (obbligatoria
per i nati dal 2001)
3. Anti-tetanica: ciclo di base 3 dosi nel primo anno di vita e richiamo a 6 anni (obbligatoria per i
nati dal 2001)
4. Anti-epatite virale B: 3 dosi nel primo anno di vita (obbligatoria per i nati dal 2001)
A quel calendario si devono attenere tutte le Regioni, ma le Regioni hanno anche una certa
autonomia, nel senso che non posso togliere ma possono aggiungere vaccinazioni. Per esempio,
mentre nel calendario nazionale la vaccinazione contro il rotavirus è prevista a partire dal terzo
mese, la regione Puglia prevede che la si possa fare prima dei tre mesi, questo perché ci sono molti
bambini che frequentano gli asili nido o che comunque hanno contatti con l’esterno (prevedere
significa che la regione lo promuove e lo fornisce gratuitamente per la fascia di età interessata). La
vaccinazione anti-epatite A non è prevista nel calendario vaccinale di altre Regioni a differenza
della Puglia, in cui si ha un’alta endemia del virus dell’epatite A quindi la vaccinazione la si può
fare ai bambini a partire dal 1° anno di vita fornita gratuitamente.
Il calendario vaccinale per la Vita, invece, è un calendario vaccinale, basato su quello previsto dal
piano nazionale, voluto da alcune società scientifiche che si sono messe insieme (società di igiene,
di pediatria, di allergologia, di pneumologia, ecc.).
Le vaccinazioni vengono fatte sempre pre-esposizione ossia prima dell'avvenuto contatto con il
microrganismo in modo tale da avere il tempo di produrre anticorpi sufficientemente protettivi (un
vaccino affinché risulti protettivo è necessario che passino almeno 15-20 giorni, anche a seconda
della capacità di risposta di ciascun individuo).
In alcune situazioni però il vaccino è possibile farlo anche post-esposizione ossia dopo essere venuti
a contatto con l'agente infettivo (come nel caso del morbillo o dell’epatite A solo che nel caso del
morbillo bisogna fare il vaccino eventualmente entro le 72 ore dal potenziale contatto con il virus,
mentre l’epatite A si può somministrare il vaccino entro le 48 ore dal potenziale contatto con il
virus e comunque non si ha mai la certezza di bloccare il decorso della malattia, invece nel caso
della rabbia la vaccinazione post-esposizione è scientificamente validata perché, innanzitutto, non è
una malattia molto diffusa e poi ha un periodo di incubazione estremamente lungo che in alcuni casi
può raggiungere anche un anno, di conseguenza quando si viene a contatto con il virus della rabbia
si può fare il vaccino tranquillamente dopo l’esposizione perché è una malattia in cui affinché si
venga a contatto con il virus c'è bisogno dell'aggressione da parte di un animale).
Con la vaccino-profilassi si fa prevenzione somministrando antigeni e stimolando la risposta
immunitaria quindi si dà un’immunità artificiale attiva, invece con la siero-profilassi si dà
un’immunità artificiale passiva. Con la siero-profilassi si somministrano dei sieri contenenti
anticorpi pronti che possono essere:
sieri-omologhi, che contengono anticorpi provenienti dall’uomo quindi da altri soggetti che
hanno già sviluppato l’immunità verso quella determinata malattia;
sieri eterologhi, che contengono anticorpi provenienti da animali di grossa taglia. Attualmente
questi sieri non sono più utilizzati in quanto proprio perché sono sieri di origine animale
determinavano delle complicanze nell’ospite come shock anafilattico (dopo pochi minuti dalla
seconda somministrazione, essendo già sensibilizzato, il soggetto reagiva fortemente
producendo degli agglomerati che creavano lo shock e portando alla morte) o malattie da siero
(dopo una settimana della prima somministrazione, il soggetto manifestava una sintomatologia
aspecifica).
Per questo, oggi si utilizzano solo sieri-omologhi, anche perché c’è una maggiore disponibilità
di sieri umani che animali.
La siero-profilassi si fa per quelle malattie che hanno un elevato tasso di letalità ossia quelle
malattie in cui il rischio di morire avendo contratto la malattia è estremamente alto e quindi bisogna
ricorrere ad un pronto intervento (come nel caso del tetano, malattia che nel calendario vaccinale è
obbligatoria e che richiede anche richiami circa ogni 10 anni, o della rabbia lì dove la vaccinazione
post-esposizione non è sufficiente perché la condizione è molto grave).
La siero-profilassi ha un periodo di azione estremamente limitato e proprio per questo è capace di
agire immediatamente, e tanto immediatamente regredisce (3-4 settimane); invece, la vaccino-
profilassi una volta stimolata l’azione immunitaria con la produzione di anticorpi si ha un’immunità
che si protrae per lungo tempo.
La siero-terapia per il covid 19 è tutt’altra cosa, significa sempre recuperare anticorpi da soggetti
immunizzati, ma in questo caso per curare un paziente ammalato e non per evitare che il soggetto
sviluppi la malattia se potenzialmente venuto a contatto con l’agente eziologico (siero-profilassi).
Con la vaccino-profilassi e con la siero-profilassi si interviene su una popolazione di soggetti sani o
eventualmente suscettibili. Altri tipi di interventi di profilassi, però, cercano di agire anche in altri
settori quindi non soltanto nell’ospite: così si interviene con una notifica obbligatoria di malattia
infettiva, con un processo di isolamento o di contumacia e con un processo di disinfezione o
disinfestazione. Questi sono tutti interventi di prevenzione che il sistema sanitario induce a mettere
in atto affinché ci possa essere una limitazione nella diffusione della malattia.
Per NOTIFICA OBBLIGATORIA si intende un obbligo di denuncia all’autorità sanitaria di un caso
di malattia o di un sospetto caso di malattia; questo tipo di denuncia è fatta dal medico che sospetta
e fa la diagnosi di malattia, affinché si attivino tutti i flussi informativi che inducono a mettere in
atto i sistemi di prevenzione per evitare che l'intera comunità possa essere interessata da quella
malattia (se il caso di covid 19 non fosse stato denunciato da parte del medico, l’intero sistema
sanitario non avrebbe potuto mettere in atto quei sistemi di prevenzione che hanno fatto sì che la
malattia venisse arginata e venisse bloccata la sua diffusione). L’obbligo di denuncia è
fondamentale per tutte le malattie e deve avvenire in tempi più o meno rapidi rispetto alla diagnosi
o sospetto di diagnosi a seconda del tipo di malattia: in alcuni casi l'obbligo di denuncia deve essere
fatto immediatamente entro le 12 ore, mentre in altri casi può essere fatto entro le 24 ore o 48 ore. Il
medico lo comunica alla ASL, poi all’osservatorio epidemiologico (dove vengono convogliate tutte
le notifiche di malattie infettive) e poi da qui si comunica eventualmente all’Istituto Superiore di
Sanità, al Ministero della Salute, all’OMS e, infine, al CDC un flusso informativo importante
che permette di conoscere il decorso della malattia e quando si è diffusa nell’ambito della
popolazione.
L’ISOLAMENTO è l’allontanamento fisico del soggetto ammalato da tutte le altre persone che lo
circondano, ad eccezione del personale di assistenza che deve prodigarsi per poterlo curare.
L’isolamento deve durare per tutto il periodo di effettiva contagiosità cioè il soggetto deve essere
tenuto in stretto isolamento per il periodo in cui realmente risulta contagioso, indipendentemente
delle necessità che il caso clinico richiede (nel caso del morbillo l’isolamento è previsto fino al 4°
giorno dalla comparsa dell’esantema perché fino a quel periodo il soggetto risulta essere altamente
contagioso, dopo questo periodo che il soggetto sia guarito o stia ancora male il periodo di
isolamento non è più richiesto; nel caso della rosolia l’isolamento è previsto fino al 7° giorno; nel
caso dell’epatite A l’isolamento è previsto fino al 10° giorno dalla comparsa dell’ittero).
Per quanto riguarda la CONTUMACIA, invece, è previsto un obbligo di permanenza in casa o in
ospedale per un periodo stabilito dal medico o dal sistema sanitario, in quanto bisogna che il
soggetto sia tenuto lontano dalla comunità ed evitare ci possa essere, pur stando nella stessa
abitazione, un contatto diretto anche con i familiari (stanza riservata, no contatto con soggetti
suscettibili, gli oggetti provenienti dal malato devono essere adeguatamente disinfettati). A
differenza dell’isolamento stretto, la contumacia è un obbligo che viene prescritto di volta in volta a
seconda delle situazioni, dei casi, delle malattie, di conseguenza non richiede uno stretto
allontanamento anche dai familiari che invece viene richiesto dall’isolamento.
Altri tipi di interventi (antisepsi, detersione, disinfestazione, disinfezione, sterilizzazione)
prevedono un’azione a livello dei serbatoi e soprattutto a livello dell’ambiente affinché ci possa
essere una limitazione della diffusione ambientale dei microrganismi.
L’ANTISEPSI è un insieme di interventi volti all'eliminazione o alla distruzione dei microrganismi
patogeni presenti su tessuti viventi, cute e mucose, tramite l’uso di composti chimici detti antisettici
più innocui e meno irritanti dei disinfettanti. Essa pur eliminando microrganismi patogeni ha
un’azione meno aggressiva sull’ospite, per cui l’antisettico è utilizzato, ad esempio, per i gargarismi
a livello delle mucose del cavo orale, al fine di evitare lo stato di irritazione che invece può essere
determinato da un disinfettante.
Qualsiasi tipo di intervento previsto richiede comunque una DETERSIONE che è una procedura
volta ad eliminare i residui di sporco e la materia organica perché finché sul substrato è presente la
sostanza organica questa funge proprio da fonte di protezione per il microrganismo impedendo
l'azione di tutti gli altri prodotti o tutti gli altri interventi che si possono eseguire successivamente.
Una volta detersi gli ipotetici strumenti vanno lavati sotto acqua corrente, per asportare il
disinfettante e il materiale biologico. Il materiale deve essere asciugato accuratamente in maniera da
garantire la migliore conservazione. La detersione deve avvenire utilizzando dei detergenti ossia dei
prodotti che permettono la rimozione dello sporco e della sostanza organica.
La DISINFESTAZIONE è la procedura volta al controllo o all’eliminazione di vettori quindi
organismi di grossa taglia ben visibili ad occhio nudo che possono trasportare gli agenti eziologici
di malattie infettive (quella che si fa a carico degli insetti). Nell’ambito della disinfestazione, c’è la
DERRETIZZAZIONE che è una procedura più precisa volta all’eliminazione dei ratti o dei roditori
in genere anche loro vettori o serbatoi di agenti eziologici (i topi di fogna sono dei grandi
trasportatori di microrganismi perché vivono in una condizione di estremo sporco, come i pipistrelli
che rappresentano un serbatoio naturale di microrganismi ed è addirittura un portatore sano di
malattia esattamente come l’uomo; il pipistrello è un animale estremamente pericoloso proprio
perché portatore di tanti virus o batteri senza che il pipistrello si ammali ma può trasmetterli).
La DISINFEZIONE è una procedura attraverso cui vengono distrutti più o meno tutti i
microrganismi patogeni da un substrato, dall’ambiente che è stato contaminato, ad eccezione delle
spore, al fine di impedirne la persistenza e la diffusione nell’ambiente. La disinfezione può essere
eseguita con agenti fisici come il calore, esponendo il substrato, l’ambiente ad una fonte di calore a
temperature più basse e per tempi inferiori rispetto a quelli necessari per la sterilizzazione, oppure
può essere effettuata attraverso i disinfettanti ossia sostanze o prodotti chimici capaci di ridurre la
presenza di microrganismi pericolosi ad un livello accettabile per l’uso proposto come ossidanti
diretti (acqua ossigenata), alogeni (cloro, iodio), alcoli (etilico, isopropilico), aldeidi (formica,
glutarica), fenoli, saponi, detergenti sintetici, clorexidina. La disinfezione può essere di basso livello
e di alto livello. La DISINFEZIONE DI BASSO LIVELLO è una procedura che impiega
disinfettanti di modesta efficacia per il trattamento di superfici ed oggetti che non vengono a
contatto con l’ospite e che comunque non presentano contaminazione rilevante. La
DISINFEZIONE DI ALTO LIVELLO è una procedura che impiega metodi o disinfettanti di
elevata efficacia, addirittura così forte da permettere l'eliminazione di quasi tutti i microrganismi
patogeni e, in alcuni casi, la rimozione di alcune spore; questo disinfettante che è molto forte viene
utilizzato per il trattamento di quelle superfici o di quegli oggetti che vengono a diretto contatto con
l’ospite e che non possono essere sottoposti a processi di sterilizzazione. In particolare, il
disinfettante di alto livello agisce sulle spore e sul bacillo della tubercolosi che è l’unica forma
vegetativa batterica che ha un’elevata capacità di resistenza agli agenti chimici, a differenza invece
di tutte le altre forme vegetative batteriche che sono più facilmente eliminabili. Allo stesso modo, i
funghi non sono facilmente eliminabili da tutti i disinfettanti, agiscono bene quelli di medio e alto
livello mentre a quelli di basso livello sono sensibili poche specie di funghi. Per quanto riguarda i
virus, per i virus di piccola taglia non rivestiti dall’involucro lipidico (HAV, polio, rhinovirus)
riesce ad agire bene il disinfettante di alto livello, più o meno quello di medio e basso livello,
mentre i virus di media taglia rivestiti dall’involucro lipidico (HIV, HBV, herpes, virus
dell’influenza) risultano sensibili a qualsiasi tipo di disinfettante. In una scala di microorganismi,
man mano che si sale aumenta la resistenza dei microrganismi. All’apice ci sono le spore batteriche
che sono la massima forma di resistenza che un batterio possa mettere in atto, poi ci sono i
micobatteri che sono il bacillo della tubercolosi e altri batteri che fanno parte della stessa famiglia
della tubercolosi, e così via.
Esistono delle variabili che possono intervenire e influenzare il processo di disinfezione che si
apporta in un ambiente. Innanzitutto, il processo di disinfezione dipende dal principio attivo
presente nel disinfettante cioè se si tratta di un disinfettante di alto, medio o basso livello, poi
dipende dalle condizioni di impiego del disinfettante. Le condizioni di impiego possono essere
correlate allo stesso disinfettante cioè dipendono dalla sua concentrazione d’uso quindi se viene
utilizzato molto o poco concentrato perché anche un disinfettante di alto livello può risultare
inefficace se utilizzato molto diluito (teoricamente quanto più è concentrato più è efficace però
alcuni disinfettanti soprattutto di alto livello non si possono utilizzare molto concentrati in quanto se
utilizzati molto concentrati sono particolarmente irritanti e quindi bisogna necessariamente diluirli
sulla base delle indicazioni della casa produttrice), dipendono dalla sua modalità di diluizione,
dipendono dal tempo d’azione (bisogna dare un tempo di esposizione al disinfettante affinché
questo possa agire perché se lo si mette sulla superficie e lo si rimuove immediatamente non avrà
avuto il tempo di entrare in contatto con il microrganismo da neutralizzare, non garantendo il
processo di disinfezione), infine, dipendono dal tempo di validità (se si utilizza il disinfettante a
distanza di tempo o dopo la sua scadenza, questo può aver perso la sua efficacia come accade per
alcuni antibiotici). Le condizioni di impiego possono essere correlate allo stesso microrganismo
cioè alle caratteristiche del microrganismo bersaglio quindi dipendono dalla specie microbica
presente sul materiale o superficie, dalla fase del ciclo vitale e dalla carica microbica (i
microrganismi hanno una capacità esponenziale di riproduzione e più è elevata la quantità
microbica meno efficace può risultare la procedura di disinfezione). Le condizioni di impiego
possono essere correlate alle condizioni ambientali cioè dipendono dalla presenza di materia
organica (essa funge da protezione nei confronti dei microrganismi rendendo inattivo il disinfettante
perché magari non c’è stata la precedente fase di detersione), dipendono dalla presenza di altri
disinfettanti inattivanti così da neutralizzarsi a vicenda e rendere inefficace tutto il processo, infine,
dipendono dal reale contatto del disinfettante con la superficie da disinfettare quindi con il
microrganismo.
La disinfezione può essere continua, periodica o occasionale, a seconda delle modalità di
eliminazione del microrganismo quindi a seconda della sua via di eliminazione, dalla durata della
sua eliminazione e dal materiale che potenzialmente può essere venuto a contatto con il
microrganismo:
disinfezione continua, da fare frequentemente perché il microrganismo può essere eliminato per
via aerea e diffondersi rapidamente quindi bisogna intervenire continuamente con il processo di
disinfezione;
disinfezione periodica, fatta indipendentemente dalla presenza o meno di un caso di malattia in
quanto un ambiente può essere frequentato da tante persone (per esempio a fine anno
scolastico);
disinfezione occasionale, fatta in seguito ad un episodio di malattia (per esempio si è verificato
un caso di meningite in una scuola quindi la scuola viene chiusa e fatta la disinfezione).
La scelta del disinfettante è molto difficile. Il disinfettante ideale è quello con ampio spettro di
azione antimicrobica (su tutti i microrganismi), con un’azione rapida e persistente, non tossico
sia per l’uomo che per l’ambiente, compatibile con i materiali da trattare, stabile nonostante le
variazioni di temperatura, di luce o di Ph, di facile impiego (che possa essere utilizzato da tutti
senza precauzioni), economico (per una struttura pubblica bisogna acquistare grandi quantità di
disinfettanti: diverse aziende fanno delle gare per fornire il proprio disinfettante e di solito il
costo si abbassa sulla quantità che si acquista…questo comporta che debbano durare di più,
superando la stabilità e risultando inefficaci, quindi tutto questo va ad inficiare il processo di
disinfezione).
La STERILIZZAZIONE è l’optimum dell’eliminazione dei microrganismi. In particolare, l’OMS
afferma che sia un processo fisico o chimico che porta alla distruzione di tutte le forme viventi
comprese le spore; per la scienza, la sterilizzazione è la probabilità inferiore ad una su un milione di
isolare il microrganismo (concettualmente è la stessa cosa). Esistono dei metodi fisici e dei metodi
chimici. I metodi fisici sono il calore secco (stufe a chiusura ermetica 160-180°), il vapore saturo
cioè umido (l’autoclave sfrutta il vapore acqueo tenuto sotto pressione che ha un’elevata capacità di
penetrazione anche nelle parti più nascoste), le radiazioni ionizzanti (i raggi ultravioletti, che però
non hanno capacità di penetrazione), il microonde. In queste forme di sterilizzazione, c'è un
rapporto tempo-temperatura nel senso che sono inversamente proporzionali cioè più la temperatura
è bassa più il tempo di esposizione deve aumentare e viceversa pertanto se il calore secco è portato
a 160° bisogna esporre il materiale per 2 ore oppure il calore secco è portato a 180° bisogna esporre
il materiale per 1 ora. La differenza tra calore secco e vapore è che il calore secco richiede tempi più
lunghi. I metodi chimici-gassosi prevedono l’utilizzo di sostanze chimiche che vengono immesse in
alcuni strumenti producendo una forma di gas, come il perossido di idrogeno che all’interno
dell’apparecchio viene trasformato in gas plasma, l’ossido di etilene, l’acido paracetico e la
formaldeide. L'utilizzo degli sterilizzatori deve avvenire in ambienti delicati perché non sono di uso
comune e da parte di personale adeguatamente formato.
Il TETANO è una zoonosi cioè una malattia che viene trasmessa all’uomo dall’animale in quanto
l'animale è serbatoio del microrganismo, serbatoio rappresentato dall’intestino del cavallo. Si tratta
di una malattia tossinfettiva cioè l'azione patogena è determinata dalla produzione di una tossina
che si sviluppa e si presenta in maniera acuta, per cui si ha velocemente la manifestazione clinica
della malattia in maniera evidente e una sintomatologia molto chiara. È tra quelle malattie infettive
considerate non contagiose cioè che non può essere trasmessa da un soggetto all'altro. L’agente
eziologico è il CLOSTRIDIUM TETANI, un batterio:
allungato, a forma di bacchetta di tamburo;
gram-positivo, quindi si colora di viola;
sporigeno, cioè produce anche una spora;
anaerobio obbligato, cioè vive solo ed esclusivamente in assenza di ossigeno.
La tossina che produce è una esotossina, tetanospasmina, cioè una tossina che una volta prodotta
ha un neurotropismo cioè predilige il sistema nervoso centrale, per cui prodotta dal batterio
raggiungerà direttamente il sistema nervoso centrale. Bisogna capire come si trasmette una
malattia perché solo così si capisce bene come prevenirla.
La PATOGENESI (meccanismo che permette che l’uomo si ammali di tetano) prevede la
penetrazione accidentale della spora: nell’ambiente, in cui il batterio viene liberato tramite le feci
del cavallo, non si può trovare il batterio nella sua forma vegetativa perché essendo un anaerobio
non riuscirebbe a sopravvivere, di conseguenza si troverà la sua spora che invece è in grado di
resistere alla presenza di ossigeno, oltre che all’azione di alcuni disinfettanti. La spora può
penetrare accidentalmente in una ferita che è profonda perché nel momento in cui ci si ferisce la
spora deve entrare in profondità, la ferita si chiude e la spora comincia, attraverso il processo
infettivo, a determinare una necrosi tessutale ossia una distruzione dei tessuti con formazione di
pus nella zona in cui è penetrata la spora, determinando una condizione di mancanza di ossigeno.
Questa mancanza di ossigeno fa sì che la spora germìni in batterio ossia si trasformi nella sua
forma vegetativa germinazione della spora. Una volta sviluppatosi questo batterio, durante un
periodo di incubazione che può andare da uno a due giorni fino a qualche settimana il batterio
comincia a riprodursi producendo la sua esotossina. Dopodiché l’esotossina si distacca dal batterio
e comincia ad entrare in circolo e raggiungere il sistema nervoso centrale. Arrivata a livello del
sistema nervoso centrale, l’esotossina si va a localizzare a livello delle sinapsi, terminazioni
nervose punto di collegamento tra sistema nervoso e fibra muscolare, bloccando così il processo di
rilassamento dei muscoli: per muovere i muscoli volontari deve essere trasmesso un messaggio,
un’informazione da un neurotrasmettitore (acetilcolina) ed è un messaggio che parte dal cervello e
raggiunge il muscolo, che mi permette di stendere o contrarre il braccio, a seconda
dell’informazione. Questa tossina va proprio a bloccare l'informazione che trasporta il
neurotrasmettitore, di conseguenza si riceve l'informazione di stendere (rilassamento) il muscolo,
però siccome c'è il blocco da parte di questa tossina il muscolo resterà contratto (contrazione). I
primi neurotrasmettitori su cui agisce l’esotossina sono quelli che regolano la contrazione e il
rilassamento dei muscoli masticatori quindi facciali, tanto che si verifica il cosiddetto “riso
sardonico” perché si ha uno spasmo muscolare prolungato che contrae i muscoli facciali in una
forma simile ad una sorta di sorriso stampato che non riesce a rilassarsi (che poi non è un sorriso).
Inizialmente si contraggono i muscoli facciali ma man mano l’esotossina interesserà tutti i
muscoli: arriverà a bloccare i muscoli dell’apparato respiratorio che permettono l’ispirazione e
l’espirazione così che il soggetto sarà interessato da una rigidità diffusa quindi il paziente muore
per asfissia senza possibilità di salvezza.
Le forme del tetano sono molteplici perché tanti sono i momenti in cui si può venire a contatto con
una spora:
tetano traumatico (per esempio attraverso incidente), il cui trauma può essere minimo (quando
la ferita tende a chiudersi) per cui basta lavare fisiologicamente la ferita facendo fuoriuscire il
sangue;
tetano chirurgico, quando il sistema sanitario non rispetta le condizioni igieniche previste (vedi
la sterilizzazione degli strumenti chirurgici per l'eliminazione della spora);
tetano puerperale e post-abortivo, quando i parti e gli aborti avvengono in maniera clandestina
le cui condizioni igieniche non sono adeguate;
tetano medico, legato alle procedure diagnostico-terapeutiche (chirurgia);
tetano neonatale, legato alle procedure di nascita non eseguite in condizioni igieniche adeguate,
soprattutto nel momento del taglio del cordone ombelicale.
Per quanto riguarda la DIFFUSIONE, il tetano è una malattia sporadica, infatti, si ritrova
prevalentemente in aree tropicali e nei paesi in via di sviluppo dove ci sono tantissimi morti ogni
anno. In Italia, invece, c'è stata una netta riduzione dei casi tant’è che oggi pur essendoci tante
situazioni potenzialmente a rischio i casi di tetano non sono elevatissimi. C'è stata questa riduzione
dal 1965 e ancor più nel 1968 perché in quest’anno c’è stata l’introduzione della vaccinazione
inizialmente obbligatoria per i militari e poi resa obbligatoria anche per i neonati; di conseguenza,
avendo reso obbligatoria la vaccinazione e avendo reso immune la popolazione, si può dire che oggi
i casi di tetano sono rari. Questa malattia è rara, però c'è un dato estremamente importante che la
caratterizza ovvero il tasso di letalità che raggiunge il 60%: è estremamente pericolosa perché su
100 soggetti che si ammalano di tetano 60 muoiono, motivo per cui la vaccinazione è stata resa
obbligatoria per tutti i bambini a partire dal terzo mese ed entro i 2 anni di vita e anche per alcune
categorie di soggetti tipo stallieri e fantini perché sono quelli che più di altri sono a contatto con i
cavalli, considerando che la spora ha come serbatoio l’intestino del cavallo. Con la vaccinazione,
costituita da anatossine, si inietta un antigene che permette la produzione di anticorpi nei confronti
della tossina che risulta essere responsabile della malattia; questa vaccinazione prevede un richiamo
da fare ogni 8-10 anni, anche in età adulta perché non è detto che dopo il primo richiamo si abbia
realmente una protezione nei confronti di questa malattia. L’altro tipo di intervento è la siero-
profilassi con sieri-omologhi che contengono gli anticorpi e che provengono dall'uomo. C’è bisogno
di un consenso informato, perché anche nel caso dei sieri-omologhi c’è il rischio di conseguenze.
Gli interventi di PREVENZIONE da fare nel caso di rischio di tetano sono:
lavaggio e disinfezione con acqua ossigenata sulla ferita profonda perché essendo un
microrganismo anaerobio obbligato significherebbe iniettare dell’ossigeno bloccando la
trasformazione della spora in batterio, senza essere però un intervento risolutivo;
terapia antibiotica, che serve per uccidere il batterio ed evitare che la sua riproduzione liberi la
tossina;
profilassi con la vaccinazione o siero-omologo. Quando fare la vaccinazione e quando il siero?
Intanto bisogna capire se un soggetto è stato vaccinato ed è entro il 5° anno dall'ultima
somministrazione di vaccino, allora pur essendo esposto a rischio di infezione in realtà non ci
sarà da fare alcun tipo di trattamento perché ha una quantità di anticorpi sufficientemente
protettivi. Se, invece, il soggetto è stato vaccinato ed è tra il 6° e il 10° anno dall'ultima
somministrazione, se si tratta di una ferita particolarmente profonda allora si fa una dose di
richiamo perché in realtà gli anticorpi ci sono ma data la gravità della malattia si risveglia il
sistema immunitario con una dose, producendo più anticorpi. Se, ancora, sono passati oltre 10
anni dall'ultima somministrazione allora bisogna intervenire con una siero-profilassi con gli
anticorpi ed eventualmente continuare con una dose di vaccino perché così si risveglia
ulteriormente il sistema immunitario essendo gli anticorpi magari non sufficienti a proteggere.
Se, invece, un soggetto non è stato mai vaccinato allora bisognerà non solo fare la siero-
profilassi immediatamente ma bisogna procedere con un ciclo di vaccinazione completa (3 dosi
richieste).
Ci sono malattie infettive che hanno un'importanza dal punto di vista comunitario e soprattutto in
ambito scolastico, nel senso che sono malattie che bisogna prevenire perché possono essere
facilmente diffusibili in un'area circoscritta come quella della scuola. NB. Le malattie che
terminano con "ite" indicano un processo infettivo.
La MENINGITE è una malattia infettiva che interessa le meningi e il Liquor, detto anche liquido
cefalo-rachidiano. Le meningi sono tre foglietti (membrane) che rivestono il sistema nervoso
centrale, concentrici e appoggiati l'uno sull'altro. Andando dal cranio verso l'interno, verso la parte
del sistema nervoso centrale, ci sono: la dura madre, che è la parte più esterna, l’aracnoide che è
quella intermedia, e la pia madre che è quella più interna, più vicina al sistema nervoso centrale.
Il LIQUOR normalmente ha un aspetto trasparente, infatti viene anche identificato come “liquido ad
acqua di roccia” proprio perché è particolarmente limpido, ha una particolare trasparenza.
Esso, bagnando queste meningi, svolge diverse funzioni:
1. bagnare le meningi, tenendo sempre umidi i foglietti;
2. trasportare le sostanze nutritive per il sistema nervoso centrale;
3. proprio perché ha una consistenza liquida, svolge anche una funzione di protezione, ovvero i
foglietti non sono attaccati l’uno con l'altro, ma sono bagnati cioè scorre tra di loro questo
liquido che fa sì che un colpo a livello del cranio venga ammortizzato prima che possa arrivare
al sistema nervoso centrale, quindi fa sì che questa forza che ha raggiunto il cranio vada
diminuendo man mano che si avvicina al sistema nervoso centrale. Certo, dipende anche dal
colpo: se il colpo è troppo forte non riesce ad ammortizzare nulla, ma i piccoli colpi sono
percepiti dal sistema nervoso centrale in maniera molto blanda, oppure in alcuni casi non
arrivano proprio.
Quando c'è però un processo infettivo a livello delle meningi, la situazione comincia a modificarsi.
Il fatto che sia una meningite non dice cosa provoca la malattia, ma soltanto che c'è un processo di
infezione a livello delle meningi se questa infezione possa essere determinata da un
microrganismo oppure da un altro non ci è dato di saperlo se noi parliamo semplicemente di
meningite.
Si possono verificare tante forme di meningite:
meningiti ad eziologia virale cioè da virus;
meningiti provocate da batteri;
meningiti provocate da miceti.
Qualsiasi microrganismo che riesce a superare le barriere che proteggono il sistema nervoso
centrale, giunto in questa sede, può provocare un processo infettivo. Le INFEZIONI
BATTERICHE (meningiti provocate da batteri) sono quelle più diffuse in età pediatrica e quelle più
facilmente prevedibili, cioè quelle di cui si ha più cognizione perché si possono prevenire con le
vaccinazioni (intervento preventivo prioritario). In questo ambito, i microrganismi più
frequentemente responsabili, che hanno una distribuzione correlata alla fascia di età, sono:
Neisseria meningitidis, batterio che provoca forme di meningiti spesso in età scolare, pediatrica
ma non neonatale, sebbene tutti possano essere interessati in qualunque fascia d’età;
Streptococcus pneumoniae, batterio che provoca delle forme di meningiti soprattutto nella
fascia di età adulta o addirittura anziana, ma questo non significa che in altre fasce di età non
possa provocarla;
Haemophilus influenzae - tipo b, batterio che non c’entra nulla con l’influenza, che provoca
delle forme di meningiti soprattutto nella fascia d’età neonatale.
NEISSERIA MENINGITIDS è l’agente eziologico della forma di MENINGITE
MENINGOCOCCICA, un batterio che appartiene ad una famiglia di Neisserie (Neisseria è il
genere, meningitidis è la specie). Neisseria è un genere o gruppo di microrganismi tutti commensali,
che si ritrovano normalmente a livello delle alte vie respiratorie e non danno alcun tipo di problemi.
Nell’ambito di queste Neisserie poi c’è la meningitidis che pur essendo spesso presente a livello
delle vie respiratorie non crea problemi, in altri casi provoca la meningite.
Caratteristiche di questo batterio:
gram – negativo, quindi si colora di rosso;
diplococco, ovvero ha un’organizzazione rotondeggiante a coppia (due coppie unite insieme)
che in questo caso specifico hanno un aspetto reniforme cioè sono uniti come due chicchi di
caffè;
organismo aerobio, quindi vive esclusivamente in presenza di ossigeno;
asporigeno, cioè non si trasforma in spore;
caratterizzato dalla presenza di una capsula esterna, capsula polisaccaridica che è importante per
i sistemi di prevenzione.
È proprio su questa capsula esterna che si trovano degli antigeni che identificano tanti tipi di
Neisseria meningitidis. Ogni antigene viene, infatti, indentificato con una lettera dell’alfabeto
(Neisseria meningitidis di tipo A, Neisseria meningitidis di tipo B diverso rispetto al precedente,
Neisseria meningitidis di tipo C, ancora diverso rispetto ai precedenti. Si sono potuti distinguere,
quindi, 13 sierogruppi (identificati con la lettera dell’alfabeto). Tra questi, quelli più diffusi cioè
quelli che più spesso diventano responsabili di meningite sono il sierogruppo A, B, C, W135 (dabliu
135), Y. Gli altri sono di importanza minore, perché determinano dei casi estremamente sporadici.
Questi sierogruppi hanno una diffusione epidemiologica abbastanza chiara, nel senso che almeno
fino a qualche anno fa quando i flussi migratori erano più controllati, c’era una distribuzione
epidemiologica ben definita, per cui il sierogruppo A era prevalentemente presente in Africa, il
sierogruppo B e C presenti in America, mentre in Italia quello prevalente è il tipo B seguito dal tipo
C e dal tipo A (piccola percentuale, pochi casi). Attualmente, c’è una confusione dal punto di vista
epidemiologico. La
PATOGENESI della malattia prevede la trasmissione per via aerea, attraverso le particelle di Flügge
che vengo emesse attraverso la fonazione, colpi di tosse o starnuti. Un soggetto affetto, che presenta
il microrganismo Neisseria meningitidis a livello naso faringeo, attraverso queste particelle lo
emette all’esterno, dopodiché il batterio raggiungerà un altro individuo recettivo ed entrerà
attraverso le vie respiratorie. A questo punto o si crea la condizione di portatore sano oppure
subentra lo stato di malattia. Il portatore sano è colui che alberga in sé il microrganismo senza che
abbia segni clinici della sua presenza, ha solo un’infezione che non è clinicamente manifesta.
Ovviamente il soggetto che è diventato un portatore sano, ignorando la sua condizione, continuerà a
diffondere nell’ambiente ad altri soggetti questo microrganismo. Dal punto di vista epidemiologico
diventa un individuo abbastanza pericoloso perché, ignaro della sua situazione, distribuisce
dappertutto questo microrganismo. L'unico fattore che protegge è il fatto che questo batterio sia
estremamente sensibile nell'ambiente, quindi deve passare immediatamente da un individuo a un
altro, non riuscendo a sopravvivere nell'ambiente esterno; esso può vivere esclusivamente alle
temperature intorno ai 37°, mentre al di sotto o al di sopra di questi valori il batterio non vive, per
cui se non c'è questo passaggio immediato diventa impossibile la trasmissione della malattia.
I FATTORI che ne favoriscono la trasmissione e il passaggio sono:
la densità di popolazione, quindi ambienti chiusi e circoscritti o ambienti sovraffollati, in cui è
più facile stare a stretto contatto l'uno con l'altro;
le condizioni socio-economiche, correlate alle condizioni igienico sanitarie carenti;
l'età: la fascia d'età pediatrica è quella maggiormente coinvolta nella circolazione del
microrganismo.
L'unico serbatoio è rappresentato dall'uomo, quindi non si hanno delle localizzazioni o delle
colonizzazioni negli animali.
Se per una serie di fattori strettamente personali e soggettivi, ci si trova in uno stato immunitario
più debole, magari transitorio, il microrganismo una volta penetrato e localizzatosi a livello delle
alte vie respiratorie, anziché lasciare il soggetto nella condizione di portatore, dopo un periodo di
incubazione che va dai 2 ai 10 giorni (ma mediamente 3-4 giorni è il periodo massimo di
incubazione) passa nel sangue e raggiunge le meningi, creando la condizione di infezione con
complicanze sempre gravi. Sebbene i foglietti siano attraversati dal liquido attraverso spazi ben
definiti, quando si crea il processo infettivo lo spazio tra le meningi diventa insufficiente, comincia
ad aumentare il volume perché si forma il pus, che si accumula e di conseguenza c'è una inevitabile
compressione di queste meningi a livello del sistema nervoso centrale con delle conseguenze
importanti a seconda dell'area del cervello che viene compressa deficit motorio, cioè un deficit
degli arti. Tutto questo avviene se non si interviene immediatamente con le giuste terapie.
La SINTOMATOLOGIA è caratterizzata da febbre molto alta, mal di testa (cefalea), vomito,
posizione “a cane di fucile” che assume il paziente affetto da questo tipo di meningite. Il “cane di
fucile” è la parte posteriore del fucile che si tira all’indietro quando si prepara per sparare e far
partire il colpo. Quando il medico chiede al paziente di chinarsi in avanti verso le ginocchia, avendo
una rigidità nucale per via dell’infezione, non riesce a piegarsi ma tende ad andarsene indietro
esattamente come avviene per il “cane di fucile” che viene tirato indietro per preparare il fucile allo
sparo, quindi anziché portare il busto verso le ginocchia, porta le ginocchia verso il busto. Questa è
una posizione che non viene più utilizzata per fare diagnosi perché ci sono mezzi più veloci, però
nella condizione classica, poiché vi è una rigidità del rachide e di tutta la colonna vertebrale, forti
mal di testa e l’impossibilità di piegarsi in avanti per il medico è un segno indicativo che il paziente
ha una forma di meningite che lo ha irrigidito. È un carattere patognomonico che ci permette di
riconoscere quella particolare malattia infettiva prima che tutte le indagini strumentali o di
laboratorio ne diano conferma.
La DIFFUSIONE della malattia è stagionale, va da fine inverno a inizio primavera perché è il
periodo in cui si sta in ambienti chiusi facilitando la circolazione del batterio. È un microrganismo
estremamente fragile nell'ambiente esterno, quindi inevitabilmente gli ambienti chiusi permettono
più facilmente la trasmissione. Si ritrova nelle aree a clima caldo secco e nelle zone densamente
popolate; nella zona dell’Est-Ovest dell’Africa si parla di “cintura della meningite” perché è proprio
in questa area che si concentra oltre il 60% di tutti i casi mondiali (riferito alla Neisseria
meningitidis), mentre l’Europa presenta il 22% dei casi mondiali. I dati forniti dal Centro di
Controllo delle Malattie Europeo relativamente all'infezione da Neisseria meningitis mostrano che
in Italia, rispetto agli altri Paesi, c’è un numero di casi che non è allarmante, soprattutto rispetto al
passato, ma che non fa stare neanche tranquillissimi. Questi sono gli ultimi dati risalenti al 2018
perché pubblicati a fine 2019. Il Centro di Controllo delle Malattie Europeo e il Centro di Controllo
delle Malattie Mondiale devono in qualche modo garantire la revisione di tutti i dati raccolti, per cui
sono sempre sfalsati di un anno, quindi soltanto a fine anno si avranno quelli del 2019. L'andamento
dell’Italia rispetto al resto dell’Europa mantiene un dato abbastanza elevato.
Una volta che avviene l'infezione da Neisseria meningitidis si possono avere diversi QUADRI
CLINICI:
una forma insidiosa, che si manifesta lentamente;
una forma classica, che si manifesta nel giro di 3-4 giorni;
una forma fulminante, che compare nell'arco di 24 ore, si infetta il paziente e muore, come tutte
le forme fulminanti.
Si può guarire dalla meningite, ecco perché bisogna intervenire precocemente, ma ci sono delle
forme fulminanti per cui non c’è proprio il tempo di intervenire.
La forma di meningite meningococcica ha una LETALITÀ del 10-15% che è strettamente correlata
alla tempestività della diagnosi, ecco perché sono importanti tutte le posizioni e i caratteri come il
forte mal di testa, la febbre alta, le posizioni particolari, che fanno immediatamente capire di dover
partire con una terapia mirata altrimenti i tassi di letalità possono diventare sempre più importanti. Il
problema è che ci sono delle SEQUELE della meningite di circa 11-19% dei casi, quindi delle
conseguenze che riguardano:
deficit cognitivi, a livello del sistema nervoso centrale, quindi c'è una perdita della
consapevolezza, della cognizione;
sordità;
problemi motori;
deficit visivi;
idrocefalo, quindi un ingrossamento con raccolta di liquidi all'interno dell'encefalo;
necrosi degli arti.
La meningite meningococcica può manifestarsi anche in forma di SEPSI. La sepsi si verifica
quando il batterio circola nel sangue: il batterio dalle alte vie respiratorie va nella faringe, dalla
faringe il batterio passa nel sangue e poi dal sangue raggiunge il sistema nervoso centrale. Mentre
circola nel sangue si ha una sepsi meningococcica che a volte può restare a livello del sangue, ma
questo avviene raramente, mentre più frequentemente raggiunge le meningi. Essa è caratterizzata
da:
febbre improvvisa;
manifestazioni cutanee con petecchie color porpora, che identificano quasi immediatamente il
tipo di infezione in corso;
emorragia surrenalica acuta, per cui il paziente poi va rapidamente incontro ad un’insufficienza
di diversi organi;
tasso di letalità del 40%, quindi quando si parla di sepsi, c'è un tasso di letalità maggiore.
NB. Nel caso della meningite, invece, dove il sangue è stato soltanto un veicolo di trasporto del
microrganismo, c’è soltanto un’infezione a livello delle meningi senza che ci sia una localizzazione
a livello di altri organi.
Per quanto riguarda la PREVENZIONE, quando c'è un caso di meningite scatta un'indagine
epidemiologica (come quella a cui stiamo assistendo per il Covid 19), nel senso che in caso di
malattia c'è la notifica del medico, che ha fatto la diagnosi, al Servizio di Igiene e Sanità Pubblica
(SISP) che fa partire l’'indagine epidemiologica.
Coloro che sono stati a stretto contatto con il caso indice, procederanno con una CHEMIO-
PROFILASSI SECONDARIA: chemio-profilassi perché è una forma di prevenzione che si attua
con l'utilizzo dei farmaci, secondaria perché si assumono questi farmaci in un secondo momento per
prevenire lo stato di malattia nel caso si sia stati contagiati dal caso indice, in quanto non ci si può
permettere di aspettare che si manifestino i primi sintomi, ma bisogna intervenire immediatamente
in modo tale da evitare il peggio. Se non si fosse verificato quel caso di malattia, non si sarebbe
fatta la chemio-profilassi. La CHEMIO-PROFILASSI può essere anche PRIMARIA nel momento
in cui si deve andare in aree ad alta endemia di malaria e quindi bisogna assumere dei farmaci
prima, durante e dopo il rientro per prevenire quel tipo di malattia, quindi si fa un utilizzo di farmaci
senza che ci sia già un caso documentato ma prima di un eventuale esposizione al rischio di
malattia. Quando si verifica, ad esempio, in una scuola un caso di meningite si procede con la
chiusura della scuola. In realtà non sarebbe necessario dato che il microrganismo è estremamente
labile nell'ambiente, basterebbe fare arieggiare bene l'aula e la scuola perché nel caso in cui ci fosse
ancora il microrganismo immediatamente verrebbe degradato. Però per maggior cautela si chiude la
scuola e si procede con la disinfezione dell'ambiente. L'ambiente viene sanificato, mentre tutti gli
altri bambini, insegnanti, ecc. che frequentano la scuola e che sono stati a contatto con il caso
indice, devono fare la chemio-profilassi perché si devono proteggere, in quanto essendo stati a
contatto potrebbero anche loro manifestare la malattia.
La vaccinoprofilassi è una prevenzione con l’utilizzo di vaccini, la sieroprofilassi è una
prevenzione con l’utilizzo di sieri ed anticorpi, invece, la chemioprofilassi è una prevenzione con
l’utilizzo di farmaci solitamente antibiotici, non per curare un paziente ma per prevenire la malattia
(aggredire il microrganismo).
Per quanto riguarda la VACCINO-PROFILASSI, ci sono una serie di vaccini specifici per ogni
sierogruppo. Questi vaccini sono stati prodotti in diversi tempi, a partire dal 1960 fino al 2014. La
reazione è sempre antigene-anticorpo, pertanto se c’è da proteggersi contro il meningococco di tipo
A bisogna fare il vaccino anti-meningococcico di tipo A, se c’è da proteggersi contro il tipo B
bisogna fare il vaccino anti-meningococcico di tipo B perché quella di tipo A non protegge dalla
meningite di tipo B, ecco perché è importante che ci siano gli antigeni sulla capsula, in quanto ad
ogni antigene deve corrispondere un anticorpo. Esistono diversi tipi di vaccino ovvero di tipo A, C,
W135, Y. Inizialmente è stato prodotto quello polivalente che più antigeni insieme; poi nel 2001 è
stato prodotto l’anti-meningococco di tipo C, il ceppo più aggressivo tra quelli che circolano; nel
2006 è stato prodotto il quadrivalente coniugato con gli antigeni A, C, W135, Y; nel 2010 l’anti-
meningococcico di tipo A coniugato; soltanto nel 2014 si è prodotto l’anti-meningococcico di tipo
B efficace e protettivo perché fino ad allora non si riusciva a trovare un vaccino sufficientemente
protettivo. Questa è una vaccinazione consigliata, nel senso che non c'è l'obbligo vaccinale e non è
fornita gratuitamente dalla regione, anche se a seconda delle regioni i vaccini possono essere forniti
gratuitamente o meno, se viene consigliata di farla o meno.
La PERTOSSE è una malattia infettiva che si presenta in forma acuta, contagiosa ed è una malattia
tipica dell'età pediatrica. L'agente eziologico è la BORDETELLA PERTUSSIS, un
microrganismo:
coccobacillo di forma rotondeggiante e a volte allungata;
gram-negativo;
termolabile, quindi facilmente eliminato da temperature diverse di quelle del corpo umano;
immobile;
spesso capsulato.
La struttura batterica è caratterizzata:
da una tossina pertossica termolabile, una tossina che viene prodotta dal batterio durante la sua
replicazione;
da emoagglutinina filamentosa, che è una componente della parete cellulare del batterio e
rappresenta l'elemento che facilita l’adesione del microrganismo a livello delle vie respiratorie.
(trasmissione per via aerea).
Per quanto riguarda la PATOGENESI, una volta che il microrganismo si è localizzato a livello delle
vie respiratorie, si crea prima una forma TRACHEO-BRONCHIALE a livello della mucosa e poi
una FLAGOSI CATARRALE. Dopo un periodo di incubazione, che va dai 10 ai 15 giorni, subentra
la fase clinica ovvero la fase sintomatica vera e propria, che è caratterizzata da due periodi:
PERIODO CATARRALE che va da 1 a 4 settimane in cui il microrganismo presente a livello delle
vie respiratorie determina la manifestazione di un catarro bronchiale, di una tosse quasi bronchiale,
tanto che è facile confonderla con una qualsiasi infezione delle vie respiratorie sostenuta da altri
microrganismi. Non sempre perciò si riesce a identificare immediatamente il caso di pertosse con
tutto ciò che ne consegue; infatti, se non si distinguere che quella è una pertosse, il bambino
continuerà a tossire, tutta la classe verrà contagiata, anche l'insegnante, e il batterio continuerà a
circolare sempre più. La seconda fase, quella più importante e più grave, è il PERIODO
ACCESSUALE O CONVULSIVO in cui accade che il bambino comincia a tossire con una
profonda inspirazione a “glottide chiusa”, cioè colpi di tosse così continui che inspira e non riesce a
espirare, quindi ha un problema negli atti respiratori che non vengono effettuati più in maniera
fisiologica ma ha un inspirazione profonda e forzata; il bambino comincia a produrre del muco
molto denso e filante e proprio in questi atti respiratori, che risultano bloccati, egli può andare
incontro a decesso, ed è il motivo per cui la pertosse può essere considerata una malattia
estremamente pericolosa, soprattutto durante la notte con la posizione supina perché questi muchi
tendono più facilmente a localizzarsi a livello delle vie respiratorie quindi è più facile che si
verifichino questi attacchi convulsivi di tosse.
Per quanto riguarda la DIFFUSIONE, la pertosse è una malattia presente in tutto il mondo e vi sono
episodi epidemici ogni 3-5 anni. Questo si verificava soprattutto fino a qualche anno fa quando la
vaccinazione non era obbligatoria. Succede che comincia un'epidemia di pertosse, allora siccome si
stanno verificando tanti casi si pensa di vaccinare tutti quelli che hanno la stessa fascia d’età, così in
quell’anno vengono vaccinati tutti e finisce lì. Intanto, però, accade che i bambini più piccoli come i
neonati o i bambini di 1 anno che magari non sono stati vaccinati in quell'anno perché non avevano
contatti con l'esterno e perché non erano interessati come fascia di età, non sono vaccinati per cui si
ripresenterà il problema quando anche questi bambini raggiungeranno l'età di 3-4 anni,
verificandosi un'altra ondata epidemica. Ecco perché questa malattia esantematica pediatrica si
manifesta ciclicamente ogni 3-5 anni proprio per le fasce d'età interessate. Nel caso della pertosse, è
una malattia di cui la vaccinazione ormai è diventata obbligatoria, di conseguenza questo problema
dell’andamento epidemico sicuramente negli ultimi anni non lo si osserva più. Vi sono circa 50
milioni di casi all'anno e 1 milione di decessi che sono prevalentemente di bambini.
Alta contagiosità durante il periodo di incubazione e quello catarrale.
L’unico serbatoio è costituito dall’uomo: malato, o non malato diagnosticato, non esiste il portatore
sano.
La PREVENZIONE si fa con la VACCINO-PROFILASSI di cui disponiamo diversi tipi, tra cui
quello acellulare o quello costituito da microrganismo ucciso, con somministrazione sottocutanea o
intramuscolo:
- 3 dosi ad intervalli di 1-2 mesi
- Dose booster dopo 6-12 mesi
- Richiamo 3°-6° anno
Si può fare anche una CHEMIO-PROFILASSI SECONDARIA post-esposizione di 10gg, dopo che
si è avuto contatto con il caso indice. Non è necessario in questo caso una disinfezione
dell'ambiente perché il batterio è estremamente labile, quindi basta una buona areazione
dell'ambiente perché questo possa essere eliminato.
Le condizioni in cui NON C’È la trasmissione di HIV, perché non c’è il contatto diretto con il
sangue, sono:
il bacio, anche profondo. Nella saliva ci può essere il virus ma perché è presente una lesione a
livello della mucosa del cavo orale, di conseguenza vi è liberazione delle particelle di sangue e
con esse il virus, ma è una situazione rara e difficile da incontrare e il soggetto deve comunque
essere in una fase molto avanzata. La microparticella di sangue che non è stata degradata dal
lisozima presente nella saliva deve essere in grado di trasmettere l’infezione, il che lo rende
veramente improbabile;
la pelle integra, perché dove c’è una pelle integra, anche se si viene a contatto col sangue
infetto, la trasmissione del virus non avviene in quanto il contatto deve essere sempre sangue-
sangue; diverso se invece ci sono delle ferite attraverso cui può avvenire il contatto col sangue
infettato;
i graffi superficiali;
i morsi;
gli animali e insetti. Gli animali domestici non hanno alcuna responsabilità nella trasmissione di
questo virus, mentre gli insetti non hanno un ruolo importante soprattutto per quanto riguarda la
zanzara comune, la culex, quella che circola nelle nostre aree geografiche perché quando
pungono e aspirano il sangue, questo segue un canale e viene digerito; quando invece espirano
ed iniettano il contenuto salivare il percorso delle sostanze che iniettano segue un altro canale,
quindi quello che è stato aspirato non può essere emesso perché segue un'altra via parallela. Le
zanzare, quindi, sono innocue sia perché il virus non si può replicare all'interno delle ghiandole
salivari dell'insetto (trasmissione biologica) sia per via della bassissima probabilità di infezione.
Infatti, è stato calcolato che una persona dovrebbe essere morsa da 10 milioni di zanzare
portatrici del virus per avere una probabilità di essere infettato. Diversamente, le zecche hanno
la possibilità di trasmettere potenzialmente il virus ma è difficile che avvenga perché non
raggiunge rapidamente un altro individuo tanto da poter trasmettere il virus, quindi questa
modalità di trasmissione non viene nemmeno preso in considerazione;
i piatti e bicchieri, che possono trasmettere altri tipi di infezione, ma non il virus HIV;
i servizi igienici, anche se è comunque importante mettere in atto le norme igieniche.
Le EPATITI VIRALI sono delle malattie infettive a livello delle cellule del fegato. Si parla di
epatiti virali perché questo processo infettivo è determinato da VIRUS EPATOTROPI, cioè hanno
una preferenza per le cellule del fegato. Esistono diversi tipi di virus epatotropi, in particolare si
distinguono in due gruppi a seconda della modalità di trasmissione:
quelli che si trasmettono per via oro-fecale e si identificano come virus dell'epatite A (HAV) e
virus dell'epatite E (HEV);
quelli che si trasmettono per via parenterale in cui si identificano i virus dell'epatite B (HBV), C
(HCV), D (HDV).
A parte questi, ci sono tantissimi altri virus che hanno come target le cellule del fegato, ma
assumono una rilevanza minore.
Il virus dell'EPATITE B, identificato come virus HBV, è molto resistente agli agenti fisici e chimici
e resiste per 6 mesi a temperatura ambiente. Questo virus è a DNA, caratterizzato da un unico acido
nucleico, e presenta diversi tipi di antigeni ovvero HBsAg, HBcAg, HBeAg a cui corrispondono
diversi tipi di anticorpi. HBsAg è l'antigene di superficie del virus che ha delle protuberanze esposte
all'esterno, delle estroflessioni che rappresentano l'antigene dalla parte esterna, ed è il primo
antigene con cui il soggetto ha contatto. Gli altri due tipi di antigene si ritrovano invece all'interno
del virus, tanto che HBcAg è l'antigene del cuore, la parte centrale del virus, e HBeAg è l’altro
antigene più esterno ma sempre correlato alla parte centrale.
Le MODALITÀ DI TRASMISSIONE sono:
la via parenterale, attraverso sangue in grandi quantità;
la via parenterale inapparente, che vede il contatto con oggetti acuminati molto piccoli come
forbici, rasoi, spazzolini da denti, soprattutto quello con setole molto dure che crea delle lesioni
e può trattenere le microparticelle di sangue;
la via transcutanea, attraverso particelle di sangue;
la via non parenterale, attraverso le secrezioni per contagio sessuale;
la trasmissione verticale madre-feto durante la gestazione perché il virus può attraversare la
placenta, soprattutto se l'infezione sorge nel secondo terzo trimestre di gravidanza; tuttavia è
possibile che durante la gestazione il virus non abbia oltrepassato la placenta ma che l'infezione
si possa verificare al momento del parto, motivo per cui per evitare questo rischio si cerca di
programmare un parto cesareo.
I tatuaggi e piercing giocano un ruolo importante nella trasmissione di queste infezioni, soprattutto
quando queste pratiche non vengono eseguite in strutture autorizzate dalle ASL, che hanno in regola
tutti i presidi igienico sanitari per evitare la trasmissione di questi microrganismi; soprattutto i
giovani si approcciano a strutture che a fronte di un risparmio economico offrono uno stesso
servizio e attirano di più una fetta di popolazione che pensa di poter risparmiare in termini
economici avendo lo stesso servizio, ma il risvolto della medaglia è pericoloso.
Le COMPLICANZE, una volta che il virus è entrato in circolo, sono:
la cronicizzazione della malattia in atto, diversamente dalla febbre tifoide in cui il soggetto
diventa portatore cronico ma è guarito, cioè non ha più problemi ma diventa un problema per
gli altri;
un soggetto portatore cronico della malattia può sviluppare una cirrosi epatica, ovvero un
indurimento del tessuto epatico tanto che il fegato non riesce più a svolgere le sue normali
funzioni metaboliche, che può trasformarsi addirittura in un epatocarcinoma ovvero un tumore
vero e proprio del fegato;
in alcuni casi, c'è anche l'insorgenza di un’epatite fulminante mortale che, come tutte le forme di
malattie infettive fulminanti, portano al decesso nel giro di poche ore perché la presenza del
virus distrugge contemporaneamente tutte le cellule del fegato e la morte sopraggiunge
rapidamente.
L'unica sorgente per il contagio è rappresentata dall’uomo, malato o portatore, non ci sono serbatoi
di altra natura e il malato può trasmettere l'infezione sia durante la fase di incubazione, sia durante
la fase della malattia vera e propria. Il virus è stato ritrovato, come per l'HIV, anche in altri liquidi
biologici, quali il sudore, le lacrime, la saliva, tuttavia si sa che sono soltanto alcuni i liquidi
biologici che possono garantire la trasmissione del virus ovvero il latte materno oppure le secrezioni
genitali.
Le MISURE DI PREVENZIONE sono:
il controllo del sangue da trasfondere, sia nel controllo del donatore sia del sangue;
evitare l’utilizzo di aghi e oggetti monouso, soprattutto per i soggetti tossicodipendenti;
la sterilizzazione dello strumentario di chirurgia e odontoiatria.
A differenza dell'HIV la cui prevenzione è basata esclusivamente sulle pratiche comportamentali,
per la prevenzione dell' HIV, a parte le procedure comportamentali, c’è una VACCINAZIONE che
dal 1991 è stata resa obbligatoria per tutti i neonati, secondo un calendario che prevede 3 dosi a
partire dal 3° mese di vita, con una postilla per i bambini nati da madri HBsAg +, cioè madri che ai
test sono positive alla ricerca dell'antigene HBsAg cioè nell’ antigene di superficie: se sono positive
all’antigene di superficie significa che hanno l'infezione e che quindi possono trasmetterla al
bambino, di conseguenza siccome il virus può oltrepassare la placenta ma l'infezione può venire
anche al momento del parto, allora come misura di prevenzione oltre a cercare di fare il parto
cesareo, si passa ad una SIERO-PROFILASSI da fare entro le 12 ore dalla nascita (una prima dose
di vaccino da ripetere dopo 30 giorni, poi al 2° mese, poi all’11° mese, per poi seguire il calendario
che seguono tutti gli altri bambini). Da fare entro le prime ore dalla nascita perché il sistema
immunitario non è ancora sufficientemente in grado di produrre anticorpi protettivi, a cui si associa
anche una dose di anticorpi (immunoglobuline). Questa vaccinazione viene gratuitamente offerta a
persone che sono ad alto rischio di infezione, quali:
conviventi di malati di epatite b;
soggetti che vanno incontro a trasfusione, quindi pazienti politrasfusi, emofilici e emodializzati;
soggetti che hanno malattie cutanee croniche, quindi che hanno delle lesioni come facili vie di
ingresso di sangue infetto;
soggetti tossicodipendenti;
operatori sanitari, che non hanno l’obbligo di fare questo vaccino però è fortemente consigliato;
per chi viaggia all’estero c’è la medicina dei viaggi presso la ASL, in cui si offre il vaccino a
persone che devono fare viaggi all'estero, magari in aree con alta endemia per alcuni tipi di
malattia. Presso questa medicina dei viaggi, a parte l'epatite B, è possibile fare delle
vaccinazioni offerte gratuitamente a seconda delle aree in cui ci si dirige, per cui quando si
organizza un viaggio può essere importante rivolgersi preventivamente alla medicina dei viaggi
in cui viene consigliato quali vaccinazioni, a seconda anche dell’emergenza sanitaria
momentanea, è possibile o è richiesto fare. Quindi vengono fornite indicazioni comportamentali
e vaccinali e il vaccino viene fornito gratuitamente;
operatori ecologici;
omosessuali;
forze dell’ordine.
Per quanto riguarda la DIFFUSIONE dell’epatite B, in Italia c’è una riduzione di casi nel corso
degli anni. Un dato raccapricciante è il fattore di rischio relativo all’esposizione ai trattamenti di
bellezza (pedicure, manicure), piercing e tatuaggi, oltre all’esposizione nosocomiale. Le regioni con
più casi sono: Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Lazio perché la grande metropoli
espone ad un rischio maggiore soprattutto per queste malattie che hanno una trasmissione per via
sessuale o parenterale. Inoltre, in Puglia spesso approdano immigrati, quindi c’è un transito di
persone estremamente elevato che ne favorisce il contagio. Nel 2018 si riduce il numero dei casi di
epatite B acuta con esposizione sessuale come fattore di rischio passando dal 28% a circa 20%.
È una malattia estremamente subdola perché, a differenza dell’epatite A che dopo un periodo di
incubazione insorge rapidamente con l'ittero, cioè una pigmentazione gialla della pelle, e con
febbre, quindi ci si accorge di avere questo tipo di infezione in atto, invece con l’epatite B non
sempre è così quindi il virus colpisce le cellule del fegato, comincia ad insediarsi e a creare un
danno che non è subito manifesto e questo facilita la modalità di trasmissione perché se non si sa di
avere l’infezione non si mettono in atto tutta una serie di prevenzioni che il caso richiede. L'ittero
poche volte si manifesta nel caso dell'epatite B e tante volte ci si accorge di questo perché si fanno
delle analisi da cui vengono fuori valori epatici sballati, come le transaminasi, che fanno ipotizzare
un danno epatico, mentre indagini supplementari fanno emergere che c'è l'infezione da HBV.
L’epatite C è più subdola perché, a parte il fatto che non c'è un vaccino, con l’epatite B facendo
delle analisi si rileva un movimento dei valori, invece nel caso dell'epatite C c'è un andamento
ondulante per cui con le analisi si può trovare tutto in regola ma magari c'è il virus e quindi è più
facile che ci sia la trasmissione.
L’INFLUENZA è la classica malattia ad eziologia virale altamente contagiosa che circola nel
periodo invernale, con cui ci si confronta ogni anno, ed è provocata precisamente dei VIRUS
INFLUENZALI, virus che colpiscono e infettando le alte e le basse vie respiratorie (naso, gola,
polmoni). Tante volte si parla di influenza perché la sintomatologia dell’influenza è piuttosto
aspecifica in quanto ci sono tantissimi virus parainfluenzali, sia di natura batterica che virale
(Adenovirus, Rhinovirus, virus sinciziale respiratorio, ecc.), che provocano lo stesso quadro clinico
dell’influenza (mal di gola, febbricola, raffreddore, ecc.). È importante avere cognizione di questo
perché tante volte si dice di aver fatto il vaccino contro l'influenza e poi ci ammala di influenza, ma
magari non è appunto influenza. L'influenza è determinata da un virus ben preciso che si chiama
ORTHOMMYXOVIRUS, un virus a RNA strutturato con degli spike esterni, ovvero
estroflessioni, che identificano i due antigeni del virus: Emoagglutinina (antigene H) e
Neuraminidasi (antigene N). All'interno c'è una ribonucleoproteina contenente l'RNA. Il virus si
trasmette attraverso le particelle di Flügge e il contagio può avvenire sia prima, sia durante, sia dopo
la manifestazione dei sintomi (per i 5-7 giorni successivi alla comparsa dei sintomi, una persona
adulta può trasmettere il virus da tre a sette giorni dopo l’inizio della malattia. I bambini invece
sono contagiosi più a lungo), quindi anche nella fase pre-clinica, cioè nella fase di incubazione,
quando non ci sono ancora i segni eclatanti della malattia manifesta. I virus trasmessi possono
essere di tre tipi, possono essere distinti sulla base degli antigeni in: virus di tipo A, virus di tipo B e
virus di tipo C.
Virus tipo A, in cui il serbatoio è sia l'uomo che gli animali (anatre, polli, suini) ed è un virus
che provoca delle forme di epidemia, di pandemia, soggetto a drift e shift antigenici
Virus tipo B, in cui il serbatoio è soltanto l'uomo e non l'animale ed è un virus che provoca
delle forme di epidemia, soggetto soltanto a drift antigenico
Questi due virus sono quelli che interessano l'uomo.
Virus tipo C, associato a casi sporadici, infatti è un virus che provoca forme di epidemia
minori.
Con DRIFT e SHIFT ANTIGENICI si intende che il virus subisce dei cambiamenti genetici: il
virus che va incontro a drift antigenico ha subìto delle variazioni antigeniche minori, ossia i suoi
antigeni hanno subìto delle modifiche soltanto in piccole parti pur lasciando al virus una
caratteristica comune, invece quando il virus subisce uno shift antigenico significa che va incontro a
delle variazioni maggiori, ossia il virus è cambiato completamente, non solo in una piccola parte di
quell' antigene, c'è stato un riassortimento genetico del virus di tipo A che infetta gli uomini e
quello di tipo A che infetta l’animale. Il riassortimento genetico determina la comparsa di un virus
completamente nuovo che può creare dei seri problemi. Questo tipo di riassortimento genetico
solitamente avviene nel suino abbiamo visto che il virus influenzale di tipo A può infettare sia
l’uomo che l’animale, allora a volte accade che il virus che infetta l’uomo e il virus che infetta i
volatili da cortile (vedi l’influenza aviaria) si incontrano in un animale che solitamente è il suino e
all'interno di questo animale, che è venuto a contatto sia con il virus di provenienza umana sia con
quello di provenienza animale, durante le fasi di replicazione di questi virus ci può essere uno
scambio di materiale genetico; di conseguenza il riassortimento genetico fa emergere un virus
dell’influenza che è completamente nuovo. Ci si trova di fronte così ad una forma di influenza di
cui non si conoscono le caratteristiche del virus e per il quale non si è preparati con un vaccino.
Questo è quello che è accaduto con l’influenza spagnola. Per il caso del covid c'è stata una
mutazione nell’animale, ma secondo l’ipotesi più accreditata in questo caso il virus si è adattato nel
pipistrello e c'è stato un salto di specie nell’uomo; qui invece c'è un riassortimento di virus dello
stesso tipo, ovvero del tipo A, che mescolano il corredo genetico. Il problema è che, quando ci sono
queste variazioni minori quindi c'è un cambiamento nel virus del suo antigene, ci sono così ogni
anno virus dell'influenza diversi e questo spiega perché bisogna fare la vaccinazione contro
l'influenza, in quanto virus dell'influenza man mano che si replica va incontro a continue mutazioni
degli antigeni e ad ogni antigene corrisponde un proprio anticorpo, perciò gli anticorpi prodotti per
il virus dell’influenza dell’anno precedente non vanno bene per quelli dell’anno successivo.
Diversamente, gli shift antigenici si verificano mediamente ogni 40-50 anni, quindi fortunatamente
non sono molto frequenti.
La PREVENZIONE per poter controllare la circolazione dell’influenza prevede:
la sorveglianza epidemiologica e l’utilizzo di alcuni laboratori di riferimento a livello mondiale,
perché l’influenza comincia a circolare all'inizio dell'inverno allora bisogna vedere i primi casi
sospetti di influenza che si verificano per isolare il virus e capire qual è il virus in quell'anno, in
modo tale da poter mettere in atto una vaccinazione di cui ci si è già premuniti in tempo utile in
quanto è ormai risaputo che ogni anno ci sono dei drift antigenici che si possono prevedere
statisticamente. Chiaramente prima si isola il virus, prima si perfeziona il vaccino e prima sarà
pronto;
vaccinazione.
Il VACCINO è la prima forma di prevenzione e ne esistono di diversi tipi:
vaccino costituto da virus intero, che però può creare problemi nelle persone allergiche alle
uova perché contengono le proteine delle uova in cui virus viene fatto crescere;
vaccino costituito da split, quindi con frammenti del virus;
vaccino costituito da subunità, quindi costituiti dalla componente antigenica (antigeni di
superficie in tal caso).
Il vaccino viene preparato sulla base delle previsioni di mutazione a cui può andare incontro il
virus, quindi si individuano i ceppi dominanti e le nuove varianti emergenti che hanno maggiori
probabilità di verificarsi.
I PROBLEMI a cui si va incontro con l’influenza, sono che: ci sono migliaia di casi concentrati in
poche settimane, perché l'influenza si diffonde molto velocemente in quanto provoca epidemie
come tutte le malattie a trasmissione aerea; la diagnosi è molto spesso poco specifica perché con il
raffreddore, la tosse, ecc. si dà per scontato che possa essere influenza e magari poi così non è; la
diagnosi eziologica, cioè la ricerca e la conferma che si tratti di influenza, la eseguono pochi
laboratori specializzati e non sempre il medico richiede il tampone per poter verificare che si tratti
di virus influenzale, quindi ai primi sintomi si comincia con la terapia e non si va a fondo con la
diagnosi eziologica.
Le epidemie influenzali annuali sono associate ad alta morbosità (elevato contagio) e mortalità
(decessi per influenza o situazioni correlate all’influenza). Il Centro Europeo per il Controllo delle
Malattie (ECDC) stima che in media circa 40.000 persone muoiono prematuramente ogni anno a
causa dell’influenza e questo si verifica di solito in soggetti anziani o comunque di sopra dei 65
anni (90%), specialmente quelli con condizioni cliniche croniche di base.
Per la PREVENZIONE ci si avvale:
dell’igiene respiratoria, che non da tutti è ben controllata e ben gestita e riguarda il
contenimento della diffusione degli starnuti, dai colpi di tosse, evitando la diffusione delle
particelle di Flugge;
dell’igiene delle mani, in particolare dopo essersi soffiati il naso o dopo aver starnutito o tossito,
in quanto si evita la diffusione mettendo la mano a coprire ma questa poi è contaminata e con
quella mano si toccano gli oggetti che vengono toccati anche da altre persone.
L'ECDC ha validato una serie di misure di prevenzione, raccomandazioni di tipo non farmacologico
per limitare la circolazione del virus dell’influenza:
1. Lavaggio delle mani (in assenza di acqua, uso di gel alcolici), fortemente raccomandato.
2. Buona igiene respiratoria: coprire naso e bocca quando si starnutisce o tossisce, buttare i
fazzoletti e lavarsi le mani, raccomandato.
3. Isolamento volontario, nel senso che in corso di influenza bisogna stare in isolamento ed evitare
di avere contatti sociali, di andare a lavorare, di andare a scuola, ecc. Non è obbligatorio, ma è
raccomandato e si basa sul buon senso del bambino ma soprattutto dei genitori.
4. Uso di mascherine, da parte delle persone con sintomatologia influenzale quando si trovano in
ambienti sanitari (ospedali, case di cura per gli anziani) ed è raccomandato.
Alle raccomandazioni di tipo comportamentale va associato l’utilizzo di anti-virali e della
vaccinazione, cioè le misure di prevenzione basate sui presidi farmaceutici.
I soggetti da VACCINARE, ogni anno con una sola dose di vaccino (salvo diversa indicazione da
parte delle autorità sanitarie), sono:
i bambini di età superiore ai 6 mesi;
i soggetti che hanno un’età superiore ai 65 anni, quindi soggetti anziani;
soggetti affetti da patologie croniche importanti, ovvero i soggetti affetti da BPCO
(broncopneumopatia cronico ostruttiva) ovvero che hanno un’affezione dei bronchi o dei
polmoni in maniera cronica e quindi avendo già dei problemi all’apparato respiratorio il virus
influenzale peggiora la situazione portando a delle complicanze, ma anche altre malattie come
malattie dell’apparato circolatorio, diabete mellito, insufficienza renale cronica, malattie degli
organi, tumori, malattie congenite, malattie infiammatorie, patologie associate, epatopatie
croniche;
i lavoratori addetti ai settori di pubblica utilità, anche se sono sani perché in ospedale potrebbero
contagiare le persone più fragili e potrebbero diffondere il virus in ambito sanitario portando ad
una limitazione del personale a disposizione nell'ospedale, così vengono sollecitate queste
persone che non sono tanto a rischio per sé ma per la collettività, quasi come fosse un obbligo
etico a proteggere gli altri.
Il problema sostanziale non è tanto il virus dell'influenza quanto le complicanze di natura batterica a
cui si può andare incontro quando c'è l’influenza, cioè la presenza del virus influenzale nelle vie
respiratorie facilita ad alcuni batteri, che magari sono già presenti come lo pneumococco, il
percorso e la propensione a dare delle forme di polmonite, tanto che non a caso quando c’è
l’influenza, soprattutto in alcune persone più fragili, subito viene data una terapia antibiotica.
La PEDICULOSI non è una vera e propria malattia e può essere determinata da batteri, virus,
miceti, parassiti; uno di questi casi è rappresentato dai PIDOCCHI che provocano la pediculosi che
tanto circola e tanto preoccupa l'ambiente scolastico. Quindi la pediculosi è determinata da questi
parassiti obbligati, ossia parassiti che possono sopravvivere soltanto in presenza dell’uomo da cui
prelevare il sangue e quindi nutrimento per sé stesso, che possono colpire diverse parti del corpo. Vi
sono tre diversi tipi di pidocchi:
pidocchio del corpo (Pediculus Humanus Corporis), che si attacca a qualsiasi sito corporeo e
circola prevalentemente in quelle situazioni di promiscuità, di calamità naturali, quando ci sono
guerre, pertanto in condizioni igieniche che diventano estremamente difficili da gestire,
condizioni sociali estremamente disagiate, di conseguenza il passaggio di questi pidocchi da un
soggetto all'altro diventa più facile. È, infatti, l’unico pidocchio possibile vettore di
microrganismi patogeni per l’uomo;
pidocchio del pube (Pthirus Pubis), correlato ad una trasmissione per via sessuale, infatti,
attacca la zona pubica ma può interessare anche i peli delle ascelle e delle sopracciglia;
pidocchio della testa (Pediculus Humanus Capitis), che circola più facilmente nelle strutture
scolastiche e nelle strutture pediatriche. Si tratta di un parassita di circa 4 mm (da 1 a 4 mm) di
lunghezza (la femmina generalmente è più grande), attacca prevalentemente il cuoio capelluto e
determina delle forme epidemiche nelle strutture collettive, ecco perché lo ritroviamo
prevalentemente nelle aule scolastiche.
Hanno tutti più o meno una stessa struttura, però sono modellati a seconda del sito corporeo che
andranno a parassitare, pertanto il pidocchio del corpo pur avendo tre zampette ha un corpo più
affusolato, quello del pube è più rotondeggiante, quello della testa è un po’ più bombato in quanto
adattato più al capo che ad una struttura liscia come può essere il corpo. Ciò che li differenzia sono
in realtà gli uncini che permettono una adesione del pidocchio al substrato umano, quindi alla cute
dell’uomo. Il pidocchio è un insetto privo di ali, quindi non è in grado di volare, ha un corpo
appiattito e ha un apparato boccale che gli permette di perforare la cute degli ospiti da cui prelevare
il sangue, attaccandosi fortemente sia al cuoio capelluto che al capello attraverso 6 uncini che
identificano le zampe del parassita. Si nutre prevalentemente del sangue che preleva dal derma con
questi stiletti. Durante l'atto di perforazione libera la saliva che viene immessa nella ferita cioè nel
punto in cui c'è questa puntura, e inietta sostanze che determinano una reazione infiammatoria.
Quindi è un processo infiammatorio che si innesca e che determina l'insorgenza del prurito. In
genere la vita media di un parassita adulto è di 30-40 giorni e la femmina depone circa 300 uova
nell'arco di 7-8 giorni. Le uova o lendini, una volta prodotte e liberate, aderiscono con una sostanza
chitinosa al capello e queste hanno un colore più biancastro rispetto al parassita che ha un colore più
grigio: sono proprio queste uova che si vedono quando si è affetti da pediculosi e che sono
distribuite su tutto il capello. Le uova di più recente emissione e deposizione sono più vicine al
cuoio capelluto, quindi più vicine alla radice del capello, man mano che le ritroviamo lontano dalla
radice significa che sono state deposte da più giorni. Al di fuori del proprio ambiente, cioè la testa
dell’uomo, il pidocchio sopravvive solo 1 o 2 giorni. Non sempre il pidocchio si riesce a vedere,
soprattutto all'inizio perché è molto piccolo.
La MODALITÀ DI TRASMISSIONE è sempre per contatto fisico, in particolare per trasmissione
diretta testa-testa, attraverso i capelli, quindi non avviene il passaggio dei parassiti o delle uova da
un soggetto all’altro in quanto il parassita non vola e non salta ma passa semplicemente perché c'è
un contatto ravvicinato. Molto frequente è anche la trasmissione indiretta tramite scambio di oggetti
personali, vestiti, capelli, sciarpe, giacche, per esempio quando a scuola i cappotti vengono messi
uno sull’altro nelle aule per via dello spazio insufficiente, i cappelli che cadono a terra o che
vengono scambiati molto spesso tra bambini, oppure per contatto tra biancherie come cuscini,
federe, lenzuola, ecc.
Nelle scuole, il problema non è essenzialmente la pediculosi, perché non è una malattia per cui
allarmarsi, tanto che non è considerata nemmeno una vera malattia ma una parassitosi, ma piuttosto
la disinformazione che porta a gestire male il problema. Quando c'è un bambino che ha la
pediculosi, i genitori tendono a nascondere il problema perché si ritiene erroneamente che la
circolazione del pidocchio della testa sia correlata ad una scarsa igiene personale e, nascondendo il
problema, fanno un danno enorme perché non comunicandolo ne permettono la trasmissione ad altri
bambini perché i bambini stanno tutti a stretto contatto tra loro e nello stesso tempo impediscono
che si intervenga con dei sistemi risolutivi. Ecco che allora è importante che il genitore lo
comunichi all'insegnante, l'insegnante dovrà comunicarlo al dirigente scolastico e il dirigente
scolastico dovrà fare una informativa tramite volantini o una circolare per informare tutti i genitori
che nella scuola circolano i pidocchi, in modo tale da mettere in atto i sistemi di gestione della
pediculosi (o parassitosi) da parte di tutti. Non è assolutamente etico e corretto isolare il bambino
che viene considerato responsabile ovvero il primo bambino che ha cominciato a diffondere la
parassitosi, ammesso che si possa risalire al responsabile dato che diventa complicato capirlo
non interessa sapere chi ha dato inizio a ciò. Piuttosto sta al buon senso del genitore che si accorge
che il figlio ha i pidocchi di intervenire con i sistemi per gestire la pediculosi, quindi trattamento
con shampoo specifico, aspettare qualche giorno e poi mandarlo a scuola, ma non c'è nessun
obbligo del bambino di restare a casa. È probabile che bisogni ripetere più volte il trattamento con
lo shampoo in modo tale da risolvere definitivamente il problema, perché i pidocchi si adattano a
questi prodotti diventando resistenti, quindi non sempre rispondono bene, soprattutto se si tratta di
bambini con capelli lunghi e ricci.
La SINTOMATOLOGIA CLINICA si manifesta con un forte prurito che aumenta con l'aumento dei
pidocchi adulti che pungono e prelevano il sangue iniettando la saliva e innescando il meccanismo
infiammatorio. Le uova sono localizzate prevalentemente, almeno all'inizio, a livello della nuca,
delle tempie, e dietro le orecchie, quindi quando si vuole fare un’ispezione per verificare se il
bambino è affetto da pediculosi sono queste le regioni che vanno ispezionate con attenzione. A
volte si confonde con la forfora, però mentre la forfora toccando il capello va via, i lendini restano
attaccati perché hanno questa sostanza chitinosa che permette loro di aderire fortemente al capello e
vengono rimossi esclusivamente per azione meccanica. Il prurito può persistere anche per qualche
giorno dopo il trattamento perché c’è una reazione di ipersensibilità alla saliva cioè resta questo
sintomo ma non perché ci siano ancora i pidocchi, oppure perché subentra l'eziologia psicogena
cioè diventa una fobia quella di avvertire questo continuo prurito, anche quando se ne parla
(parassitofobia).
Una cosa che molto spesso succede a scuola è che si pensa di poter fare un atto di PREVENZIONE
della pediculosi, ma per la pediculosi non ci sono prodotti chimici che permettono di prevenire,
anche perché questi prodotti hanno una azione estremamente temporanea, quindi è solo una
questione commerciale. La vera prevenzione è quella di ispezionare tenere sotto controllo il
bambino soprattutto nella scuola primaria in cui i bambini mettono meno in atto le condizioni
igieniche richieste e non hanno tutte quelle attenzioni che dovrebbero avere tutti i bambini più
grandi e gli adolescenti, pertanto il contatto da uno all'altro è più facile e la trasmissione diventa più
rapida. Non appena si nota questa situazione bisogna intervenire, infatti se l’insegnante avendo in
classe dei bambini per tante ore e tenendoli sotto controllo magari si accorge che il bambino si
gratta continuamente e tende ad avere questo fastidio, oltre al fatto che quando c'è una situazione di
pediculosi il bambino tende ad essere in uno stato di irritabilità maggiore, lei ha il dovere di
percepire questi atteggiamenti e in separata sede, con estrema delicatezza, può far notare questa
condizione ai genitori, perché comunque l'insegnante non può permettersi di ispezionare il
bambino.
Un'altra infestazione legata alla parassitosi è la SCABBIA, in cui c’è un parassita altamente
contagioso che si trasmette da un soggetto all'altro; crea un forte prurito e circola prevalentemente
nelle comunità pediatriche o comunque negli ambienti più affollati dove non c'è il massimo delle
attenzioni igieniche. L’agente eziologico è un ACARO (sarcoptes scabei hominis) che fa parte della
famiglia degli ACARI (acaro della polvere, ecc.), di forma tondeggiante e di colore biancastro.
L’infestazione della scabbia è legata prevalentemente all’acaro femmina perché il maschio, dopo
aver fecondato la femmina, muore. La femmina scava delle gallerie nell’epidermide sotto lo strato
corneo della cute e percorre 2 mm al giorno, deponendo circa 10-25 uova e rilasciando feci prima di
morire. Queste uova maturano nell’arco di 2 settimane e poi ricomincia un nuovo ciclo ed altri
parassiti continuano a creare queste gallerie all’interno del sottoderma.
La MODALITÀ DI TRASMISSIONE è il contatto diretto, soprattutto sessuale, con persone affette
da scabbia o contatto indiretto tramite vestiti, biancheria, asciugamani, ecc.
L’acaro femmina può sopravvivere fuori dalla cute solo 2-3 giorni. Il periodo di incubazione è in
genere inferiore ad 1 mese ma può estendersi anche a 2 mesi, a seconda di quanto velocemente la
femmina viene fecondata e quando incomincia questo processo infiammatorio. Non ci sono delle
zone fisse in cui si localizza l’acaro femmina, ma variano in tutto il corpo a seconda dell’età e del
sesso della persona infestata. Le principali sedi sono: ascelle, addomi, genitali, ginocchia, caviglie,
gomiti, polsi, natiche, spazi interdigitali, areole mammarie, piante dei piedi (bambini). Si pensi a
cosa accade quando comincia un’infestazione di questo tipo nei paesi degradati in cui le condizioni
igieniche sono meno attente.
La MANIFESTAZIONE CLINICA della scabbia presenta un forte prurito, soprattutto durante la
notte quando aumenta la temperatura e c'è una maggiore attività da parte del parassita, creando dei
cunicoli che si rigonfiano a formare delle vescicole perlacee nella parte terminale; si possono
formare delle escoriazioni legate al forte prurito che determinano una maggiore possibilità di
trasmissione degli acari da un soggetto all'altro; infine, si possono creare dei noduli legati alla
presenza e all’accumulo degli acari, soprattutto sotto le ascelle e a livello dei genitali nei bambini
che non si accorgono immediatamente di questo fastidio.
Le MICOSI sono malattie provocate dai MICETI ossia funghi microscopici che provocano delle
malattie nell’ospite. Tra le varie malattie che questi miceti possono provocare ci sono malattie più
lievi e facili da gestire e malattie molto gravi di difficile gestione. Mentre le micosi più gravi
interessano una categoria di persone più delicata con un sistema immunitario gravemente
compromesso, le MICOSI MUCO-CUTANEE sono quelle micosi superficiali con cui più
facilmente si viene a contatto e interessano la popolazione generale in periodi transitori. Queste
micosi muco-cutanee sono infezioni che interessano le mucose, la cute o gli annessi cutanei (peli,
capelli, unghie) quindi hanno un interesse per le zone più superficiali dell’organismo; inoltre,
avviene un contatto dall'esterno verso l'interno. I miceti si distinguono in lieviti e muffe: i lieviti
sono dei commensali dell'uomo cioè si ritrovano nella flora microbica a livello intestinale, a livello
del cavo orale, a livello della cute; le muffe, invece, sono dei saprofiti ambientali cioè si ritrovano
nell’ambiente senza che arrechino alcun danno all'uomo o all’ambiente stesso. In alcune situazioni,
però, sia i lieviti commensali sia le muffe saprofiti possono creare problemi all'uomo.
Allora i FATTORI DI RISCHIO per l’insorgenza delle micosi superficiali in genere possono essere:
le prolungate terapie, ad esempio antibiotiche perché si distrugge la flora batterica facendo sì
che miceti commensali possano prevalere e provocare un processo infettivo;
gli squilibri ormonali, ad esempio di diabete perché i miceti sono microrganismi che prediligono
gli zuccheri quindi il soggetto diabetico che ha livelli di glicemia alti tende ad essere più
facilmente aggredito;
un’alimentazione scorretta, particolarmente ricca di zuccheri;
le condizioni di stress che fanno abbassare le difese immunitarie favorendo l’insorgenza dei
miceti (stress pre-esame, stress per un periodo particolarmente pieno di attività);
l’utilizzo di indumenti intimi stretti e sintetici che favoriscono la sudorazione e, favorendo la
sudorazione, fanno attecchire l'azione patogena di questi microrganismi;
l’igiene personale che è importante ma con un giusto equilibrio perché l’igiene personale,
soprattutto l’igiene intima, deve essere costantemente messa in atto ma, come per l'igiene delle
mani, non bisogna esagerare in quanto si va ad alterare l’equilibrio microbico che favorisce la
sopraffazione dei miceti;
gli stili di vita errati e l’utilizzo di cosmetici che favoriscono l’attacco dei miceti;
determinate aree geografiche e fattori climatici, perché alcuni di questi miceti prediligono
alcune aree climatiche.
Tra i lieviti rientra il genere CANDIDA che molto spesso crea delle candidosi vaginali o infezioni a
livello genitale.
I FATTORI DI RISCHIO per le candidosi sono:
l'età (neonati e anziani sono più facilmente aggredibili da parte di microrganismi normalmente
innocui);
i disordini ormonali, che si possono verificare anche in maniera fisiologica (periodo pre-
mestruale, in cui la candidosi vaginale tende a regredire subito dopo il ciclo mestruale oppure
durante la gestazione o la gravidanza);
le terapie antibiotiche prolungate;
la presenza di neoplasie quindi di tumori che, per il tipo di terapie che si fanno, predispongono
ad uno stato di compromissione del sistema immunitario.
La dermatite da pannolino è un’infezione legata alla candida che avviene nei bambini in cui non è
stato subito cambiato il pannolino, quindi c'è stato un ristagno di urine e feci pertanto sulla cute
estremamente delicata la presenza di questi lieviti, che sono normalmente presenti nell’intestino del
neonato per il latte artificiale che beve, facilita questo tipo di irritazione; un’altra dermatite si può
verificare a livello inguinale in condizioni di umidità, pertanto bisogna evitare il più possibile
indumenti molto stretti, soprattutto in estate, e indumenti sintetici; o ancora, si può verificare negli
spazi interdigitali delle mani. Le micosi si possono verificare a livello delle unghie (onicomicosi)
per cui è facile imbattersi soprattutto nei centri estetici attraverso strumenti non sterilizzati o smalti
infettati; altre micosi si possono verificare a livello del derma (nei bambini o adulti attraverso il
contatto con la sabbia al mare), quindi può avvenire una ptyriasis versicolor che presenta macchie
che si evidenziano soprattutto quando c'è una lunga esposizione al sole (abbronzatura) attraverso
una diversa pigmentazione che interferisce con la normale pigmentazione della cute e sono quelle
chiamate generalmente “funghi”; un’altra micosi sono le dermatofitosi provocate da dermatofiti
cioè muffe che prediligono esclusivamente il derma e possono interessare sia gli uomini che gli
animali, invadendo lo strato più esterno e sono quelle chiamate comunemente “tigne”. Queste tigne
sono localizzate in diverse sedi, infatti esiste la tigna capitis a livello della testa, la tigna cruris a
livello dell’inguine, la tigna pedis a livello dei piedi (il piede d'atleta è un’infezione da dermatofiti e
si chiama così perché intanto questi microrganismi circolano negli ambienti sportivi o comunitari
dove il contagio può avvenire facilmente, poi anche l'utilizzo di scarpe di gomma anche per tante
ore, sono condizioni predilette da questi dermatofiti) ed altre.
Le micosi sono raramente contagiose: il contagio di micosi da candida è possibile ma difficilmente
si verifica, però per esempio se c'è una candidosi vaginale si preferisce far fare la terapia ad
entrambi i partner, anche se il contagio per via sessuale non è documentato e sicuro al 100%;
mentre in particolare per quanto riguarda le dermatofitosi (tigne) il contagio è sicuro.
In questo ambito il contatto con gli animali è estremamente importante perché a parte che gli
animali possono essere affetti da tigne, ma aldilà di questo gli animali, soprattutto dal pelo lungo,
possono essere portatori di questi microrganismi e quindi contagiare l'uomo (i conigli in
particolare).
Il problema in questo momento storico è che si è creato uno squilibrio alimentare in tutte le fasce di
età perché si è bombardati da una serie di problematiche che inevitabilmente portano molto spesso
ad assumere una dieta alimentare non adeguata.
Le CAUSE sono l’utilizzo inappropriato degli integratori alimentari che non devono assolutamente
sostituire un pasto; le diete dimagranti, molto spesso fai-da-te non valutate in base alle proprie
esigenze quindi messe in atto senza suggerimenti da parte degli esperti del settore ma
semplicemente consultando Internet o comunque fonti non prettamente scientifiche; l’utilizzo
inappropriato di farmaci dimagranti che hanno un effetto deleterio (in passato molte persone hanno
avuto problemi a livello psichico perché c'erano tanti nutrizionisti e dietologi che prescrivevano
come farmaci dimagranti le amfetamine ovvero sostanze che accelerano il metabolismo ma che
facevano anche subentrare uno stato depressivo); i problemi estetici, per cui si altera la propria dieta
alimentare equilibrata per una questione di estetica; il consumo di cibi esotici, in quanto se si è
fisiologicamente predisposti alla dieta mediterranea che prevede il consumo di prodotti tipici in
maniera equilibrata, il consumo di pietanze che sono invece proprie di altre aree geografiche non
può trovare un riscontro costante perché non si è fisiologicamente portati ad assimilare i principi
nutritivi che provengono da quelle pietanze, per cui è bene che non diventi un’abitudine; i fast food
sono la causa più importante di squilibri alimentari perché le pietanze sono un concentrato di grassi
(ipercaloriche) che a primo impatto sembrano aver attutito il senso di fame ma in realtà hanno
permesso di ingerire soltanto delle calorie incrementando il peso senza che possano apportare
realmente i principi nutritivi di cui l’organismo necessita; infine, il consumo di cibo veloce e
indifferente, cosa che si è costretti a fare giusto per tamponare il senso di fame.
Di conseguenza, per raggiungere uno stato di salute e di benessere è necessaria un’alimentazione
equilibrata e intelligente cioè un tipo di alimentazione in grado di soddisfare i fabbisogni
dell’organismo quantitativamente (calorie) e qualitativamente (composizione bromatologica e
varietà degli alimenti), tenendo conto delle necessità psicologiche e socioculturali dell’individuo.
Il tutto è basato sul METABOLISMO dell’individuo, che rappresenta il ritmo con cui l'organismo
consuma energia attraverso la degradazione dei prodotti in elementi ultimi, degradazione che non fa
altro che produrre calore.
Il FABBISOGNO CALORICO GIORNALIERO da uomo a donna, ma varia anche nell’ambito
dello stesso sesso a seconda dell’età, dell'altezza, del peso, ecc. Il fabbisogno energetico diminuisce
con l’avanzare dell’età, infatti in età senile c’è meno necessità di introdurre calorie perché gli
anziani hanno bisogno di poco cibo in quanto il metabolismo è rallentato proprio in base all’età.
Il METABOLISMO BASALE (1600/1800 kcal per l’uomo e 1200/1400 kcal per la donna) è quel
metabolismo in cui la produzione di calore avviene quando si è in una condizione di riposo ed a una
temperatura costante: di conseguenza, se si è in un ambiente freddo con temperatura bassa il
metabolismo aumenta per far fronte alla perdita di calore e mantenere costante la temperatura
corporea (NB. il calore passa da un corpo caldo ad un corpo freddo), al contrario se si è in un
ambiente caldo con temperatura alta il metabolismo rallenta in modo tale da limitare la produzione
di calore perché altrimenti producendo più calore si andrebbe in ipertermia cioè aumenterebbe
troppo la temperatura rispetto al valore costante previsto di 36-37°.
Il metabolismo varia anche in base alle attività che compie il soggetto, per cui ad esempio per un
soggetto lavoratore il fabbisogno calorico giornaliero è mediamente di 3200 kcal al giorno, di cui
500 kcal sono di riposo, 1500 kcal di metabolismo basale e 1200 kcal di attività lavorativa; questo
implica che maggiore sarà l’attività maggiore sarà la necessità dell’organismo di introdurre
alimenti.
Quando si parla di alimentazione e di nutrizione, si parla anche di MALNUTRIZIONE in cui vi è
una carenza di sostanze alimentari. Per malnutrizione, in realtà, si è portati a pensare ad una
malnutrizione in difetto in cui si ha carenza di alimenti più che di sostanze alimentari: si pensa
quindi ai paesi sottosviluppati, alle fasce della popolazione più deboli da un punto di vista
economico. Questo è vero perché nei paesi sottosviluppati molte persone muoiono per
malnutrizione in difetto, poi subentrano carenze immunitarie e conseguenti malattie infettive perché
ci sono le condizioni favorenti.
Ma la malnutrizione non è soltanto per difetto, è anche per eccesso di sostanze alimentari, che può
portare a delle condizioni patologiche inevitabili come il sovrappeso fino all’obesità. Spesso molte
persone vanno incontro all’ipercolesterolemia ovvero valori di colesterolo (grassi che circolano nel
sangue) in eccesso rispetto a quelli che dovrebbero essere presenti ovvero 120 mg per decilitro di
sangue; questo è legato proprio ad un maggior consumo di alimenti ma soprattutto ad una
inadeguata qualità dell’alimento perché ricco di grassi. I valori normali di colesterolo in un soggetto
dovrebbero essere massimo 200 mg/dl ma è un limite esagerato, considerando che nella
prevenzione delle malattie cardiovascolari non devono essere superati i 180 mg/dl. Gran parte della
popolazione presenta valori di colesterolo che superano i 220 mg/dl, quindi significa c'è qualcosa
che non funziona nell’alimentazione.
È possibile classificare la popolazione in base al peso sulla base dell’INDICE DI MASSA
CORPOREA (BMI). Si valuta un parametro che indica se il soggetto, sulla base della sua altezza, si
ritrova in una condizione ottimale o meno di peso. Questo BMI ha dei valori, che se sono al di sotto
di 18,5 indicano sottopeso, da 18,5 a 24,9 indicano normopeso, da 25 a 29,09 indicano sovrappeso e
al di sopra di 30 indicano obesità. L’indice di massa corporea viene stabilito come rapporto tra il
peso e il quadrato dell’altezza del soggetto, il tutto riportato su delle tabelle che indicativamente
offrono le condizioni nutrizionali dell’organismo è un fattore biometrico diretto in grado di
valutare la condizione di salute della popolazione. Esistono anche delle tabelle indicative per i
bambini, estremamente indicative perché ci sono tante altre condizioni che fanno comprendere qual
è la condizione generale del bambino in quanto più delicata e variabile.
Dal sovrappeso si arriva molto facilmente all’obesità, che è la condizione più preoccupante perché
rappresenta l’eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra generalmente
causata da una scorretta alimentazione o da una vita sedentaria. Si tratta di una vera e propria
epidemia globale, cioè una condizione che interessa tutto il mondo (tranne i paesi sottosviluppati) in
quanto l’obesità è il risultato di tanti fattori ambientali e socioeconomici che condizionano
fortemente le abitudini alimentari e gli stili di vita di una intera popolazione.
Nel 2016, in Puglia, la prevalenza in percentuale di persone in sovrappeso ed obese a partire dai 18
anni era, rispettivamente, del 37,4% e del 13,1% (pubblicazione nel 2017).
Secondo il rapporto Osservasalute 2016, che fa riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo
dell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” del 2018 emerge che, dai 18 ai 24 anni la percentuale di
persone in sovrappeso è di 14,8% mentre di persone obese è del 2,6%; dai 65 ai 74 la percentuale di
persone in sovrappeso è di 45,6% mentre di persone obese è del 15,5%. La condizione di eccesso
ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44,5% vs 27,2%; obesità:
11,1% vs 9%). In Italia, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre
una persona su dieci è obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni è in
eccesso ponderale.
Il principale INTERVENTO contro l’obesità è la prevenzione, più che la cura, mettendo in atto uno
stile di vita adeguato con dell’attività fisica, oltre ad una corretta alimentazione. L’attività fisica non
è necessariamente andare in palestra, ma è sufficiente camminare (30 minuti di movimento,
cammino, nuoto, bicicletta, ecc. al giorno, per almeno cinque volte a settimana sono sufficienti per
godere di molteplici benefici).
L'intervento farmacologico o addirittura, quello chirurgico (obesità acuta BMI = 35-40) è necessario
nel momento in cui gli interventi preventivi non sono più sufficienti, né tantomeno gli interventi
risolutivi basati su determinate scelte alimentari o su un’attività fisica. Tra gli interventi più
importanti c’è la riduzione dello stomaco in modo tale da ridurre la sensazione di fame in quanto lo
stomaco più piccolo si riempie più facilmente.
La società italiana di pediatria afferma che in Italia 2 bambini su 10 sono in sovrappeso e 1 su 10 è
obeso. L’obesità non è solo un fenomeno dilagante che continua a diffondersi, ma anche persistente
perché i bambini che oggi sono in sovrappeso avranno in futuro problemi di salute (circa il 50%
degli adolescenti obesi rischia di esserlo anche da adulti). Tanto che c’è stato un cambiamento della
popolazione soprattutto pediatrica, passando da una condizione di sotto-nutrizione (anni 30) al
sovrappeso che interessa quasi il 60% degli italiani, con problema crescente di obesità infantile.
Questi sono dati riportati nell’ultima revisione del 2018 delle linee guida sull’alimentazione e
nutrizione, divulgate dal CREA (Centro di ricerca alimenti e nutrizione). L’ultima revisione è stata
pubblicata a novembre 2019.
Il problema dell’obesità infantile è molto ampio perché si parla di obesità correlata alla tecnologia
che, se da un lato offre tanti vantaggi, dall’altro provoca vari problemi; essa risente della sempre più
frequente abitudine a praticare giochi sedentari, a trascorre il tempo libero guardando la televisione
e/o usando videogiochi e computer, in quanto tra le nuove generazioni sono quasi del tutto
sconosciuti i giochi tradizionali, di movimento. Rallentando il movimento fisico, rallenta anche il
metabolismo provocando un aumento del peso corporeo. Bisogna, quindi, sensibilizzare la
popolazione, informare sui corretti stili di vita.
L’OBESITÀ INFANTILE è una condizione medica caratterizzata da accumulo di grasso corporeo
in eccesso nella misura in cui può portare ad un effetto negativo sulla salute con una conseguente
riduzione dell’aspettativa di vita e aumento dei problemi di salute. Si parla di sovrappeso infantile
quando il peso del bambino è maggiore del 10-20% del peso ideale, di obesità infantile quando il
peso del bambino è maggiore del 20% del peso ideale e di super-obesità infantile quando il peso del
bambino è maggiore del 40% del peso ideale, calcolato in base ad una serie di condizioni
prettamente mediche e gestite dal pediatra.
L’OMS afferma che circa 43 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni sono in sovrappeso; il tasso
annuale della prevalenza dell’obesità infantile è attualmente maggiore di 10 volte quella che
osservavamo negli anni 70. Queste condizioni del bambino o adolescente diventano responsabili
nell’adulto per l'80% dei casi di diabete di tipo 2, per il 55% dei casi di ipertensione arteriosa, per il
35% delle cardiopatie ischemiche. Ciò causa ogni anno oltre 1 milione di morti e 12 milioni di anni
di vita trascorsi in cattive condizioni di salute.
L’obesità infantile si distingue in obesità primitiva o essenziale (95%) e obesità secondaria (5%).
L’OBESITÀ PRIMITIVA è correlata ad una scorretta alimentazione (un introito calorico eccessivo
determina dapprima un sovrappeso e poi, nella maggioranza dei casi, una manifesta obesità e
un’iperalimentazione nei primi due anni di vita oltre a causare un aumento di volume delle cellule
adipose (ipertrofia), determina anche un aumento del loro numero (iperplasia)); ad una sedentarietà
e inattività fisica (bambini o adolescenti spesso accompagnati in macchina dai genitori, prendono
l’ascensore anche per un solo piano, passano ore ed ore davanti al computer e alla televisione,
scarsa attività fisica) e alla familiarità (il 25% dei bambini o adolescenti in sovrappeso ha un
genitore obeso o in sovrappeso, mentre il 34% ha entrambi i genitori obesi o in sovrappeso).
L’OBESITÀ SECONDARIA è, invece, correlata da altre condizioni patologiche di base.
Un ruolo importante in questo contesto è rappresentato dai JUNK FOOD, ovvero tutto il cibo
spazzatura deleterio per lo sviluppo e la condizione di salute del bambino. È quel cibo rappresentato
dalle patatine, merendine, bibite gassate, snack vari ed eventuali ipercalorici (ricchi di zuccheri e
grassi) con bassissimo valore nutrizionale. Esso può portare, quindi, a diverse patologie come la
stessa obesità, ma anche diabete e malattie cardiovascolari.
L’alimento spazzatura è caratterizzato:
da un elevato contenuto di zucchero, solitamente saccarosio;
dalla presenza di farina bianca, quindi estremamente raffinata;
dalla presenza di un’elevata percentuale di grassi saturi e di grassi idrogenati che rendono
gradevole la percezione del gusto.
Queste tre caratteristiche fanno sì che l’apporto calorico anche di piccole porzioni sia comunque
elevato.
dalla presenza di sale o glutammato monosodico, in dosi elevate, di coloranti e altri additivi
chimici;
a volte dalla presenza, al posto dello zucchero, di dolcificanti artificiali cancerogeni;
da carenza o assenza di vitamine, proteine e fibre.
Il ruolo dell’insegnante diventa essenziale perché deve curare lo spuntino nel corso della mattinata
e, ancor più, il pranzo; deve rendersi conto se il bambino consuma realmente le pietanze ed
eventualmente fargli piacere quella pietanza che non gradisce.
Le CONSEGUENZE dell’obesità infantile possono essere precoci con problemi a livello
dell'apparato respiratorio (dispnea, asma), dell’apparato articolare (varismo/valgismo degli arti
inferiori, piedi piatti), dell’apparato digerente (stipsi, reflusso gastroesofageo), dell’apparato
endocrino (pubertà precoce) e dell’apparato psichico (bassa autostima, insicurezza); possono essere
tardive legate all'apparato respiratorio (apnea notturna), all’apparato muscolo-scheletrico
(osteoartrosi, gotta, lombalgia), all’apparato gastroenterico (calcolosi biliare, carcinoma del colon-
retto), all’apparato cardiocircolatorio (ipertensione arteriosa, coronaropatie) all’apparato endocrino
(diabete mellito, dislipidemie, sindrome metabolica) e all’apparato psichico (sindrome depressiva).
Le SOLUZIONI da adottare per l'obesità infantile sono la prevenzione abituando il bambino a 3
pasti regolari e 2 spuntini, non insistendo quando il bambino è sazio, abituando il bambino ai giochi
all’aperto e all’attività fisica, rispettando i ritmi sonno/veglia e l’intervento svuotando cucina e
frigorifero dai cibi tentatori, evitando che il bambino mangi troppo in fretta, evitando di guardare la
tv durante i pasti, facendo preferire i cibi fatti in casa ai prodotti confezionati.
Le TERAPIA per l’obesità infantile per i bambini sotto i 7 anni che non hanno altri problemi
sanitari è il mantenimento del peso, mentre il trattamento per i bambini di 7 anni o più o per
bambini più piccoli con problemi di salute è la perdita di peso, per cui si prescrive una dieta
ipocalorica gestita da chi ha le competenze adeguate associata all’attività fisica.
Gli alimenti rappresentano un problema non solo dal punto di vista della qualità e della quantità
dell'alimentazione, ma anche per quanto riguarda l’igiene degli alimenti e le sue complicanze di
natura microbica. L’alimento è qualsiasi tipo di sostanza o prodotto che può essere ingerito,
comprese bevande e acqua. Esso può rappresentare un veicolo di contaminazione.
La CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA può essere di diversa natura e vede un intreccio di
acqua e feci di animali e uomo, determinando così una contaminazione primaria; può essere
secondaria o crociata per mano di chi gestisce gli alimenti (trasformazione); può essere terziaria o
crociata, legata alla conservazione degli alimenti che sono stati contaminati dall’intreccio; può
essere anche quaternaria o crociata, attraverso il consumo degli alimenti determinando dei rischi più
o meno gravi a seconda del tipo di malattia.
Le possibili CAUSE di contaminazione possono essere dovute: da alimenti crudi già contaminati
all’origine, magari contaminati da acque fognarie; ad un’inadeguata temperatura di conservazione;
da alimenti cotti che, nonostante siano stati privati della flora microbica contaminante, vengono mal
conservati.
Bisogna, quindi, intervenire per cercare di prevenire la contaminazione microbica. Per alcuni tipi di
alimenti diventa difficile una totale eliminazione del rischio, ma sicuramente può essere limitata e
portata a dei livelli che inducono una sicurezza alimentare.
In questo contesto, un ruolo importante è rappresentato dalla TEMPERATURA, ricordando che i
vari microrganismi hanno la capacità di sopravvivere a determinati range di temperatura. Il range di
temperatura che va dai 20° ai 40-42° circa è il range di temperatura più pericoloso per l’igiene degli
alimenti perché vi è una rapida crescita della flora microbica e, di conseguenza, i batteri possono
deteriorare l'alimento più facilmente. Man mano che aumenta la temperatura oltre i 45° fino ai 70°
vi è l’eliminazione dei microrganismi, che sarà totale alla temperatura di 120° in quanto vi è
l’eliminazione non soltanto dei microrganismi ma anche delle spore. Al contrario, quando si
abbassa la temperatura rallenta la crescita della flora microbica ma non vi è un abbattimento dei
microrganismi, così come al di sotto dei 0° vi è un’ibernazione dei microrganismi restando però
sempre vitali, tanto che una volta scongelato l'alimento i microrganismi ricominceranno
nuovamente la propria attività e riproduzione. Diventa, quindi, importante non interrompere la
CATENA DEL FREDDO perché ci sono dei range di temperatura in cui i microrganismi si
riproducono più facilmente, motivo per cui da quando la materia prima viene prelevata a quando poi
si giunge al consumo di essa da parte dell’utente è importante che non venga alterata la catena. Lì
dove uno degli anelli venisse meno si creerebbe un rischio per lo sviluppo dei microrganismi e
quindi per la contaminazione dell’alimento in questione. Diventa importante anche tenere sotto
controllo le NORME, non solo igieniche, ma anche del frigorifero, proprio perché a temperature di
frigorifero i microrganismi non vengono uccisi ma ne viene rallentata la loro riproduzione; le buone
norme vogliono che ci sia un’organizzazione adeguata del frigorifero e prevedono ad esempio che
frutta e verdura vengano riposte nei piani più bassi intorno ai 7-10°, la carne e il pesce nei piani
centrali intorno ai 0-2°e i latticini nei ripiani più alti intorno ai 4-5°. Negli ambienti pubblici queste
regole devono essere rigorosamente rispettate perché si va incontro a controlli sanitari (un
frigorifero per la carne rossa, uno per la carne bianca, uno per le verdure, i ripiani ben distribuiti, se
il frigorifero è unico deve essere tutto separato e soprattutto mettendo sempre i cibi cotti o i latticini
nei ripiani più alti in quanto mettendo i formaggi sotto la carne magari questa sgocciolando
potrebbe contaminare i formaggi). Gli alimenti che vanno consumati dopo la cottura devono essere
conservati o a più di 60° limitando lo sviluppo microbico oppure al di sotto di 10°.
Il TEMPO è l’altro fattore determinante affinché il microrganismo si replichi e raggiunga valori
elevati tanto da creare problemi. La CONSERVAZIONE A FREDDO, per il rallentamento o
l’arresto dello sviluppo dei microrganismi e delle reazioni chimiche interne al prodotto, avviene per
refrigerazione a 0-10°, congelamento a -15° e surgelazione a -18°. La differenza tra congelamento e
surgelazione è che il congelamento avviene in maniera lenta e graduale permettendo la perdita delle
sostanze nutritive (ambito domestico), mentre la surgelazione è molto più rapida e questo fa sì che
vengano conservate meglio le sostanze nutritive. Con lo SCONGELAMENTO, i microrganismi
cominciano nuovamente a replicarsi, provocando un danno all’alimento. Gli alimenti quindi devono
essere scongelati gradualmente a temperature di frigorifero, soprattutto la carne in cui non solo la
flora microbica tende a replicarsi (anche se poi la carne viene consumata cotta), ma se c’è uno
scongelamento molto rapido l’acqua della carne che si è congelata non ha il tempo di essere
riassorbita dalla carne stessa ma si perde e viene perso anche il valore nutritivo della carne stessa.
Una differenza è rappresentata dalle verdure che, proprio per evitare che ci sia la perdita di liquidi e
con essa la perdita di sostanze nutritive, non devono essere scongelate preventivamente ma devono
essere immediatamente cotte.
Le REGOLE che l’OMS mette in risalto per evitare il rischio di malattie correlate al consumo di
alimenti sono: mani sempre pulite, superfici pulite, lavare bene le verdure soprattutto se vanno
consumate crude, cuocere a fondo qualsiasi tipo di alimento in modo tale che la cottura possa
arrivare al cuore dell’alimento e non soltanto nella parte superficiale, fare attenzione alla
conservazione soprattutto evitando il contatto tra cibi cotti e cibi crudi, gestire i rifiuti con
accuratezza perché non si possono toccare i rifiuti con le mani o i guanti e continuare a manipolare
gli alimenti, fare attenzione agli animali da affezione.
Le MALATTIE INFETTIVE che possono essere facilmente trasmesse dagli alimenti sono le
tossinfezioni alimentari e le malattie veicolate. Entrambe sono trasmesse dagli alimenti, ma nelle
TOSSINFEZIONI ALIMENTARI il microrganismo trova nell’alimento il substrato ottimale per
potersi riprodurre e all’interno di esso produce una tossina che provoca un danno all’ospite quando
viene consumato. Ne sono esempi il botulismo, le salmonellosi minori, le gastroenteriti da
stafilococco, ecc.
Le caratteristiche che accomunano le tossinfezioni alimentari sono:
assenza di marcate alterazioni dei caratteri organolettici dell’alimento;
colonizzazione massiva dell’agente patogeno nell’alimento prima dell’ingestione;
periodo di incubazione breve;
sintomatologia prevalente a carico del tubo digerente (eccetto per il botulismo, in cui la tossina
raggiunge il sistema nervoso centrale);
spesso responsabili di episodi epidemici.
Le salmonellosi minori sono diverse dalla salmonella typhi che provoca la febbre tifoide, una
malattia veicolata. Rappresentano le forme di gastroenterite più frequenti. Il serbatoio è
rappresentato dagli animali da allevamento soprattutto quelli da cortile e, infatti, gli alimenti più
spesso in causa sono a base di carne o uova (contaminate sia all’interno che a livello del guscio).
La sintomatologia compare abbastanza velocemente nel giro di 12/36 ore con febbre alta, diarrea,
vomito, cefalea, dolori addominali e c’è una possibilità di trasmissione interumana soprattutto nei
bambini perché i bambini rispettano meno le condizioni igieniche dopo aver utilizzato i servizi
igienici.
La gastroenterite da stafilococco aureus è un’intossicazione provocata da un microrganismo che
alberga a livello delle vie respiratorie di soggetti che ne sono portatori, infatti la sorgente come il
serbatoio è sempre l’uomo. È in grado di produrre una tossina termostabile quindi che non si riesce
a debellare anche se trattata ad alte temperature. Gli alimenti più spesso in causa sono le creme o la
panna, la maionese, i tramezzini, i sughi soprattutto elaborati, carni consumate fredde e tutti gli
alimenti molto manipolati.
La sintomatologia compare molto più rapidamente nel giro di 2/4 ore e bruscamente, con vomito e
senza febbre. La contaminazione può avvenire con tosse e starnuti in prossimità degli alimenti, per
questo è fondamentale che chi manipola gli alimenti metta in atto le condizioni igienico sanitarie.
Il botulismo, a differenza delle altre due, è una malattia che non interessa l’apparato gastroenterico
ma il sistema nervoso centrale. Sebbene i primi casi siano stati documentati in seguito al consumo
di salumi contaminati, in realtà gli alimenti più spesso in causa sono le conserve domestiche perché
il microrganismo (clostridium botulinum) è un anaerobio obbligato produttore di spore e sono
proprio queste spore presenti nell’ambiente che contaminano alcuni tipi di alimenti come carciofi,
cavolfiori, funghi, carote, ecc. che per come sono strutturati permettono alle spore si nascondersi
senza problemi. Una volta che questi alimenti vengono messi sottovuoto, si crea la condizione di
anerobiosi permettendo alla spora di geminare e dar luogo al batterio che nel frattempo, durante le
sue fasi di replicazione, produrrà la tossina (tutto ciò accade nell’alimento). La tossina raggiunge il
sistema nervoso centrale con danni più o meno importanti come diplopia, midriasi, ptosi palpebrale
(la tossina è andata ad interagire con quei neurotrasmettitori che portano l’informazione dal sistema
nervoso ai muscoli facendo in modo che ci sia una contrazione e un rilassamento della muscolatura,
così viene bloccato il messaggio e la palpebra che dovrebbe aprirsi invece tende a cadere), portando
alla morte del soggetto per paralisi respiratoria o cardiaca.
Tra i sistemi di prevenzione ci sono:
mantenere il pH inferiore a 4,6 (alimenti molto acidi ossia marmellate, salse di pomodoro, ecc.
non sono a rischio);
portare le conserve a temperature elevate 110- 115° per inattivare la tossina, essendo
quest’ultima termolabile;
con sospetto botulismo, distruggere le conserve in qualsiasi modo alterate che emanano cattivi
odori e in cui si è prodotto gas;
aggiungere alto contenuto di sale (5-10%) o di zucchero;
ridurre acqua libera tramite essiccamento.
L’AULA deve rispettare alcuni criteri: un’altezza minima di 3 metri, una larghezza minima di 6
metri, una superficie di 2 metri quadrati per ciascun alunno (poco più ampia le per scuole superiori)
e un numero massimo di 25 alunni per classe; non devono esserci locali interrati o seminterrati, la
pavimentazione deve essere regolare antisdrucciolo (l’alunno non deve scivolare); ci deve essere
possibilità di illuminazione e areazione il più possibile naturali (no condizionatore) perché tante
malattie a trasmissione aerea è possibile prevenirle facendo arieggiare correttamente l’ambiente,
evitando così la circolazione di microrganismi. Le finestre possono però rappresentare anche un
pericolo perché si può rompere il vetro, ci può essere un contatto accidentale con la finestra aperta o
possibili arrampicamenti, e allora diventano importanti le misure di prevenzione ovvero le aperture
verso l’interno non devono interferire con la disposizione dei banchi, le aperture verso l’esterno
devono essere fissate con sistema di bloccaggio quindi le finestre devono essere a saliscendi
scorrevoli in vetro retinato. L’areazione è importante perché temperatura e umidità bisogna tenerle
sotto controllo: la temperatura deve andare dai 18 ai 22°, l’umidità relativa deve andare da 45 al
50% perché c’è una diretta correlazione tra microclima e condizione di benessere dell’individuo.
L’UMIDITÀ RELATIVA è il rapporto tra umidità assoluta (quantità di vapore presente in 1 metro
cubo d’aria ad una determinata temperatura in un determinato momento) e umidità massima
(massima quantità di vapore che può contenere 1 metro cubo d’aria ad una determinata temperatura)
espresso in percentuale perché così si comprende quanto manca per raggiungere il livello di
saturazione.
Il MICROCLIMA rappresenta tutte quelle caratteristiche chimico-fisiche di un ambiente confinato
che vanno ad incidere sullo stato di benessere psico-fisico del soggetto in quanto tra le varie
caratteristiche chimico-fisiche la temperatura e l’umidità giocano un ruolo prioritario, oltre alla
ventilazione. Essendo l’uomo un organismo omeoterma è necessario mantenere costante la
temperatura corporea, bilanciata dal metabolismo che accelera o rallenta a seconda della
temperatura circostante (se questa è bassa aumenta, se è alta rallenta). Quando c’è una temperatura
che tende ad aumentare la temperatura corporea, il corpo deve termoregolarsi con una serie di
sistemi per liberarsi del calore in eccesso:
per conduzione-convenzione, trasferimento del calore diretto tra due corpi a temperatura
differente o mediante spostamento di materia fluida;
per irraggiamento, trasferimento di calore indiretto tra due corpi a temperatura differente;
per evaporazione, trasferimento di calore attraverso la sudorazione, possibile soltanto se c’è un
tasso di umidità nell’ambiente che permette di sudare in quanto se l’umidità (vapore acqueo) è
troppo elevata non si riesce a perdere calore sottoforma di sudore, viceversa se l’ambiente è
secco con un basso tasso di umidità si riesce a perdere calore sudando.
Ancora, non devono esserci materiali o attrezzature che possano creare condizioni di pericolo per
gli alunni o non fruibilità degli spazi, ci deve essere un’adeguata disposizione di banchi e degli
arredi in modo tale che si possa mantenere una certa sicurezza nel corso della giornata. Importanti
sono anche i servizi igienici che devono essere distinti per sesso, devono essere uno per piano, con
pavimentazione antisdrucciolo (sensibilizzare il bambino ad un uso corretto), l’illuminazione e
l’areazione preferibilmente naturali e le chiusure dei gabinetti dall’interno (escluse scuole materne).
In una scuola, dovrebbero esserci al piano terra le classi più basse e così man mano a salire, ma in
realtà questo non sempre accade. Il problema, infatti, sorge nel momento in cui gli alunni più
piccoli scendono le scale e rischiano costantemente di farsi male; ciò è accentuato dagli zaini che
oggigiorno risultano pesanti, lo stesso valga per i trolley (circolare del ministero: lo zaino non deve
superare il 10-15% del peso corporeo del bambino), che provocano anche problemi di scoliosi.
Fondamentali sono le misure di prevenzione per i termosifoni, che devono essere adeguatamente
protetti.
La scuola è un diritto di tutti i cittadini. Quando però qualcuno non è nelle condizioni di poter
frequentare regolarmente la scuola, subentrano una serie di problematiche in quanto viene meno il
principio costituzionale del diritto all’istruzione. Motivo per cui, nel ’92 emerge la Legge 104 che
assicura agli studenti affetti da gravi malattie un servizio scolastico alternativo. Il MIUR ha messo a
disposizione 2 tipologie di servizio scolastico: la SCUOLA IN OSPEDALE e l’ISTRUZIONE
DOMICILIARE. Quando si parla di scuola in ospedale si parla di insegnanti di scuola primaria che
invece di far lezione con la classe a scuola fanno lezione con la classe in ospedale, per cui bisogna
avere delle qualità emotive molto forti ed essere flessibili in quanto queste insegnanti devono essere
in grado di organizzare la lezione cercando di concentrare il più possibile le nozioni fondamentali
che permettano di mantenersi al passo con gli altri, pur dovendo colmare delle lacune. Ogni scuola
poi ha l’obbligo dell’istruzione domiciliare, nel momento in cui un bambino dovesse ammalarsi
cronicamente.
Ci sono dei PROBLEMI di cui l’insegnante si può accorgere proprio perché ha in classe i bambini
per tanto tempo e riesce ad osservarli uno per uno.
La colonna vertebrale ha una funzione di stabilità e sostegno per l’organismo (vertebre), ma
permette anche il movimento e la deambulazione, legando capo e arti inferiori e superiori. Ha una
capacità di protezione degli organi vitali tra cui il midollo spinale, l'apparato cardiorespiratorio,
l’apparato riproduttivo e l’apparato gastrointestinale. La colonna vertebrale presenta delle curve
fisiologiche ovvero la lordosi e la cifosi; la lordosi si trova a livello cervicale e lombare, mentre la
cifosi si trova a livello dorsale e sacrale. Quando si parla di alterazioni della colonna vertebrale si
parla di iper-cifosi, iper-lordosi e scoliosi (alterazioni patologiche). La SCOLIOSI è un difetto
posturale che più di altri è correlato ad una scorretta posizione; si distinguono due forme di scoliosi,
quella vera e propria legata a traumi oppure un atteggiamento scoliotico ossia una curvatura deviata
rispetto al normale che si percepisce solo quando il soggetto assume determinate posture (è anche
corretto più facilmente rispetto alla scoliosi vera e propria). L’IPER-CIFOSI è un eccesso di
curvatura posturale che tende ad andare verso l’esterno, mentre l’IPER-LORDOSI è un difetto
posturale in cui vi è una curvatura in avanti della colonna vertebrale. Le cause dell’iper-cifosi
possono essere posizioni scorrette per lungo tempo e trascurate, mancanza di esercizio fisico e
cause psicologiche.
La CARIE DENTALE è una patologia ad eziologia batterica che interviene sulla struttura
mineralizzata del dente. La carie dentale è processo progressivamente distruttivo a carico dei tessuti
del dente che può essere determinato da diversi fattori, tra cui microrganismi cariogeni che vanno a
corrodere a lungo andare i tessuti dei denti, una dieta alimentare ricchissima di zuccheri e una
predisposizione del soggetto. L’abitudine di lavarsi i denti dopo aver consumato i pasti diventa un
elemento indispensabile della prevenzione. Un insegnante deve inculcare questo tipo di concetti,
sulla base delle abitudini che il bambino riferisce e lo stile alimentare che il bambino ha di cui
l’insegnante viene inevitabilmente a conoscenza. Un dente è formato esternamente dallo smalto
(che dona l’aspetto traslucido), dalla dentina e dalla polpa all’interno; man mano che il processo
cariogeno va avanti, la carie scende dallo smalto sempre più fino alla totale distruzione del dente
con i conseguenti dolori dovuti al fatto che nella polpa è presente il nervo. Le cause possono essere
predisponenti generali come l’ereditarietà, lo stato immunitario, l’alimentazione, ecc., predisponenti
locali generiche come malposizione dentale, anomalie dentali, ecc. o predisponenti locali specifiche
come l’igiene dentale, e infine possono essere scatenanti locali come microrganismi cariogeni e
placca. Tra gli atti di prevenzione della carie dentale c’è l’informazione, una corretta igiene della
bocca, dei controlli periodici dal dentista, un’alimentazione equilibrata e un irrobustimento dello
smalto.
L’occhio è l’organo di senso che consente di interagire con il mondo esterno; esso regola l’intensità
della luce che proviene dall’ambiente attraverso un diaframma (iride) che permette di modulare la
quantità di luce da percepire, dopodiché la luce catturata viene focalizzata su un sistema di lenti che
formano l’immagine, trasformata poi in una serie di segnali elettrici inviati al cervello perché la
elabori e la interpreti. È formato da tre parti: il globo oculare, l’orbita e gli annessi oculari. Il globo
oculare è una sfera riempita di materiale gelatinoso (umor-vitreo) rivestito da tre membrane:
la sclera (riveste l'esterno dell'occhio), l’uvea (la membrana centrale) e la retina (la membrana più
interna); l’orbita è rappresentata dai tessuti (muscoli e nervi) che circondano il globo oculare; gli
annessi oculari sono le strutture come le palpebre che chiudono e proteggono l’occhio. La struttura
anatomica dell’occhio è composta dalla pupilla, la cornea, il cristallino, il nerbo ottico e la retina,
strutture necessarie per trasformare la luce emessa in immagine inviata al cervello. Durante il corso
della vita, in maniera più o meno precoce, nascono delle alterazioni dell’immagine ovvero si ha una
percezione dell’immagine che non è quella reale come nel caso della miopia, ipermetropia,
astigmatismo, presbiopia. Nella MIOPIA il bubo oculare rotondeggiante tende ad essere più
allungato quindi viene meno la capacità di mettere a fuoco oggetti lontani; nell’IPERMETROPIA il
bulbo oculare è accorciato e c’è la necessità di mettere a fuoco oggetti lontani;
nell’ASTIGMATISMO la corna è irregolare quindi viene meno la capacità di mettere a fuoco in
modo regolare un oggetto; nella PRESBIOPIA, tipica dell’età avanzata, il cristallino è rigido e
questo non permette di mettere a fuoco oggetti vicini. I sintomi che il bambino può presentare sono:
bruciore, ammiccamento frequente (il bambino strizza l’occhio perché non riesce a mettere a fuoco
l’immagine), lacrimazione, secchezza, stanchezza alla lettura, visione annebbiata, visione sdoppiata,
fastidio alla luce, mal di testa. Le cause dei disturbi visivi in un contesto lavorativo possono essere
gli abbagli diretti e riflessi, i contrasti eccessivi di luminosità tra schermo e ambiente, la prolungata
fissità dello sguardo sullo schermo, la scarsa leggibilità dello schermo, i difetti visivi non corretti o
mal corretti, l’aria troppo secca, l’aria inquinata da sostanze irritanti; mentre le cause in un contesto
scolastico possono essere la scarsa illuminazione degli ambienti di studio rispetto all’adeguatezza
dei banchi o della aree scolastiche (le sedie devono essere adeguate rispetto all’altezza del bambino
e del banco), la lettura dei libri con caratteri ridotti di stampa e la carta traslucida che riflette la luce,
lo scorretto atteggiamento posturale. I sistemi di prevenzione sono: eseguire visite periodiche
dall’oculista in caso di insorgenza di sintomi, utilizzare sempre correzioni ottiche adeguate,
assumere posizione corrette durante le ore di studio, illuminare il banco scolastico e l’aula con luce
uniforme e diffusa, collocare video-monitor e lavagne alla stessa distanza dagli occhi il più lontano
possibile purché siano leggibili, regolare contrasto, luminosità e caratteri dei video e monitor
(sfondo chiaro e lettere scure).