ECO - Lezione 4

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Economia Politica – Lezione 4 – 08/03/2023

Quando l’elasticità della domanda è molto bassa, meno di uno, diremo che è anelastica, cioè poco elastico.
Quando invece è pari ad 1, si dice ad elasticità unitaria; quando invece è maggiore di uno, si dice che è
elastica, ovvero molto sensibile alle variazioni.

Possiamo applicare il concetto di elasticità anche rispetto al prezzo degli altri beni (lo abbiamo già detto, le
variazioni incrociate). Per esempio: l’elasticità della domanda di caffè rispetto a quella del tè, e vedere se
l’elasticità ha segno positivo o negativo; se aumenta il prezza del tè, aumento il caffè, quindi sono beni
sostituti.

Possiamo fare la stessa cosa anche con l’offerta: il concetto è lo stesso.

Poi abbiamo esempi di particolari funzioni.

Questo significa che anche una piccola variazione fa schizzare tendenzialmente la domanda a valori molto
alti.
In questo caso la domanda di questo bene non dipende dal prezzo: qualunque sia il prezzo la quantità
domanda rimane sempre la stessa. Quindi con elasticità pari a 0 vuol dire che il bene non è influenzato dal
prezzo.

Qui sopra gli ultimi casi.

Dopo aver introdotto una serie di elementi riguardanti la domanda e l’offerta, il mercato e l’equilibrio,
bisogna soffermarsi sull’aspetto più specifico della domanda. Abbiamo detto che quest’ultima dipende da
diversi fattori e abbiamo fatto tutta una serie di considerazioni empiriche; ora possiamo capire come si
arriva alla funzione di domanda. Perché dipende dal prezzo, dal reddito etc.? Entriamo nel modo di
ragionare della teoria neoclassica: dicemmo che vedono il sistema economico come composto da una
pluralità di individui che (in questo caso i consumatori / famiglie) hanno come obiettivo di massimizzare una
funzione – obiettivo (il benessere) che deriva dal consumo di un certo numero di beni. Il problema di questo
individuo, rappresentativo di tutti gli individui, è quello di individuare quella combinazione ottimale
(rispetto all’obiettivo del benessere) di diversi beni che può acquistare. Tale obiettivo è soggetto a dei
vincoli:

1) DISPONIBILITA’ DI RISORSE DI CUI OGNI CONSUMATORE DISPONE: il reddito;


2) IL PREZZO DEI BENI che si incontrano sul mercato; il modello che assumiamo presuppone che
vengono rispettati i requisiti della concorrenza, quindi ciò significa che ogni individuo non può
esercitare influenza sul prezzo del bene. Il prezzo che vige sul mercato in quel momento è un DATO.

Questa è l’applicazione di quello schema di pensiero neoclassico: una metodologia attraverso la quale si
individuano delle modalità con cui si allocano risorse scarse per usi alternativi. E’ questo che fa il
consumatore: il reddito è per definizione limitato, quindi va allocate in modo ottimale per usi alternativi
(acquisto dei diversi beni). Se il mio reddito è 100, e io voglio aumentare la quantità alimentari,
necessariamente dovrò diminuire la quantità di vestiario o di risorse destinate a usi voluttuari. Bisogna
trovare quindi una modalità per individuare la quantità ottimale di beni da acquistare sul mercato.

La stessa cosa fanno anche le imprese: bisogna allocare risorse scarse per usi alternativi. Il paradigma della
scarsità e della scelta razionale; si pensa infatti che gli individui siano razionali, ovvero capaci di ordinare
tutte le possibili alternative e di scegliere quella che sia migliore (in teoria). Ci sono molte ipotesi: io conosco
tutte le alternative e le posso valutare, e se sono razionale scelgo quella migliore; questo implica che io
conosco tutte le alternative e quindi non ci sono problemi di informazioni (cosa che non accade spesso).
Uno dei problemi di questo tipo di approccio è proprio quello dell’informazione di cui un individuo (sia per
quanto riguarda imprese, sia consumatori) si confronta.

Riassunto: i consumatori quindi traggono una soddisfazione / utilità dall’acquisto dei beni e servizi: l’ipotesi
che si fa è che gli individui hanno preferenze ben definite (sanno ciò che vogliono) e sono razionali. Come
avevamo detto prima, il consumatore compie una scelta soggetta a dei vincoli: cerco di massimizzare l’utilità
che traggo dal consumo di questi beni; tuttavia, l’obiettivo da massimizzare è soggetto dai vincoli (reddito e
prezzi). Da un lato dipende quindi dalla capacità di acquisto e dall’altro le preferenze.

La prima cosa da fare è definire quello che gli economisti chiamano vincolo di bilancio: questo ci dà delle
informazioni, nel senso che ci dice tutte le combinazione dei beni che possiamo acquistare dato il reddito e
il prezzo dei beni. Il vincolo: la spesa complessiva che tu puoi effettuare non deve superare il tuo reddito.

p1q1 + p2q2 + … +PnQn MINORE / UGUALE di R

Se sommo tutte queste quantità che sono espresse in euro abbiamo la spesa complessiva: tale deve essere
minore o uguale al reddito, ma non può superarla, sennò si indebita. Possiamo costruire anche un modello
anche dove il consumatore può spostare il consumo dal tempo presente al tempo futuro, ma si considera il
consumo in tempi diversi e quindi si può indebitare (mi indebito adesso con l’avvertenza che devo ripagarlo)
oppure posso fare viceversa (spenso di meno rispetto a quanto posso acquistare e quello che risparmio lo
trasferisco al futuro prossimo).

Semplifichiamo la questione: invece di prendere n beni, possiamo considerarne soltanto due. Non ci
perdiamo in generalità, perché l’aspetto su cui ci vogliamo aspettare è la scelta di una combinazione
ottimale, e questa si può fare anche solo con due beni. Abbiamo il BENE 1 e BENE 2, con rispettiva quantità
e prezzo. Il vincolo di bilancio si ferma ad una semplice equazione:

p1q1+p2q2 MINORE / UGUALE di R

Oppure

P1q1+p2q2 UGUALE a R

Innanzitutto noi conosciamo R: ogni consumatore sa quanto è il proprio reddito; altra cosa che sappiamo
sono i PREZZI, quindi P. La nostra incognita è Q, ovvero capire quanto possiamo acquistare affinché la spesa
totale non superi il reddito. Nella seconda equazione abbiamo la retta di bilancio, cioè tutte le combinazioni
che l’individuo può acquistare sulla base dei prezzi e del reddito e rispettando il vincolo.
I punti sulla retta blu ci dicono tutte le possibili combinazioni. Il fatto di usare solo due beni è utile così si
vede nell’immediato e si può trasferire su una rappresentazione grafica. La R la troviamo in base a come si
posizione la retta sul piano. A breve torneremo su questo punto. La parte del grafico sottostante la retta blu
(quella in rosso) è una regione: ci danno tutte le combinazioni dei due beni che non esauriscono tutto il
reddito. Il posizionamento della retta di bilancia dipende dai prezzi e dal reddito.

Come individuiamo i punti in cui la retta di bilancio intercetta l’asse verticale e quella orizzontale? Dal punto
di vista economico, il punto che taglia la retta q2 significa che egli ha deciso di destinare tutto il suo reddito
nell’acquisto nel bene numero 2. Invece con l’asse orizzontale decide di destinare tutto il reddito nel bene
numero 1. Quale è quindi la quantità massima? Basta prendere tutto il reddito e dividerlo una volta con p1
e p2. Se dispongo di 100 euro e so che ogni unità del bene 1 costa 2, dovrò fare 100 / 2 e quindi verrà 50.
Stessa cosa dicasi per l’altro.
(Il tondino indica una quantità nota).

Ci sono anche le solution corner: soluzioni d’angolo, cioè le alternative estreme. Facciamo esempio:
abbiamo due beni che sono sostituti dell’altro. Un bene è una penna blu, l’altro una penna nera: se sono
daltonico nero e blu non sono distinguibili. Dispongo di un certo reddito: il p1 è 1 euro, il p2 50 centesimi. La
scelta ottimale è destinare tutto il reddito alla penna che costa di meno, perché l’individuo RAZIONALE deve
massimizzare il benessere. Dato che le penne sono perfetti sostituti, se l’individuo è razionale, sceglie quella
con minor prezzo. Per arrivare a queste soluzioni però abbiamo fatto delle ipotesi. Se invece sono due
penne con stesso prezzo, abbiamo infinite soluzioni: se entrambe valgono in egual misure, possiamo
prendere infinite soluzioni.

L’inclinazione dipende dal rapporto tra i due prezzi, ovvero p1 e p2 (altra informazione che dobbiamo
sapere). Se variano i prezzi, varia l’inclinazione, e quindi anche l’intercetta. Se noi ci muoviamo lungo la
retta, è evidente che se decido di aumentare la quantità domandata del numero bene uno, è naturale che io
debba rinunciare all’acquisto di una quantità dell’altro bene e viceversa.
DeltaQ1 e DeltaQ2 sono proprio le variazioni che determinano lo spostamento dell’inclinazione.

Se io sottraggo dalla prima alla seconda, ottengo la relazione. Questa relazione significa che il rapporto tra i
prezzi ci da l’informazione su come si scambiano i beni: le ragioni di scambio.
ESEMPIO: bene 1 costa 1, bene 2 costa 3. Il rapporto di questi due beni in termine di valore è di 1 / 3. Un
dato che il consumatore acquisisce dal mercato sul quale non può fare nulla. Una informazione che attiene
a come sul mercato in termini di scambi i due beni si scambiano l’uno con l’altro in termine di rapporto: se il
prezzo di un bene è tre volte del prezzo dell’altro, ho detto che il rapporto è di 1 a 3. Questo rapporto di
scambio deriva dall’andamento di scambio che è presente sul mercato: ricordiamo che con la teoria
neoclassica i prezzi sul mercato sono dei segnali di cui tenere conto. Il mercato sta segnalando un certo
rapporto di scambio tra un bene ed un altro.
Vediamo, in questo esempio, i diversi casi di acquisto e di rapporto tra due beni (vestiario e cibo). Nella
rappresentazione grafica abbiamo il paniere A, caso estremo (soluzione d’angolo) e il caso G (soluzione
d’angolo). Poi i casi intermedi (B, D, E).

Se vi è un aumento del reddito (da 80$ passa a 160$), cosa succede alla retta di bilancio? Quest’ultima si
trasla e l’inclinazione non si modifica (non vi è variazione dei prezzi). Se invece subisce una diminuzione si
ha sempre la traslazione ma verso l’interno.
Se invece il prezzo cambia cosa succede? Supponiamo che la variazione interviene solo sul prezzo del cibo, e
quello del vestiario è rimasto invariato. Quel punto di intersezione del vincolo di bilancio sull’asse verticale
non cambia; diverso invece è il caso del cibo, il cui prezzo ha subito delle variazioni. Originariamente costava
1$, mentre ora si è dimezzato e quindi ora costa 0.50$. Succede che se volessi destinare tutto il mio reddito
all’acquisto del cibo dovrò fare 80/0.50, ci viene 160. Quindi la massima quantità di cibo è raddoppiata, in
quanto il prezzo è dimezzato (è direttamente proporzionale). Se invece il prezzo raddoppia, a parità delle
altre condizioni, accade che si dimezza la quantità di cibo che si può acquistare.

Il vincolo di bilancio, in conclusione, si può spostare in base al variare dei prezzi e del reddito; se varia il
reddito e variano tutti e due i prezzi, evidentemente avremo una nuova retta di bilancio con inclinazione
diversa e avrà anche un posizionamento diverso (verso l’alto o verso il basso). Si possono combinare, quindi,
tutti i casi.

Se i due prezzi variano nella stessa proporzione? Non cambia nulla.

PASSIAMO ORA A COME VENGONO DESCRITTE LE PREFERENZE DELL’INDIVIDUO (Lezioni di


Microeconomia 4).
Bisogna individuare tra le infinite combinazioni (quelle che si trovano sulla retta di bilancio) quella che
massimizza l’utilità del consumatore. Quindi cosa intendiamo per utilità? La prima cosa che si fa in genere in
questi casi è quella di individuare una relazione (funzione) che in qualche modo leghi le quantità consumato
di un bene con la misura del livello di benessere / utilità che questa determinata quantità del bene arreca al
consumatore. Quella che vediamo qui sotto è una funzione di utilità totale.

Quello che ci aspettiamo è che il benessere che il consumatore trae dall’acquisto del bene, aumenti dalla
quantità di quel bene che l’individuo dispone. Come varia, quindi, il benessere al variare della quantità
disponibile? Il punto interessante / qualificante del ragionamento è il rapporto che esiste tra l’incremento o
decremento di utilità / benessere che può essere associato alla variazione della quantità del bene che si
dispone.
UTILITA’ MARGINALE: il concetto di margine lo troveremo molte volte. Infatti, gli economisti che fanno capo
all’economia neoclassica vengono chiamati anche marginali, perché vogliono analizzare come una quantità,
una certa variabile, reagisca alle variazioni di un’altra grandezza. In questo caso viene applicato al
benessere, ma lo applicheremo anche ai costi, ai ricavi e via facendo. L’utilità marginale è un modo per
misurare il valore o la soddisfazione ottenuti da un cliente che consuma un prodotto. Nel caso dell’utilità
marginale, nel caso si raggiungesse il punto di saturazione, concludiamo in quel punto quanto vale l’utilità
marginale? 0, perché non si registra alcun tipo di incremento di benessere. Quindi, se io andassi ancora
oltre, continuerei ad acquistare quel bene, l’utilità si trasformerebbe in disutilità, perché ho superato la
soglia di saturazione.

Ci sono dei casi dove non vi è un punto di saturazione, come nel caso dei beni culturali. In questo caso
l’utilità marginale derivante dal riascolto o rivista di un bene culturale aumenta soltanto. Non prenderemo
in considerazione questa questione.

Questa è la rappresentazione grafica di quanto detto prendendo come bene in considerazione il cibo. Da 7 a
8 la funzione di utilità totale diventa piatta, e se volessi continuare a consumare la funzione di utilità totale
inizia a diminuire, perché mi trovo nella fase il cui consumo di ulteriori quantità di quel bene lo fa diventare
disutile. Per come è fatta questa curva se passo da un’unità di cibo a due, di quanto si incrementa il
benessere? Da 10 a 15; se io passo da 2 a 3 da 15 a 19, ma come vediamo di meno. E così facendo: se passo
da 3 a 4, arriviamo da 19 a 22, quindi ancora di meno e così facendo. Vediamo che l’utilità marginale si sta
stabilizzando: da 7 a 8 l’utilità marginale sarà piatta, siamo nel punto della saturazione. Dopodiché decade,
in quanto non si trae più benessere da quel bene, in quanto diventa disutile all’aumento di esso.

Come si misura questa utilità?

Esempio: quanta utilità mi arreca il caffè?

Ci basiamo su due approcci: quello cardinale e quello ordinale.


CARDINALE: noi dovremmo misurare l’utilità in termine di intensità del fenomeno; questo sarebbe
concettualmente complicato, perché ognuno di noi ha delle valutazioni diverse dall’intensità che deriva da
passare a una tazza di caffè a due.

ORDINALE: il consumatore può, in corrispondenza delle diverse quantità e dell’utilità totale, i numeri
vengono intesi non come intensità del fenomeno, ma come una sorta di graduatoria (ranking). Nel senso
che 22, 19, etc. (i dati di prima) misurando l’ordinamento, cioè una graduatoria per cui 22 sta in una
posizione alta rispetto agli altri. Si misura l’importanza relativa di 4 unità del bene rispetto a 2 unità del bene
e via discorrendo.

Alla fine di tutto ciò, sulla base della costruzione di questa metrica, si trova la combinazione (in rispetto del
vincolo) che si ritrova ad avere il “punteggio” più elevato, che sulla base del criterio di valutazione, mi arreca
il maggior grado di benessere.

Uno strumento molto importante per analizzare questa questione è quello di analizzare le curve di
indifferenza: degli insiemi la cui rappresentazione grafica è proprio una curva che ci dà delle combinazioni
dei due beni che assicurano al nostro consumatore sempre lo stesso livello di utilità. Significa che tutte le
combinazione di questi beni (prendiamone 2) danno lo stesso livello di soddisfazione: si instaura una
relazione di indifferenza. Come sono fatte? In linea di massima, se le mettiamo su due assi, è decrescente:
da sinistra verso destra. Questo per un motivo semplice: il benessere di un individuo aumenta all’aumentare
della disponibilità del bene (lasciamo stare marginale etc.); ora, qui abbiamo due beni, e poi abbiamo detto
che la curva di indifferenza deve trovare le combinazioni per cui il benessere è identico. Quindi se io
aumento la quantità di un bene, il benessere aumenta evidentemente: se lo voglio mantenere costante, la
quantità dell’altro bene invece deve diminuire. Se per definizione voglio che le curve di indifferenza
individuino le combinazioni che mi lasciano il benessere costante, questa curva deve rimanere decrescente.

Poi abbiamo quella concava: questo accade perché ipotizziamo che le utilità marginali dei beni siano
crescenti.

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